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1. INTRODUZIONE: SULCIS
1.1. GEOGRAFIA, TOPOGRAFIA E STORIA DEL SITO
L’antico centro di Sulcis sorgeva sulla costa nord-orientale dell’Isola di Sant’Antioco,
dove ora sorge il moderno centro omonimo. Questa è l’isola più grande tra quelle che
gravitano intorno alla Sardegna con circa 108 km
2
di superficie.
L’isola di Sant’Antioco è costituita prevalentemente da rocce vulcaniche
(trachiti e basalti) e pietre calcaree. Sostanzialmente collinosa raggiunge la sua
massima altitudine sul colle Perdas de Fogu a m. 273 nel settore centro-meridionale
dell’isola ed è legata alla sua costa sud-orientale da una striscia di terra, un istmo,
creatosi nei secoli, insieme allo stagno di Santa Caterina, dai depositi alluvionali del
Rio Palmas, che ha il suo delta nella costa sarda antistante l’isola. L’istmo, composto
da un piccolo arcipelago esteso per una lunghezza di circa 4 km da Sant’Antioco
all’isola madre, doveva essere percorribile quasi completamente tra fine del IV e prima
metà del III millennio, per la presenza lungo di esso di due menhir detti su Para e sa
Mongia
3
, ma costante nel tempo dovette essere l’opera dell’uomo ai fini della sua
integrazione e corretta viabilità, come testimoniato da un ponte di età romana
completamente restaurato e visibile e un canale forse fenicio. Quest’ultimo in antichità
consentiva di sicuro la comunicazione dei due porti naturali situati uno a nord e l’altro
a sud dell’istmo.
Il moderno centro di Sant’Antioco, popolato da circa 12.000 abitanti, copre una
striscia di costa in direzione nord-sud stretta tra il mare e l’altura del Monte de Cresia
(m 80 s.l.m.) e limitata a meridione dall’area industriale prossima all’innesto
dell’istmo con l’isola. Il centro storico è costituito dall’estremità settentrionale e sotto
di esso sussistono ancora lembi della necropoli punico-romana e dell’abitato. Della
prima si contano circa 1500 tombe a camera ipogeica, per cui si è calcolato che
quest’ultimo dovesse ospitare, seppur approssimativamente, nel periodo di maggior
espansione circa 9.000/10.000 abitanti
4
, ovvero quasi la popolazione odierna.
3
Trad. “il frate e la suora”: Santoni 1989, p. 64.
4
Bartoloni 1995, p. 4.
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Nell’altura a nord nota col nome di Guardia de is pingiadas, in un’area scarsamente
edificata, è collocato il tophet: il santuario extraurbano fenicio che limita l’estensione a
nord dell’abitato antico. La città era verosimilmente corredata di due porti: uno
settentrionale sulla costa a stretto contatto con l’abitato, quello meridionale in una
vasta insenatura a sud dell’istmo protetta dal molo naturale di Punta de s’aliga
5
.
Nonostante la regione del Sulcis offra consistenti testimonianze di tempi
anteriori
6
, l’occupazione dell’isola da parte di genti autoctone, testimoniata da
monumenti e resti archeologici di varia natura, non risale oltre la fine del III millennio
ed ha inizio solamente con il Neolitico finale
7
. I resti più antichi della presenza umana
nell’isola, ascrivibili alla cultura di San Michele di Ozieri (3300-2480 ca. a.C.), sono i
complessi archeologici costituiti dagli scavi urbani del cronicario di Sant’Antioco, dal
quale provengono ceramiche e ossidiane
8
, dall’insediamento abitativo della piana di
Cannai nel sud dell’isola
9
. Resti monumentali del culto di questa fase preistorica sono
invece i due menhir sopra menzionati
10
, mentre a quella funeraria appartengono le due
grotticelle de Is Pruinis, sul versante orientale dell’isola a sud di Sant’Antioco,
riferibili ad un altro abitato non ancora individuato
11
. Alla successiva cultura
calcolitica di Monte Claro (2480-1855) appartengono resti ceramici rinvenuti presso
un nuraghe “a corridoio” in località Gruttiacqua
12
, presso il quale sono due circoli
megalitici di dubbia attribuzione alla medesimo orizzonte culturale
13
. Alla sfera
funeraria appartengono invece le c.d. domus de janas di Serra Nuarxis situate sempre
all’interno dell’estremità meridionale dell’isola
14
.
Decisamente più cospicua è la documentazione archeologica relativa all’età del
Bronzo, quando anche nel resto della Sardegna fiorisce la civiltà dei Nuraghi. Diversi
infatti sono i nuraghi, fortezze realizzate in grossi massi squadrati e dalla
5
Moscati 1982, p. 348; Moscati 1986a, p. 242.
6
Tronchetti 1988, p. 7.
7
Per la datazione delle culture protostoriche si fa riferimento al testo di G. Lilliu: Lilliu 2003, pp. 9-17.
8
Santoni 1989, pp. 67-68; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 5.
9
Santoni 1989, pp. 68-73; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 4.
10
Santoni 1989, pp. 63-64; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 6; Lilliu 2003, pp. 98-99.
11
Santoni 1989, pp. 65-67; v. Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 7.
12
Marras V. 1996, p. 87.
13
Santoni 1989, p. 65.
14
Marras V. !996, pp. 87-88, tav. II.
- 9 -
composizione semplice o complessa, concentrati come le altre testimonianze di età
preistorica nel sud dell’isola
15
.
Costituisce elemento di raccordo con la successiva fase fenicia di Sant’Antioco
il fondo di una capanna rinvenuto lungo le pendici del colle di castello, nel luogo
successivamente occupato dalla necropoli punica, ed i cui materiali di superficie
indicano una datazione al Bronzo Finale (fine XII – inizi IX secolo)
16
.
La frequentazione delle coste ad opera di micenei e ciprioti negli ultimi secoli del II
millennio ha come effetto archeologico una dispersione di materiale, principalmente
ceramico, che individua la valle del Campidano come asse preferenziale
17
. Da questa
diffusione appare al momento escluso l’intero Sulcis-Iglesiente, nonostante le sue
miniere siano da ritenere uno dei motivi delle presenze lungo la costa occidentale del
Golfo di Cagliari
18
. L’isola di Sant’Antioco non fa eccezione e rimane in silenzio
anche in relazione alla successiva fase della c.d. precolonizzazione fenicia, mentre la
frequentazione delle coste della regione sulcitana è postulata a spiegazione della
presenza di materiali in bronzo tra IX e VIII secolo nei siti periferici di Antas, Santadi
(grotta Pirosu – Su Benatzu) e Bithia
19
.
In Sardegna la presenza di genti orientali, e fenicie nella fattispecie, è
testimoniata esemplarmente dal contesto di Sant’Imbenia
20
, un villaggio nuragico sulla
costa nord-occidentale della Sardegna, che presente tracce di residenti fenici dai livelli
di fine IX - prima metà dell’VIII secolo
21
, ma è solo con il limite inferiore di questo
periodo che si traduce nella creazione di insediamenti urbani stabili. Ed è proprio nel
Sulcis ed a Sant’Antioco che ne cogliamo la presenza grazie alla ceramica rinvenuta
nel tophet e negli strati più antichi dell’abitato nell’area del cronicario. Di poco più
15
Marras V. 1996, p. 107, tav. I, lo studio dell’autrice è limitato al solo comune di Sant’Antioco, uno dei due
dell’isola omonima, ma occupante i due terzi circa della porzione sud-orientale della stessa. Nel comune di
Calasetta questi tipi di resti comunque non mancano e pongono il problema della carenza documentaria nel
comprensorio della città di Sant’Antioco, che si spiega più facilmente con una minore evidenza dovuta alla
più intensa frequentazione nei secoli e millenni successivi.
16
Santoni 1989, pp. 76-77.
17
Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 7-9.
18
Ibidem.
19
Ib., pp. 10-13.
20
Ib., pp. 17-18.
21
Sulla ceramica di Sant’Imbenia v. Oggiano 2000.
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antiche le tracce della necropoli ad incinerazione di San Giorgio di Portoscuso, il cui
abitato non è stato ancora individuato, che era in uso gia dalla metà del secolo,
collocata nella terraferma antistante l’isola di Sant’Antioco.
Il cronicario, che conserva gli unici strati archeologici abitativi arcaici finora
messi in luce del nostro centro, ha fornito associazioni di ceramiche locali e fenicie per
le fasi più antiche
22
. Ciò, in conformità con quanto emerso in altre parti dell’isola,
esclude che l’incontro delle due popolazioni sia stato conflittuale. I sardi in sostanza
dovettero integrarsi pacificamente all’interno della nuova comunità di Sulcis.
Sin dai primi momenti di vita della Sulcis fenicia compare il tophet, un’area
sacra extra-urbana a cielo aperto destinata alla operazione di rituali di varia natura, tra
i quali sacrifici animali e arsioni di bambini morti in età perinatale
23
. L’importanza del
santuario nel tessuto cittadino, nel nostro caso sopra un’altura a Nord dell’abitato,
risulta evidente anche da quanto rilevato negli altri centri fenici e punici occidentali.
Esso risorge sempre sullo stesso luogo a discapito del passare dei secoli
24
e indica
l’importanza ricoperta dal centro sulcitano sin dal momento della sua fondazione.
La ceramica proveniente dai contesti noti e scavati a Sant’Antioco indica una
partecipazione ai traffici commerciali che interessavano anche le coste tirreniche della
penisola italiana, con quelle del Nord Africa e della Andalusia ed esprimono il clima
di benessere e ricchezza che dovette perdurare nel centro per oltre due secoli
25
. Già
intorno alla seconda metà dell’VIII secolo viene fondato sulla costa antistante l’isola di
Sant’Antioco, ma in posizione più elevata, un altro centro fenicio, Monte Sirai,
ritenuto un’emanazione sulla terra ferma del nostro centro
26
, e le cui espressioni della
cultura materiale tradiscono una continua ispirazione a quella sulcitana
27
.
La seconda metà del VI secolo è un periodo cruciale per il determinarsi degli
equilibri delle potenze del mediterraneo e in Sardegna vede l’avviarsi della politica di
conquista da parte di Cartagine, prima “una delle tante” colonie fenicie nel
22
Tra queste anche le caratteristiche pentole e i vasi bolli latte di tradizione nuragica del Bronzo Finale
provenienti dal tophet: Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53.
23
Sul tophet v. il fondamentale contribuito Ribichini 1987a; sui problemi della funzione recentemente
riconsiderati v. Bernardini 2006.
24
Bartoloni 1989, p. 75.
25
Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53.
26
Ibidem, p. 54, sebbene espresso con qualche dubbio.
27
Moscati 1986a, p. 273-282; Moscati 1996b.
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mediterraneo, ora una superpotenza militare in continua espansione. Intorno al 540
a.C. si combatte la battaglia di Alalia o “del Mare Sardonio”, che sebbene dall’esito
incerto contribuisce a fissare i limiti del controllo etrusco-cartaginese nel mare Tirreno
contro l’intraprendenza greca focese
28
, mentre in Sardegna il decennio 545-535 a.C. è
interessato dalle campagne di Malco che, subita la sconfitta per mano della resistenza
delle colonie fenicie di Sardegna, abbandona il campo. A questa spedizione seguirà
l’intervento dei figli di Magone, Asdrubale e Amilcare, negli anni 525-510 e che si
concluderà con la conquista dell’isola e l’integrazione forzata di essa nei territori
controllati da Cartagine
29
. La resistenza operata dai fenici fu pagata duramente da
centri come quello di Cuccureddus di Villasimius e Monte Sirai, che mostrano evidenti
tracce di distruzione, e con la recessione economica, cui segue in certi casi
l’abbandono, dai centri di Sulcis, Bithia e Santa Maria di Villaputzu
30
. Diversamente
dovette andare per quelli che avrebbero assicurato fedeltà ai conquistatori come
Tharros e Caralis, le cui necropoli forniscono l’evidenza di un periodo particolarmente
florido sin dai primi anni del V secolo
31
. Benché poche siano le tombe edite
esaustivamente
32
, la necropoli di Sulcis offre un quadro più povero di materiali rispetto
a quello dei due centri sopra menzionati e ciò, lo si vedrà più avanti, avrà un ricadere
nella documentazione relativa agli ornamenti personali. La ragione di questa crisi può
essere stata inoltre la non disponibilità di un vasto entroterra da destinare alle culture
cerealicole, che invece caratterizzava i due centri del basso e alto Campidano.
L’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse minerarie erano comunque gli interessi
primari della presenza cartaginese in Sardegna, per il secondo dei quali Sulcis nella
fase precedente doveva svolgere un ruolo primario nel convoglio dei metalli estratti
dal bacino dell’Iglesiente, principalmente argento e piombo.
La conquista ha come conseguenza la deportazione dal Nord Africa di masse di
coloni allo scopo di popolare i territori appena conquistati, il che ha i suoi risultati più
28
Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 67-69.
29
Ibidem, pp. 70-72.
30
Ib., p. 71.
31
Sulcis 1989, p. 17.
32
V. § 1.2.
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visibili nel cambiamento del rito funerario e nella cultura materiale
33
. Mentre nelle
città fenicie di Sardegna il rito praticato nella fase fenicia era prevalentemente
l’incinerazione, dalla fine del VI secolo in poi appare diffuso quello dell’inumazione
entro camera ipogeica
34
.
I segni della ripresa per il nostro centro iniziano a comparire nell’ultima fase
punica della Sardegna con gli inizi del IV secolo
35
, ciò nonostante si abbia notizia che
nel 379 fossero scoppiati in Sardegna e nelle province nordafricane moti insurrezionali
in seguito ad una pestilenza che colpì Cartagine
36
. A questa data si attribuisce la
costruzione della cortina muraria che cinge l’abitato dell’antica Sulcis al pari di altri
centri punici dell’isola
37
.
Il secolo e mezzo che segue vede nel mediterraneo centrale la crescita delle
grandi potenze romana e cartaginese. Le ostilità prendono forma apertamente
conflittuale nel 264 con l’inizio della I Guerra Punica in Sicilia e presto anche nelle
acque sarde. Nel 258 nel golfo di Palmas, porto meridionale di Sulcis, la flotta romana
al comando di Sulpicio Patercolo sconfiggeva quella cartaginese, composta di “Punici
e Sardi”, ivi stanziata e comandata dall’ammiraglio Annibale. La sconfitta costò la vita
all’ammiraglio cartaginese che fu punito dai suoi con la crocifissione entro le mura di
Sulcis
38
.
Tutta la Sardegna cadrà nel 238 sotto il dominio di Roma a seguito della
repressione dei moti dei mercenari punici qui stanziati: la civiltà dei cartaginesi
nell’isola si avvia ormai alla conclusione.
Sotto il dominio romano Sulcis ritrova splendore ma non prima del 47 d.C.,
quando appoggia Pompeo nella lotta con Cesare negli ultimi giorni della Repubblica,
ospitando nel porto una flotta pompeiana al comando di L. Nasidio, rifornendola di
truppe, e assicurando spedizioni di armi e metalli al pompeiano Q. Cecilio Metello Pio
Scipione. In seguito alla vittoria l’anno seguente Cesare trovandosi a Caralis punì i
33
Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 71-72.
34
Per primo v. Bartoloni 1981.
35
Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 76.
36
Diodoro, Biblioteca Storica, XV, 24, 2
37
Sulcis 1989, p. 18.
38
Zonara VIII, 12, P. I 389, cit. in Sulcis 1989, p. 19; cit. anche in Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 100.
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Sulcitani con una multa di 100.000 sesterzi, la consegna di un’ottava parte del grano
invece della consueta decima e la vendita dei beni di alcune famiglie
39
.
Nel corso del I secolo d.C. Sulcis sarà elevata al rango di municipium, e forse
più precisamente sotto l’imperatore Claudio (41-54 d.C.), che nella regione disponeva
di numerosi possedimenti e sotto il cui regno furono eseguiti i numerosi ritratti della
famiglia Giulio-Claudia rinvenuti a Sant’Antioco
40
.
In questo periodo l’isola di Sant’Antioco era nota col nome di Plumbea
41
, non
per la presenza di risorse al suo interno quanto per la lavorazione del metallo che qui
avveniva allo scopo di estrarne l’argento. La vocazione commerciale del centro è
anche e ancora dimostrata dalle fonti archeologiche che iscrivono Sulcis negli stretti
contatti che intercorrono tra la Sardegna e le altre province romane del Nord Africa
42
.
In data non precisata si stabilisce un nucleo di popolazione di stirpe ebraica che pratica
i suoi culti nelle catacombe ricavate dall’adattamento di precedenti ipogei punici, ora
sotto le fondamenta della basilica di Sant’Antioco
43
. Nel II secolo d.C. è da porre poi
l’arrivo del santo che darà il moderno nome all’isola e che troverà la morte nel 125,
secondo la tradizione, prima dell’arresto da parte delle autorità romane
44
.
1.2. STORIA DELLE RICERCHE
La prima menzione di antichità e monumenti a Sant’Antioco si deve all’opera dei G.F.
Fara intitolata “Geografia della Sardegna” ed edita intorno al 1580
45
, in cui si
descrivono resti di edifici, fortificazioni ed il ponte edificato con grossi macigni. Ma
bisognerà attendere il XIX secolo per un interesse più scientificamente attendibile.
Nel Dizionario Geografico dei comuni della Sardegna edito a cura di G. Casalis
tra il 1833 e il 1856 è descritto il borgo di Sant’Antioco allora (1849) popolato da circa
39
Bellum Africanum 98, 2; Sulcis 1989, pp. 19-20; Tronchetti 1989, pp. 12-13.
40
Tronchetti 1989, p. 13.
41
Tolomeo, Geografia III, 3, 8.
42
Tronchetti 1989, p. 15.
43
Ibidem.
44
Ib.
45
Fara G.F., a cura di Secchi P., (1972). Geografia della Sardegna. Quattromori, Sassari, cit. in Sulcis 1989, p.
21; si menziona anche la più recente Farae I.F., a cura di Cadoni E., (1992). In Sardiniae Chorographiam.
Gallizzi, Sassari.
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2900 abitanti
46
. La parte più umile di questi, circa 500 individui, abitava gli ipogei
punici, dei quali allora ne erano noti circa 160
47
, ed era nota come gruttaius. Nel testo
sono inoltre menzionati seppur brevemente anche altri monumenti al tempo visibili
48
.
Il viaggiatore Alberto Ferrero Della Marmora in visita in Sardegna nella prima
metà del XIX secolo è l’autore di una prima edizione ragionata delle antichità
sulcitane
49
, ma è all’opera antiquaria del canonico G. Spano che dobbiamo la più
completa descrizione di Sulcis del secolo riportata sulle pagine del suo Bollettino
Archeologico Sardo tra il 1856 e il 1857
50
. Trattando dei monumenti individuava per
la precisione tre necropoli, attribuendole a tre diverse “nazioni”: quella egiziana,
quella cartaginese e la romana
51
. Tenuta presente la conoscenza della civiltà fenicia e
di quella egizia che il canonico mostrava di possedere, e che era piena espressione del
suo secolo
52
, la prima delle tre è sicuramente da individuare nel tophet posto sull’altura
nota come Guardia de is pingiadas
53
. Lo Spano ne attribuiva la paternità agli egizi a
causa delle numerose stele che in quel periodo si raccolsero, ed in cui erano
rappresentati “a basso rilievo ora Iside, ora Osiride, ora una vacca, un obelisco, un
montone”
54
, ma sicuramente non per la presenza di amuleti o scarabei egiziani o
egittizzanti, i quali il canonico ben mostrava di conoscere perché rinvenuti in grande
quantità dagli scavi contemporaneamente condotti a Tharros, e che per diverse
circostanze non gli capitò di incontrare a Sulcis
55
. Quanto alle altre due necropoli,
quella cartaginese era individuata sulla base dell’analogia tra le sue tombe e quelle di
Tharros e Caralis
56
e quella romana, situata sul versante occidentale del villaggio
dietro la basilica di Sant’Antioco, per la presenza di colombari paragonabili a quelli
46
Dizionario Angius/Casalis, vol. 14, p. 223.
47
Ibidem, p. 225. La necropoli è più esaustivamente descritta in ib., vol. 7, pp. 84-85.
48
Sulcis 1989, p. 21.
49
Ferrero Della Marmora A., (1826-1828, seconda edizione 1840). Voyage en Sardaigne ou description
statistique, physique et politique de cette île. Parigi, cit. in Sulcis 1989, p. 21. Si veda anche la traduzione in
italiano: Della Marmora A., (1927). Viaggio in Sardegna. Fondazione il Nuraghe, Cagliari.
50
Spano 1856-1857.
51
Ibidem, p. 54.
52
Si veda al riguardo Scandone Matthiae 1991.
53
Trad. “vedetta delle pentole”, in chiaro riferimento alle urne cinerarie.
54
Spano 1856-1857, p. 54.
55
Ibidem, nota 1; altrove e più tardi ancora lo Spano indica come “in nessun altro sito dell’Isola si è potuto
scoprire uno scarabeo, non ostante le molte ricerche che si sono fatte”: Spano G., (1861). Notizie sull’antica
città di Tharros. In BAS vol. 7, pp. 193, 195, nota 1, cit. in Scandone Matthiae 1991, p. 385.
56
Spano 1856-1857, p. 54.
cagliaritani. Anche questi tuttavia dovranno essere identificati con le camere ipogeiche
di età punica, adattati successivamente a catacombe, per i motivi stessi riportati dallo
Spano: la loro frequentazione moderna da parte dei gruttaius, il rinvenimento
all’interno di elementi di
armatura e le tracce di
pittura rossa
57
.
Ai fini del presente
lavoro ricopre un
particolare interesse la
menzione, da parte dello
studioso, della grande
quantità di oggetti d’oro e
sigilli che al tempo erano
già conservati nei locali del R. Museo di Cagliari
58
, che venivano ancora indossati
dalle donne della moderna città o rinvenuti casualmente dai contadini e poi venduti a
stranieri
59
. La descrizione da un’idea della quantità di ornamenti inediti e scomparsi
che dovevano essere indossati dagli abitanti dell’antica Sulcis, tuttavia non è possibile
attribuire ad età punica almeno la gran parte di questi oggetti, e per la capacità già
menzionata dello Spano di scorgere l’elemento egizio che caratterizza i sigilli e gli
ornamenti punici, e per la stessa interpretazione grafica che egli stesso fornisce di
alcuni di questi, i quali agevolmente possono essere attribuiti al periodo romano
(fig. 1).
Figura 1. Sigilli da Sulcis (Della Marmora 1868, p. 122, nota 1).
Dopo quasi mezzo secolo di interruzione della ricerca archeologica a
Sant’Antioco Antonio Taramelli, direttore della Soprintendenza di Cagliari dal 1903 al
1934, redisse in quasi vent’anni una serie di contributi editi principalmente nelle
Notizie degli Scavi di Antichità della Regia Accademia dei Lincei
60
. In essi traspare
l’interesse nei confronti della tutela dei monumenti ed un atteggiamento non
57
Ibidem, p. 55, nota 1, invero queste ultime possono essere attribuite ad età posteriore. Per i gambali e gli elmi
di Sulcis v. Fenici 1988, pp. 133-134, datati al VI sec.; in generale sui riti funerari romani a Sulcis v.
Tronchetti 1989a, pp. 81-83, e sulle catacombe: pp. 85-87.
58
Ora Museo Archeologico Nazionale.
59
Spano 1856-1857, pp. 52-53, nota 2.
60
Moscati 1977a, p. 13; Sulcis 1989, p. 21.
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esclusivamente antiquario
61
. In particolare nel contributo in cui presentava la notizia
dello scavo di due tombe ipogeiche di età punica, ma riutilizzate in epoca romana,
avvenuto nel tratto iniziale di Via Castello nel luglio 1906, deprecava la mancanza di
dati su cui ricostruire la topografia dell’antica città, mancanza ancora superiore a
quella disponibile cinquant’anni prima per “l’incremento edilizio” che nel frattempo
era intercorso
62
. Stupisce inoltre il fatto che si fosse persa l’esatta localizzazione del
tophet
63
, non ancora identificato come tale, ma come il luogo di provenienza delle
stele, per la quale peraltro lo Spano nel passo sopra ricordato non forniva più precise
informazioni.
Un altro fatto degno di nota è il rapporto di collaborazione con l’autorità locale,
nella persona dell’allora sindaco Giuseppe Biggio, che si tradusse nei fatti in una
strenua attività di tutela e nella costituzione di una raccolta di oggetti, recuperati in
circostanze casuali, che avrebbe dovuto costituire una collezione comunale
64
.
L’antica Sulcis destò l’interesse anche dei successivi Soprintendenti e ispettori
che si susseguirono nella tutela dei beni archeologici come P. Mingazzini
65
, S. Puglisi,
al quale si deve lo scavo di tre tombe ipogeiche in Via Belvedere
66
, e G. Lilliu, cui si
deve il primo studio sulle stele del tophet
67
, allora ancora dimenticato
68
.
Il 1954 è la data dell’avvio di ricerche sistematiche a Sant’Antioco ad opera
dell’allora soprintendente G. Pesce al quale si deve la riscoperta del tophet nel 1959 e
lo scavo di un lembo della necropoli punica
69
, la scoperta durante il suo mandato
dell’acropoli di Monte Sirai (1962), nonché l’avvio delle campagne di scavo in quel
sito
70
.
61
Ibidem.
62
Taramelli 1908, p. 146.
63
Ibidem, p. 147: “Le tombe a fossa, sormontate dalle stele, dovevano estendersi presso la chiesa parrocchiale;
ma sulla precisa posizione loro come sul luogo dove furono rinvenute […] non abbiamo esatta notizia”.
64
Ib., pp. 152, 155. Sull’attività della famiglia Biggio e sul rapporto con il Taramelli v. anche Moscati 1977a.
65
Mingazzini 1948a, in merito ai resti di un area sacra sopra la collina di Castello; Mingazzini 1948b, in cui
riferisce alcune osservazioni sui rituali funerari emersi dagli scavi del Puglisi.
66
Puglisi 1942b.
67
Lilliu G., (1944). Le stele puniche di Sulcis (Cagliari). ANL Memorie 40, pp. 293-418.
68
Sulcis 1989, p. 22.
69
Ibidem. Per alcune notizie sui primi scavi del tophet v. Pesce 1961, pp. 118-121, in cui fa una breve menzione
ad “amuleti, altri oggettini e cianfrusaglie varie” rinvenuti nella setacciatura del terreno: p. 120; Pesce 1963;
per le tombe v. invece Pesce 1961, p. 160, figg. 44-45, 51-53; vedi anche la voce “Sulcis” in EAA, vol. 7, pp.
551-553, a cura dello stesso Pesce.
70
Zucca 2000.
- 17 -
Dal 1967 il nuovo soprintendente F. Barreca prosegue gli scavi del tophet e
della necropoli, stringendo un’attiva collaborazione con S. Moscati ed il suo staff che
cura l’edizione di tutte le stele del tophet
71
, delle collezioni private Don Tore Armeni
72
e Biggio
73
, degli amuleti rinvenuti nel tophet
74
, inaugurando così una nuova stagione
degli studi con attenzione puntuale all’edizione delle vecchie e delle nuove scoperte.
Al Moscati stesso si deve l’opera di sintesi delle ricerche fenicie e puniche in Sardegna
e non solo, concretizzata nel caso specifico di Sulcis in tre fondamentali contributi
editi tra il 1982 ed il 1988
75
.
Dal 1983 P. Bernardini inoltre indaga un settore dell’abitato individuato in Via
Galeto (cronicario), i cui scavi sono tuttora in corso
76
, mentre proseguono altresì quelli
nel tophet e di alcune tombe della necropoli punica, della quale se ne appresta
un’edizione critica a cura dello stesso Bernardini
77
.
71
Moscati S., (1986). Le stele di Sulcis: caratteri e confronti. CSF 23, Roma.
72
Uberti 1971.
73
Biggio 1977.
74
Bartoloni 1973.
75
Moscati 1982; Moscati 1986a, pp. 240-262; esclusivamente per gli aspetti della cultura materiale Moscati
1988a.
76
Si veda da ultimo Bernardini 2000a.
77
Bernardini c.p.
- 19 -
2. GLI ATHYRMATA DI SULCIS
Il termine athyrmata
78
verrà privilegiato nel menzionare l’oggetto di studio in questo
lavoro. Omero è il primo a farne uso definendo con disprezzo le tipiche mercanzie dei
Fenici del suo tempo, considerate al rango di “cianfrusaglie”
79
. Dal punto di vista
tipologico si tratta di oggetti di piccola taglia portati principalmente al collo o indossati
in altra maniera. Negli studi fenicio-punici è prevalsa la classificazione in gioielli,
amuleti e scarabei, che verrà rispettata in gran parte di questo lavoro, ma della quale
se ne terranno a mente i limiti. Essa riveste la mera funzione di agevolare la ricerca,
ma in nessun modo quella di ricalcare una suddivisione che fosse condivisa dal
primitivo possessore. Verranno altresì considerati altri oggetti, che rientrano più
probabilmente nella sfera dell’abbigliamento o dell’arredo e che raramente hanno
trovato posto nelle edizioni di scavo. Più latamente andrebbero compresi anche oggetti
che qui non sono stati valutati, se non per confrontarne la distribuzione con i pendenti
nello stesso materiale
80
, ovvero gli unguentari in vetro, e come essi altre classi di
materiali, che tuttavia a Sulcis non sono state ancora rinvenute, quali le uova di struzzo
dipinte ed i rasoi.
Allo scopo di fornire uno sguardo di insieme sullo stato delle ricerche, che
rientrino esclusivamente nell’edito, e di dare un’idea della presenza di athyrmata nelle
tombe puniche di Sulcis, proponiamo qui di seguito un elenco di oggetti ordinati per
tomba di appartenenza e, all’interno di questa, quando nota, per deposizione. L’intento
principale di questo elenco sarà quello di ottenere una stima, meno approssimativa
possibile ma provvisoria, della quantità e della qualità di questi rinvenimenti, dati che
ci saranno di estrema utilità nella sintesi finale di questo lavoro.
2.1. ATHYRMATA DELLA NECROPOLI
La maggior parte degli athyrmata di Sulcis proviene dalla necropoli, un’area che
originariamente era estesa per circa 6 ettari ed entro la quale erano scavate nel tufo
quasi 1500 tombe a camera ipogeica
81
. Il settore meglio noto e scavato è situato sulle
78
Sulla problematica della terminologia e sulla sua etimologia v. Moscati 1987, pp. 77-82.
79
Omero, Odissea XV, 416.
80
V. § 5.3.
81
Bartoloni 1995, p. 4.
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pendici orientali della collina di Castello, ed ancora meglio le tombe scavate dagli anni
ottanta nell’area dell’anfiteatro romano, nel terreno di proprietà di Agus Raffaele. Un
altro settore visitabile è accessibile dalla Basilica di Sant’Antioco e consta di alcune
tombe, riadattate nei primi secoli della nostra era come catacombe, che difficilmente
hanno preservato elementi del corredo originario. Il periodo di utilizzo è compreso tra
la fine del VI secolo e la fine del III e coincide con il dominio di Cartagine sulle città
fenicie di Sardegna ed il prevalere del rito dell’inumazione sulla precedente
incinerazione
82
. In prossimità della costa, e per la precisione in Via Peret, è stato
localizzato un nucleo della necropoli arcaica, ovvero in uso tra VIII e VI secolo
83
.
Tuttavia l’impossibilità di condurre scavi in quest’area ci priva della documentazione
degli athyrmata di questa fase di Sulcis. Inoltre quella proveniente dal tophet
84
per la
maggior parte non ha conservato le associazioni con gli strati, non consentendo così
una datazione sicura degli ornamenti a questo o a quel periodo. In confronto la
documentazione della necropoli appare perciò molto più omogenea.
L’elenco che segue è nelle linee essenziali basato su quello fornito da G. Hölbl
in “Ägyptisches kulturgut im phönikischen und punischen Sardinien” del 1986 alle
pagine 56-58
85
, che abbiamo avuto cura di integrare con le nuove pubblicazioni dei
materiali nel frattempo comparse.
Tombe aperte da A. Taramelli e R. Loddo nell’estate 1906 nel tratto iniziale di via
Castello
86
:
Tomba 1
87
:
82
Ibidem, p. 3; v. anche Bartoloni 1981.
83
Sulcis 1989, pp. 30-31.
84
V. § 2.2.
85
Hölbl 1986, pp. 56-58, v. comunque le pp. 54-59 per la trattazione del sito di Sulcis nell’economia del testo. I
numeri tra parentesi nel testo, quando presenti, si riferiscono ai numeri inventariali presenti sui pezzi al tempo
della visita al Museo Archeologico Comunale di Sant’Antioco effettuata dall’autore nel 1979 (p. 59, nota 28).
Negli anni successivi nuovi numeri sono stati attribuiti e riportati nella recente edizione di Savio, Lega,
Bontempi 2004, verosimilmente basata sulle analisi e fotografie realizzate da E. Acquaro intorno al 1987: v.
infatti Acquaro 1987a.
86
Taramelli 1908. Tra le due tombe scavate, ma visibilmente depredate in antico, solo la prima presentava resti
di ornamenti personali, la seconda, all’interno dell’urna n. 6 di età imperiale romana, ha fornito alcuni
frammenti di pisside in avorio e osso, tra i quali uno splendido “pappagallo che afferra col becco una foglia
d’acanto” (pp. 156-157, fig. 11), a lungo ritenuto erroneamente prodotto di età punica: v. sintesi in Acquaro
1984, pp. 159-160, fig. 222.
87
Taramelli 1908, pp. 152-154. Scavata nei giorni 26-28 luglio 1906, la tomba conteneva almeno una
inumazione di età punica, manomessa per far spazio a nove cassette litiche con resti di incinerati di età
romana, la tomba è a camera del tipo con tramezzo centrale, perciò in uso dalla metà del V sec. La
- 21 -
due vaghi baccellati in pasta vitrea
88
;
anellino digitale a staffa con castone ellittico in oro
89
.
Tombe aperte da S. Puglisi nel 1942 in via Belvedere
90
:
Tomba 2
91
:
Camera A
92
:
2 orecchini a spirale con rosetta decorata a filigrana in oro su anima bronzea
93
;
2 orecchini a spirale semplice in oro
94
;
orecchino con estremità avvolte a spirale in oro
95
.
Tomba 3
96
:
Area A
97
:
collana composta di 26 elementi
98
tra i quali:
alcuni vaghi in pasta vetro;
scrofa che allatta i cuccioli;
5 divinità a testa animale
99
;
numerosi pateci bifronte
100
;
testa di ariete policroma in pasta vitrea;
scarabeo.
Area B
101
:
numerazione qui usata per le prime tre tombe, e non seguita dalla sigla in lettere, risponde alla numerazione
data dall’editore della prima edizione e non al numero dato negli archivi della Soprintendenza
88
Ibidem, pp. 153 e 155, rinvenuti nel corridoio di accesso.
89
Ib., pp. 154-155, fig. 8.
90
Puglisi 1942b, p. 106.
91
Ibidem, pp. 107-110, fig. 1. La presenza di resti di incinerati entro un sarcofago nella camera B “contribuisce
a collocare la cronologia generale del sepolcro […] tra il IV e il III sec. a.C.”: Bernardini 1991, p. 196.
92
Conteneva i resti di due inumati: Puglisi 1942b, p. 109.
93
Ibidem, pp. 108-109, fig. 2 e 6, che li definisce “anelli crinali”; Quillard 1987, pp. 151-152, a confronto con il
n. 250, tav. XII, proveniente da Utica (tipo D7). L’autrice dimostra come potessero essere indossati al lobo
(tav. XXXV, 1-2) e ne riferisce la datazione alla fine del IV secolo (p. 152), v. inoltre “tableau recapitulatif”
IX; Pisano 1988b, p. 48; Bernardini 1991, p. 196.
94
Puglisi 1942b, p. 108, fig. 6, anche in questo caso l’autore riferisce “anelli crinali”, ma non c’è motivo di
accettare tale definizione.
95
Ibidem, p. 109, fig. 6.
96
Puglisi 1942b, pp. 110-115; Bartoloni 1993a.
97
Puglisi 1942b, pp. 113-114, contenente i resti di un inumato e un incinerato.
98
Hölbl 1986, p. 56; Puglisi 1942b, fig. 6.
99
Chiamati dal Puglisi “Ammon” (ibidem, p. 114), potrebbero essere a testa di ariete: Hölbl 1986, p. 56.
100
Hölbl 1986, p. 56.
101
Puglisi 1942a, p. 114.