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PRIMO CAPITOLO - LA PERSUASIONE
1.1 La persuasione
Massimo Piattelli Palmarini considera la persuasione come un
esercizio lieve e necessario per evitare l’uso dell’autorità, che subentra,
appunto, quando la persuasione non basta. La persuasione non è da
intendersi come un’opera di convincimento volta a far agire una persona
a proprio piacimento, ma al contrario, è da intendersi come comportante
una scelta riguardante l’eventuale cambiamento di opinione attraverso il
semplice trasferimento di idee (Piattelli, 1996).
La persuasione avviene solo con persone predisposte a lasciarsi
convincere e ciò ha fatto in modo che gli studi si siano rivolti
maggiormente verso la psiche, piuttosto che verso il messaggio da
trasmettere.
Non si verifica nessuna persuasione, infatti, se non sussistono le
premesse oggettive provenienti dal contesto ambientale, sociale,
culturale, e quelle soggettive, insite nel ricevente (www.ilcouseling.it).
William McGuire dell’Università di Yale (U.S.A) sostiene che la
persuasione è un processo costituito da sei fasi:
1) la presentazione del messaggio;
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2) l’attenzione del ricevente;
3) la comprensione del contenuto;
4) l’accettazione da parte del ricevente, mediante cui si stabilisce una
condizione di sintonia con il messaggio ricevuto;
5) la memorizzazione della nuova idea o opinione con la prospettiva
di farla propria;
6) ed infine il conseguente cambiamento di comportamento.
Se una di queste sei fasi non viene attuata correttamente, lo studioso
ritiene che non ci sarà nessuna persuasione (Piattelli, 1996).
Quotidianamente, genitori, amici, venditori, o semplicemente spot
pubblicitari, tentano di persuadere, questo avviene mediante delle
tecniche, che il persuasore può mettere in atto anche inconsciamente
(Pratkanis, Elliot, 2003).
Secondo Pratkanis la persuasione deve dirigere e incanalare i pensieri
del ricevente in modo da diventare conveniente all’emittente. Così
facendo si stravolgono i pensieri negativi e si promuovono quelli
positivi.
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1.2 Linguaggio
Il linguaggio è una facoltà complessa costituita da simboli orali,
scritti o gestuali. Inoltre è lo strumento principale con cui gli individui si
relazionano permettendo di esprimere non solo desideri, ma anche
concetti e significati. In realtà il linguaggio non è l’unico strumento
attraverso cui si può comunicare. Esistono infatti due strategie
comunicative:
1. la comunicazione verbale, nella quale si esprimono
intenzionalmente opinioni o concetti;
2. la comunicazione non verbale, che comprende la comunicazione
che traspare dai gesti, dai movimenti di tutto il corpo e dalla
postura (Mastronardi, 1998).
La comunicazione verbale è costituita dal linguaggio, uno strumento di
cui si serve per tradurre l’esperienza interna in concetti e per esprimere i
propri pensieri e trasformarli in processo interpersonale e sociale. In
Questa comunicazione si usano le parole che sono la più piccola unità
dell’aspetto esecutivo del processo linguistico
(http://www.cuoreribelle.it)
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A volte la CNV non fornisce informazioni analoghe a quelle trasmesse
dalla CV, in quanto la CNV esprime pulsioni inconscie, e ben il 65% di
tutta la comunicazione viene trasmessa non verbalmente (Mastronardi,
1998).
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1.3 Comunicazione interpersonale
Molte volte il processo di comunicazione viene inteso come
trasmissione di informazioni, ma anche trasferimento di risorse
cognitive, emotive, valoriali, con particolare riferimento al contenuto del
messaggio.
Altre volte si enfatizza il concetto di comunicazione come «messa in
comune» sottolineando gli aspetti relativi alla costruzione sociale della
realtà che gli attori contribuiscono a creare e le relative competenze
necessarie in tale lavoro di esperienza, da un lato, e di ricostruzione di
verità, dall’altro.
Questo concetto è vicino a quello di comunicazione come scambio, come
condivisione, e sottolinea la partecipazione attiva del destinatario nel
dare il proprio consenso e a quello di comunicazione come relazione
sociale in cui gli attori sono consapevoli del processo di mutua influenza.
Altre volte ancora si rimarca il processo di comunicazione come
influenza, come processo di deduzione messo in atto nell’utilizzare e
interpretare indizi colti nei messaggi.
La comunicazione può, anche, definirsi come la modalità attraverso la
quale si instaurano, si strutturano, si sviluppano le relazioni sociali e si
afferma il «sé» nel mondo come protagonisti (Luhmann, 2000).
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Il processo di comunicazione viene suddiviso dai cognitivisti in
molteplici componenti indispensabili ai fini di un corretto scambio di
informazioni. In particolare:
1) i soggetti della comunicazione, l’emittente e il ricevente;
2) il canale di trasmissione;
3) il codice del messaggio;
4) il disturbo prodotto da motivi contingenti, la decodifica da parte
del ricevente, che presuppone la comprensione del codice di
trasmissione;
5) il feedback, cioè l’informazione di ritorno che il ricevente invia
all’emittente come conferma dell’avvenuta ricezione
(www.ilcouseling.it/).
Paul Watzlawick individua nella comunicazione la presenza di
cinque assiomi:
1) Il primo afferma che è impossibile non comunicare;
2) Il secondo afferma che il contenuto definisce la relazione;
3) Il terzo afferma che il modo di interpretare la comunicazione è in
funzione alla relazione tra i comunicanti.;
4) Il quarto afferma che gli esseri umani comunicano sia
analogicamente che digitalmente. La comunicazione analogica
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comunica attraverso le immagini, quella digitale usa in forma
numerica i fenomeni e gli oggetti che intende descrivere, come
fax, compact disc etc.
5) Il quinto afferma che tutti gli scambi comunicativi si fondano
sull’uguaglianza o sulla differenza e quindi possono essere
simmetrici o complementari. Sono complementari gli scambi
comunicativi in cui gli interlocutori non sono sullo stesso piano,
come ad esempio: genitori – figli, maestri – allievi. Sono
simmetrici gli scambi in cui gli interlocutori si considerano sullo
stesso livello (Watzlawick, 1971).
In qualunque relazione interpersonale, sia essa tra genitori e figli,
insegnanti e allievi, negozianti e clienti, le persone si auspicano di
convincere qualcun altro a cambiare comportamento o modo di pensare.
Ciò avviene attraverso la comunicazione interpersonale, nella quale
coesistono innumerevoli segni, segnali, sistemi di regolazione e così via
(Cavazza, 1997).
Per comunicazione interpersonale si intende quel processo che
coinvolge almeno due persone e un contesto. Tale processo è interattivo,
culturale, circolare, dinamico, evolutivo, e soggetto all’influenza di molti
fattori: dagli attori della comunicazione e la loro relazione, dal contenuto
che si stanno scambiando, dal modo in cui lo fanno, dal contesto, dagli
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obiettivi generali e individuali dell’incontro comunicativo e dalle
strategie comunicative dei singoli (Luhmann, 2000).
La comunicazione emozionale si basa sul concetto che la psiche di
ciascuno sia un sistema che necessita di una tensione energetica. Tutti,
infatti, siamo alla ricerca di emozioni e tensioni che possono provenire
dalle reazioni umane, dalla lettura, da un film, ecc.
Stefano Benemeglio chiama «modello energetico» il bisogno di tensione
nervosa di ogni individuo, modificabile secondo la circostanza e il
contesto. Questo modello presuppone la capacità del comunicatore di
produrre tensione energetica, che porterebbe chi ne usufruisce ad aprirsi
nei confronti di chi gliel’ha prodotta, dando luogo al meccanismo
chiamato «scambio sociale» ( Benemeglio. 1997). Un esempio di quanto
detto si riscontra nella semplice riconoscenza.
Il bravo comunicatore è colui che riesce sempre a concludere una
trattativa, sa riconoscere nei suoi interlocutori i punti di debolezza, ed è
abile nel potenziarli al fine di creare un rapporto costruttivo e produttivo
per entrambe le parti. Egli sa, inoltre, gestire sia la qualità, che la
quantità di energia emozionale del suo interlocutore al fine di
persuaderlo (D’Ambra, 2004).
Uno degli aspetti della comunicazione interpersonale che sono stati
maggiormente studiati riguarda il «turno della parola» cioè
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l’avvicendamento dei partecipanti nella comunicazione. Per ridurre la
probabilità di essere interrotto, chi parla può adottare diverse strategie,
può dire, ad esempio, all’inizio del suo intervento che ha «tre cose da
dire», in modo che gli altri interlocutori siano scoraggiati ad intervenire
prima che abbia concluso di dire la «terza cosa».
Chi parla può anche «dare la parola», concludendo il proprio intervento
con una domanda rivolta ad uno specifico interlocutore.
Altri possono essere abili nel «prendere la parola», e altri possono,
invece non essere in grado di farlo ( Bagnasco, Barbagli e Cavalli, 1997).
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1.4. Comunicare, influenzare, persuadere o convincere
La comunicazione è finalizzata allo scambio di idee e il più delle
volte questo scambio è mirato al «convincimento».
Cercare di convincere l’altro, cioè presentare in modo unilaterale il
proprio punto di vista, le proprie idee, la propria argomentazione per
tentare di ottenere la sua adesione, è un modo di procedere che ha i suoi
limiti. C’è infatti, nella ricerca del convincere, un contenuto di pressione,
una sorta di forza impegnata spesso con talento, per far accettare all’altro
il proprio punto di vista e la propria sensibilità. Ad esempio i venditori
sono degli abili parlatori. Per una buona trattativa convincente e
persuasiva occorre stabilire una relazione da «pari a pari», sia essa di
compravendita, sia essa familiare
(http://www.economiaemanagement.corriere.it).
Lo scopo principale della comunicazione è ovviamente lo scambio
di opinioni, ma anche il cambiamento di comportamento (Cavazza,
1997).
Per comprendere meglio è bene chiarire le idee di atteggiamento e
di opinione.
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L’atteggiamento è un orientamento favorevole/sfavorevole verso un
determinato oggetto, concetto o situazione e la disposizione ad agire in
modo predeterminato e avviene a livello inconscio.
L’opinione è sia una preferenza che un’aspettativa. Essa non è
inconsapevole, ma razionalizzata e può, inoltre, essere espressa.
Entrambi sono connessi: se si odia qualcuno si tende a vedergli insiti
cattivi comportamenti.
Per cambiare atteggiamento e opinione l’individuo deve valutare la
comunicazione che riceve, dando rilievo non solo al contenuto, ma anche
alle emozioni. Risulta necessaria, allora, la creazione di un
atteggiamento positivo nei propri confronti, la ricerca di un sentimento
positivo e esprimere opinioni chiare (http://www.benessere.com ).
Il grado di persuasione dipende molto dallo stato psicologico ed
emotivo del soggetto, ma anche dall’emotività trasmessa da colui che
parla (Mastronardi, 2003).
La distinzione tra persuadere e convincere è stata molte volte
elaborata. Secondo Pascal (1962) la persuasione riguarda l’immagine e il
sentimento; il convincere, invece, la razionalità.
Secondo Perelman e Olbbrects-Tyteca (1976), la distinzione fra
convincere e persuadere è sempre imprecisa ed è destinata a restare tale.
La questione, oggi, resta ancora aperta.
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SECONDO CAPITOLO - L’INFLUENZA DELLA FAMIGLIA
2.1 La comunicazione nella famiglia
Nella società attuale, fortemente caratterizzata da una complessità
globale, che coinvolge ed involve ogni aspetto ed esperienza della vita
moderna, anche la famiglia viene investita da profondi mutamenti. Essa
è un sistema vivente molto complesso in cui si realizza quella esperienza
vitale specifica che è fondamentale per la strutturazione dell’individuo.
Il rapporto fra genitori e figli necessita di un po’ di vivacità,
perché se è troppo spento non ci si diverte. Ogni figlio ha voglia della
sua libertà e ogni genitore ha paura di perderlo concedendogliela. Alcuni
ragazzi sono più maturi di quello che i genitori pensano e a volte si
sentono chiusi in una prigione di mediocrità. Molti genitori (soprattutto
le mamme) sono possessivi e non permettono ai figli di uscire dal
«guscio» per paura che possa accadere qualcosa, suscitando paure ed
ansie di ogni tipo. Comunque esistono anche genitori apprensivi che
riescono a mantenere un rapporto amichevole senza troppi litigi. In
poche parole riescono a dialogare col proprio figlio. Anche questo tipo di
genitori vieta le cose, ma solo quelle veramente sbagliate
(http://www.comune.voghiera.fe.it).
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Ogni riflessione sulla famiglia non può non tener conto di quanto,
negli ultimi anni la famiglia stessa sia cambiata. La dimensione dei
nuclei familiari si è notevolmente ridotta e si registra un continuo
aumento nel numero di divorzi e di genitori single. Anche la mutata
concezione del ruolo femminile influenza in larga misura la famiglia.
(http://www.handynet.it/).
Da un’analisi statistica tratta dal quotidiano "Il messaggero" si
evince che, oggi, genitori e figli dialogano solo 8 minuti al giorno,
prima della guerra 25, negli anni Sessanta 20, nel 1999 si è scesi a 8
minuti al giorno. Nel Duemila genitori e figli dialogano in una
settimana per un tempo inferiore a quello che ogni italiano spende
quotidianamente davanti allo specchio della toilette.
Non si tratta delle «comunicazioni di servizio», sempre costanti, ma del
vero e proprio dialogo, il parlarsi per condividere contenuti, emozioni,
sentimenti, problemi, che nell'ultimo decennio si è ridotto di un minuto
per ogni due anni.
Principali responsabili della mancanza di comunicazione in famiglia,
secondo un'inchiesta condotta da Radio 105 network e da un pool di
psicologi, sono Tv e Internet, che occupano sempre più il tempo
domestico.
Si parla di meno perché si guarda di più la televisione, e in particolare i
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talk shows psicologici (che coinvolgono il target giovane per oltre due
ore al giorno). Non stupisce quindi che il programma che, tra tutti, ha la
maggiore penetrazione sul pubblico giovanile sia "Uomini e Donne" di
Maria De Filippi, che fonda il suo successo (oltre il 23% di share) proprio
sulla rappresentazione di situazione di conflitto e di dialogo tra genitori e
figli, che tra le mura domestiche rimangono irrisolti.
Conquista spazi anche Internet (oltre un'ora al giorno), la radio (due ore,
facendo anche altro), lo sport (22 minuti).
Di cosa parlano genitori e figli in questi otto minuti e, soprattutto, di cosa
non parlano? Dai 15 anni fino ai 18 scuola e soldi sono gli argomenti
principali per il 42% del campione. Seguono le discussioni sulle
frequentazioni di amichette e amichetti 29% e le negoziazioni sul tempo
libero 15% (http://www.akkuaria.com).
La comunicazione all’interno della famiglia è fondamentale per la
corretta crescita di un individuo, soprattutto nel periodo dell’adolescenza
per il processo di formazione dell’identità, ma anche per lo sviluppo del
proprio «ruolo». Inoltre, è indispensabile per lo sviluppo delle abilità
sociali e alla sua base deve esistere la capacità dei genitori di accettare le
opinioni dei ragazzi e il loro punto di vista durante le discussioni
familiari.