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pluridisciplinare (chimico, biologico, idraulico e paesaggista) evitando approssimazioni
e standardizzazioni.
Al 2000 in tutta Europa esistevano circa 5600 impianti di fitodepurazione censiti, di
varie tipologie, ma in certi Paesi, come la stessa Italia, si avevano pochi riferimenti
bibliografici a riguardo.
A livello nazionale la Regione Toscana, insieme a Veneto ed Emilia Romagna, possiede
il maggior numero di impianti effettuati.
Il caso del comune di Dicomano (Fi), nell’Alto Mugello, è quello di un insediamento
con 2915 residenti, in cui i reflui, di tipo civile, non sono trattati con sistemi di
depurazione di tipo “tecnologico”, ma soltanto una fossa Imhoff e una griglia operano
come trattamento primario a monte di un sistema di fitodepurazione di tipo misto.
Il presente studio, dopo un’analisi sulla normativa vigente nel settore, e un’approfondita
descrizione delle zone umide costruite, si pone l’obiettivo di valutare in modo critico
l’efficacia depurativa dell’impianto di Dicomano, attraverso un’analisi qualitativa del
refluo in entrata e in uscita dai vari stadi del sistema, in tre periodi dell’anno (febbraio,
aprile e giugno 2006).
Tutto lo studio è stato effettuato con la collaborazione degli operatori dell’ARPAT di
Pisa e del comune di Dicomano e di Publiacque, gestori dell’impianto; le analisi dei
campioni sono state effettuate presso i laboratori del Dipartimento di Pisa.
4
1.2_ QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI
TUTELA DELLE ACQUE
DALL’INQUINAMENTO.
1.2.1_ La normativa internazionale.
Il trattato internazionale di riferimento per la tutela delle Zone Umide è la
“Convenzione relativa alle ZU di importanza internazionale soprattutto come habitat di
uccelli acquatici” firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971.
La Convenzione di Ramsar recita: “le Zone Umide sono distese quali stagni, paludi,
torbiere, bacini naturali e artificiali permanenti o temporanei con acqua stagnante o
corrente, dolce, salmastra o salata comprese le distese d’acqua marina la cui
profondità in condizioni di bassa marea non supera i sei metri”. Tale definizione si
basa su un unico criterio: la presenza di acqua.
Ciò si spiega considerando che l’obiettivo di tale convenzione è la protezione degli
uccelli acquatici (APAT & CTN_NEB, Zone Umide in Italia: elementi di conoscenza,
2005).
La definizione adottata dal Servizio per la Pesca e la Vita Selvatica degli Stati Uniti è
“le Zone Umide per essere tali devono possedere una o più delle seguenti
caratteristiche: il suolo, almeno periodicamente, deve supportare prevalentemente
idrofite; il substrato è prevalentemente suolo idrico non drenato; il substrato è non
suolo ed è saturo di acqua o coperto da acqua bassa in qualche periodo durante la
stagione di crescita annuale”.
Nel 1991 a Grado, in Italia, è stata lanciata un’azione di collaborazione internazionale
per contenere la scomparsa delle ZU nell’area mediterranea e permetterne un riutilizzo
razionale: si tratta dell’iniziativa MedWet (Mediterranean Wetlands Initiative), guidata
dal Comitato delle Zone Umide Mediterranee, sotto l’egida della Convenzione di
Ramsar.
Per MedWet le ZU, per coerenza con gli altri grandi programmi internazionali, seguono
la definizione generale della Convenzione di Ramsar, a completamento della quale il
programma propone un metodo che precisa i criteri e gli attributi essenziali per
identificare, caratterizzare e delimitare le ZU (sito web ufficiale medwet).
Tali attributi sono legati a tre criteri: idrologia, vegetazione e suolo.
5
L’ Italia entra a far parte ufficialmente della Convenzione attraverso un Decreto, il
D.P.R. del 13 marzo 1976, n.448, e un successivo D.P.R. del 1987, n.184.
Nelle norme relative alle attività di tutela e prevenzione ambientale in materia di acque
sono numerosi i riferimenti alle aree di “importanza internazionale” ai sensi della
Convenzione di Ramsar, o comunque alle ZU in generale.
Il nostro Paese ha promosso ed intrapreso azioni per la tutela delle ZU dichiarando di
importanza internazionale 46 ZU nazionali per oltre 50000 ha.
In Italia le ZU protette sono oggi numerose ma si tratta di una protezione teorica in
quanto manca la sanzione corrispondente o comunque il criterio procedurale concreto in
vista di sorveglianza e controllo sul territorio. La Legge n. 431 dell’8 agosto 1985 (c.d.
Legge-Galasso) ha imposto il vincolo paesaggistico-ambientale anche per le ZU incluse
nell’elenco di cui al D.P.R. 13 marzo 1976 n. 448.
Le ZU possono essere definite secondo criteri di classificazione proposti sulla base di
diversi approcci (localizzazione e topografia, idrologia, chimica dell’acqua, ecologia,
ecc.) (APAT & CTN_NEB, Zone Umide in Italia, 2005).
Le tipologie di classificazione condivise a livello internazionale, Corine Biotopes,
Ramsar e MedWet, si basano sulla legislazione in materia di acque, le direttive europee
sugli habitat e sugli uccelli e la convenzione di Ramsar.
In particolare, la tipologia di classificazione Ramsar suddivide i differenti ambienti in
funzione della conservazione dell’avifauna acquatica e pone nella classificazione degli
ambienti le Zone Umide Artificiali.
Le Aree Umide Artificiali sono strutture realizzate dall’uomo sia per ridurre il rischio
idraulico lungo un bacino idrografico, sia come bacini di raccolta di acque destinate a
diversi usi. Le stesse aree umide artificiali in certi casi hanno subito una
“naturalizzazione” tale da renderle zone sottoposte a tutela.
Inoltre negli ultimi decenni si è assistito ad un aumento di interesse delle aree umide
artificiali e non, per il trattamento delle acque reflue civili.
In materia di pianificazione ambientale delle acque rivestono particolare importanza a
livello comunitario due direttive: la Direttiva 271/91/CEE concernente il trattamento
delle acque reflue urbane, e la Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle
acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.
Il 22 dicembre 2000 è entrata in vigore la direttiva quadro nel settore delle acque, la
Direttiva 2000/60/CE, secondo la quale ogni Stato membro deve individuare tutti i
bacini idrografici presenti nel proprio territorio ed assegnarli a distretti idrografici.
6
Essa nasce con lo scopo di istituire un quadro di indirizzo per la protezione delle acque
superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee, e che
impedisca un loro ulteriore deterioramento.
Secondo tale approccio per ogni bacino idrografico è necessario fissare obiettivi di
qualità, individuare i corpi idrici che non li rispettano, comprenderne le cause,
ipotizzare gli interventi che consentano il raggiungimento degli obiettivi di qualità,
avendo a disposizione come strumenti per i possibili interventi, non solo le fognature e i
depuratori, ma agendo sui diversi fattori di impatto che insistono sul bacino.
Tutto ciò richiede nuovi metodi di analisi ed una grande capacità di coordinamento tra i
diversi attori che insistono sul bacino idrografico, è necessario interfacciarsi con i
titolari di concessioni di derivazione e con i responsabili dei carichi inquinanti (le ATO
e gli enti gestori del servizio idrico integrato, responsabili dei carichi di origine civile,
ma anche i gestori dei carichi industriali e agricoli, come le imprese, le associazioni di
categoria, ecc.).
Inoltre la Commissione presenta un elenco degli inquinanti prioritari selezionati tra
quelli che presentano un rischio significativo per l’ambiente acquatico o trasmissibile
tramite l’ambiente acquatico.
La Direttiva prevede inoltre una data limite di trasposizione negli Stati membri: il 22
dicembre 2003.
La Decisione n. 2455/2001/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, modifica la
Direttiva 2000/60 e istituisce un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque
(allegato X alla Direttiva 2000/60).
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1.2.2_ La normativa italiana.
A livello nazionale negli ultimi venti anni gli strumenti di pianificazione volti alla tutela
delle acque sono stati oggetto di un interessante evoluzione normativa.
Partendo dalla c.d. Legge Merli (n.319 del 1976) recante norme per la tutela delle acque
dall’inquinamento, e che prevede la redazione di un Piano Generale di Risanamento
delle Acque (PRRA), si passa alla c.d. Legge Galli (n.36 del 1994) contenente le
disposizioni in materia di risorse idriche, fino a giungere all’approvazione del “Testo
Unico sulle acque”, il D.Lgs 152/99, di recepimento delle Direttive CEE 91/271 e
91/676 e che anticipa in parte la Direttiva Quadro 2000/60.
La Legge n.36 del 5/1/1994 all’articolo 1, comma 2 recita, qualsiasi uso delle acque è
effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di
un integro patrimonio ambientale, e, al comma 3, gli usi delle acque sono indirizzati al
risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicarne il patrimonio idrico, la
vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi
geomorfologici e gli equilibri idrologici.
Gli articoli 2 e 3, rispettivamente “Usi delle acque” e “Equilibrio del bilancio idrico”,
esprimono il concetto che l’acqua è un bene economico limitato e il reperimento di
nuove risorse idriche da destinare ad uso potabile è perseguibile esclusivamente
attraverso il riutilizzo di acque reflue da destinare ai settori meno esigenti.
Il tema del riutilizzo delle acque reflue è espresso anche nell’articolo 6: “Modalità per il
riutilizzo delle acque reflue”.
Il D.Lgs 152 del 11/5/1999 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e
recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue
urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole” conferma la
necessità che tutti gli scarichi siano depurati, ma cambia l’approccio in base al quale
scegliere fino a che punto devono essere depurati e le modalità per farlo.
Mentre il vecchio PRRA previsto dalla Legge Merli aveva il compito di individuare gli
scarichi, collettarli e trattarli in modo da rispettare i limiti tabellari, il Piano di Tutela,
stralcio del Piano di Bacino previsto dal D.Lgs 152/99, individua i corpi idrici che non
rispettano gli obiettivi di qualità stabiliti, ne comprende le cause, ipotizza gli interventi
che consentano il raggiungimento degli obiettivi di qualità ai corpi idrici dosando le
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risorse disponibili e nel rispetto dei limiti agli scarichi che possono essere resi più o
meno restrittivi in ragione del loro potenziale impatto (CTN_AIM & ARPAT, Linee
guida per la progettazione e gestione di zone umide artificiali per la
depurazione dei reflui civili, 2005).
Il fine principale del Piano di Tutela è garantire il raggiungimento di obiettivi di qualità
dei corpi idrici attivando strategie differenti in ragione delle diverse caratteristiche
ecologiche e dei vari usi.
Il D.Lgs 152/99 è stato in seguito modificato ed integrato con il D.Lgs n. 258 del
18/8/2000 “Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo n. 152 del
11/5/1999 in materia delle acque dall’inquinamento, a norma dell’articolo 1, comma 4,
della legge 24 aprile 1998, n. 128”.
Un aspetto importante nella gestione delle acque reflue, come quello del loro recupero e
utilizzo, enunciato nelle finalità del D.Lgs 152/99, viene ad essere disciplinato con il
D.M. n. 185 del 12 giugno 2003 recante le “norme tecniche per il riutilizzo delle acque
reflue in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999,
n. 152”.
L’ articolo 3 del D.M. 185/03 prevede tre possibilità di recupero: irriguo (per
l’irrigazione di colture e di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive),
civile (per il lavaggio delle strade, per l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento e
raffreddamento, per l’alimentazione di sistemi di adduzione), industriale (come acqua
antincendio, come acqua di processo, come acqua di lavaggio nei processi industriali).
All’articolo 14 vengono fissate le deroghe temporanee per il parametro “Escherichia
coli”, e nell’allegato si fa riferimento a deroghe ulteriori per:
le acque potabili in base ai limiti regionali;
pH, azoto ammoniacale, conducibilità elettrica specifica, alluminio, ferro,
manganese, cloruri e solfati i cui limiti possono essere derogati dalla Regione
fino al corrispondente valore di Tabella 3, Allegato 5, del D.Lgs 152/99;
i limiti di Ntot e P per uso irriguo;
i parametri chimico-fisici i cui valori tabellari sono da riferirsi a valori medi su
base annua, mentre il riutilizzo deve essere sospeso quando viene superato del
100% il valore limite.
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Nella nota 3 dell’allegato è specificato che i limiti per Escherichia coli sono elevati da
10 a 50 UFC e da 100 a 200 UFC come valori puntuali massimi nel caso che i reflui
recuperati provengano da lagunaggio o fitodepurazione.
Analizzando i limiti imposti dal decreto per alcuni parametri (BOD, COD, solidi
sospesi, azoto, fosforo e metalli) in confronto con quelli fissati dal D.Lgs 152/99 e dal
D.M. del 30 luglio 1999, emerge che la qualità richiesta per un riutilizzo delle acque
reflue può essere genericamente indicata per la destinazione d’uso industriale
equivalente a quanto previsto per lo scarico in acque superficiali, mentre per l’uso
irriguo e civile con una qualità per alcuni parametri simile a quanto richiesto per lo
scarico sul suolo, per altri più vicino alle acque destinate al consumo umano.
Nell’aprile 2006, dopo un iter procedurale piuttosto sofferto, è stato definitivamente
pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D. Lgs n.152 del 3 aprile 2006, noto come “Codice
dell’ambiente” o Testo unico sull’Ambiente, un corpus normativo di 700 pagine, 318
articoli e 45 allegati, che costituisce il testo attuativo della legge 308 del 2004 (sito web
ufficiale del Ministero dell’Ambiente).
Il Testo unico sull’Ambiente si pone nell’intento di semplificare, razionalizzare e
riordinare la normativa ambientale esistente in 6 settori chiave: procedure ambientali,
difesa del suolo, acque, rifiuti e bonifiche, inquinamento atmosferico e danno
ambientale.
Il Testo è strutturato in 6 parti, ognuna delle quali è poi suddivisa in sezioni, a loro volta
suddivise in titoli, suddivisi in capi contenenti gli articoli.
La Parte Terza del Testo riguarda le “norme in materia di difesa del suolo e di lotta alla
desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse
idriche”.
In questa Parte è stato effettuato un riordino e un coordinamento delle disposizioni
normative frammentate in una pluralità di testi e interconnesse, come la difesa del suolo,
la tutela delle acque e la gestione delle risorse idriche.
Viene recepita integralmente la Direttiva 2000/60/CE con l’istituzione di Autorità di
bacino distrettuali e la definizione dei distretti idrografici, definiti in 7 distretti (Distretto
delle Alpi orientali, Distretto Padano, Distretto dell’Appennino settentrionale, Distretto
dell’Appennino centrale, Distretto dell’Appennino meridionale, Distretto Idrografico
della Sicilia e Distretto della Sardegna).
Per quanto riguarda la disciplina degli scarichi e i trattamenti appropriati, il Testo
mantiene i contenuti espressi dal D. Lgs 152 del 1999.
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In ambito regionale la Regione Toscana recepisce la normativa nazionale in materia di
acque con la Legge Regionale del 21 dicembre 2001, n.64 (“norme sullo scarico di
acque reflue e ulteriori modifiche alla Legge Regionale 1 dicembre 1998 n°88”) in
attuazione del D.Lgs 152/99.
Il regolamento di attuazione dell’art. 6 della Legge Regionale 21 dicembre 2001 n.64 è
costituito dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale 23 maggio 2003, n.28/R.
Inoltre la L.R. 23 gennaio 1986 n. 5, regolamenta la “disciplina regionale degli scarichi
delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche
fognature”.
Recentemente, anche in attuazione del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152 (Norme
in materia ambientale), Parte III, la Regione Toscana ha varato la Legge Regionale
n.20 del 31 maggio 2006, “norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”,
pubblicata in Bollettino Ufficiale il 7 giugno 2006.
Tale normativa abroga le precedenti leggi in materia L R n.5 del 1986, fatto salvo
quanto previsto dal comma 2, e la L R n.64 del 2001. Inoltre, dalla data di entrata in
vigore del Regolamento regionale citato all’articolo 13 della legge, è abrogato anche il
decreto del Presidente della Giunta Regionale n.28/R del 23 maggio 2003.
Tuttavia, risulta all’esame del Consiglio dei Ministri un decreto di sospensione degli
effetti del Testo Unico sull’Ambiente n.152/06, che verrà rivisto in base alla delega
dall’attuale Parlamento entro un anno.
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1.2.3_ Il Testo Unico sulla tutela delle acque (D. Lgs del
11/5/1999, n. 152).
Il Decreto Legislativo 11 maggio n. 152 rappresenta il nuovo Testo Unico sulle acque e
contiene le “ Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della
Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della
Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato
dai nitrati provenienti da fonti agricole” (Atti del Workshop Scarichi in ambiente e
fitodepurazione: presentazione delle Linee Guida Italiane, ARPAT, Rosignano
Marittimo, 1 dicembre 2005).
Il Testo Unico sostituisce alcune delle principali norme che disciplinavano la risorsa
idrica, quali la Legge 319/76 (Legge “Merli”) in materia di scarichi, il D.P.R. 515/82 in
materia di utilizzo idropotabile delle acque superficiali ed il D.Lgs 130/92 relativo alla
salvaguardia delle acque idonee alla vita dei pesci.
Il D.Lgs 152/99 ha introdotto un importante strumento di analisi della qualità delle
acque: l’Allegato 1, il quale definisce gli obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici
ed introduce i criteri per la classificazione delle acque in funzione degli stessi obiettivi
di qualità.
In particolare la qualità delle acque di un corpo idrico superficiale è definita in base a:
lo Stato Ecologico (definisce la complessità degli ecosistemi e la natura fisica e chimica
delle acque e dei sedimenti), lo Stato Chimico (considera la presenza di microinquinanti
e sostanze chimiche pericolose in base al confronto con opportuni valori soglia) e lo
Stato Ambientale (rappresenta lo scostamento tra lo stato del corpo idrico in esame e
quello di un ipotetico corpo idrico di riferimento teoricamente immune da impatto
antropico).
Il quadro normativo che emerge dopo l’approvazione del D.Lgs 152/99 rinnova
profondamente il sistema di pianificazione degli interventi per la prevenzione
dell’inquinamento.
Il D.Lgs 152/99 all’articolo 1 (Finalità), comma 1 stabilisce gli obiettivi da perseguire
per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, e al comma 2 elenca gli
strumenti per il raggiungimento di tali obiettivi.
All’articolo 2 (Definizioni), punto m) definisce “agglomerato” l’area in cui la
popolazione, ovvero le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da
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rendere possibile, e cioè tecnicamente ed economicamente realizzabile anche in
rapporto ai benefici ambientali conseguibili la raccolta e il convogliamento delle acque
reflue urbane verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto
di scarico finale.
Al punto dd) definisce il “trattamento appropriato” come il trattamento delle acque
reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che dopo lo
scarico garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità
ovvero sia conforme alle disposizioni del presente decreto.
In quest’ottica la normativa italiana prende atto anche di nuove tecnologie depurative
come i fitotrattamenti e indica gli impianti di fitodepurazione come idonei a fornire un
“trattamento appropriato” soprattutto per le piccole e medie comunità (inferiori a 10000
A.E.).
Infatti all’articolo 3, comma 6 cita il sistema di fitodepurazione: i consorzi di bonifica e
di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti
autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di
risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della
rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e della fitodepurazione.
Per quanto riguarda la disciplina degli scarichi, nell’articolo 27, comma 1, si indica il
31 dicembre 2005 come termine ultimo per gli agglomerati con un numero di abitanti
equivalenti compreso tra 2000 e 15000 per dotarsi di reti fognarie per le acque reflue
urbane; tuttavia lo stesso articolo, al comma 4, aggiunge: Per gli insediamenti,
installazioni o edifici isolati che scaricano acque reflue domestiche le Regioni
identificano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati (…)
che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di
adeguamento.
All’articolo 31 (scarichi in acque superficiali), comma 2, indica quali sono i reflui per i
quali è previsto il trattamento appropriato e i tempi per la sua realizzazione, gli scarichi
di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie provenienti da agglomerati
con meno di 2000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di
transizione e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10000 abitanti
equivalenti recapitanti in acque marino-costiere sono sottoposti ad un trattamento
appropriato in conformità con le indicazioni dell’allegato 5, entro il 31 dicembre 2005.
Al comma 3 si cita l’allegato 5 come riferimento le cui indicazioni devono essere
rispettate per gli scarichi sopra i 2000 a.e.
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Al comma 4 si dice che gli scarichi previsti al comma 3 devono rispettare, altresì, i
valori limite di emissione fissati ai sensi dell’art.28, quindi gli scarichi sopra i 2000 a.e.,
e non quelli previsti al comma 2.
L’Allegato 1 offre il quadro numerico per la classificazione dei corpi idrici superficiali e
sotterranei.
La qualità dei corpi idrici è valutata sulla base di parametri oggettivi che consentono di
classificare lo stato ambientale di tali corpi idrici in classi: solitamente elevata, buona,
sufficiente, scadente, pessima. Per le acque sotterranee i criteri di classificazione sono
dati in tabella 1, per le acque superficiali sono dati in tabella 5.
I limiti di accettabilità degli scarichi sono fissati dallo Stato nell’Allegato 5, le tabelle 1
e 2 sono specifiche per le acque reflue urbane e in tabella 3 sono presenti i limiti per gli
scarichi di acque reflue industriali. Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento di
acque reflue urbane nel caso che derivino da fognature miste che raccolgono scarichi di
insediamenti industriali devono rispettare inoltre i limiti della tabella 3.
La tabella 4 dà i limiti di emissione per le acque reflue urbane e industriali che
recapitano sul suolo.
Nelle Indicazioni generali dell’Allegato 5 (limiti di emissione degli scarichi idrici), 4°
capoverso, vengono fatte alcune precisazioni sui trattamenti appropriati:
i trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di:
a) rendere semplice la manutenzione e la gestione
b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni
orarie del carico idraulico e organico
c) minimizzare i costi gestionali
Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un
trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati
depurativi raggiunti.
Da questi punti si evince la necessità di prevedere tecnologie depurative dalle quali non
ci si debba attendere alte prestazioni, ma comunque adeguate al contesto ambientale in
cui trovano riferimento.
Al 5° capoverso si aggiunge che per tutti gli insediamenti con popolazione equivalente
compresa tra 50 e 2000 a.e. si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione
naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come filtri percolatori o
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impianti ad ossidazione totali e prosegue Peraltro tali trattamenti possono essere
considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti
della Tabella 1, anche a tutti gli insediamenti in cui la popolazione equivalente
fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche
territoriali e climatiche lo consentano. Tali trattamenti si prestano, per gli insediamenti
di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 a.e.,
anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del
trattamento, con funzione di affinamento.
Quindi l’allegato 5 elenca esplicitamente per gli agglomerati con popolazione
equivalente compresa fra i 50 e i 2000 a. e. tecnologie come i filtri percolatori e gli
impianti di ossidazione totale, oltre ai processi di fitodepurazione e lagunaggio. Per
impianti al servizio di agglomerati fino a 25000 a. e. le stesse tecnologie, integrate con
impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, sono considerate adatte, a valle del
trattamento, per svolgere funzioni di affinamento. Sono inoltre ritenute adatte per
tutti gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30%
della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo
consentano.
Per quanto concerne le metodiche analitiche, le analisi provenienti da impianti di
lagunaggio o fitodepurazione devono essere sempre effettuate su campioni filtrati (a
differenza di quelle da effettuare in uscita da impianti).
Nel caso di scarichi sul suolo (art. 29 comma 1 punto c) il punto di prelievo ai fini del
controllo del rispetto dei limiti di tabella 4 è, di regola, immediatamente a monte del
punto di scarico sul suolo, ma per gli impianti di depurazione naturale è all’uscita
dall’impianto.