2
Gli squilibri finanziari del sistema pensionistico non sono una realtà
nuova, ma hanno cominciato a manifestarsi già negli anni ’70. Infatti, la
necessità di una sostanziale riforma del sistema pensionistico, non è
un’esigenza recente, ma era avvertita già da tempo. Ne sono conferma i
numerosi disegni di legge, ma anche le sollecitazioni degli esperti in
materia. Tuttavia, nonostante la situazione economica, demografica e
legislativa che ha continuato ad appesantire il debito dell’INPS, una
riforma incisiva del sistema pensionistico per molto tempo è stata attesa
invano. Soltanto nel 1992 c’è stata una prima importante riforma attuata
con la legge del 23 ottobre 1992, n.421 del Governo Amato. Un’ulteriore e
più incisiva riforma è poi avvenuta con la legge dell’8 agosto 1995, n.335
del Governo Dini e per finire quella del 23 agosto 2004, n.243 detta anche
riforma Maroni (dal nome del titolare del Ministero del Welfare Roberto
Maroni) che entrerà in vigore dal 2008.
I motivi della crisi del sistema pensionistico possono riassumersi in:
1) La rapida evoluzione demografica (che ha modificato il rapporto tra
individui attivi ed anziani), consistente sia nell’aumento della
speranza di vita, sia nel forte calo della natalità;
2) Basso tasso di occupazione (7,6% nell’anno 2005)
3
2005 2010 2015 2020 2025
Tasso di attività (a) 42,2% 43,3% 43,3% 42,9% 42,5%
Tasso di disoccupazione 7,6% 6,4% 6,2% 6,1% 6,0%
Forze lavoro (migliaia ) 24.604 25.368 25.303 24.929 24.476
Occupati (migliaia ) 22.734 23.734 23.733 23.402 23.011
Tasso di occupazione occ/15-64 59,0% 62,1% 63,5% 63,5% 64,0%
PIL reale (mln di � 2000 )
1.234 1.356 1.471 1.584 1.715
PIL nominale (mln di � )
1.414 1.729 2.013 2.330 2.711
PIL pro capite (� 2000) (pop 1-
01) 21.190 23.156 25.147 27.254 29.752
PIL per occupato (� 2000 )
54.287 57.759 62.427 68.028 74.741
PIL nominale pro capite (� ) (
24.275 29.516 34.410 40.083 47.048
PIL nominale per occupato (�
62.192 72.833 84.803 99.554 117.831
Deflatore del PIL 114,6 126,1 135,8 146,3 157,7
Indice prezzi consumo (d) 112,8 123,4 132,9 143,2 154,3
(occupazione tab B2.1) La tendenza del medio lungo periodo del sistema pensionistico e sanitario 6 dicembre 2004
3) La differenza di tutela e di contribuzione tra categorie di lavoratori.
Tra gli ulteriori elementi che pesano sul bilancio dell’INPS, sono da
considerare:
a) Le pensioni di anzianità, le baby pensioni, (esempio emblematico era
costituito dalle lavoratrici madri che potevano andare in pensione
con 15 anni, 6 mesi e un giorno di anzianità contributiva,
relativamente al settore pubblico);
b) L’aumento della pensione media;
c) L’estensione della copertura pensionistica a nuove figure di
lavoratori;
d) Il fatto che la retribuzione maturata negli ultimi anni di attività
lavorativa, è stato il principale elemento di riferimento nel calcolo
della pensione.
4
La situazione attuale è tale da imporre una ristrutturazione del sistema
pensionistico che armonizzi i diversi regimi, elimini i privilegi settoriali, le
sperequazioni di trattamento ed attui un’equa distribuzione dei costi tra
generazioni.
Ma, il problema delle gestioni pensionistiche non è dovuto solo a ciò di
cui ho parlato. Infatti, in passato il sistema ha promesso più di quanto non
fosse in grado di mantenere. In particolare, le formule utilizzate per il
calcolo delle prestazioni hanno determinato un trattamento pensionistico
generoso, creando una spesa previdenziale sproporzionata rispetto ai
contributi.
In Italia, la consapevolezza della gravità dei problemi è intervenuta con
ritardo. Il nostro paese si è allontanato progressivamente dagli standard
prevalenti a livello internazionale.
Per molti anni il legislatore ha considerato il sistema pensionistico
semplicemente come un elemento del processo di riequilibrio della finanza
pubblica. Impostazione questa, che non ha risolto i problemi, ma che ha
sovrapposto a problemi di fondo, storture ed iniquità derivanti da esigenze
contingenti. Ciò ha portato ad una legislazione della materia molto
disorganica, spesso priva di principi generali discussi ed accettati. Tale
legislazione qualcuno l’ha chiamata “l’arcipelago delle pensioni “.
Alla luce di tutto ciò si comprende l’opportunità di una riforma che
tenga conto di principi di matematica finanziaria che permettano di
individuare il rapporto matematicamente corretto tra contributi versati,
periodo di contribuzione, età di pensionamento e pensione.
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1.2 Il Sistema pensionistico e la Costituzione.
Prima di discutere dell’attuale sistema pensionistico e delle possibilità di
riformarlo, occorre tenere presente il dettato costituzionale.
La Costituzione accoglie al riguardo, il concetto di sicurezza sociale.
Essa è intesa come liberazione dal bisogno, interesse questo,
corrispondente a tutta la collettività e che trova specificazione in numerose
disposizioni. Prima fra tutte l’art. 3, secondo il quale è compito dello Stato
rimuovere gli ostacoli di tipo economico e sociale che, limitando la libertà
e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
In particolare, è stabilito dall’art. 38, 1° comma che: “Ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale”.
Al 2° comma si aggiunge che: “I lavoratori hanno diritto che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria”.
Inoltre, sempre all’art. 38 “Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale.”
“Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti
predisposti dallo Stato”. “L’assistenza privata è libera”.
L’evoluzione del nostro sistema è avvenuta nella consapevolezza
dell’impegno assunto con questa disposizione. Infatti, si mira a tutelare chi,
vivendo del proprio lavoro, si potrebbe trovare in condizioni di bisogno.
6
Ciò costituisce espressione di solidarietà di tutta la collettività, ma anche
principio di sicurezza sociale.
In tale contesto, l’intervento dello Stato assume un ruolo fondamentale,
in quanto deve costituire gli istituti, disciplinare le organizzazioni ed i
rapporti, ma anche realizzare effettivamente la tutela dei soggetti protetti.
Inoltre, vista l’innegabile relazione esistente tra l’art. 38 e l’art. 36 della
Costituzione, le prestazioni previdenziali devono essere adeguate alle
esigenze di vita della famiglia del lavoratore, dato il concetto di
retribuzione proporzionata e sufficiente.
Tuttavia, occorre dire, che spesso lo Stato ha esagerato. Le elargizioni in
alcuni casi consistenti, le disparità di condizioni ed i requisiti di accesso tra
le varie categorie, e più in generale, l’introduzione di miglioramenti
previdenziali senza un’adeguata copertura finanziaria, hanno contribuito a
determinare la grave crisi finanziaria che affligge il nostro sistema
pensionistico, con forti ripercussioni sul debito pubblico.
L’esigenza della riforma sta nella necessità di fornire una tutela
previdenziale che, nel rispetto del dettato costituzionale, si limiti ad erogare
trattamenti a fronte di situazione di bisogno e di soddisfacimento di
esigenze essenziali.
7
1.3 Storia delle Pensioni. Nascita e cambiamenti.
La storia delle pensioni, nel nostro paese, comincia più di cento anni fa.
Le leggi istitutive dell’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia, si
collocano tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec.
Sono leggi che rappresentano una delle più importanti conquiste della
classe lavoratrice, ma al tempo stesso un momento fondamentale nella
costruzione del nucleo originario del Welfare State.
Nel 1898 la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione
della Cassa nazionale di previdenza, allo scopo di assicurare gli operai
contro l’invalidità e la diminuzione di produttività dovuta alla vecchiaia. Si
tratta di un assicurazione volontaria integrata da un contributo
d’incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli
imprenditori, che segnò la nascita della previdenza sociale in Italia.
Nel 1912 venne approvata la legge che istituì l’INA (Istituto Nazionale
delle Assicurazioni), e che sancì il monopolio dello Stato sulle assicurazioni
sulla vita.
Nel 1919, dopo circa un ventennio di attività, la Cassa ha in attivo poco
più di 700.000 iscritti e 20.000 pensionati. In quell’anno l’assicurazione per
l’invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di
lavoratori. E’ il primo passo verso un sistema che intende proteggere il
lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare il reddito individuale e
familiare.
8
Nel 1933 nacque l’INFPS (Istituto Nazionale Fascista di Previdenza
Sociale), che prese il posto della Cassa Nazionale di Previdenza. Aveva le
seguenti caratteristiche: rendeva la partecipazione obbligatoria per tutti i
lavoratori, la contribuzione era proporzionale al salario ed ebbe il merito di
garantire a tutti un livello di vita decoroso durante gli anni del
pensionamento.
Con l'avvento della Repubblica, comincia qualche ritocco, per prima
cosa l’INFPS muta nome in INPS, poi ci sono altri cambiamenti.
Durante l’ordinamento corporativo, la tutela previdenziale era
l’espressione di una solidarietà tra lavoratori e datori di lavoro. Con la
Costituzione repubblicana, questa diventa l’espressione di una solidarietà
estesa a tutti i cittadini. Pertanto, c’è un’evoluzione della previdenza sociale
parallelamente all’affermarsi dell’idea di sicurezza sociale. Questa deve
essere intesa come liberazione dal bisogno, condizione indispensabile per
l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.
Dalla previdenza intesa come istituto assicurativo di natura privata, che
copre a livello individuale i più svariati rischi legati all’attività lavorativa, ci
si avvia all’idea di welfare state, di sicurezza sociale.
Gli eventi collegati con la seconda guerra mondiale avevano sconvolto il
sistema pensionistico, allora finanziato con il sistema della capitalizzazione.
Si fa riferimento agli elevati livelli a cui era giunta l’inflazione, che aveva
drasticamente ridotto il valore reale delle riserve dei fondi pensionistici. Le
pensioni medie reali nel 1945 valevano un undicesimo di quanto valevano
nel 1934-35.
(1)
(1) Fonte: INPS (1951), Capitalizzazione o ripartizione? (Roma)
9
Con diversi interventi, ed in particolare con la legge del 4 aprile 1952,
n.218, si procedette ad un riordino del sistema previdenziale e si attuò il
passaggio dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione (utilizzando
il tipo di ripartizione chiamata contributiva).
Uno dei primi interventi fu quello con cui ai dipendenti pubblici venne
concesso il beneficio della pensione di anzianità.
Nei primi anni
’
60, venne disposto un aumento del 30% delle pensioni
d’invalidità e vecchiaia. Successivamente la pensione di anzianità venne
estesa anche ai lavoratori privati.
Nello stesso periodo, si istituì la pensione sociale per gli
ultrasessantacinquenni privi di reddito e l’adeguamento automatico delle
pensioni al costo della vita.
Con la riforma del 1968, si assicurò al lavoratore una pensione pubblica
pari all’80% dell’ultimo stipendio (con 40 anni di contribuzione). Dato
questo che caratterizza la seconda metà degli anni
’
60, in quanto attuò il
passaggio dal sistema contributivo (in cui la pensione era collegata ai
contributi versati), a quello retributivo (in cui la pensione era commisurata
alla retribuzione).
All’inizio degli anni
’
70, il Parlamento introdusse le cosiddette “baby
pensioni” per i dipendenti pubblici. Permettevano il collocamento in
pensione, con un’anzianità contributiva pari a 20 anni e ancor meno per le
lavoratrici madri e per particolari categorie di lavoratori.
10
Gli anni
’
70, si caratterizzano anche per i continui aumenti che sono stati
previsti a favore delle pensioni d’invalidità, vecchiaia e per i superstiti,
compresi trattamenti minimi e pensioni sociali. Per esempio a partire dal 1
gennaio 1972, sono state aumentate in misura pari al 5,5% del loro
ammontare, nel 1974 del 9,8% e nel 1975 del 13%.
Questi primi anni della previdenza repubblicana si caratterizzano per la
fiducia nel futuro e nell’evoluzione economica e demografica del paese. La
crescita del PIL e dell’occupazione e il boom economico garantivano
l’erogazione delle pensioni.
Quando tale crescita non si è più realizzata, il sistema è giunto al collasso.
Si riporta un esempio: nel 1960, la spesa pensionistica era pari al 4% del
PIL, oggi(2005) è giunta al 14,2%.
Questo cambiamento è dovuto sia all’aumento del monte pensioni, ma
anche alla diminuzione del tasso di accrescimento del PIL. Inoltre, la
popolazione italiana invecchia, infatti, nel 2050, la classe più numerosa sarà
quella degli ottantenni.(vedi piramidi età 2050 cap. 1.5)
I fattori di crisi del sistema previdenziale hanno cominciato a
manifestarsi a partire dagli anni
’
80.
In Italia, a differenza di altri paesi, tale crisi non è stata correttamente
interpretata e non ci si è posto l’obiettivo di varare una sostanziale riforma.
Non ci si è posto il problema della sostenibilità macroeconomica del
sistema, alla luce della diversa evoluzione economica e demografica
rispetto al periodo precedente. Ci si limitò ad aumentare i contributi e/o
ad innalzare l’età del pensionamento.
11
Non venne attuata una riforma strutturale, ma solo di tipo quantitativo,
ed oggi, gli attuali occupati sono chiamati a sostenere le premesse del
sistema precedente.
La riforma del sistema pensionistico, ha avuto la sua prima tappa nel
1992, con il Governo presieduto da Giuliano Amato. Si è stabilito un
elevamento dell’età pensionabile, la pensione non sarà più calcolata sulla
media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni, sistema che avvantaggia le
carriere che sono più veloci alla fine, ma degli ultimi 10 anni.
L’intenzione è di portare il calcolo a tenere conto di tutta la vita lavorativa,
con positivi risvolti anche dal punto di vista dell’evasione contributiva;
infatti prima della riforma si tendeva a pagare i contributi pensionistici
solamente negli anni in cui essi contribuivamo al monte pensionistico.
Altra tappa, è stata nel 1995 la riforma promossa dal Governo di
Lamberto Dini, che, nel tempo, mira a sostituire il sistema di tipo
retributivo, con il sistema di tipo contributivo.
Infine la riforma Maroni del 2004 farà sì che dal 2008 la pensione di
anzianità potrà essere ottenuta dai lavoratori dipendenti pubblici e privati,
con uno dei due seguenti requisiti:
Con 40 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica.
Combinando i 35 anni di contributi e almeno 60 anni di età, sia per
gli uomini che per le donne. Dal 2010 al 2013 con 35 anni di
contributi e 61 anni di età solo per gli uomini. Dal 2014 con 35 anni
di contributi e 62 anni di età solo per gli uomini.
12
1.4 Le cause del problema pensioni.
Abbiamo parlato di crisi finanziaria del sistema previdenziale e della
opportunità di una riforma. Prima di cercare di individuare quali
potrebbero essere le possibilità di soluzione, occorre individuare le cause
del problema.
L’attuale situazione è da ricollegare a fattori di varia natura:
1) Fattori normativi-istituzionali.
Nel tempo le disposizioni varate in materia sono state numerose.
Tuttavia, non si sono effettivamente posto l’obiettivo di migliorare ciò che
non andava (riforma di tipo strutturale), ma spesso si sono rilevate fonte di
concessioni senza che a fronte ci fosse un’adeguata copertura finanziaria.
Sono state fonte di iniquità, offrendo condizioni di favore a categorie
emergenti oppure usate per compensare situazioni di disagio.
Sono state previste regole di accesso al pensionamento molto diverse per
le varie categorie (ancora oggi non completamente eliminate).
L’iniquità più grave era contenuta nella legislazione stessa, nel prevedere
che per calcolare la pensione si doveva prendere in riferimento il reddito
degli ultimi cinque anni di lavoro.
Sistema questo, che avvantaggia le carriere più dinamiche alla fine (in
alcuni casi anche con promozioni fittizie), e che sono anche quelle che
garantiscono un maggior reddito. Proprio a tali soggetti si permetteva di
godere di una pensione maggiore. In questo senso si parla di sistema
13
pensionistico avente capacità redistributive non eque, perché avvantaggia i
più ricchi a discapito dei più poveri.
Il fatto di far riferimento al reddito degli ultimi cinque anni di lavoro ha
favorito anche l’occultamento dei redditi, ovvero i lavoratori non
dipendenti hanno avuto la possibilità di ottenere una pensione elevata
denunciando redditi alti per gli ultimi cinque anni.
Un altro fattore da non sottovalutare, sono le baby pensioni e le pensioni
di anzianità, che pesano molto sul bilancio previdenziale. Colui che gode di
un trattamento pensionistico anticipato, nella sua vita riceve più del doppio
di ciò che ha versato, ciò significa che qualcuno deve pagare per lui
(Modigliani F., 1999).
Dai dati ISTAT aggiornati al 31 dicembre 2004
(2)
, la quota maggiore di
beneficiari di trattamenti pensionistici è, naturalmente, collocata nella parte
alta della piramide dell’età. Il 67,6% ha 65 anni e più e il 18,6% è costituito
da persone con oltre 79 anni. Tuttavia, una quota consistente di percettori
ha un’età inferiore a quella normalmente individuata come soglia della
vecchiaia: infatti, il 28,8% dei pensionati ha tra 40 e 64 anni e il 3,6% ha
meno di 40 anni.
Nei fattori normativo-istituzionali rientrano anche il miglioramento
delle prestazioni pensionistiche e l’allargamento della platea dei beneficiari.
Infine, il sistema pensionistico non si è occupato solo delle pensioni, ma
ha anche contribuito alla mancata industrializzazione del Mezzogiorno
(Billia G., 1995).
(2)
fonte : articolo Alessia Trivelli http://www.labitalia.com/articles/Approfondimenti/11841.html