visione che unisce pietà ed ironia, che rappresenta la fase
immediatamente successiva del libro. La tregua è il tempo necessario
per tornare alla normalità e per poter riassaporare la gioia di vivere
dopo l’atroce prova del Lager, è il tempo per chi ha vissuto quella
terribile esperienza per riappropriarsi dell’anima che gli è stata
strappata insieme alla libertà e alla dignità.
Rosi a una settimana dalla tragica scomparsa dello scrittore, aveva
ottenuto personalmente da Levi il permesso di trasportare in immagini
il suo libro, “lei mi porta un po’ di luce in un momento molto buio
della mia esistenza”
1
furono le parole pronunciate da Levi al regista,
felice per questo progetto.
Ecco che realizzare questo film per Rosi, è stato oltre che una sorta
di mantenimento di una promessa, un vero e proprio impegno morale
verso la memoria di Levi.
Finalmente dopo dieci anni di difficile gestazione, Francesco Rosi
dopo aver lottato contro molte avversità, ma aiutato anche da persone
quali Martin Scorsese che grande ammiratore del regista, ha
appoggiato il suo progetto convincendo il produttore Leo Pescarolo a
produrre il film, è riuscito nel 1997 a portare sul grande schermo La
tregua.
Il presente lavoro mira dunque ad operare tra i due testi un attento
esame comparato ed una ricca analisi critica e riflessiva suffragata
oltre che dalle molte recensioni e articoli critici, in modo particolare
1
Dichiarazione personale dell’autore, vedi in appendice 1 “intervista realizzata a Francesco Rosi”.
dalle parole dello stesso regista rilasciate nel corso dell’intervista
realizzata in mia presenza il 19 marzo 1999, la quale si trova
integralmente riportata in appendice 1.
Questo, che può essere considerato il nucleo tematico dell’analisi,
viene preceduto da un primo capitolo nel corso del quale si tratterà la
figura di Primo Levi con una breve premessa sullo sterminio degli
ebrei perpetrato in particolare nel campo di Auschwitz, ma soprattutto
si cercherà di compiere un’analisi critico-letteraria del libro oggetto
del presente lavoro, La tregua.
Il secondo capitolo invece, verrà dedicato alla figura del regista, da
sempre contraddistinto da un grande impegno civile, Francesco Rosi,
con un riguardo particolare agli altri suoi film tratti da opere letterarie,
ma soprattutto alla ricostruzione dei fatti dalla prima nascita del
progetto de La tregua, fino alla realizzazione finale del film.
Si è cercato inoltre di voler dare uno sguardo d’insieme a tutti quei
film che hanno per argomento l’Olocausto, ma essendovi presente un
numero illimitato di opere per quantità, nazionalità e varietà degli
aspetti trattati, la ricerca si è dovuta attenere a fornire una poco più
che lunga panoramica generale, la quale si trova collocata in
appendice 2.
CAPITOLO I
PRIMO LEVI E L’OLOCAUSTO
Breve premessa sullo sterminio degli ebrei
Nonostante il libro e il film argomento di questa tesi, abbiano una
contestualizzazione storica che si colloca nel periodo della fine della
seconda guerra mondiale e dell’apertura dei campi di concentramento,
ho ritenuto doveroso e complementare inserire una breve introduzione
sull’antefatto storico, ovvero sulla persecuzione e lo sterminio nazista
degli ebrei, analizzando in particolare il campo di Auschwitz luogo di
inizio dello svolgersi dei fatti del nostro racconto.
Inoltre lo stesso Rosi nel corso dell’intervista, ha dato molto risalto
alla questione Olocausto, e all’importanza del non dimenticare ciò che
è stato, ovvero l’annientamento compiuto a sangue freddo di sei
milioni di esseri umani, tale che nel giro di pochi anni il numero
complessivo degli ebrei in Europa fu ridotto di due terzi. È quanto mai
inconfutabile l’affermazione di Raul Hildberg secondo cui:
Simile carneficina non ha precedenti nella storia d’Europa,
l’impresa hitleriana fu unica nel suo genere, ma soprattutto deve fare
riflettere il comportamento della collettività tedesca spinta ad agire da
quei capi che essa stessa si era scelta.
1
1
RAUL HILBERG, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino, Einaudi 1995, p.16.
Se i tedeschi che spingevano gli ebrei nelle camere a gas furono al
massimo qualche centinaio, migliaia erano invece quelli che
assistevano al loro lungo calvario: gli operai e i dirigenti delle
fabbriche in cui gli schiavi ebrei erano utilizzati, i ferrovieri che
guidavano per tutta la Germania gli innumerevoli trasporti dei
deportati che vedevano poi tornare vuoti, o tutti quelli che usufruivano
di biancheria e indumenti usati. Inoltre la stampa e la radio
informavano sempre più apertamente sulla sorte degli ebrei, solo
coloro che non volevano sapere potevano continuare a fingere di
ignorare.
Considerando che ci troviamo di fronte ad un popolo di grande
civiltà, che per secoli fu tra i vessilliferi della società occidentale, si
deve riconoscere che si tratta senz’altro di un problema essenziale
della nostra civiltà: di un fenomeno aberrante e patologico di estrema
importanza, situato nel luogo di origine della catastrofe del 1938-45.
2
Infatti nel 1993, già due mesi dopo l’avvento al potere di Hitler e la
costituzione del nuovo governo, entrarono in vigore i primi
provvedimenti contro gli ebrei tedeschi. Ma già nel 1941 la decisione
di eliminare il giudaismo dall’Europa è presa. Il Fuhrer così decise
rendendone partecipi i suoi collaboratori tra cui spicca come ideatore
dei campi di concentramento Heinrich Himmler.
3
2
LEON POLIAKOV, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi
1955, p.9.
3
Ufficiale nazista, a lui fecero capo tutte le attività delle SS e della polizia. Nel corso della sua
carriera si occupò dei rapporti con l’estero, dell’amministrazione interna, della produzione degli
armamenti e della distruzione degli Ebrei.
<<Il vocabolario ufficiale tedesco denominò il passaggio all’ultimo
stadio “soluzione finale della questione ebraica”, il fine ultimo del
processo di distruzione era ormai definito con chiarezza>>.
4
IL CAMPO DI AUSCHWITZ
5
Sorgevano o stavano sorgendo un po’ in tutta l’Europa occupata,
già numerosi campi di prigionia e di sterminio.
Nell’estate del 1940, Heinrich Himmler pianificò la costruzione di
quello che passerà alla storia come il più grande campo di sterminio, il
quale venne costruito in uno sperduto angolo della Polonia
meridionale a pochi chilometri dal villaggio di Auschwitz, il luogo
scelto era insalubre e paludoso ma con ottimi collegamenti ferroviari e
ben isolato. L’abbondanza di manodopera che ne doveva seguire,
attirò ben presto numerose industrie, che costruirono le loro fabbriche
in prossimità del campo come la I.G.Farben e la Herman Goering-
Werke.
Direttore del campo fu lo spietato Rudolf Hoess, ideatore tra l’altro
delle uccisioni di massa attraverso l’introduzione di un gas a base di
acido prussico noto come “Cyclon B”. I primi esperimenti vennero
eseguiti nel ‘41 sui prigionieri di guerra russi, negli edifici nella
borgata di Birkenau, dove vennero successivamente costruite in più
4
RAUL HILBERG, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino, Einaudi 1995, p.418.
5
Gran parte delle informazioni contenute in questo paragrafo sono state tratte dal saggio di
OTTO FRIEDRICH, Auschwitz, storia del lager 1940-1945, Milano, Boldini&Castoldi 1994.
riprese un totale di quattro camere a gas corredate poi da quattro
grandi forni crematori.
Nel frattempo Auschwitz era ormai divenuta una città
concentrazionaria con una popolazione di centocinquantamila abitanti
sotto la sorveglianza di più di tremila SS, divisa oltre che in decine di
sottocampi o Kommandos esterni, in tre grandi campi: Auschwitz I,
Auschwitz II Birkenau, Auschwitz III Monowitz.
Era in quest’ultimo campo dove si trovava internato anche Primo
Levi, che sorgeva la Buna, lo stabilimento della I.G. Farben
6
che
produceva gomma sintetica. Le condizioni di vita a Monowitz non
erano diverse da quelle di Auschwitz: chiamata d’appello all’alba, che
poteva prolungarsi anche per diverse ore, razioni da fame, turni di
lavoro di almeno dodici ore consecutive dove i prigionieri morivano a
decine, ecc..
Ma fu a partire dal giugno ’42 che cominciò il vero e proprio
sterminio di massa degli ebrei: le vittime provenienti da ogni luogo
dell’orizzonte europeo, giungevano ad Auschwitz stipate
all’inverosimile in vagoni ferroviari dove non c’erano né cibo, né
acqua, né aria, né servizi igienici. <<Una volta che i treni
raggiungevano la Polonia meridionale, poteva accadere che il numero
Le notizie sono peraltro comuni a moltissimi altri libri, saggi documentari e diari, sull’argomento.
6
Secondo Raul Hilberg op. cit. p. 998, <<La I.G. Farben non era una semplice società ma una
componente fondamentale del meccanismo della distruzione, fin dall’inizio la cooperazione tra
la I.G.Farben e le SS fu totale, le due organizzazioni erano complementari>>.
dei cadaveri rimasti sui vagoni superasse quello di chi ne usciva
vivo>>.
7
Le selezioni si effettuavano nella stessa banchina non appena il
treno arrivava in stazione, i deportati venivano fatti scendere tra
minacce e percosse, e privati dei loro bagagli sottoposti a un rapido
esame selettivo atto a stabilire l’abilità o meno al lavoro. Un medico
SS divideva i deportati in due file, la fila di destra comprendeva i
malati, gli anziani, i bambini e la maggior parte delle donne, i quali
ignari venivano immediatamente condotti alle camere a gas ingannati
dalle messe in scena di finte docce.
Qui e in seguito nei quattro nuovi crematori di Birkenau, la teoria
della Soluzione Finale trovava applicazione pratica e [compiuta
l’operazione di gassazione] il Sonderkommando entrava in azione per
asportare i denti d’oro ai cadaveri e per tagliare i capelli alle donne.
8
La fila di sinistra comprendeva gli uomini dai 15 ai 45 anni d’età
circa, dall’aspetto relativamente forte e qualche ragazza, questi
“fortunati” venivano così iniziati alla loro provvisoria esistenza
attraverso una serie di dure prove: denudati all’aperto con qualsiasi
tempo, dopo lunghe attese venivano passati alle docce fredde, tatuati
con un numero d’ordine sull’avambraccio, rivestiti da informi divise a
strisce bianche e blu e avviati al loro stato di schiavitù con una
probabilità di vita media non superiore ai tre mesi:
7
OTTO FRIEDRICH, op. cit. p.54.
8
Op. cit. p. 57.
I prigionieri venivano stipati in mille in baracche progettate per
ospitarne quattrocento. Dormivano in sei in letti a castello a tre posti,
spesso privi di materassi e coperte. C’era un riscaldamento
insufficiente e un ricambio d’aria quasi nullo.
9
L’immensa maggioranza che dormiva in squallide baracche
sovraffollate con una alimentazione praticamente inesistente, era
adibita a lavorare in condizioni inumane nelle varie fabbriche, miniere
di carbone e cantieri all’aperto. Soggetta a tutte le privazioni e a tutti i
pericoli, si avviava inesorabilmente nel giro di poche settimane verso
quel logoramento fisico e mentale detto di “mussulmanizzazione”
10
tristemente documentato da fotografie e filmati dell’epoca.
La sorte dei prigionieri ebrei, era aggravata rispetto ai loro
compagni di schiavitù “ariani” in quanto essi non potevano ricevere
pacchi, ed erano sottoposti alle “selezioni” periodiche atte ad
eliminare gli elementi che non davano più un rendimento lavorativo
sufficiente.
La sopravvivenza degli ebrei ad Auschwitz era veramente un
fenomeno eccezionale, possibile solo in circostanze particolari, come
avveniva per quelli che ascendevano nella gerarchia interna del campo
accedendo ai posti di capoblocco o di Kapo (per conservare i quali
occorreva possedere una notevole brutalità e mancanza di scrupoli), o
9
Op. cit. p. 64.
10
<<L’effetto primario della denutrizione era la consunzione. Il corposi nutriva di se stesso, prima
sfruttando le scorte di grasso, poi consumando i muscoli…gli internati di solito riconoscevano
questi segnali di morte incipiente e ne paragonavano le vittime ai denutriti mendicanti dell’India,
chiamandoli Muselmanner, musulmani>>.(Otto Friedrich, op. cit. p.69).
in quei rari casi in cui persone specializzate in determinate professioni
come medici, musicisti, scienziati, riuscivano a trovare impiego
nell’ospedale, nell’orchestra, o nei numerosi istituti e laboratori delle
SS. Lo stesso Primo Levi testimonia di essere riuscito a sopravvivere
per dodici mesi, grazie alla sua professione di chimico.
Altri fattori che influivano sulla probabilità di sopravvivenza erano
il momento di arrivo e la conoscenza della lingua tedesca, ma
l’elemento determinante era essenzialmente la natura dell’individuo,
la sua resistenza fisica e morale, la sua forza di volontà e la sua
capacità di adattamento:
Sulla totalità dei deportati ebrei in media circa il venticinque per
cento erano lasciati in vita dopo la prima selezione, ma soltanto il due
o tre per cento fecero ritorno nei loro paesi: duemilaottocento su
centodiecimila deportati dalla Francia, milleottocento su sessantamila
deportati dalla Grecia, seicento su novantamila deportati dai Paesi
Bassi, ecc…
11
Verso la fine del 1943 e i primi mesi del ’44, le condizioni del
campo andarono percettibilmente migliorando, questo mutamento era
imposto da un fattore esogeno di importanza determinante e cioè, la
vittoria della Germania non era più una certezza. Questo costrinse gli
alti ufficiali delle SS, a porsi il problema di come le loro stesse azioni
avrebbero potuto essere giudicate in futuro, ma contrariamente ad ogni
logica le SS non fermarono il piano della Soluzione Finale, anzi lo
intensificarono per poter riuscire a portarlo a termine: si sospesero le
11
LEON POLIAKOV, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi
eliminazioni di massa dei prigionieri non ebrei per concentrarsi
esclusivamente sugli ebrei, ora nella banchina di Birkenau si facevano
ben poche selezioni, i deportati passavano direttamente alle camere a
gas, e in meno di due mesi circa quattrocentomila ebrei ungheresi
vennero eliminati.
Nel frattempo mentre il governo di Washington e gli alleati, erano
venuti in possesso di prove ormai inconfutabili sull’esistenza dei
campi di sterminio, la Germania stava arrancando, e all’inizio
dell’autunno del 1944 Himmler decise di porre termine alle esecuzioni
su vasta scala. Successivamente all’eliminazione dopo un’inutile
insurrezione dell’ultimo Sonderkommando
12
, le SS iniziarono
quell’opera di smantellamento del campo
che rientrava nel fallito piano di Himmler per eliminare tutte le
prove di ciò che era accaduto ad Auschwitz. Squadre di prigionieri
iniziarono a demolire i crematori II e III, anche se almeno due forni
rimasero in piedi per incenerire i cadaveri di chi continuava a morire
nel campo e per distruggere tutti i documenti. Le autorità di
Auschwitz furono confuse sul come iniziare la cancellazione delle
prove, cercavano di stabilire cosa fossero le cose più pericolosamente
incriminanti, controllando i voluminosi registri che erano stati
accuratamente compilati per così tanto tempo (i dossier ufficiali di
1955, p. 101.
12
Squadre di ebrei adibite al degradante lavoro nelle camere a gas, in cambio del quale ricevevano
un trattamento privilegiato anche se venivano a sua volta eliminate dopo circa tre mesi.
polizia, i certificati di morte accuratamente falsificati di migliaia di
vittime, ecc..). Per prima cosa bruciarono le liste dei deportati che
erano stati mandati direttamente alle camere a gas, poi i registri
dell’Ufficio Politico, seguiti dai documenti dell’ospedale che
provavano l’uccisione di migliaia di detenuti con iniezioni di fenolo,
infine spedirono a Berlino la maggior parte del materiale contenuto
nei magazzini “Canada”, ovvero tutti gli abiti, i gioielli, arredi, ecc…
che erano stati sottratti ai prigionieri. Poi fu la volta delle fosse
comuni, gli stessi prigionieri le riaprirono e bruciarono ciò che
rimaneva di migliaia di cadaveri, dopodiché minarono i muri di
mattoni del Crematorio V, l’ultimo rimasto in piedi, e incendiarono il
“Canada”.
L’Armata Rossa, che era rimasta ferma per settimane a circa
settanta chilometri da Auschwitz, sferrò finalmente un attacco a
sorpresa il 12 gennaio 1945. Una settimana dopo, l’artiglieria
bombardava a tappeto i dintorni del campo e poco dopo la mezzanotte
del 18 gennaio, i nazisti ordinarono l’evacuazione generale.
13
Per ordini superiori infatti, tutti i prigionieri sani ancora abili al
lavoro, furono fatti evacuare verso Buchenwald e Mauthausen, tra le
SS si discuteva se fosse il caso di uccidere quelli che non erano in
grado di marciare. In effetti, erano stati elaborati diversi piani per la
distruzione del campo e lo sterminio dei prigionieri rimasti, ma a
nessuno era stato dato l’ordine di portarlo a termine. In quel momento,
13
OTTO FRIEDRICH, Auschwitz, storia del lager 1940-1945, Milano, Boldini&Castoldi 1994, p.
il pensiero che ossessionava le SS era riuscire a sfuggire agli odiati
russi, quindi tutti i malati e i feriti vennero abbandonati al loro destino
e dimenticati nel caos dei quattro giorni di evacuazione. Secondo
Primo Levi invece, fu proprio grazie ad un violento attacco aereo
notturno e alla rapidità dell’avanzata russa che i tedeschi lasciarono
incompiuto il loro “dovere”.
Più di una settimana dopo l’evacuazione, alcuni ricognitori della
Prima Divisione ucraina, con le uniformi mimetiche bianche emersero
dai boschi e videro dietro chilometri e chilometri di filo spinato ciò
che rimaneva di Auschwitz.
E’ emblematico come questa scena dell’arrivo dei liberatori russi,
sia stata riportata in numerosi libri di testimonianza dei sopravvissuti,
tra cui ovviamente ne La tregua, in cui Levi proprio nelle prime
pagine del libro, descrive con celebri parole quest’apparizione di
salvezza, poi fedelmente trasportata da Rosi nelle immagini d’apertura
del film:
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano
guardinghi, coi mitragliatori imbracciati lungo la strada che limitava il
campo …a noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi sui
loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo,
immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo.
14
144.
14
PRIMO LEVI, La tregua, Torino, Einaudi 1963, p.10.
PRIMO LEVI: profilo umano e letterario
Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919, nella casa dove
abiterà poi per tutta la vita, i suoi antenati sono degli ebrei piemontesi.
Dopo il liceo, nel 1937 si iscrive al corso di chimica presso
l’Università di Torino, nel frattempo il governo fascista emana le
prime leggi razziali, riesce comunque a laurearsi a pieni voti nel 1941.
Nel ‘42 quando inizia a lavorare come chimico a Milano, entra in
contatto con alcuni esponenti dell’antifascismo militante. L’anno
seguente Levi si unisce ad un gruppo partigiano operante in Valle
d’Aosta, dove a dicembre sarà arrestato e mandato al campo di
concentramento di Fòssoli, nel febbraio del 1944, assieme ad altri
prigionieri, è avviato dai tedeschi su un convoglio ferroviario con
destinazione Auschwitz. La sconvolgente esperienza della sua
permanenza nel Lager, sarà dettagliatamente raccontata nel libro
scritto immediatamente dopo il suo ritorno a casa, Se questo è un
uomo. Nel frattempo dopo la liberazione da parte delle truppe russe
avvenuta nel gennaio del 1945, Levi vive per qualche mese a
Katowice in un campo sovietico di transito. Nel giugno inizia
quell’assurdo viaggio del rimpatrio che si protrarrà fino all’ottobre,
percorrendo un itinerario labirintico, che condurrà Levi dapprima in
Russia Bianca e passando attraverso l’Ucraina, la Romania,
l’Ungheria, l’Austria, giungerà finalmente in Italia il 19 ottobre. È
questa l’esperienza che troviamo raccontata ne La tregua.
Seguirà per Levi (come accadde per tutti i reduci), il difficile
reinserimento nell’Italia del dopoguerra. La sua vita sarà sempre
divisa fra il lavoro presso la Siva, piccola fabbrica di vernici di cui
diventerà il direttore, la famiglia (moglie e due figli), e l’attività di
scrittore.
A partire dal 1955 infatti, inizia la sua collaborazione presso la
casa editrice Einaudi dove pubblicherà con molto successo la maggior
parte delle sue opere tra cui ricordiamo: Se questo è un uomo (1958),
La tregua (1963), Storie naturali (1966), La chiave a stella (1978), La
ricerca delle radici (1981), Lilìt e altri racconti, (1981), Se non ora,
quando? (1982 ), L’ altrui mestiere (1985 ), I sommersi e i salvati
(1986).
L’11 settembre del 1987 muore suicida nella sua casa di Torino.
Primo Levi occupa tra gli scrittori italiani contemporanei, una
posizione a sé stante, la quale gli deriva dal singolarissimo tipo di
approccio che egli ebbe con il lavoro letterario e dalle caratteristiche
stesse delle opere che ci ha dato.
Lo stimolo a scrivere gli derivò infatti dall’esperienza avuta nel
Lager di Auschwitz: Se questo è un uomo e La Tregua, sono la
testimonianza di quella stessa esperienza. Solo in un secondo
momento egli ci ha dato libri di invenzione inserendosi così nel campo
della letteratura creativa.
Strettamente biografica dunque, la prima parte del suo lavoro, la
sua testimonianza assume poi un significato del tutto speciale, essendo
Levi uno dei pochissimi sopravvissuti alle stragi naziste.
Tutta l’opera di Levi ha un valore di ammonimento, che spesso può
essere inteso per profezia. La storia che l’uomo voleva sfuggire, ha
scelto lui perché diventasse suo portavoce, e lo scrittore ha cercato di
non sottrarsi.
15
Lo scrittore da sempre diffidente verso i grandi messaggi, quasi a
voler ridurre il proprio ruolo, ha comunque proclamato una dura
profezia <<l’ha proclamata con l’umiltà dell’uomo di scienza,
l’understatement del piemontese, saldati dal senso tragico e alla
dolorosa ironia dell’ebreo>>.
16
Come Levi ha affermato più volte infatti, le sue opere sono nate
dalla necessità e dall’obbligo morale, oltre che da un’esigenza di
liberazione interiore, di rendere consapevoli i suoi contemporanei
attraverso la propria testimonianza diretta di ciò che è avvenuto
durante la Seconda Guerra Mondiale nei campi di sterminio.
Particolarmente illuminanti a questo riguardo, sono alcuni brani
della lettera di ringraziamento che Levi scrisse il 13 maggio 1960 a
Heinz Riedt (traduttore in lingua tedesca di Se questo è un uomo):
15
G.POLI e G.CALCAGNO, Echi di una voce perduta, Milano, Mursia 1992, p.13.
16
Ibidem.