che sarà la V° Repubblica. Viaggiò enormemente in Europa durante la guerra, grazie
alla sua carriera d’ufficiale dell’esercito francese, e da Londra lanciò il suo celebre
discorso del 18 Giugno 1944. Non è quindi un caso se si autodefinì un “forte
europeo”. Lo dice espressamente con questa formula: “sono Francese quindi
Europeo”. Aldilà di una semplice evidenza geografica si delinea l’affermazione di
una doppia identità: la prima è quella del “sono Francese” e la seconda, derivata dalla
prima, è il “sono Europeo”. Questa doppia formula definisce chiaramente la
concezione dell’Europa del generale De Gaulle: un’Europa all’immagine della
Francia, tentando continuamente di conciliare il suo compito di difendere gli interessi
del proprio paese alla ragione di contribuire alla costruzione dell’Europa.
La diplomazia francese con Charles de Gaulle ebbe, così oso definirlo, un proprio
“stile”. Gli obiettivi del generale in materia di politica estera si staccarono solo in
apparenza con le vecchie tradizioni della IV° Repubblica, quella che egli trovò
salendo al potere dopo il secondo conflitto mondiale. La “nuova” V° Repubblica
sentiva una vocazione interna, sembrava avere una politica allorquando la IV° si
dibatteva in situazioni ed eventi che sembravano imporgliene una. Guardando la
situazione dall’esterno si sarebbe potuto parlare di una politica introversa e di una
estroversa, una indaffarata da problemi di ordine interno e l’altra abbastanza padrona
“a casa sua” per poter portare lo sguardo aldilà delle frontiere.
De Gaulle non limitò la sua lotta all’interno del continente, soprattutto
all’applicazione del Trattato di Roma, ma la portò su un campo più politico e
strategico. Il più delle volte solo e contro il parere di tutti, attaccò con coraggio quelli
che considerava i “nemici dell’Europa”, la Gran-Bretagna e gli Stati Uniti. La politica
europea era diventava il fondamento stesso della politica internazionale della Francia
ed un’Unione solida e viva, tanto sul piano economico quanto su quello politico, si
prospettava come essere l’unica soluzione per permettere all’Europa occidentale di
controbilanciare il peso degli Stati Uniti.
Per ben due volte de Gaulle si oppose all’ingresso dell’Inghilterra in Europa, creò
l’asse franco-tedesca contro quella Londra-Washington e decise il ritiro della Francia
dalla NATO.
L’oggetto finale della politica europea del generale De Gaulle, non riguardava solo la
parte occidentale del continente ma prevedeva la costruzione di un’Europa
“dall’Atlantico agli Urali”. L’Europa occidentale sarebbe solo servita da base per la
costruzione di un’Europa più larga comprendente i paesi comunisti dell’Est e la
penisola iberica. La Francia, fu, quindi, il paese che più di tutti si adoperò per
“lanciare” la nuova Europa. Si trattava di cominciare al più presto quello che era
possibile intraprendere nel campo della politica estera e, in conseguenza, in quello
della difesa. Nell’immediato, voleva dire riunire i governi, farli discutere e lavorare
insieme, decidere azioni comuni possibili, creare organi amministrativi cioè, in poche
parole, fare di tutto per abituarsi ad una “vita in comune”, per preparare le evoluzioni
che avrebbero poi condotto ad altri progressi e, in modo particolare, alla creazione
delle istituzioni indispensabili. Queste, furono le ragioni che spinsero la Francia a
presentare agli altri paesi europei tra il 1958 ed il 1963, tutta quella serie d’importanti
proposte che nel campo della diplomazia furono nominate (e ricordate) con il nome di
Progetti Fouchet.
Le relazioni tra il Generale e i differenti media (carta stampata, radio e televisione)
sono sempre stati specifici. Se la radio è stata l’oggetto della provvidenza e la
televisione un asso eccezionale, la carta stampata, al contrario, fu un “amore non
corrisposto”. Eppure il generale De Gaulle amava utilizzarli tutti, i media, per
comunicare le sue leggendarie conferenze stampa dell’Eliseo e le sue idee e decisioni
politiche. Ho scelto alcune di queste “relazioni” per mostrare la contraddizione base
al riguardo: i media hanno fatto di questo personaggio un “anti-europeo” allora che
nei fatti è lui che, negli anni sopra citati, “costruì” l’Europa.
Con questo lavoro sulla relazione De Gaulle – Europa e quindi sull’analisi dei
progetti Fouchet, ho voluto rispondere alle principali domande che mi sono sempre
posto spinto da un interesse personale sul tema “Europa” e dal mio essere “metà
francese”: quale fu il contributo del generale all’opera di ricostruzione del vecchio
continente? Qual è e quale sarebbe potuto essere l’avvenire dell’Europa e, soprattutto,
quale fu la posizione della Francia?
Per rispondere a tutte queste domande ho suddiviso il lavoro in tre parti. La prima
vuole essere una presentazione generale di Charles de Gaulle per poterne capire il
pensiero, le idee ed il suo “strano” modo di “vedere le cose”. Ho quindi analizzato
concetti che erano cari al generale come quello della definizione dello Stato-Nazione,
di quello legittimo e personificato e delle differenze tra i termini federazione,
confederazione e sovranazionalità.
La seconda parte analizza, invece, l’anno della svolta, il 1958, anno in cui la
diplomazia francese incominciò il suo cammino “per l’Europa”, con occhio di
riguardo alla situazione internazionale e a quella della politica interna della Francia.
Nella stessa parte compaiono le riunioni trimestrali dei ministri degli Affari Esteri di
sei paesi europei, vero e proprio preludio ai Piani Fouchet.
Per completare, la terza parte analizza le tre versioni dei Progetti (o Piani) Fouchet
con, come introduzione, le proposte Palewski e Billotte del 1951 e quella di Debré
del 1949 e 1953, considerati atti precursori dei Progetti Fouchet stessi.
Il sogno di Charles de Gaulle, quello di vedere un’Europa dall’Atlantico agli Urali,
rimase per lui solo un sogno politico visto che si accontenterà di costruire un’Europa
franco-tedesca. Attualmente, nelle loro decisioni, i responsabili europei s’ispirano, in
un qualche modo, costantemente, alla concezione gollista ovvero quella della
creazione di un’Europa delle Nazioni con un Consiglio dei ministri sovrano.
Oggi, probabilmente, quello stesso sogno non è andato perso visto che la
costruzione o meglio la ricostruzione dell’Europa continua lentamente, giorno dopo
giorno, il suo cammino verso il futuro…
CAPITOLO PRIMO
I. I TEMI DEL PENSIERO DEL GENERALE CHARLES DE
GAULLE
Durante i primi anni 50 sembrava ci fosse un solo oggetto di conversazione nelle
ambasciate e nei ministeri degli Affari Esteri dell’Ovest: de Gaulle. Improvvisamente
tutti parevano accorgersi che ne sapevano molto meno su quell’uomo strano di
quanto avessero creduto fino a quel momento. Che cosa stava preparando? Quali
erano le sue mire? Poteva veramente apprestarsi a distruggere le alleanze dell’Ovest
e, eventualmente, in questo caso, sarebbe stato per ambizione personale o perché
nascondeva un grande progetto segreto?
Poche persone hanno potuto studiare con più attenzione il fenomeno de Gaulle
quanto il Generale stesso. Rappresenta un esempio raro: quello di un uomo che ha
inventato la propria personalità. L’idea di un superuomo personificante il destino
della nazione occupò il suo spirito fin da giovane. La mistica di uno Stato-Nazione,
supremo depositario dei tentativi umani e la sua controparte, il bisogno di incarnarlo
in un solo capo, non è stata però inventata dal Generale. Egli è cresciuto in un’epoca
in cui lo sciovinismo, sostenuto da grandi dottrine filosofiche, era al suo massimo.
Secondo il suo ministro dell’Interno a Londra, Emmanuel d’Astier, de Gaulle stava
per fare di Nietzsche, di Charles Maurras e di Macchiavelli, una miscela
completamente personale.
1
1
Nora Beloff, Le Géneral dit non, Paris, ed.Plon, 1963, pag.23
È certo che vi è una buona dose di Nietzsche nel superuomo che de Gaulle ha creato e
che è poi diventato. Tuttavia la sua educazione e le sue convinzioni cattoliche gli
vietavano radicalmente di accettare il culto della violenza fisica ed il totalitarismo,
propri ai discepoli del filosofo. Mai fece parte di quei Francesi di destra che, negli
anni 30, si lasciarono trascinare in fazioni estremiste. Le accuse di “fascista” lanciate
contro di lui durante il periodo della guerra e poi, più di recente, sono completamente
ingiustificate.
Da Charles Maurras, monarchico, prende invece l’idea del “paese reale” al quale si
rivolge il patriottismo, fenomeno distinto dal “paese legale” o nazione espressa nelle
istituzioni esistenti. Quando nella prima e celebre frase delle sue Memorie, de Gaulle
dice: “Toute ma vie, je me suis fait une certaine idée de la France”, parla proprio del
paese reale, uno splendore senza uguali staccato da quel paese legale, quella Terza
Repubblica che disprezzava.
2
È ugualmente da Maurras che attinge alla profonda
tendenza monarchica che si fa strada nel suo pensiero: l’idea del capo piazzato al di
sopra dei partiti politici ed incarnante la nazione intera.
Nella sua, forse, più celebre opera, “Au Fil de l’Epée” del 1932, il Generale rivela il
terzo ingrediente della sua miscela: Macchiavelli e l’idea di un principe liberato dagli
schemi abituali della coscienza e al quale sono necessari una forte dose di egoismo,
orgoglio, durezza e furbizia. Queste quattro “qualità” de Gaulle le sviluppò fino al
limite estremo durante i suoi due “regni”.
Egoismo. Il “Io, generale de Gaulle”, portato per la prima volta a conoscenza dei
Francesi dalla BBC durante la guerra, è, nello spirito del Generale stesso,
l’incarnazione della Francia, la nazione più importante, a suo avviso, del più
importante continente del mondo.
Un giorno quando, all’Eliseo, dei visitatori poco perspicaci fecero allusione ai
predecessori di de Gaulle intendendo i vecchi occupanti del palazzo presidenziale, lui
stesso li bloccò affermando: “Signori, sappiate che de Gaulle non ha predecessori !
”.
2
In italiano: “Per tutta la vita mi sono fatto una certa idea della Francia”
Orgoglio. Nella condotta degli affari dello Stato, l’orgoglio del Generale ostacolò
spesso l’azione: mai chiese di vedere qualcuno e se ci si voleva intrattenere con lui
bisognava chiedere un’udienza. Il risultato di questa attitudine fu che importanti
personalità francesi ed estere, uomini d’affari, politici, non varcarono mai la porta
dell’Eliseo. De Gaulle perse così consigli preziosi, aiuti sotto ogni punto di vista, ma
poco contava, era troppo fiero per chiedere quello che desiderava.
Durezza. Quelli che erano in stretto contatto di lavoro con il Generale furono
sempre sorpresi della sua indifferenza verso il benessere dei suoi collaboratori e
sostenitori. Più volte suoi ministri si ritrovarono a dover fare eseguire decisioni che
egli stesso aveva preso senza consultarli: un suo ministro degli Esteri disse una volta
ad una cena che sarebbe stato interessante essere “un vero ministro degli Esteri” e
quando un altro chiese il licenziamento a causa della sua poca capacità di azione gli
fu risposto “Ho ancora bisogno di lei”!
De Gaulle è impermeabile ai sentimenti, prima di ogni altra cosa egli è un militare.
Contro le torture in Algeria commentò solamente: “Il sangue asciuga velocemente”.
Furbizia. Un esempio di machiavellismo e di pura furbizia, forse il più scandaloso,
fu il modo in cui il Generale, dopo avere visto i suoi predecessori rovesciati con
l’accusa di prendere in considerazione un accordo con l’Algeria, prese il potere e
poco a poco costrinse l’Esercito e la Nazione a cedere ai ribelli, motivo per il quale
avevano combattuto fino ad allora. Al contrario di un mito coltivato dai gollisti, de
Gaulle non aveva sempre creduto all’indipendenza dei possedimenti della Francia
oltremare. Durante il suo ritiro a Colombey il Generale si abituò all’idea che
l’evacuazione dell’Algeria fosse inevitabile e nel 1958, di ritorno all’Eliseo, la sua
prima cura fu quella di assicurarsi della lealtà dell’Esercito e cominciò a giocare con
esso un gioco di ambiguità così come con i coloni francesi in Algeria ed i musulmani
stessi. Improvvisamente il Generale accettò di abbandonare l’Algeria al FLN, il
Fronte di Liberazione Nazionale di quel paese.
Spesso e giustamente, alle Nazioni Unite e altrove, si è manifestata una viva
inquietudine a proposito del numero di perdite subite dai nazionalisti arabi durante i
sette terribili anni di quella guerra ma ben poco si è detto delle migliaia di “amici”
della Francia che sono morti credendo alle promesse di Charles de Gaulle.
Macchiavelli aveva ragione: dopo avere ingannato tutti il Principe era diventato più
forte, a casa sua e all’estero.
Questo era il generale de Gaulle.
I.1. La nozione dello Stato-Nazione
La nozione dello Stato-Nazione ha sempre espresso una delle preoccupazioni
maggiori della riflessione di de Gaulle, della sua filosofia politica e, più tardi, della
sua azione.
Questa ideologia dello Stato ha una triplice origine:
1. Dal movimento di riforma dello Stato stesso che dagli anni 1930 raggruppa diversi
grandi nomi della politica;
2. Dalle concezioni di alcuni giuristi della Resistenza al primo posto dei quali figura
Michel Debré;
3. Dalle circostanze politiche stesse in mezzo alle quali de Gaulle ha costruito la sua
azione e approfondito la sua riflessione politica e che hanno giocato senza dubbio
un ruolo determinante.
Una grande nozione domina il pensiero gollista: lo Stato è fondamentalmente la
creazione di una volontà, di un potere politico, una organizzazione che dirige
l’insieme dei cittadini. E’ una concezione originale dei rapporti tra lo Stato e la
Nazione: lo Stato creato, restaurato dal potere.
Lo Stato preesiste alla Nazione. Secondo il Generale de Gaulle, è il potere militare
o il potere politico affermato per la sua missione di difesa che crea lo Stato il quale
riesce a vivere, dunque, perché un potere lo genera, gli dà vita, eventualmente lo
restaura quando una forza precedente lo ha svuotato della sua sostanza fondamentale.
Lo Stato non appare più come un semplice risultato giuridico nonostante de Gaulle
riconosca l’importanza evidentemente fondamentale della costruzione intellettuale e
astratta fondata sugli elementi preesistenti: il territorio, il gruppo, la nazione. Perché
se il potere è il creatore dello Stato, riposa comunque su questi, insieme coerente
riunito per un ideale e un interesse comune. Fattore importante nell’unità della
collettività nazionale, il potere appare come l’elemento essenziale della creazione
dello Stato. Per creare, assicurare o restaurare lo Stato, due condizioni appaiono
fondamentali: che sia legittimo e che sia incarnato.
a) L’esigenza della legittimità
Il problema della legittimità si situa, innanzi tutto, al livello del Potere prima di
porsi a quello dello Stato. Dal canto suo, de Gaulle, ha sempre messo al primo posto
l’indipendenza e l’unità della Nazione. E’ proprio questo “tesoro caduto in
disgrazia”, essenziale della “sovranità francese”, che accetta consapevolmente a
Londra. Il capo della Francia Libera, lì afferma la legittimità del suo potere costruita
su quei due concetti fondamentali - l’indipendenza e l’unità - prima di ricostituire
lentamente gli elementi costitutivi dello Stato: il territorio, l’unità nazionale e infine
l’organizzazione politica e giuridica. Il potere appare dunque nettamente, nella
riflessione e nell’azione, come il fondamento della sua legittimità.
Se de Gaulle impersona lo Stato alle diverse tappe della sua azione politica, è che
impersona prima di tutto un potere legittimo i cui due sopra citati valori si
immergono e si perdono nella Storia millenaria della Nazione. L’esercizio di un
potere è stato quindi, prima di tutto, l’affermazione di una legittimità. Si tratta di una
legittimità del potere nella quale de Gaulle vede la giustificazione suprema e la
spiegazione fondamentale del ruolo essenziale del potere nella creazione o nella
restaurazione dello Stato.
Per de Gaulle, il potere legittimo deve essere incarnato da un uomo di carattere,
soprattutto nei momenti storici. Durante un discorso a Bayeux il 16 giugno 1946
dichiarò: “...quando gli eventi diventano gravi, quando il pericolo diventa
incombente, una specie di lama spinge in primo piano l’uomo di carattere...dove si è
mai visto che una grande opera umana sia stata mai realizzata senza che si sia
notata la passione di agire di propria spontanea volontà di un uomo di carattere?”.
Prosegue: “La salvezza dovrebbe venire d’altrove...Viene prima di tutto da una élite,
spontaneamente emersa dalle profondità della Nazione e che ben al di sopra di ogni
preoccupazione di partito o di classe, si dedichi alla lotta per la liberazione, la
grandezza e il rinnovo della Francia...”.
Come non fare allusione qui all’uomo “della provvidenza” comune al
tradizionalismo e al nazionalismo francese, al ruolo dei “grandi uomini” e degli
“eroi” di cui parla il filosofo Hegel a proposito della fondazione o della restaurazione
dello Stato. L’azione politica del generale de Gaulle si porrà in questa prospettiva. Il
potere è poco concepibile senza una forte personalità per il suo esercizio. L’idea
fondamentale è che “l’autoritas” con il prestigio del capo, sia direttamente legata
all’insieme dei valori essenziali che assicurano la coesione del gruppo. E’
assumendoli che il capo assicura la legittimità di un potere fondato, secondo le
circostanze, a creare, ristabilire o restaurare lo Stato. Questa legittimità è, nel caso di
de Gaulle, il prodotto di una situazione storica, la sua concezione è molto chiara:
l’autorità e il potere valgono solo nella misura in cui sono gli strumenti di questi
valori essenziali che formano l’idea del diritto e danno a quello che li incarna la sua
profonda legittimità. E’ la congiunzione, l’adesione del potere all’idea del diritto che
fonda la sua legittimità indispensabile nella sua missione verso lo Stato.
b) Lo Stato garante della Nazione
Partendo dal presupposto che l’Europa è formata da nazioni indistruttibili, esistenti
da secoli, per de Gaulle, la Nazione è una condizione fondamentale dell’esistenza
dello Stato. Dà ad esso e al potere un assesto etnico, linguistico, sociologico,
psicologico e culturale determinante. Ma modellata dalla Storia, la Nazione, nella
concezione gollista, è in una qualche misura il prodotto dello Stato. In questa ottica
storica lo Stato ha progressivamente creato la Nazione e proprio l’azione dello Stato
appare decisiva come agente di solidarietà: consolidando la coesione del gruppo,
concretizzando le sue speranze e le sue ambizioni, assumendo le funzioni di difesa
del territorio, rinforza sempre l’idea e il sentimento della Nazione. Se lo Stato,
essendo il prodotto e lo strumento del potere, può e deve dimorare in simbiosi
profonda con le aspirazioni della Nazione, questa non può apparire come il fattore
unico e determinante delle origini dello Stato. Creatore della Nazione, lo Stato ha
come missione storica la difesa contro i pericoli del mondo esterno e i fermenti di
divisione. Lo Stato è al tempo stesso l’ossatura della Nazione, la condizione della sua
sopravvivenza, il suo difensore contro le prove esterne ed interne che la minacciano.
Il Generale ritiene che la Francia possa mantenersi solo tramite lo Stato. Esso non
si limita quindi a consacrare definitivamente il destino della Nazione in una unità
politica e giuridica ma é la condizione indispensabile della sua esistenza. Secondo de
Gaulle, lo Stato non potrebbe essere assimilato alla Nazione. Lo Stato appare come la
creazione essenziale del potere, incarnato da dei governanti le cui volontà, le azioni,
perfezionano la Nazione creando lo Stato che la consacra.
I.2. Lo Stato legittimo e personificato
Per de Gaulle, lo Stato appare essenzialmente come la sede
dell’istituzionalizzazione del potere. Due temi dominano la sua riflessione in questo
campo: la legittimazione dello Stato, la sua organizzazione e l’esercizio del potere
nello Stato.
L’unica giustificazione del potere politico creatore dello Stato è d’incarnare la
legittimità, fondata essenzialmente sulla simbiosi del potere e “dell’idea di diritto”.
L’origine di questa simbiosi nell’ottica del Generale de Gaulle riposa su “l’interesse e
il sentimento della Nazione”. Lo Stato creato o restaurato deve a sua volta beneficiare
di questa legittimità sotto pena di vedere la sua propria esistenza minacciata. La
legittimità dello Stato dipende da due condizioni essenziali: il consenso della Nazione
al potere così istituzionalizzato e il fatto che lo Stato sia incarnato, quindi
espressione, concretizzazione del consenso nazionale.
a) Il consenso
Lo Stato è legittimo perché riposa sull’interesse ed il sentimento della Nazione.
Due temi dominano il problema della legittimità: l’adeguazione dello Stato e della
Nazione, l’adesione dei cittadini allo Stato.
De Gaulle si ricollega, sul problema fondamentale della legittimità, alla nozione
classica dello Stato - Nazione. Ne estrapola la sua concezione a proposito della
sovranità nazionale, fondamento assoluto della legittimità dello Stato affermando che
è proprio l’esigenza di esprimere le aspirazioni profonde della Nazione che stabilisce
questa legittimità. L’adesione della nazione, il consenso popolare, è quindi proprio la
condizione imperativa della legittimità dello Stato e quasi quella della sua esistenza.
Lo Stato deve apparire come l’espressione della Nazione. De Gaulle si definisce a più
riprese come dovendo essere per natura al di sopra dei partiti, dei feudalesimi, delle
fazioni, delle organizzazioni e delle categorie. Lo Stato non saprebbe essere la
giustapposizione degli interessi particolari ma, al contrario, la rappresentazione e lo
strumento dell’interesse generale. “Noi vogliamo che lo Stato sia lo Stato e non più
un puzzle di contrattazioni e di rivalità...l’unità nazionale può essere rifatta solo da
uno Stato abbastanza giusto e forte per imporre l’interesse generale a tutti gli
interessi centrifughi o particolari e per guarire le ferite che lacerano la Nazione”
sostiene de Gaulle.
3
b) Lo Stato personificato
Lo Stato deve essere una realtà e deve essere personificato. La quasi identificazione
del generale de Gaulle allo Stato trova il suo punto di partenza nella legittimità
nazionale, il potere legittimo.
Questa legittimità è doppia e ambigua: metà monarchica, metà democratica. Tanto lo
Stato quanto il detentore del potere a l’occorrenza confusi, sono l’espressione della
nazione. A proposito di questa concezione, de Gaulle parla della “specie di
monarchia che ho testé assunto e che ha in seguito confermato il consenso
generale”.
4
La concezione dello Stato personificato non è senza rischio per l’idea e la realtà dello
stesso. Essa tende a confondersi con il fenomeno di personalizzazione del potere.
Assimilare lo Stato al potere in nome della legittimità comune non potrebbe metterlo
in pericolo? Il fatto che il potere e lo Stato siano riuniti e personificati allo stesso
tempo da una sola persona esprimente la sovranità nazionale, non potrebbe fare
sparire lo Stato stesso dietro quella persona che ne è a capo?
3
C.de Gaulle, Mémoires de guerre - L’Unité, 1942-1944, Tome II, Paris, Plon, 1956, pag.81
4
C.de Gaulle, Mémoires de guerre - Le Salut, 1944-1946, Tome III, Paris, Plon, 1959, pag.237