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pregiudizio a coloro i quali svolgono la medesima attività, ma va
considerata come posizione giuridica che deve coesistere con quella di cui
sono titolari altri soggetti.
Da ciò discende che la legge è diretta a fornire tutela e ordine alla generale
libertà di impresa e non si configura come un intervento finalizzato a
intaccare tale libertà.
La concorrenza quindi, ha principalmente rilievo per il fatto che configura
modalità di relazione tra coloro che operano sul mercato. Solo un sistema
concorrenziale può infatti garantire le condizioni di pari opportunità di
accesso al processo produttivo, consentendo per questa via il pieno sviluppo
delle potenzialità della personalità.
“La concorrenza garantisce il reciproco rispetto dei soggetti che operano nel
mercato, tutelando il diritto d’impresa spettante a ciascuno di essi. Si tratta
di un diritto soggettivo perfetto, finalizzato all’effettiva coesistenza di tutte
le imprese che vogliano partecipare al mercato, senza che siano poste
onerose barriere all’entrata o all’uscita, e senza che sia impedito ovvero
intralciato il regolare e normale esercizio della loro attività imprenditoriale.
La concorrenza quindi è il limite interno alla libertà d’impresa, volto a
impedire che comportamenti privati, posti in essere da chi dispone di potere
di mercato, attentino a quello stesso bene giuridico”.
In altre parole la regola è la libertà della competizione il cui limite è la
identica libertà del competitore.
“In una situazione di concorrenza e di corretto funzionamento del mercato
non esistono stabili posizioni di rendita e il criterio del merito prevale
rispetto a ogni forma di privilegio. In questo modo ciascuno è incentivato a
svolgere il proprio compito con il massimo impegno, con benefici immediati
per tutta la collettività”.
La legge non deve proteggere solo il processo del mercato, ma deve anche
garantire l’esistenza di un ordine concorrenziale attraverso la fissazione di
regole che garantiscano la libertà di azione dell’individuo.
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L’esigenza di uno Stato forte nella tutela dei diritti di libertà, e quindi del
diritto della concorrenza, non si accompagna però a una visione dello Stato
interventista.
Poiché la concorrenza è un elemento fondamentale di un ordinamento che
assicura il perseguimento della dignità dell’uomo, lo Stato può limitarla,
istaurando condizioni di monopolio, solo nei casi in cui esistano ostacoli
insormontabili al suo svolgimento. In tutti gli altri casi lo Stato deve
limitarsi a cercare di stimolare il funzionamento autonomo del mercato,
correggendo qualora ce ne fosse bisogno il suo funzionamento, e nel
contempo assicurare che la competizione avvenga con il rispetto delle
regole predeterminate.
In tale ottica si colloca la disciplina della concorrenza sleale; oggetto di
questo lavoro, con il quale si tenterà di dare una visione panoramica, dal
punto di vista giurisprudenziale nonché dottrinale dei differenti orientamenti
che si sono intrecciati nel tempo.
La disciplina della concorrenza sleale può essere letta, analizzata ed
approfondita all’interno del codice civile che ha dimostrato una straordinaria
modernità perché non solo ha sopportato l’innesto nell’ordinamento di un
concetto quale quello di mercato concorrenziale, ma soprattutto ha sostenuto
un adeguamento rapido e moderno dell’illecito individuale di cui
specificamente si occupa.
Se, infatti ci inoltriamo nei meandri del libro V, potremo individuare al
TITOLO X, tutta quella serie di norme e regole dedicate alla DISCIPLINA
DELLA CONCORRENZA E DEI CONSORZI.
Essa si compone di due sezioni, nella prima figurano quelle che possiamo
definire disposizioni generali riguardanti la concorrenza. Nella seconda, il
nucleo centrale delle norme sulla concorrenza sleale, e il cui fulcro è
indubbiamente composto dall’art. 2598.
Questo studio si propone di esaminare la concorrenza sleale intendendola
quale tecnica particolare della regolamentazione della concorrenza tout
7
court, approfondendo inoltre nella parte conclusiva le problematiche relative
alle sanzioni, ed il ruolo delle associazioni professionali. Concludendo
infine con un appendice legislativa, fornendo quindi elementi certi quali la
mera regolamentazione data dal legislatore, dalla quale ricavare le proprie
osservazioni.
8
“A chi l’apprezza”
9
Capitolo I: L’evoluzione della disciplina
1. Il primissimo periodo liberista. I limiti pattizi.
In Italia, la disciplina volta a contrastare la concorrenza sleale nacque
notevolmente in ritardo rispetto all’avvento del sistema fondato sulla libertà
d’impresa e (di riflesso, quindi) della concorrenza.
Per diverso tempo, né il legislatore né i giudici intervennero a delimitare
l’ambito di applicazione della concorrenza. Ciò aveva una giustificazione
economica, in quanto la primissima fase del capitalismo liberista, non
necessitava affatto di limitazioni statuali, bensì al contrario l’obiettivo
perseguito era un incentivo alla creazione di forti nuclei imprenditoriali.
L’intervento statuale si renderà necessario soltanto in un secondo momento,
quando ormai le imprese hanno acquistato una certa consistenza economica,
ed auspicano quindi un intervento normativo a difesa delle posizioni
raggiunte.
In effetti il progredire dello sviluppo industriale, richiedeva necessariamente
un adeguamento della disciplina concorrenziale, non essendo più sufficiente
allo scopo gli accordi di gruppo, trust, preesistenti; che rappresentavano una
forma di autotutela degli imprenditori stessi, dai rischi della concorrenza.
10
Va da sé che questa autoregolamentazione
1
non poteva affatto sostituire una
disciplina statuale, per diversi ordini di motivi tra i quali sicuramente spicca
il carattere volontaristico dell’adesione a tali accordi e la mancanza di
uniformità di valutazione degli illeciti concorrenziali. Tale regolamento
ebbe per un certo periodo un discreto successo dovuto essenzialmente al
fatto che la misura adottata dagli aderenti, per il contrasto della concorrenza
sleale, era data dalla scelta della concordia alla lotta. Ma risulterà evidente
che in presenza di concorrenza esterna, e soprattutto straniera non è
possibile stabilire rapporti amichevoli con tutti gli attori coinvolti. Ed ecco
quindi che l’armistizio soprattutto tra i soggetti di grandi dimensioni, non
risulterà più premiante, anzi la mancanza di regole costituì terreno fertile per
attaccare le posizioni delle imprese già affermate.
Da qui nacque l’assoluta necessità di avere una disciplina certa, duratura e
di portata anche sovranazionale della concorrenza.
1
Cfr. qui assai bene, Di Franco, Concorrenza sleale, p.46; tratto da Ghidini, Della
concorrenza sleale, 1994.
11
2. La convenzione d’Unione (Aja).
La convenzione d’Unione (Aja) assunse un ruolo fondamentale per la
disciplina portante della concorrenza, che come già detto risultava essere un
esigenza primaria avvertita in tutti i paesi ad economia avanzata.
In effetti, la legislazione fu frutto degli incisivi tentativi dei ceti
imprenditoriali dominati, i quali più degli altri avvertivano tale necessità, ed
inoltre avevano i mezzi per imporsi ed ottenere una regolamentazione che
maggiormente rispondesse alle loro esigenze. Attuavano le loro proposte
attraverso le Camere di Commercio nazionali, e soprattutto attraverso la
Camera di Commercio Internazionale, ciò a comprovare che l’esigenza non
poteva più limitarsi ad un ambito locale.
Da un punto di vista tecnico – giuridico, gli stackholders ottennero tale
obiettivo proponendo quelli che erano ritenuti gli “usi o consuetudini oneste
in materia industriale e concorrenziale”. E quest’ultimi divennero la
disciplina unica di rinvio. Risulta con tutta evidenza che tale disciplina
vincolante per tutti i paesi aderenti, comportava che gli eventuali
contenziosi commerciali sarebbero stati giudicati secondo il “diritto di
classe dei mercati”
2
ed anzi, dei “mercati” più forti
3
.
2
Ghidini, Della concorrenza sleale, 1994, p.18.
3
Ghidini, op. cit., p.18.
12
Nel bene e nel male si dava comunque attuazione ad una regolamentazione
su scala internazionale della disciplina contro la concorrenza sleale,
estremamente conforme alle necessità internazionalistiche degli operatori
economici coinvolti.
3. La concorrenza sleale nell’attuale
ordinamento costituzionale.
Il mutare dei tempi, il mutare delle varie forme di governo, hanno
comportato una diversa interpretazione e quindi una diversa attuazione delle
normative. Ciò ha riguardato anche la disciplina della concorrenza sleale, la
quale sicuramente non poteva coincidere con quella di mercato stampo
liberista, sancita nelle norme dell’ Aja, né sicuramente risentire
dell’indirizzo tipico dell’ordinamento corporativo.
La normativa attuale tende sicuramente a favorire la libertà d’impresa, ma
nel contempo ne vincola l’esercizio al rispetto di altri valori confliggenti,
ma parimenti importanti. Si giunge così, ad una sottile linea di confine tra
iniziativa economica svolta in maniera “antisociale” ed iniziativa economica
svolta in maniera assolutamente non gravosa per l’utilità sociale.
Altra caratteristica fondamentale è stato l’inserimento delle norme
comunitarie di libertà di concorrenza, ad un livello paracostituzionale,
trasmettendo con evidenza l’orientamento del nostro ordinamento verso
13
strutture a spiccato senso concorrenziale piuttosto che monopolistico:
astrattamente idonee quindi a concedere i benefici ampiamente riconosciuti
a tale forma di mercato (tendenza dei prezzi verso livelli marginali, capacità
di soddisfare la domanda, alternative di scelta, etc.)
4
.
4
Il giudice ordinario dovrà valutare con sfavore sia i comportamenti lesivi della
concorrenza del mercato interessato, sia quelli dannosi alla sopravvivenza delle imprese
concorrenti (in assenza delle quali non potrebbe esserci quindi concorrenza).
14
Capitolo II: I soggetti
Sezione 1 – La qualifica di imprenditore
1. La qualifica imprenditoriale dei soggetti.
L’opinione prevalente in dottrina, così come in giurisprudenza, ravvisa nella
qualità di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c., il primo presupposto
soggettivo necessario ai fini dell’applicabilità delle norme sulla concorrenza
sleale.
Affermare questo, significa considerare legittimi attori e legittimi
contraddittori in fatto di azione di concorrenza sleale, coloro che esercitino
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi. È dunque evidente, in
quest’ottica, che il termine “chiunque” adottato dall’art. 2598 c.c. non debba
essere inteso in senso troppo generico.
Ora, se questa è la nozione generica di “imprenditore”, è comunque vero
che non sono mancate e non mancano oggigiorno precisazioni relative a
particolari situazioni imprenditoriali.
Così, si sono infatti ritenuti applicabili gli artt. 2598 ss. c.c.:
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ξ a colui che eserciti effettivamente l’attività di impresa, sebbene non
titolare della licenza amministrativa necessaria, e sebbene sfornito
delle prescritte autorizzazioni;
ξ all’imprenditore che, fornendo il contributo di una diretta
partecipazione e avendo un proprio interesse in un’altrui attività
d’impresa, abbia compiuto atti rientranti nella previsione dell’art.
2598 c.c. a favore di quest’ultima;
ξ all’imprenditore che non sia proprietario dell’azienda;
ξ all’imprenditore soggetto di diritto pubblico. In quest’ottica la
disciplina della concorrenza sleale, trova applicazione nei confronti
della Pubblica Amministrazione quando essa svolga attività
imprenditoriale in regime di concorrenza. Rimangono quindi
estranei alla disciplina concorrenziale quegli atti che, pur suscettibili
di arrecare pregiudizi economici ai privati, siano però compiuti
nell’esercizio di un’attività amministrativa esplicata in posizione di
supremazia;
ξ all’imprenditore agricolo, anche nei rapporti con imprenditori non
commerciali.
1
È chiaro che sia necessaria la presenza di un elemento organizzativo per
avere la qualificazione imprenditoriale. Anche l’esercizio di una professione
1
Cfr. Ravà, Diritto industriale, cir., pp. 176 ss., ove pure puntualmente riferimento all’art.
10 bis Conv. Unione., tratto da Ghidini, Della concorrenza sleale, 1994, p. 47.
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autonoma come la gestione di una scuola di danza
1
o la gestione di corsi di
formazione professionale
2
possono essere intesi come attività d’impresa,
purché l’attività anche in assenza di scopo di lucro (è richiesta almeno
“l’economicità della gestione”) sia svolta con continuità e per mezzo di una
stabile organizzazione. Questa compresenza di elementi sembra però
attualmente lasciare il passo ad una interpretazione più larga (in questo
senso può essere inteso “chiunque”), in quanto vi è estensione anche alle
attività professionali intellettuali, e quindi il profilo organizzativo, va più
correttamente inteso come “forma sostanzialmente imprenditoriale”.
1
App. Trento, 14 aprile 1972, in Ghidini, op. cit., p. 50.
2
Trib. Milano, 2 ottobre 1972, in Ghidini, op. cit, p. 50.
17
2. Il rapporto di concorrenza economica tra i
soggetti.
Secondo presupposto soggettivo necessario ai fini dell’applicabilità delle
norme sulla concorrenza sleale è, l’esistenza di un rapporto di concorrenza
economica tra soggetto attivo e soggetto passivo dell’atto. A questo,
proposito, ritenendosi che la dannosità dell’atto di concorrenza si configura
di regola come sviamento di clientela, è pacifico, tanto in dottrina quanto in
giurisprudenza, che il rapporto di concorrenza ricorra quando tra i soggetti
dell’atto vi sia comunanza di clientela, effettiva o potenziale che sia. A tal
fine occorre quindi aver riguardo all’identità o all’affinità dei prodotti e dei
servizi offerti dalle imprese, nonché alla natura dei bisogni soddisfatti,
potendo, infatti, prodotti differenti essere tuttavia fungibili ed idonei a
soddisfare bisogni analoghi o complementari.
Come detto, un orientamento estensivo, ormai pienamente accolto, ritiene
legittimi contradditori anche coloro che si trovino in un rapporto di
concorrenza semplicemente potenziale (cioè probabile in un futuro più o
meno prossimo); potenzialità questa da valutarsi per lo più in riferimento a
tre distinti profili:
ξ da un punto di vista territoriale, la concorrenza potenziale viene
affermata allorquando, pur operando due imprese in ambiti
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geografici differenti, vi sia concreta possibilità di accesso di una di
esse al mercato dell’altra;
ξ in un ottica temporale, invece, la concorrenza potenziale viene
affermata in relazione a soggetti che non abbiano ancora avviato,
ovvero abbiano sospeso in modo non definitivo, l’attività. Su questa
scia, la disciplina viene altresì ritenuta applicabile all’impresa in
liquidazione nonché a favore dell’impresa fallita qualora vi sia
esercizio provvisorio da parte del curatore fallimentare;
ξ sotto il profilo merceologico, infine, la concorrenza potenziale
ricorre quando sia concretamente probabile un’estensione
dell’ambito operativo di un’impresa a quello dell’altra.
Per concludere, è doverosa, adesso, un’ultima considerazione: è infatti
ormai opinione riconosciuta da tutti che il rapporto concorrenziale esista
anche tra soggetti operanti a diversi stadi della catena produttiva –
distributiva: la giustificazione a tale assunto, è da trovarsi nella relazione
concorrenziale esistente tra i produttori di un medesimo bene e nella
configurabilità della condotta del rivenditore come condotta posta in essere
nell’interesse del proprio produttore.