5
italiana del 1948 appartiene certamente al primo tipo, in quanto
non soltanto nasce e si alimenta nella distanza dalle precedenti
istituzioni illiberali – tanto da prevedere delle rotture al suo
interno circa l’esercizio di alcuni diritti fondamentali da parte
degli appartenenti al precedente regime
2
– ma fissa, in maniera
non poche volte audace e lungimirante, quali sono gli obbiettivi
da raggiungere nonché gli strumenti idonei allo scopo.
Una sommaria ricognizione dell’art. 3 della nostra Carta
fondamentale può essere illuminante per la comprensione degli
aspetti testé accennati: laddove, al primo comma, solennemente
dichiara: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
e sociali», chiaramente, oltre a profili valoriali di più immediata
comprensione e qui per brevità omessi, intende porsi in
opposizione con le precedenti istituzioni monarchiche e
totalitarie che certo non ignoravano, tanto nelle leggi quanto
nella prassi, diseguaglianze di trattamento tra singoli o categorie;
dove, invece, al secondo comma, prevede che «è compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
2
Cfr. le disposizioni transitorie e finali XII e XIII, quest’ultima solo di recente
abrogata nei primi due commi, riguardanti l’esercizio di alcuni diritti costituzionali
per i discendenti di casa Savoia, dall’art. 1 l. cost. n. 1 del 2002.
6
economica e sociale del Paese», il Costituente indica gli
obbiettivi ed il programma da perseguire.
Parafrasando in qualche maniera la suesposta divisione tra
“bilancio” e “programma”, si potrebbe allora concludere che nel
nostro tessuto costituzionale entrambi i momenti sono presenti: il
potere costituente attraverso un critico bilancio del passato più o
meno prossimo (si pensi allo stato liberale prefascista di cui
alcuni esponenti presero parte all’Assemblea Costituente), tale
da evidenziare gli errori da evitare per il futuro e mostrare
quanto di buono le passate stagioni avevano prodotto, raggiunse
la lucida consapevolezza degli obbiettivi da mettere in cantiere
per l’appena iniziata esperienza repubblicana.
Non sarebbe proficuo, né tanto meno in linea con le finalità
del presente lavoro, passare in rassegna i vari “cantieri” aperti
dalla Costituzione e fiduciosamente affidati alla solerzia del
successivo legislatore ordinario (cui, del resto, in una ordinata
vita istituzionale, attraverso scelte politiche, spetta tradurre in
pratica il programma costituzionale), tanto più che questi
obbiettivi spaziano in campi affatto diversi tra loro e spesso
intrinsecamente disomogenei.
È d’intuitiva evidenza, però, che in tanto si sono aperti
cantieri in quanto si è ritenuto che le costruende “opere” fossero,
in modo più o meno diretto, coperte da un principio
fondamentale – espresso o sotteso in Costituzione – a sua volta
7
veste giuridica di un valore
3
nel quale il Costituente si è
identificato e per l’affermazione del quale ha condotto, e vinto,
la sua battaglia col vecchio sistema costituzionale dalle cui
ceneri è esso stesso nato.
Si diceva della disomogeneità, o meglio, varietà tra i
principi fondamentali del nostro ordinamento. Ma è proprio
impossibile tentare una reductio ad unitatem degli stessi,
individuando un minimo comune denominatore, un filo rosso
che li leghi e consenta all’interprete di meglio cogliere le
innegabili interconnessioni ed interdipendenze tra i principi, al
fine soprattutto di valorizzare sino in fondo la carica innovativa
di cui sono portatori?
Sovviene alla mente, si parva licet un paragone: «Tutta la
Bibbia è attraversata dal grido dell’amore di Dio che cerca
l’uomo»
4
. In una congerie di materiali diversissimi per tempo di
composizione e personalità degli autori quali sono le Sacre
Scritture, Albino Luciani individua il tratto unificante e, si
direbbe, distintivo nella ricerca, appunto, dell’uomo da parte
della Divinità.
Ecco, allora, il baricentro ideale e tendenziale di tutta
quanta la Costituzione che, nelle sue norme programmatiche o
3
SILVESTRI, La Corte costituzionale alla svolta di fine secolo, in Storia d’Italia,
Ann. 14, Legge Diritto Giustizia, a cura di Violante in coll. con Minervini, Torino
1998, pag. 986, definisce i principi fondamentali «veste giuridica dei valori».
4
Dialogo tra Albino Luciani (papa Giovanni Paolo I) ed il cardinale Villot, riportato
da ZIZOLA, Il conclave, Roma 1997, pag. 276.
8
precettive (se tal distinguo può avere un senso
5
), espressioni di
principi o di regole (non si dimentichi, serventi i principi
medesimi!), tende all’uomo ed alla sua libera, partecipata e
consapevole realizzazione, tanto negli aspetti più materiali della
vita quanto in quelli culturali e più lato sensu spirituali.
Nondimeno riconosce, la nostra Carta, come questi aspetti
del vivere siano così strettamente collegati da non potersene
nettamente separare i rispettivi piani di incidenza. Un esempio: il
lavoro
6
, quale fonte di remunerazione materiale ma anche di
avanzamento culturale, è al tempo stesso un diritto, il cui
esercizio spetta allo stato rendere effettivo, nonché un dovere nei
confronti della collettività
7
.
Delinea quindi la Carta costituzionale un sistema
antropocentrico da cui si dipartono due direttrici correlate ed in
certo senso speculari: tutte le questioni trattate dai principi
fondamentali toccano il concetto di Dignità dell’Uomo
8
, quale
sintesi e fine di tutti gli altri diritti costituzionalmente protetti, la
quale dignità umana si pone, dunque, come valore
5
MARTINES,op. cit., pag. 201 ss.
6
Cfr. RUGGERI-SPADARO, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale
(prime notazioni), in Pol. Dir. 1991, pag. 368.
7
Suffraga la tesi qui esposta l’art 35 Cost. che, tra l’altro, promuove e favorisce gli
accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del
lavoro. L’Italia, in attuazione di detta norma, aderisce all’ILO (International Labour
Organization), istituto specializzato dell’ONU (l’unico cui partecipino, oltre ai
rappresentanti dei governi, anche quelli degli imprenditori e dei lavoratori) che
affronta tematiche che vanno dal lavoro minorile alla discriminazione sessuale nel
lavoro, dalla tutela della maternità al diritto alla pensione.
8
RUGGERI-SPADARO, op. cit., pag. 343 ss.
9
supercostituzionale, stella polare per l’interprete, nonché
riassunto e fondamento del nostro ordinamento.
Personalismo non equivale però ad individualismo. La
società pluralista di cui la Costituzione si fa promotrice e garante
esige che ciascuno colga ed attui lo stretto ed inscindibile
rapporto che lega la dignità umana, da un lato, e gli inderogabili
doveri di solidarietà politica economica e sociale, per
riprendere alla lettera il dettato della nostra Costituzione, che ben
mette in relazione quelli che possiamo definire il diritto e il
dovere su cui tutto l’ordinamento si fonda: dignità e solidarietà
9
.
9
Sul concetto di corrispondenza bilaterale tra diritto e obbligo quale fondamento del
diritto soggettivo e quindi anche dei diritti fondamentali cfr. COTTA, Diritto,
persona e mondo umano, Torino 1989, pag. 95 ss.
10
2. La proiezione verso l’esterno dei valori fondanti dello
ordinamento italiano: la vocazione internazionalistica
della Costituzione
La sofferta esperienza degli atti di barbarie consumati
durante la seconda guerra mondiale, mentre faceva da sfondo
all’elaborazione della nostra Carta costituzionale, ha visto per la
prima volta anche la Comunità internazionale
10
adoperarsi,
almeno negli intenti, per una più incisiva tutela dei diritti umani.
È questo il risultato di una mutata sensibilità in seno alla
Comunità medesima, non più solo societas tra pari preoccupata
degli equilibri politico-militari tra entità sovrane, ma anche
trama di relazioni tra gli stati per il raggiungimento di finalità
comuni, pacifiche e, si potrebbe dire, trascendenti la Comunità
stessa: i diritti dell’uomo, meglio, il riconoscimento di un
bagaglio di prerogative intangibili ed inalienabili che spettano
alla persona umana in quanto tale, qualunque sia lo Stato di
10
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, che attualmente riunisce quasi tutti gli stati
del mondo ed il cui statuto è stato firmato a San Francisco nel 1945, è basata sul
reciproco riconoscimento della sovranità di ciascuno degli stati membri; i suoi scopi
sono quelli di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, sviluppare relazioni
amichevoli tra le nazioni, promuovere la cooperazione in materia economica, sociale
e culturale, e favorire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Gli
stati membri si impegnano a risolvere le controversie in modo pacifico, ad astenersi
dall'uso della forza, a sostenere le iniziative dell'ONU e ad agire conformemente al
suo programma.
11
provenienza o la sua condizione personale
11
. A tal fine merita di
essere ricordata sin d’ora quella corrente dottrinaria che proprio
facendo leva sull’universalità ed irrinunciabilità di siffatti diritti
assegna loro, nella gerarchia delle fonti del diritto internazionale,
una posizione super-primaria e perciò poziore (jus cogens)
rispetto alle consuetudini ed ai trattati, tradizionalmente
considerati derogabili dalle parti
12
.
Assume rilevanza fondamentale a più di mezzo secolo di
distanza dalla sua adozione la “Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo” votata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel
1948, accanto alla quale si sono poi affiancati sistemi “regionali”
di difesa dei diritti, contraddistinti da una maggiore omogeneità
culturale degli stati contraenti. Tra queste si situa la
“Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali” firmata dagli stati membri del Consiglio
d’Europa nel 1950.
L’importanza di siffatte Carte non risiede nella immediata
azionabilità dei diritti ivi enunciati - è pacifico, al contrario,
come esse integrino un classico caso di soft low - essendo
innegabile che a tutt’oggi la più efficace protezione
giurisdizionale dei diritti umani si verifichi in ambito nazionale.
11
PAPISCA-MASCIA, Le relazioni internazionali nell’era dell’indipendenza e dei
diritti umani, Padova, 1991, passim.
12
Per tutti vedi CONFORTI, Diritto internazionale, VI ed., Napoli 2002, pag 181 ss.
nonché, nella letteratura più risalente, MORELLI, A proposito di norme
internazionali cogenti, in Riv. dir. internaz., 1968, pag. 108 ss.
12
Pur tuttavia le Corti statali, costituzionali in primis ma
anche comuni, a seconda che a queste ultime si riconosca o meno
la judicial review, sempre più spesso utilizzano in funzione
evolutiva del diritto interno proprio le dichiarazioni
internazionali in parola, e ciò, si osservi, non tanto e non solo in
quegli stati che mancano di un sistema di giustizia costituzionale
propriamente detto o conoscono Carte costituzionali assai
risalenti nel tempo, come alcuni paesi scandinavi, ma anche
laddove esistono Costituzioni più recenti, dimostrando con ciò
quanto feconde possano essere le reciproche integrazioni tra
diritto internazionale e singole tradizioni nazionali
13
. Tale pratica
si va sempre più diffondendo anche in quei paesi di nuova
indipendenza che evidentemente mancano di una tradizione
costituzionale propria cui fare riferimento, eppur avvertono
l’esigenza di validi fondamenti nella tutela dei diritti umani,
come può ben dimostrare la sentenza del 1987 della Suprema
Corte dello Zimbabwe
14
(stato indipendente dal 1980 ed ex
colonia britannica) che utilizza la citata Convenzione europea, e
dunque una convenzione di cui addirittura tale stato non è
neanche parte, per escludere, in applicazione di una norma
13
A tal proposito nella sent. n. 168 del 1994 afferma la nostra Corte costituzionale:
«[…] tuttavia la Corte ritiene opportuno, al fine di chiarire il significato degli altri
parametri costituzionali, analizzare e verificare la conformità della nostra
legislazione agli obblighi assunti sul piano internazionale», a cui fa seguire
l’enumerazione di tutti i trattati internazionali di cui l’Italia è parte contraente che
abbiano attinenza col motivo del giudizio, e che il giudice a quo aveva omesso di
indicare.
14
International Law Reports (ILR), vol. 90, pag. 580 ss.
13
costituzionale vietante i trattamenti disumani, l’applicazione di
pene corporali in materia criminale.
È evidente, allora, che discettare sul ruolo della dignità
umana come super-valore e sull’impegno gravante sul
legislatore ordinario di renderne effettiva la fruizione ai cittadini
circoscrivendo il discorso alla sola esperienza costituzionale
italiana è una visione in un certo senso ingenua e miope.
Ingenua, perché è di palmare evidenza come i diritti
fondamentali esprimano valori la cui tutela, così come la loro
possibilità di offesa, trascende le ormai labili frontiere degli stati,
i quali vivono interamente calati nella realtà internazionale, e
della quale, è innegabile, spesso subiscono i condizionamenti;
miope, perché significherebbe mortificare quella che Martines
15
ha definito la vocazione internazionalistica della nostra Carta
costituzionale
16
, la quale arriva a prevedere, all’art. 11,
addirittura limitazioni alla stessa sovranità nazionale se
15
MARTINES, op. cit., pag. 203.
16
A differenza dei quindici precetti presenti in Costituzione che a vario titolo
riguardano i rapporti con la Comunità internazionale, lo Statuto Albertino del 1848
dedicava all’argomento poche e laconiche frasi tendenti per lo più a preservare sfere
di competenza al Sovrano “costretto” ad autolimitarsi nei suoi precedenti poteri
assoluti. Ben diversa attenzione ai temi qui trattati mostra la coeva Costituzione
della Repubblica Romana (cfr. ASSEBLEE DEL RISORGMENTO-ROMA, Roma
1911, passim), la quale, però, approvata in un momento in cui ai suoi artefici
appariva ormai chiaro l’approssimarsi della fine di quell’effimera esperienza
repubblicana negli Stati pontifici, si qualifica soprattutto per essere il “manifesto”
delle concezioni politiche del Mazzini. Si faccia soprattutto attenzione al III
principio fondamentale, che quasi prefigura con un secolo di anticipo, le istanze
dell’odierno stato interventista: “La Repubblica colle leggi e colle istituzioni
promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”.
14
funzionali ad un ordinamento soprannazionale che assicuri più
equi rapporti tra le nazioni.
Il rilievo che il Costituente intese assegnare ai rapporti con
la Comunità internazionale si manifesta anche nella collocazione
delle stesse norme: il preambolo dedicato all’enunciazione dei
principi fondamentali ispiratori dell’assetto costituzionale,
giacché certo si ritenne che fosse parimenti principio
fondamentale l’impegno della stato alla proiezione sul piano
internazionale di quei valori di libertà e solidarietà che ci si
accingeva a proclamare quali cardini della vita interna dello
stato.
A tale proiezione, e di ciò il Costituente ebbe chiara
consapevolezza, lo stato deve pervenire attraverso due strade
maestre, entrambe individuabili nel tessuto della Carta:
innanzitutto a livello interstatuale, partecipando in condizioni di
parità con gli altri soggetti di diritto internazionale
all’elaborazione di normative ed apparati che tendano alla
salvaguardia dei diritti umani da parte di tutti gli stati contraenti,
nonché, a livello endostatuale, accordando la possibilità ai non-
cittadini che vivano sotto regimi illiberali di fruire da noi di
quelle libertà loro negate nello stato d’origine. Il primo dei due
punti indubbiamente si proietta nel futuro, integrando la classica
norma programmatica; l’altro, espressamente previsto in
Costituzione all’art. 10, terzo comma, è di più immediata
attuazione, gravando sul legislatore ordinario tutt’al più un limite
15
in negativo di non contravvenzione. Di conseguenza
quest’ultimo è anche più agevolmente tutelabile, essendo
passibile di censura da parte della Corte costituzionale una legge
che espressamente introducesse una diversa regolamentazione in
materia nel nostro ordinamento.
Stupisce, esaminando i lavori preparatori della
Costituzione, come le diverse anime politiche che presero parte
alla sua redazione
17
, pur partendo da esigenze e punti di vista
differenti abbiano finito per concordare essenzialmente sul volto
e sulle finalità delle relazioni internazionali future dell’Italia
18
;
ciò fu dovuto in primis alla dolorosa esperienza della seconda
guerra mondiale che altro non era stata se non la conseguenza di
regimi statalisti decisamente chiusi e diffidenti verso l’esterno e
marcatamente irrispettosi dei valori di libertà ed eguaglianza nei
rapporti coi cittadini.
Il movimento comunista generalmente inteso ha sempre
avuto l’internazionalismo tra i suoi capisaldi e, d’altro canto, il
Partito Comunista Italiano dell’immediato secondo dopoguerra
17
CALAMANDREI ebbe a dire, nella seduta dell’Assemblea costituente del 4
marzo 1947, a tal proposito che la Costituzione dava un’impressione di eterogeneità;
dello stesso Autore v. anche Scritti politici, vol. I tomo I, 1966, pag. 292. Per uno
sguardo d’insieme sul compromesso costituzionale, cfr., ex plurimis, CARAVITA,
Tra crisi e riforma. Riflessioni sul sistema costituzionale, Torino 1993, pag. 15.
18
G.BARILE, Costituzione e rinvio mobile al diritto straniero, diritto canonico,
diritto comunitario, diritto internazionale. Alcune considerazioni in tema, Padova
1987, pag. 55 ss.; CASSESE, Lo Stato e la comunità internazionale (Gli ideali
internazionalistici del costituente), in Commentario della Costituzione a cura di
Branca, artt. 1-12, Principi fondamentali, Bologna-Roma 1982, pag. 461 ss.
16
non faceva mistero dell’asserita necessità di una più stretta
collaborazione con le “grandi potenze democratiche” e
soprattutto con l’URSS, paese guida del socialismo reale.
Sia la Democrazia Cristiana che il Partito d’azione, poi,
all’interno del vasto dibattito politico e giuridico che precedette
ed accompagnò i lavori della Costituente, in alcuni degli
interventi dei loro leaders, rispettivamente De Gasperi e
Calamandrei, sembrano già voler prefigurare la futura
dimensione europea dello scenario internazionale, avendo come
parametro di riferimento le già sperimentate esperienze del
Commonwealth e dell’Unione Panamericana.
Un ulteriore tratto pare poi accomunare la tutela della
persona umana e l’apertura alla comunità internazionale: la
centralità che esplicitamente si è voluta accordare al Parlamento,
quale massima garanzia in una realtà pluralista, ma anche
composita, come quella italiana, tanto nella materia dei diritti e
delle libertà, coperti da riserva di legge e perciò sottratte ad una
eventuale disciplina arbitraria dettata dal potere esecutivo - non
direttamente responsabile dinanzi al corpo elettorale - quanto nei
rapporti internazionali, laddove, dato l’adattamento automatico
ex art. 10, primo comma, per le norme consuetudinarie, l’art. 80
stabilisce che per certe categorie di trattati (in pratica tutti quelli
di un qualche rilievo) sia necessaria l’autorizzazione
parlamentare alla ratifica, con ciò escludendo la più snella prassi
degli “accordi in forma semplificata” rimessi alla totale
17
discrezione del Governo. Come non leggere, quasi in filigrana
nel tessuto costituzionale, in questo latente diffidare del potere
esecutivo l’ansia perché i passati abusi non abbiano più a
ripetersi?
3. La difesa dagli attacchi interni: la Corte costituzionale
suprema custode dei valori espressi in Costituzione
Se si accetta la tesi per cui tutto l’impianto costituzionale
ruota intorno alla promozione e alla difesa della persona umana,
il passo successivo, e per così dire obbligato, porterebbe ad
affermare che, nonostante la chiara enunciazione in proposito
dell’art. 1 Cost., la sovranità
19
, quale potere originario, causa non
causata, risiede appunto in quel bagaglio di valori condiviso
dalle varie forze sociali dal cui compromesso la Costituzione ha
avuto origine, e che, come dianzi affermato, é riassunto dal
concetto di dignità della persona umana e dal correlativo
concetto di solidarietà quale dovere inderogabile gravante su
ogni soggetto dell’ordinamento giuridico, sia esso individuale o
espressione di una formazione sociale qualificata.
19
SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa declino e trasfigurazione di un
concetto, in Riv. dir. cost., 1996, pag. 55 ss; ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Leggi
diritto giustizia, Torino 1992, pag. 11 ss.
18
Per saggiare la sostenibilità di una tesi siffatta occorre
stabilire alcuni punti fissi: cos’è la sovranità? E poi, a chi
appartiene?
La prima domanda è di più facile risoluzione, giacché,
limitando l’analisi all’esperienza dello stato nazionale moderno,
qual è quello nato dalla Pace di Westfalia del 1648
20
, tutti gli
autori concordano nel ritenere essenzialmente la sovranità un
attributo caratterizzante dello Stato, scindibile in due distinte
seppur collegate accezioni: la sovranità caratterizza
l’ordinamento giuridico dello Stato come originario ed
indipendente, o superiorem non recognoscens, per usare un
brocardo caro già ai glossatori italiani del XIII secolo, in grado
di interagire su basi paritarie, almeno formalmente, nei confronti
degli altri soggetti della Comunità internazionale; inoltre la
sovranità s’invera nella supremazia dell’ordinamento statale
rispetto agli altri ordinamenti minori interni.
20
Trattato di pace, siglato il 24 ottobre del 1648, che sancì la fine della guerra dei
Trent'anni e stabilì un nuovo equilibrio politico-religioso in Europa. In base ai
termini del trattato, che unificava due trattati conclusi separatamente a Münster (tra
il Sacro romano impero e la Francia con i suoi alleati) e a Osnabrück (tra l’Impero e
la Svezia e le altre potenze protestanti), venivano pienamente riconosciute la
sovranità e l'indipendenza di tutti gli stati appartenenti all'impero.