7
materiali, anche pagando il prezzo di correre dei rischi, sia dal
punto di vista ambientale che da quello igienico.
In altri termini, di fronte a delle condizioni di penuria
materiale non ci si è attardati a cautelarsi contro i rischi per la
sicurezza umana provenienti da un tumultuoso sviluppo
industriale.
Ovviamente, tale processo produttivo di ricchezza poneva
problemi distributivi, cui la politica e l’economia hanno cercato
di rispondere nel corso del diciannovesimo e del ventesimo
secolo.
L’intera dinamica può essere così efficacemente descritta:
“Nelle condizioni date nelle società della penuria, il processo di
modernizzazione ha luogo con la pretesa di usare la chiave dello
sviluppo tecnico – scientifico per schiudere le fonti nascoste
della ricchezza sociale
1
”.
Riassumendo: lo stato di povertà e di dipendenza di gran
parte della popolazione pone alle istituzioni politiche ed
economiche il problema della sua risoluzione; il progresso
1
ULRICH BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità. Edizione italiana a cura di
Walter Privitera, Carocci Editore, Roma, 2000, pag. 26.
8
tecnologico contiene in sé le promesse di emancipazione da tale
stato di cose iniziale; i processi produttivi consentono una
distribuzione di ricchezza che allevi lo stato di penuria materiale
di gran parte della popolazione. Tali processi portano però con
sé degli effetti collaterali – termine a cui è bene abituarsi per
comprendere il prosieguo della trattazione – in termini di rischi
per la salute umana e l’ambiente. In un mondo minacciato dalla
fame però questi rischi possono essere anche trascurati e
sottovalutati in vista del raggiungimento dell’obiettivo
prioritario: attenuare le disuguaglianze
2
.
L’apice di questa fase storica si è raggiunta con
l’affermarsi negli stati occidentali, nel corso del XX secolo, del
Welfare State.
A quel punto, un nuovo processo distributivo si è
innescato, ma questa volta oggetto di tale dinamica non sono più
le ricchezze, bensì i rischi.
2
BECK parla a tal proposito di una “premessa legittimante del processo di modernizzazione
[industriale]: la lotta contro l’evidente penuria, nel cui nome si possono accettare anche alcuni
effetti collaterali (non più del tutto) imprevisti”, cit. , 27.
9
Le condizioni per il passaggio dalla logica di distribuzione
della ricchezza nella società della penuria alla distribuzione del
rischio nella seconda modernità sono due:
ξ il livello raggiunto di produttività industriale
consente di limitare e marginalizzare le situazioni di
bisogno materiale;
ξ con la crescita delle forze produttive, si liberano
rischi e potenziali autodistruttivi in dimensioni fino a
oggi sconosciute.
Queste condizioni si sono verificate storicamente negli
stati occidentali nella seconda metà del XX secolo, nei quali due
fattori si sono combinati in maniera decisiva: uno stato sociale
maturo insieme a una crescita industriale inverosimile hanno
determinato la fine della lotta per il “pane quotidiano” e
l’emergere dei rischi.
Possiamo sintetizzare tale passaggio in questo modo: il
progresso tecnologico e produttivo ha limitato la penuria
materiale; questo però ha fatto passare in secondo piano i
conflitti distributivi della ricchezza; di conseguenza è venuta
meno la premessa legittimante della modernità industriale di cui
10
sopra – più produzione per sconfiggere la povertà diffusa anche
a costo di sprigionare rischi diffilmente controllabili - ; i pericoli
della crescita produttiva sono emersi in tutta la loro concretezza;
è nata una nuova conflittualità sociale legata alla distribuzione
dei rischi.
Ovviamente, i due processi – distributivo della ricchezza e
distributivo dei rischi - possono anche intersecarsi. Ed è ciò che
avviene nei paesi occidentali, dove le situazioni e i conflitti
sociali di una società distributrice di ricchezza si sovrappongono
a quelli di una società distributrice di rischi.
In altre parole “ non viviamo ancora in una società del
rischio, ma non viviamo più nemmeno soltanto nel quadro dei
conflitti distributivi delle società della penuria
3
”.
3
BECK, cit. , 27.
11
1.2. CARATTERISTICHE DEI RISCHI
Soffermiamoci adesso brevemente a esaminare più da
vicino la fisionomia dei rischi connessi ad una crescita
industriale esponenziale.
Appare subito evidente come tali rischi sprigionino un
potenziale altamente distruttivo sia per l’uomo che per
l’ambiente: dall’inquinamento ambientale, ai rischi per la salute
umana fino al sempre incombente pericolo nucleare.
Si tratta di un percorso senza ritorno: la strada del
progresso tecnologico irrefrenabile che si è scelto di percorrere
ha innescato delle vere e proprie “bombe a orologeria” destinate
a esplodere in un futuro non tanto lontano.
Una precisazione. i rischi non sono un’invenzione della
modernità. Sono esistiti in tutte le epoche storiche. Ciò che è
profondamente cambiato è il loro carattere. In precedenza i
rischi erano personali, evocavano gesta e avventure temerarie.
Adesso si tratta di pericoli globali, che si spingono fino al punto
12
di lasciar intravedere l’eventualità di una vera e propria
autodistruzione della vita sul pianeta.
Inoltre, nel passato, i pericoli potevano essere ricondotti
ad uno sviluppo insufficiente. Oggi al contrario, i rischi sono la
conseguenza dello sviluppo industriale eccessivo. Sono un
prodotto della modernizzazione, ed hanno una natura globale: le
minacce del processo produttivo escono dalla loro sede naturale,
la fabbrica, per diffondersi dovunque e minacciare tutta la vita,
in tutte le sue forme; vicende come quella di Bhopal, o di Seveso
sono altamente emblematiche di tutto ciò.
Sul carattere della globalità dei rischi e sulle conseguenze
sociali dell’esposizione ad essi comunque si tornerà più avanti.
Concentriamoci ora sul processo attraverso cui si prende
conoscenza dei rischi.
13
2 I RISCHI DELLA MODERNIZZAZIONE E LA LORO
DIPENDENZA DAL SAPERE
2.1. INADEGUATEZZA DELL’APPROCCIO SCIENTIFICO
Di regola, la discussione sui rischi viene impostata solo in
termini tecnico – scientifici, e condotta esclusivamente con
categorie tipiche delle scienze naturali. Si tratta di un errore, le
cui conseguenze sono evidenti.
Affrontare una discussione sui pericoli del processo
produttivo che coinvolgono l’uomo e l’ambiente senza
interrogarsi su questioni di rilevanza sociale e politica rischia di
limitare l’analisi a una discussione esclusivamente di carattere
tecnocratico e naturalistico.
Un esempio aiuterà a comprendere meglio quanto detto: è
innegabile come negli studi naturali si ricorra frequentemente al
concetto di media, indispensabile per la spiegazione scientifica
di un fenomeno specie se statistico. Supponiamo che un
ipotetico comitato di esperti dichiari che la concentrazione di
14
sostanze tossiche – nella fattispecie piombo - contenute nel latte
materno delle donne residenti in una determinata regione sia
mediamente innocua. Ma anche il meno acuto dei lettori potrà
agevolmente rendersi conto come dietro a un valore medio come
quello espresso nell’esempio si nasconda una insensibilità alla
dimensione sociale del problema, e perché no, anche una dose di
cinismo: dire che nel complesso il valore del piombo presente
nel latte materno delle donne di una regione è mediamente
innocuo significa ignorare che, nel campione prescelto, alcune
donne individualmente o alcune categorie di donne sono
maggiormente esposte all’effetto delle sostanze inquinanti e
pertanto presentano un valore maggiore di piombo nel proprio
latte.
Si finisce così, impiegando il concetto di media, con
l’accettare una distribuzione socialmente diseguale del rischio:
“Chi chiede quali siano i valori medi esclude già fin dall’inizio
esposizioni socialmente diseguali al rischio. Ma è proprio
questo che non si può sapere. Chi sa se ci sono gruppi e
condizioni di vita per i quali le concentrazioni “mediamente
15
innocue” di piombo, sommate ad altre sostanze, costituiscono
un pericolo mortale?
4
”.
In altre parole, ragionare in termini di media – e quindi in
modo esclusivamente naturalistico - significa sottovalutare le
conseguenze sociali e politiche dei rischi perché è evidente che
le stesse sostanze inquinanti possano avere significati diversi per
persone diverse.
Insomma, per illustrare lo stato dei rischi questa modalità
di analisi è inadeguata in quanto prescinde dagli uomini e dalla
misura della loro esposizione al rischio, nonché sottovaluta gli
effetti che il singolo soggetto può subire da una esposizione a
molteplici fattori di rischio e dalla interazione tra i medesimi.
Ciò che può apparire innocuo per un singolo prodotto può
diventare estremamente nocivo se unito ad altre sostanze
inquinanti in quei “collettori finali del consumo che sono
diventati gli uomini
5
”.
Ma focalizziamo meglio la nostra attenzione sulla
conoscenza dei rischi.
4
BECK, cit. , 33.
5
BECK, cit. , 34.
16
2.2. LA CONOSCENZA NELLA SOCIETA’ DEL RISCHIO
Caratteristica fondamentale dei rischi della modernità è
quella di essere invisibili, o quantomeno di non poter percepiti
direttamente così come sono senza essere mediati
argomentativamente; richiedono cioè una interpretazione
causale. In altri termini, occorre chiedersi: da cosa sono causati?
Bisogna chiedersi quali connessioni causali intercorrono
tra i rischi del processo produttivo – industriale e le situazioni di
pericolo cui ciascuno di noi è esposto. Ma per conoscere queste
connessioni serve un tipo di competenza che solo le scienze
naturali sono in grado di fornire, serve cioè una razionalità
scientifica.
Ora, il potenziale altamente autodistruttivo che i rischi del
moderno processo produttivo dispiegano sono tali da far si che
nella loro definizione la razionalità scientifica non sia sola, e che
con essa concorra una partecipazione “emotiva”, ovvero: chi è
esposto a un rischio silenzioso ed esteriormente invisibile non si
accontenta delle determinazioni date dagli scienziati, perché
17
prima o poi il rischio diventerà evidente, e non potrà più essere
occultato con formule matematiche o con esperimenti. Costui –
o costoro, basti pensare ai gruppi di cittadini che si battono
contro la realizzazione di impianti produttivi considerati
pericolosi – pretenderanno di intervenire nelle modalità di
determinazione del rischio. Ovviamente tale intervento
emotivamente partecipato e mosso da aspettative e valutazioni
sociali si realizzerà con gli strumenti della scienza.
Altri scienziati a loro volta sosterranno con altrettanti
argomenti della razionalità scientifica le ragioni del processo
produttivo e industriale sotto esame, e saranno portati a
minimizzare i rischi.
In sintesi: la razionalità scientifica, unica tecnicamente in
grado di spiegare i nessi causali che si innestano sui rischi della
modernità e quindi a esplicitare gli stessi, si trova pressata da un
lato dalle esigenze del progresso tecnologico che chiede ad essa
una legittimazione – cioè sostanzialmente una minimizzazione
dei rischi in esso contenuti – e dall’altro dalle paure dei soggetti
coinvolti. Cioè una pluralità di spinte sociali contrastanti finisce
con l’agitare la razionalità scientifica.
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La conseguenza di ciò è chiara: si assiste alla perdita del
monopolio della razionalità scientifica nella definizione dei
rischi.
Tale perdita deriva direttamente da due fattori, il primo
dei quali è rappresentato da una causa interna alla razionalità
scientifica: la valutazione dei rischi oggi avviene sempre più
sulla base di leggi di tipo probabilistico, quindi per loro natura
incerte. Ad esempio, di fronte ai rischi dell’impiego dell’energia
nucleare, la scienza non dà risposte sicure, ma solo probabili.
Ma quando anche un solo incidente nucleare è sufficiente
per annientare tutte le forme di vita in regioni grandi quanto uno
stato sovrano, come ci si può accontentare della mera probabilità
che un rischio non si verifichi?
Questo interrogativo spiega anche il secondo fattore di
perdita del monopolio della razionalità scientifica. Per valutare i
rischi ci si accontenta sempre meno di una spiegazione
probabilistica e si guarda sempre più a una prospettiva di valori,
sintetizzabile così: è accettabile il rischio della distruzione di
molte vite umane per produrre energia atomica?
19
Ciò comporta valutazioni politiche, etiche e sociali che
sfuggono naturalmente alla razionalità scientifica, ma sono
piuttosto il terreno di elezione della razionalità sociale, due
forme di conoscenza sempre più divaricate tanto da far parlare di
un dialogo tra sordi in cui “una parte pone interrogativi cui gli
esperti dei rischi non rispondono, e l’altra dà risposte che così
come sono non vanno al nocciolo di quanto era stato chiesto
6
”
Ma nel contempo le due forme di razionalità diventano
sempre più interdipendenti: la razionalità sociale influenza
quella scientifica nella definizione dei rischi accettabili
(accettiamo o meno l’installazione di un determinato
insediamento produttivo o la realizzazione di una certa
infrastruttura?) ma ne è a sua volta influenzata (per esprimersi
sul quesito precedente serviranno altri argomenti scientifici
rassicuranti o al contrario inquietanti).
Come a dire che “la razionalità scientifica senza quella
sociale rimane vuota, ma la razionalità sociale senza quella
scientifica rimane cieca
7
”.
6
BECK, cit. , 39 – 40.
7
BECK, cit. , 40.
20
In buona sostanza, nella nuova modernità definire i rischi
comporta da un lato il ricorso a contenuti teorici – provenienti
dalla razionalità scientifica – dall’altro la prospettiva di un
riferimento ai valori emergenti nella razionalità sociale.
Ciò implica due ulteriori aspetti tra di loro congiunti: una
pluralizzazione conflittuale dei rischi della civiltà e la
molteplicità delle loro definizioni.
I pericoli della modernizzazione avanzata si moltiplicano,
e questo avviene anche in una dialettica interna agli stessi
causata dalle incertezze della razionalità scientifica in sede di
definizione dei medesimi e dai valori contrapposti che si agitano
nella sfera della razionalità sociale. Ad esempio, è a tutti noto
come per risolvere il problema dell’effetto serra sia necessario
ridurre il ricorso nella produzione di energia a combustibili
fossili quali petrolio e carbone preferendo fonti alternative; tra di
esse viene individuata l’energia nucleare, ed è risaputo come i
sostenitori del suo impiego utilizzino tale argomento a sostegno
della propria tesi; nondimeno, l’energia nucleare, proposta come
alternativa a i combustibili fossili e quindi come rimedio a un