4
di facilitare lo scambio internazionale di beni e servizi e sviluppare la
cooperazione nelle attività intellettuali, scientifiche, tecniche ed economiche.
Quest'organizzazione ha tracciato l’insieme delle linee guida sotto
forma di norme applicabili a qualsiasi tipo di processo o settore aziendale ed,
esplicitamente, a qualsiasi tipo di servizio o organizzazione.
In alcune norme realizzate dall’ISO, in particolare nella famiglia delle
ISO 9000, si fa riferimento al Sistema di Gestione della Qualità (SGQ),
inteso come “quella parte del sistema di gestione di un’organizzazione che si
propone, con riferimento agli obiettivi per la qualità, di raggiungere dei
risultati in grado di soddisfare adeguatamente le esigenze, le aspettative e i
requisiti di tutte le parti interessate”
1
.
Il SGQ prevede il miglioramento continuo di tutte le attività e di tutti i
processi gestionali, intendendo per “miglioramento continuo” la capacità di
raggiungere e sostenere nel tempo gli obiettivi di qualità prefissati in una
nuova logica di orientamento al cliente, visto nel duplice ruolo di generatore
di requisiti di qualità e di percettore della qualità erogata.
Il SGQ proposto dalla norma è l’espressione palese del passaggio da
economie di specializzazione legate alla spinta divisione del lavoro, che ha
prodotto strutture organizzative di tipo funzionale, a modalità gestionali
basate sui processi, che prevedono una definizione formale ed operativa delle
attività primarie a sostegno della missione aziendale, e dei metodi di
valutazione della loro efficacia.
In una struttura di tipo funzionale l'organizzazione ed i relativi organi
direttivi sono scomposti con la logica della tecnica: le funzione aziendali
sono costituite da gruppi di attività legate fra di loro da vincoli di
interdipendenza reciproca e medesima specie economico-tecnica; per
esempio l'ufficio acquisti è l'organo direttivo addetto a tutte quelle attività
1
ISO 9000:2000 punto 2.11
5
necessarie per l'approvvigionamento degli input indispensabili alla
produzione o ad altre funzioni aziendali.
Le relazioni esistenti fra le varie attività di uno stesso processo
gestionale ma controllate da funzione aziendali differenti, ha fatto nascere la
necessità di un approccio incentrato sui processi, che si è poi evoluto in
diverse forme di modalità gestionali per processi (approccio per processi,
gestione per processi, organizzazione per processi).
Il concetto di processo, definito come insieme di unità sequenziali o
parallele, attivate da un certo gruppo di input che consente di riprodurre un
determinato risultato, è legato alla visione economica-gestionale di catena
del valore, teoria che ha trovato in Porter il suo realizzatore e maggior
promotore; il modello della Catena del Valore disaggrega l'impresa nelle sue
attività principali, allo scopo di comprendere se e in quale misura esse
concorrono a determinare vantaggi competitivi.
Un approccio per processi prevede una visione basata
sull'integrazione di tutte quelle attività che concorrono all'ottenimento dello
stesso output, indipendentemente dalla funzione aziendale a cui
appartengono; vale a dire considera il singolo processo end-to-end, ossia il
processo è analizzato lungo tutta la catena di fornitura.
In particolare l'approccio pone l’attenzione sui processi primari
aziendali, ossia sulle attività che sostengono la missione aziendale, in quanto
contribuiscono in maniera diretta alla creazione di valore per il cliente. Per
tali processi l’approccio prevede: l’identificazione, la definizione formale ed
operativa, la realizzazione di una visualizzazione grafica che permetta di
avere una fotografia dei processi aziendali (Mappatura dei Business
Process) e la formalizzazione delle regole finora trasmesse solo a voce con la
realizzazione dei Manuali della Qualità e delle Procedure.
Con il termine Business Modeling s'intende la metodologia utilizzata
per la mappatura dei business process e delle strategie aziendali, con la quale
è possibile visualizzare gli attori, le attività svolte, le loro relazioni, le
6
responsabilità, contestualmente ad un determinato livello di
approfondimento. Grazie alla mappatura è possibile avere una cognizione
della situazione attuale dei processi dell'organizzazione al giusto livello di
dettaglio; l’identificazione permetterà di individuare i processi rilevanti nella
realizzazione del prodotto/servizio sui quali saranno incentrate le risorse
aziendali ed eventualmente permetterà l’avvio di una reingegnerizzazione dei
processi.
Oltre alle tecniche tradizionali che consentono la visualizzazione dei
risultati del Business Modeling (quali i Flow chart, i Process chart, la tecnica
IDEF0, i Data Flow Diagram), sono disponibili in letteratura tecniche più
moderne maggiormente adattabili alla rappresentazione dei processi aziendali
(quali UML, HOOMA, CIMOSA); in generale è possibile dire che le
tecniche proposte sono ancora in fase di sperimentazione e presentano in
alcuni casi problemi di implementazione, dovuti principalmente al fatto che
esse sono nate per rappresentare altri tipi di processi (come per esempio
quelli relativi alla progettazione software), ed in secondo luogo perché la
velocità di evoluzione dei rapporti tra gli stakeholders e delle strutture
organizzative aziendali non permette a nessuna tecnica una perfetta
integrazione con la realtà aziendale.
Tra le differenti tecniche di mappatura, può essere posta particolare
attenzione sulla tecnica UML con la quale è possibile creare visualizzazione
grafiche con cui rappresentare la realtà di interesse, documentandone i
processi e gli attori che interagiscono con essi. L'UML è uno strumento di
comunicazione tra l'organizzazione aziendale e i vari stakeholders, che
permette diverse viste del problema a vari livelli di astrazione.
Nel campo business, anche la tecnica UML è in piena
implementazione e necessita ancora di miglioramenti, dovuti principalmente
al fatto che alcune viste sono poco integrate.
Nonostante ciò, tra i 13 diagrammi che costituiscono la tecnica, l’UML
Activity diagram è ritenuto un ottimo strumento per modellare un processo di
7
business come insieme di attività e di transizioni tra queste attività. Un UML
Activity Diagram traccia il business workflow e fornisce aspetti dinamici di
esso, in modo da avere informazioni sui flussi di lavoro, sulle attività fatte in
parallelo, sulle azioni alternative. E’ anche possibile partizionare il workflow
in colonne per ruoli e/o responsabilità (corsie), in modo da poter
immediatamente individuare le responsabilità non solo per ogni processo
aziendale ma anche per ogni attività ed operazione di cui il processo è
composto. Infine nell’UML Activity Diagram possono anche essere aggiunte
le business entity coinvolte.
Nella metodologia di modellazione dei business process si è soliti
affiancare alle consuete tecniche grafiche, altri strumenti complementari
grazie ai quali fornire differenti informazioni e diverse viste della realtà. Tra
queste si segnala la Matrice delle Responsabilità o Matrice LRC (Linear
Responsability Chart), con la quale è possibile determinare non solo
l'identità degli attori coinvolti nei processi aziendali, ma soprattutto il loro
livello di coinvolgimento, in una matrice in cui un simbolo esprime il livello
di responsabilità delle funzioni aziendali o dei Responsabili rispetto ad una
determinato processo.
La matrice LRC può essere utilizzata, in una logica di progettazione o
riprogettazione della struttura organizzativa, come strumento per
l’individuazione di assenze, eccessive frammentazioni, conflitti di
responsabilità, cioè di una serie di problemi di organizzazione che a lungo
andare si ribaltano in negativo sulla qualità finale del prodotto/servizio.
Ritornando all’approccio per processi, la definizione formale dei
processi core risulta necessaria in quanto nelle aziende consolidate si tende a
perdere memoria dell’effettivo valore creato dalle attività primarie per motivi
attribuibili sia all’insufficienza/assenza di strumenti concreti di misurazione
che permettano di monitorare costantemente l’efficacia e l’efficienza dei
8
processi, sia a modifiche subite dalla struttura organizzativa che hanno
condotto ad un ridisegno/assestamento delle funzioni aziendali.
Gli approcci organizzativi basati sui processi permettono
l'introduzione di una nuova figura gestionale a cui è assegnato il compito di
responsabile unico del processo, il process owner, spesso confuso con il
responsabile dell'esecuzione delle attività della processo, che guida il process
team costituito verso il cambiamento dello specifico processo secondo il
principio della leadership. A questa figura è affidato il compito di predisporre
e formalizzare il nuovo flusso delle attività, identificare i mezzi, le risorse di
strutture organizzative necessarie per ciascun processo; inoltre ad esso si
richiede di sorvegliare le prestazioni del processo nel tempo e di intervenire
con le modifiche organizzative necessarie ad adattarla nuove esigenze o ad
opportunità di miglioramento.
L'introduzione in un'organizzazione dell'approccio processi incontra
resistenze interne essenzialmente dovute ad una cultura gestionale
consolidata di tipo funzionale, abituata ad approcci professionali di tipo
gerarchico, che spinge le risorse umane a vedere nei nuovi team di processo
costituiti una minaccia diretta; le resistenze sono principalmente legate ai
nascenti conflitti sulla ridefinizione di responsabilità e autorità, accentuate
dal timore di poter perdere potere sulle risorse o nel veder inespresse le
proprie competenze specifiche.
L'approccio per processi può evolvere in una più complessa modalità
gestionale sempre basata sui processi, che prevede l'estensione dei sistemi di
monitoraggio e miglioramento dei processi non solo dei processi core, ma per
tutti i processi aziendali, al fine di valutarne l'efficienza; una tale visione,
definita gestione per processi, pur non modificando la struttura aziendale
organizzativa che rimane di tipo funzionale, si apre a politiche di gestione
approntate su tutti i processi aziendali, compresi quelli di supporto che non
creano direttamente valore aggiunto ma che sono appunto di supporto ai
processi primari.
9
Se poi l'intera struttura organizzativa non è di tipo funzionale ma
evolve verso un'organizzazione completamente dedicata ai processi aziendali,
si parla di organizzazione per processi; tale cambiamento strutturale, di tipo
complesso ma molto vantaggioso, porta le aziende a rispondere in modo più
veloce a quelle che sono le esigenze dei clienti, assicurando l'esigenza interna
di competitività nel mercato di interesse, ritenuta presupposto comunque
indispensabile.
Un approccio di tipo processivo comporta cambiamenti che possono
condizionare diversi aspetti dell'organizzazione, dalla struttura organizzativa
alle risorse umane, alla struttura informatica; e proprio per quanto riguarda i
sistemi informativi aziendali, la soluzione più idonea ad un approccio di
tipo processivo risulta essere costituita dagli ERP o Sistemi Integrati di
Gestione.
Un prodotto ERP si differenzia dagli altri sistemi informativi aziendali
per il suo approccio globale che permette l'integrazione di moduli software
specifici per singole funzioni aziendali, gestendo per l'intero sistema un unico
database in cui i dati aziendali sono contenuti ed analizzati in modo univoco
e visionabili da tutte le funzioni aziendali grazie a particolari interfacce.
Si è passati così da sistemi informativi aziendali in cui lo strumento
informatico era dedicato alla singola area aziendale, a modelli che mirando
maggiormente all'innovazione e dall'integrazione, si propongono anche di
curare i rapporti con i processi di fornitori e clienti a monte e a valle
dell'impresa.
Inoltre supportando i processi decisionali ed i nuovi meccanismi di
coordinamento all’interno dell’impresa, l’ERP promuove una migliore
comunicazione delle informazioni a tutti i livelli dell’organizzazione e tra le
diverse unità funzionali, consentendo di controllare, pianificare e gestire in
modo integrato e continuo tutte le attività, dalla produzione alla distribuzione,
dalla progettazione alla logistica, dalle vendite alla pianificazione finanziaria.
10
Il binomio processo/ERP sembra quasi obbligato: da una parte
un'organizzazione per funzioni che intende adottare un sistema informativo di
tipo integrato, deve riconvertire se stessa attuando una reingegnerizzazione
dei processi che orienta le attività al flusso eliminandone quelle che non
producono lavoro, in quanto i moderni strumenti informativi sono strutturati
in modo tale da porre al centro del loro interesse il business process; dall'altro
lato, 1'organizzazione che intende adottare un approccio per processi, trova
nel sistema integrato l'unica struttura informatica idonea all'approccio, poiché
esso prevede l'integrazione interfunzionale e la ricomposizione delle attività
in flussi in cui le interdipendenze e le relazioni tra le attività vengono
ricostruite in senso multifunzionale e multidirezionale.
Il progetto svolto presso l’azienda Seieffe s.r.l., azienda sannita
impegnata essenzialmente nella produzione e lavorazione di superfici di
quarzo e realizzatrice del prodotto OKITE
≤
, ha riguardato due distinti lavori
che hanno richiesto un tirocinio di 8 mesi in azienda ed interviste a circa 30
utenti.
Il primo lavoro è basato sull'identificazione dei processi critici aziendali
e sulla modellazione degli stessi mediante tecniche grafiche, al fine di
effettuare una fotografia della situazione attuale aziendale in vista di un
futuro processo di analisi e miglioramento della struttura organizzativa e
delle procedure interne.
Per questo lavoro è stata utilizzata una metodologia di identificazione
dei processi aziendali mediante l’impiego della catena del valore che ha
permesso l’individuazione di 4 macroprocessi chiave.
A questa è seguita una scomposizione ad albero dei macroprocessi
primari in processi-fasi-attività, e la formalizzazione di questi ultimi con la
realizzazione di schede operative, nelle quali per ogni elemento individuato
11
(8 processi, 24 fasi, 6 attività) si effettua una descrizione funzionale e si
identificano le relazioni con i rispettivi input, output e clienti (38 schede).
Strumenti complementari all’analisi, utilizzati per proporre ulteriori e più
complete informazioni sulla realtà aziendale, sono stati la Matrice LRC e i
grafici UML Activity Diagram; con la prima è stato possibile individuare le
responsabilità degli Uffici aziendali relativamente ai processi individuati (8
schede in totale in riferimento agli 8 processi individuati); i Diagrammi di
Attività hanno permesso la realizzazione grafica di tutti i processi critici
aziendali con un livello di dettaglio che arriva alla visualizzazione delle
singole operazioni (42 grafici in totale).
Il secondo lavoro è basato sulla reportistica in uso nel software ERP Sap
R/3, teso alla riorganizzazione dei layout di stampa e alla realizzazione di un
modello di reportistica condiviso dal gruppo.
Il progetto prevede quindi il raggiungimento di tre obiettivi:
ξ Snellire il software da varianti ridondanti, non utilizzate, obsolete o
ritenute inefficaci;
ξ Individuare modifiche che hanno apportato valore aggiunto ai processi
aziendali per creare un know-how di gruppo;
ξ Raccogliere dati sugli user requirement da valutare ed eventualmente
realizzare in futuro.
La metodologia di riorganizzazione e standardizzazione dei layout, che ha
permesso la riduzione del 79% delle varianti presenti, si basa su 8 steps:
1. Identificazione delle varianti di input e di output, e ricerca di eventuali
collegamenti tra essi;
2. Individuazione delle voci presenti nelle varianti;
3. Rilevazione dei campi utili dalle interviste degli utenti;
4. Calcolo dell'indice di utilità (UI);
12
5. Verifica della frequenza di utilizzo e calcolo dell'Indice di Frequenza
(FI);
6. Calcolo della media di UI e FI (valori limite di accettabilità);
7. Rappresentazione grafica dei layout in un piano (UI, FI) ed analisi;
8. Costruzione della variante ad hoc.
La metodologia di analisi dei layout aziendali è quindi basata
sull’identificazione di due indici: l’indice di utilità, che emerge dalle
opinioni degli utenti riguardo alcune voci, esprime qualitativamente quali
varianti sono maggiormente adatte a soddisfare le esigenze degli utenti;
l’indice di frequenza, che emerge dalla misura delle frequenze di utilizzo
di ciascun layout da parte degli utenti, esprime appunto la frequenza di
utilizzo. L’analisi della combinazione dei valori dei due indici associati a
ciascuna layout, ha permesso di determinare le varianti dei layout ritenute
indispensabili, quelle inutili e quelle eliminabili con la creazione di una
variante ad hoc.
13
Capitolo 1. LA LOGICA PROCESSIVA
NELLA GESTIONE DELLA
QUALITÀ
1.1. EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI QUALITÀ
Il concetto di Qualità è in continua evoluzione poiché risente delle
trasformazioni socio-culturali, economiche e di riflesso dei cambiamenti
produttivi.
L’avvento della rivoluzione industriale segna la nascita degli studi
sulla Qualità: l’introduzione dei macchinari ha permesso “produzioni di
massa” [1] e le esigenze della produzione in serie per un mercato di massa
spinsero le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di
razionalizzazione produttiva introducendo la catena di montaggio.
Pertanto, il controllo dell’intero ciclo produttivo, tipico delle realtà
“artigianali”, ha lasciato il posto alla parcellizzazione e standardizzazione
delle fasi di lavorazione.
L’applicazione dei principi introdotti da Frederick W. Taylor, autore
nel 1911 del libro intitolato "Principi di organizzazione scientifica del lavoro"
[2], determinò un notevole incremento dei volumi produttivi.
Il taylorismo si incentrava sui principi del "management scientifico"
[3] secondo il quale, mediante lo studio sistematico del lavoro in fabbrica e la
rilevazione dei tempi standard necessari per compiere le singole operazioni,
si può ottenere una profonda razionalizzazione dell'attività produttiva e una
netta separazione tra progettazione ed esecuzione dei compiti, ossia tra coloro
che organizzano l'attività produttiva (ingegneri ecc.) e coloro che la svolgono
(manodopera semi-specializzata ecc.).
14
I cambiamenti imposti dall’applicazione di simili schemi organizzativi
incontrò la resistenza dei sindacati, che fu superata grazie all’applicazione
delle teorie avanzate da un capitalista innovatore, dotato di grande audacia,
Henry Ford
2
.
Il termine fordismo concerne l’insieme di regole riguardanti
l'organizzazione della produzione, la fissazione degli obiettivi produttivi, le
modalità di risoluzione dei conflitti. I metodi fordisti possono essere
considerati una combinazione dell’organizzazione produttiva taylorista, della
meccanizzazione spinta dei processi produttivi (in seguito all'introduzione
della catena di montaggio) e della standardizzazione dei prodotti finali.
L'approccio fordista considera i lavoratori non solo quale fattore produttivo
ma anche quali naturali acquirenti dei prodotti realizzati. Si abbinò il concetto
di produzione di massa al consumo di massa, quindi Henry Ford concesse ai
lavoratori il riconoscimento di una parte degli utili derivanti dalla
razionalizzazione e dall'intensificazione del lavoro.
Tale strategia gli valse il raggiungimento del compromesso sindacale
tanto auspicato ma, come la maggior parte dei compromessi, anche quello
fordista racchiudeva in sé i germi della propria distruzione. L'intensificazione
del lavoro e l'alienazione dei lavoratori portò a forme di resistenza in grado di
condizionare un sistema produttivo reso già vulnerabile dall'alto grado di
automazione e di complessità.
In questa fase storica, quindi, la Qualità si focalizzò sulla risoluzione
dei problemi connaturati agli aspetti tecnici del prodotto [5], vale a dire, alla
riduzione degli scarti di lavorazione [6] e la riduzione dei costi legati
2
Secondo l’autore Accornero [4] “quella di Taylor, senza Ford, sarebbe
probabilmente rimasta una teoria inapplicabile”.
15
all’incremento dei tempi causati della non conformità degli articoli rispetto
alle specifiche di progettazione
3
(costi della non qualità).
L'impossibilità del sistema produttivo di assicurare in maniera assoluta
la sicurezza sul lavoro, la corrispondenza rispetto alle caratteristiche
prescritte, in aggiunta alla necessità di costruire oggetti che richiedono un
certo grado di funzionamento, fecero nascere una nuova coscienza di qualità.
Nonostante l’approccio empirico, questo primo filone di studi portò a
due importanti risultati.
Il primo risultato fu una nuova impostazione del rapporto fornitore-
cliente: si introdussero ispezioni a monte del processo produttivo con le quali
l'azienda controllava i prodotti in modo da verificarne la conformità alle
specifiche richieste e delineate in fase di progettazione.
Il secondo importante risultato riguardò l’introduzione di un’attività a
valle del processo produttivo, ossia il collaudo finale dei pezzi lavorati; in
questo modo era possibile selezionare i pezzi da scartare o eventualmente da
recuperare in modo da soddisfare nel migliore dei modi le esigenze dei
clienti.
La seconda tappa nell'evoluzione del concetto della qualità è da
attribuirsi agli studi dell’americano Deming e coincide con il secondo
conflitto mondiale: fu proprio la corsa al miglioramento dei prodotti bellici
ad accelerare gli studi nel settore.
Si introdusse la statistica quale metodologia di analisi e miglioramento
della qualità dei prodotti. Sottoponendo i prodotti industriali a Controllo
statistico dei prodotti industriali [10] si osservò che la qualità di beni o
servizi prodotti è sempre soggetta ad una più o meno ampia variabilità,
effetto aleatorio dell’insieme di fattori di disturbo che sono presenti in
3
Il Costo della Non Qualità o C.N.Q. è un concetto sviluppato da Joseph Juran,
uno dei pionieri nel campo della Qualità Totale in “Juran's Quality Control
Handbook - 5th edition” [7] , “Juran on Planning for Quality” [8] e “A History of
Managing for Quality” [9].
16
qualsiasi processo produttivo. Si comprese che essendo la variabilità
fisiologica, era impossibile ridurla a meno di interventi correttivi da apportare
al ciclo produttivo. Eventuali tentativi di ridurla, intervenendo ad esempio
con ripetute regolazioni, avrebbero prodotto il solo l'effetto di aumentarne
l'ampiezza; viceversa, abbassamenti qualitativi dovuti a derive globali del
processo meritano interventi solleciti.
Con questo approccio il controllo statistico è utilizzato per disciplinare
le risorse umane, controllando il lavoro, e le risorse tecnologiche,
controllando i mezzi di produzione.
Le pessime condizioni in cui versava il Giappone alla fine del secondo
conflitto mondiale (industrie, città, sistemi di comunicazione distrutti),
rappresentarono la spinta alla rinascita: i nipponici interpretarono la
ricostruzione e la sfida economica come una possibilità di rivalsa. Inoltre,
disponendo di tecnologia americana sul territorio, riuscirono ad "imitarne" i
sistemi di produzione in maniera sistematica e puntuale. Le analisi condotte
su questi modelli conferirono la maggior parte delle basi teoriche dalle quali
maturò il "modello giapponese".
I giapponesi iniziarono a mutare la propria filosofia aziendale
spostando il baricentro d'interesse sulla quota di mercato e sulle vendite. Tale
scenario rappresentò terreno fertile alla diffusione di modelli quale il "Just In
Time" (JIT) e il "Total Quality" (TQ).
In particolare, il Just In Time o JIT, (letteralmente "giusto/appena in
tempo", ma più correttamente "solo quando necessario"), è una filosofia
gestionale tesa a migliorare il processo produttivo, eliminando tutti gli
sprechi di materiali, forza lavoro, spazio e tempo che possono essere
riscontrati in un'azienda, cercando di alleggerire al massimo le scorte di
materie prime e di semilavorati necessari alla produzione. In pratica si tratta
di coordinare i tempi di effettiva necessità dei materiali sulla linea con la loro
acquisizione e disponibilità nel segmento del ciclo produttivo e nel momento
17
in cui debbano essere utilizzati, in modo da ridurre enormemente i costi di
immagazzinaggio, gestione, carico e scarico di magazzino [11].
Tale metodologia fu introdotta per la prima volta negli anni '60 in
Giappone dalla Toyota Motor Company e successivamente esportata in tutto
il mondo.
Il JIT rappresenta un ideale da perseguire con energia e
determinazione più che una serie di metodologie da applicare alla lettera, per
cui deve essere considerato un obiettivo che ogni soggetto aziendale deve
raggiungere in modo continuo nel tempo [12]. Il JIT consentì tutta una serie
di miglioramenti e di razionalizzazioni della produzione che produssero
effetti assolutamente inaspettati. Ad esempio, applicando questo concetto
oltre che alle materie in entrata anche ai prodotti in uscita, si riuscirono a
realizzare economie sostanziali, producendo autovetture praticamente su
ordinazione, diminuendo i tempi di consegna, evitando il notevole rischio (e
il costo) connesso con una produzione in linea con le stime di assorbimento
del mercato. Il che comportava appunto una riduzione considerevole dei costi
di stoccaggio e custodia dei prodotti finiti [13].
Il Total Quality, o TQ, va considerato un vero e proprio approccio di
marketing nel quale l'orientamento verso la produzione (approccio Product
Oriented) si sposta verso la ricerca e il soddisfacimento dei bisogni dei clienti
(approccio Customer Oriented).
Il TQ canalizza il know-how incorporato nelle combinazioni
tecnologiche dei molteplici gangli derivanti dai mestieri artigianali, l'orgoglio
d'essere membri di un'azienda concepita come famiglia adottiva, l'attitudine
al lavoro d'équipe, l'emulazione nel perfezionamento verso l'applicazione
delle carte di controllo a livello industriale: queste ultime, migliorate dalla
filosofia giapponese assumeranno la forma di kanban [15].