Introduzione
5
Si tratta di un cinema caratterizzato da una forte
componente realistico/spettacolare e da un evidente desiderio
di coniugare il “vero” con il limbo magico del mito seguendo
la strada dell’epos più puro e sincero.
D’altro canto, prima ancora della sorprendente
capacità cinematografica del regista romano, ho riconosciuto
(e se mi è permesso, straordinariamente amato) l’umore
intimamente nostalgico e l’affettuosa (quando non proprio
amorevole) malinconia che Leone infondeva nelle sue opere.
Mi è sembrato quindi consentito e appropriato costruire
un’analisi della sua opera filmografica partendo da questo
approccio, nel tentativo (forse fin troppo personale e
ambizioso) di aprire nuovi varchi alla critica leoniana
tentando altresì di connettere l’opera del regista ad altro
cinema western e non.
Che il regista, i temi e la sua “fanciullesca” poesia siano
alla base del mio interesse sarà dunque evidente fin dalle
premesse biografiche trattate in maniera non convenzionale e
forse poco accademica: ma l’intento non è mai stato quello
di produrre una sterile e infantile agiografia né quello di
voler andare a tutti i costi controcorrente. È che, come
succederebbe con molti altri registi, parlare di Leone ha
implicato, nel mio caso, fare anche un notevole sforzo di
sottrazione, ovvero porsi di fronte al suo cinema anche con
Introduzione
6
l’ottica contraria o con quella dello studioso distaccato, nel
tentativo di essere più imparziale, più obiettivo e, di
conseguenza, più concreto possibile. Mi rendo conto, altresì,
che tale sforzo non sempre ha dato grandi risultati o non
sempre si è veramente concretizzato nella pagina scritta.
Infatti, talvolta purtroppo, la passione, pur senza prendere il
sopravvento, mi ha spinto a scrivere pagine critiche forse
azzardate, specie se considerate all’interno delle
consuetudini accademiche.
Seguendo inconsciamente il metodo induttivo di Leone,
che nel concepimento di un film partiva da una singola idea
messa a fuoco e poi allargava sempre di più il raggio
d’azione, anche io, dopo innumerevoli altri progetti
abbozzati e scartati, sono dunque partito, in parte ignaro di
ciò che mi avrebbe realmente aspettato, con l’intenzione di
circoscrivere all’interno dell’universo cinematografico del
regista il tema della nostalgia. Motivo che si è poi arricchito
inevitabilmente dei riverberi derivanti da altri temi ad esso
connessi, come quelli della memoria, del dolore, della
malinconia.
Partendo dunque dall’inevitabile necessità di illustrare il
background di Leone, non mi sono poi sottratto al dovere-
piacere di esaminare la prima fase dell’opera leoniana, quella
maggiormente tesa a stupire prevenendo i desideri spettacolari
Introduzione
7
del pubblico. Infatti, se da una parte l’anima anche commerciale
ha finito per produrre stonature e/o, talvolta, risultati medi che,
fra l’altro, hanno finito poi per condizionare gli atteggiamenti
della critica nei riguardi di Leone, dall’altra le prime esperienze
leoniane nell’universo western hanno avuto un’importanza
straordinaria assolutamente innegabile nel rompere una
tradizione obsoleta. Oltretutto, queste opere costituiscono spesso
il sostrato tematico e stilistico che poi è possibile rintracciare nei
film della cosiddetta maturità, ovvero gli ultimi tre film di Leone
che questa tesi si propone di scandagliare in profondità, sempre
con l’occhio attento a non perdere di vista, di fronte a tanta
ricchezza di espressione e di contenuti, il tema primario e
fondamentale della nostalgia. La volontà, quindi, di riconnettere
tutte le opere già di per sé omogenee attraverso varie linee guida
ha obbligato l’assunzione di una analisi precisa e improntata alla
rivelazione/rilevazione del filo rosso del sentimento della
nostalgia ma aperta a tutti gli stimoli atti a gettare luce sulle
complessità del cinema di Leone.
La tesi si è proposta quindi di esplorare l’universo
cinematografico leoniano sia dal punto di vista storico sia -
soprattutto direi - dal punto di vista critico. Nonostante il
progetto di ricerca fosse particolarmente sentito, ho cercato di
far interagire positivamente l’interesse e la passione personale
con lo sguardo obiettivo richiesto agli studiosi, in questo caso
Introduzione
8
atto a recepire, nel corpus filmografico e nell’unità/disunità
stilistica, umori e peculiarità intrinseche, ispirazioni lontane e
vicine, novità apportate e lasciti ampiamente testimoniati. Da
una parte ho cercato di rinnovare il discorso su Leone rilevando
l’importanza della sua opera cinematografica attraverso una
visione priva, se possibile, di pregiudizi e di vincoli critico-
dogmatici, dall’altra mi sono rifatto agli studi e alle
interpretazioni già fornite da altri esperti, studiosi, competenti
nel tentativo di confrontare ipotesi discordanti ma fertili e di
verificare opinioni non correnti ma stimolanti. Lo scopo ultimo
è stato ovviamente quello di arricchire l’analisi delle opere prese
in considerazione in maniera più dettagliata, ovvero la
cosiddetta trilogia americana, e le varie dinamiche storico-
cinematografiche concernenti, non già nella vana ricerca della
esaustività ma per dare peso alle voci di diverso genere che nel
passato presente e in quello remoto hanno a loro modo
affrontato e cercato di illustrare l’argomento.
Per ottenere simile risultato ho fatto ricorso, pur cercando di
non appesantire troppo l’elaborato, a vere e proprie
estrapolazioni dalle sceneggiature dei film di Leone e a
un’intervista inedita con un importante collaboratore, Sergio
Donati, suo sceneggiatore di fiducia. In generale, tuttavia, per
difficoltà tecniche implicite e a volte insormontabili ma anche
per l’ambiguità e la ricchezza delle immagini di Leone – che per
Introduzione
9
la loro alta funzione simbolica darebbero vita ogni volta a interi
corpus separati – ho preferito mantenermi nell’ambito di
un’analisi più globalmente teorica, dove però il generale e il
particolare si riflettessero rendendo possibile rintracciare echi e
corrispondenze nei singoli film o addirittura in singole sequenze,
se non in dettagli e simboli.
Introduzione
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Ringraziamenti
Tra tutti quelli che hanno sostenuto questo mio progetto, tengo a
ringraziare quelle persone/enti a me lontani e/o ignari che, in un modo o
nell’altro, sono stati da me coinvolti; li ricordo in ordine casuale di
memoria, e non certo secondo una scala di importanza: il cortese Sergio
Donati, un gentiluomo vero che si è reso disponibile per l’ennesima
intervista e grazie al quale ho potuto ricevere preziosi consigli e validi
suggerimenti in brevi ma intense corrispondenze informatiche; Luca
Beatrice, altrettanto gentile e paziente; il Centro Comunale S. Biagio di
Cesena (FC), per la disponibilità dello staff e la ricchezza dei testi
posseduti; Cristiano Valsecchi, per alcune utili fotocopie e qualche
registrazione; Ennio Morricone, per avermi sorpreso ed emozionato in
una ventosa vigilia di Natale; la Opera Film, soltanto per avere letto la
mia richiesta di intervista; Davide Pulici e Roberto Curti di Nocturno, per
la cura con cui mi hanno segnalato opere e articoli degni di nota; Carlos
Aguilar, per avermi spedito dalla Spagna una copia del suo prezioso libro
senza nemmeno conoscermi; l’Istituto della Biblioteca dell’Università di
Warwick (Regno Unito), per l’incredibile patrimonio video e cartaceo
posseduto e messo facilmente a mia disposizione come a quella di
chiunque e per l’invidiabile gentilezza dei suoi impiegati; Vito Casale e
gli amici/colleghi di CentralDoCinema, per le opinioni e la voglia di
creare; Roberto Lasagna, per avermi spedito da Alessandria una copia
del suo misconosciuto libello e, insieme ai “soliti ignoti”, per avermi
garbatamente accolto durante un incontro; lo staff della Biblioteca della
Scuola Nazionale di Cinema di Roma, per la premura con cui mi ha
segnalato opere rare in loro possesso; lo scenografo Carlo Leva, per una
amichevole chiacchierata su Leone; Martin Pumphrey, tutor presso
l’Università di Warwick, per avermi permesso di vedere su grande
schermo la versione inglese di C’era una volta il West; Alessandro
“Gizmo” Gori, per le interminabili e non terminate discussioni
sull’(assenza di) etica in C’era una volta in America; Riccardo Sai,
raffinato conoscitore di libri e fumetti; Giampiero Frasca, per essersi
interessato al mio lavoro; Antonio Monda, per la gentilezza; Sergio
Mura, per la competenza che lo contraddistingue; Lorenzo Letizia, per
avermi fornito “l’impossibile”.
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
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- Capitolo Uno -
“Per un pugno di date”:
Cenni biografici ed esordi
Il reale va bene, l’interessante è
meglio.
(Stanley Kubrick)
Nulla si sa, tutto si immagina.
(Fernando Pessoa; ripreso ne La voce
della luna, Federico Fellini)
Intellettuale dall’anima popolare e, almeno a giudicare dalle
numerose fotografie che lo ritraggono, quintessenza della
“romanità”, con il barbone semincolto, la voce roca e profonda,
gli occhietti acuti in un faccione severo ma dai tratti gentili e
l’appetito vorace da Mangiafoco uscito da qualche vivida strofa
di Trilussa o del Belli, Sergio Leone nacque, a Roma, il 3
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
12
gennaio 1929, figlio unico e ambito di Vincenzo Leone e di
Edvige Valcarenghi, rispettivamente regista e attrice di cinema.
Romano figlio di non romani (il padre era di origini
campane, la madre friulana) o, meglio, trasteverino fin dalla
prima infanzia, giocata fra i viali e i vicoli del quartiere, fra
amici spesso più grandi e tutt’altro che immaginari e un
“nemico” contingente a proiettare ombre inquietanti dietro le
spalle come in un film muto di Fritz Lang.
Un nemico, il fascismo, e un periodo storico, quello degli
anni Trenta del giovane Sergio, che tuttavia avrebbero potuto al
massimo piegare od osteggiare l’attività artistica del padre – agli
occhi di qualcuno passibile di condanna per come intristiva la
realtà coi suoi “drammoni” cupi e ottocenteschi – ma che invece
potrebbero col senno di poi anche avere temprato il pensiero e la
filosofia del regista. Come sottolinea Fofi, ad esempio, e come
risulterà anche dall’intervista allo sceneggiatore Sergio Donati
posta in appendice.
[…] la mitizzazione della cultura americana è stata un
fatto degli anni del fascismo, come reazione al clima
stagnante e come idealizzazione di un mondo pieno sì di
contraddizioni e di conflitti sociali e razziali, ma libero e
coraggioso nella denuncia, “messaggio e risposta
orgogliosa ai problemi del mondo”
1
.
1
Goffredo Fofi, “Introduzione”, in Raymond Bellour (a cura di), Il
Western - Fonti, forme, miti, registi, attori, filmografia (edizione
italiana a cura di Gianni Volpi), Feltrinelli Editore, Milano, 1973, p.
11
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
13
Fascino che tuttavia, a livello di massa, come sostiene Fofi
in un excursus straordinario per brevità e intensità di analisi (in
nuce anche del cinema leoniano),
[…] si era già espresso attraverso il cinema, e continuava
a esprimersi nei limiti possibili, per poi esplodere con
l’immediato dopoguerra. Erano gli anni d’oro (dal punto
di vista della frequenza) dello spettacolo cinematografico,
e il cinema americano offriva varietà di generi, stelle
affermate, evasioni sicure, ma anche problematiche
abbastanza nuove, pur se nascoste tra le pieghe del
racconto, ancorché tutte risolte in azione e in favola. Era
il “sogno americano di una cultura unitaria che trasferisse
grazie al cinema i valori della società Usa in patria e nel
mondo”. [E in questo] il western non era allora così
problematico come oggi, era nella sua fase di esaltazione
di una sempre nuova frontiera e proponeva rozzi ritorni
naturali. […] Il cinema americano e quello western in
particolare (i dubbi erano riservati al film nero che, sulla
scia di Hammett e Chandler, scopriva spesso nidi di
vipere dietro eleganti apparenze), aveva forza nei suoi
messaggi per la sua capacità di essere dovunque, di
costruire miti, di, soprattutto, nascondere le sue morali in
azioni scintillanti di rapidità, concisione, speditezza.
Ancor oggi, si subisce dal western anche un messaggio
reazionario perché la sua astrazione avventurosa
raramente riesce a irritarci ideologicamente, in fondo
predisposti a “stare al gioco”, mentre con altri “generi” ci
troviamo meno “scoperti”, più armati di rigore. Il
western ci proponeva un mondo chiaro di naturalezza e di
movimento, senza dubbi. Era l’America dell’infanzia,
luogo fuori della storia e della geografia, luogo
dell’avventura e della disponibilità eroica. Poi piano
piano vennero i dubbi, […] e vennero le revisioni. E i
western, da luogo privilegiato della regressione, sono
lentamente diventati quasi strumenti di riflessione e di
“presa di coscienza”. Ma ciò che li distingue ancor oggi
rispetto ad altri generi è proprio questa mescolanza di
regressione e di maturità, fedeli a degli schemi e a un
paesaggio ben noto e nello stesso tempo consoni alla
riflessione presente e alla crisi presente. I western – e non
i film – sono “better than ever” proprio per questa loro
possibilità di parlare dell’oggi attraverso metafore
riconoscibili a tutti, attraverso schemi che sono
patrimonio comune come un tempo lo furono le chansons
de geste o i romanzi d’appendice.[…] Soddisfa la nostra
sete di evasione, […] e soddisfa anche la nostra sete di
conoscenza presente
2
.
2
Goffredo Fofi, Ivi, pp. 11-13
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
14
Certo è che il Leone degli anni Trenta aveva già imparato a
trascurare la realtà fenomenica, a favore di una visione ludica
ancora più che artistica della vita: come è facile verificare
praticamente in qualsiasi valido volume dedicato a Leone, il
fatto che il regista ripetesse con puntuale precisione di avere
mancato di poco la nascita dentro una sala cinematografica è
sintomatico. Nella Roma mussoliniana apparentemente
tranquilla, il futuro regista aveva quasi sicuramente più
dimestichezza con il mondo dei set del padre che con quello
della quotidianità circostante o, perlomeno, era già il primo ad
attrarlo inesorabilmente. Un fascino alimentato e arricchito,
inoltre, dalle esperienze concrete della sua prima giovinezza, che
col senno di poi si sarebbero rivelate fonte di ispirazione e cuore
tematico della sua futura opera cinematografica: le attività
ludico-competitive con gli amici e soprattutto, forse, la
folgorante scoperta dell’America
3
, del suo mito ma anche delle
sue contraddizioni, compiuta attraverso le più disparate forme di
intrattenimento popolare, come il cinema, la letteratura, il
fumetto.
Leone sviluppa, chissà per quali vie autobiografiche, una
passione forse già innata, quella piuttosto comune d’altronde,
per la violenza e si lascia consapevolmente sedurre dal western
3
Mi pare corretto sottolineare una volta per tutte che, nel caso di
Leone, con il termine geograficamente improprio di America sono da
intendersi solo ed esclusivamente gli Stati Uniti d’America.
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
15
che col tempo impara a conoscere a fondo e a rispettare. Il
minimo comune denominatore fra i due interessi è certamente la
nostalgia per un mondo ormai irrimediabilmente perduto con
l’arrivo della moderna civiltà e delle sue istituzioni
fondamentali: al tramonto di un’epoca in cui la violenza poteva
ancora mantenere una sua dignità e un suo cavalleresco senso
dell’onore, era subentrata l’alba di un’epoca in cui la violenza
veniva (e viene) canalizzata, irreggimentata, parzialmente
modificata, strumentalizzata da chi detiene il potere e vuole
mantenerlo. In Leone, certo, non c’è nessuna pretesa filosofica,
ma se è vero che lo sguardo di un regista, per quanto morale e
obiettivo, riesce sempre a trapassare lo schermo, è altrettanto
evidente la preferenza accordata da Leone nei confronti di una
sanguigna rappresentazione della violenza: così come sarà
evidente l’indubbia simpatia attribuita da Stanley Kubrick al suo
protagonista Alex in Arancia meccanica (A Clockwork Orange,
1971). Una preferenza che ovviamente, come nel caso di Leone,
non gli permette mai di arrivare a giustificare i suoi atti ma che,
nonostante tutto, è stata travisata e addirittura ritenuta
pericolosa.
È proprio questa nostalgia, sempre più presente nelle opere
della maturità, a essermi parsa interessante e poco trattata per
uno studio più istintivo e partecipe ma tendenzialmente teorico
del cinema di Sergio Leone.
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
16
Un cinema che, nel suo modificarsi per restare, in fondo,
sempre uguale, è sempre stato piuttosto ghettizzato dalla
“intellighenzia” italiana e che invece, pur tra i suoi molteplici e
palesi difetti, è percorso innegabilmente da sicuri e vitali segni
di stile e da interessanti ricorsi tematici.
Un cinema sicuramente più viscerale che cerebrale e al
quale, perciò, si può ben addire l’epiteto, soltanto inizialmente
usato in funzione dispregiativa da un critico anglosassone, di
“spaghetti-western”, ma che è anche capace di “voli pindarici”
nei cieli del surrealismo e della metafisica e che, in ogni caso, è
onesto con sé stesso mantenendo e rispettando le promesse,
semplici o riduttivi quanto si vuole ma assolutamente dignitose,
del suo artefice: regalare emozioni e spettacolo. Perché, prima di
ogni cosa, come osserva Bezzi,
Leone non ha mai perso di vista la sua natura di
cantastorie, di affabulatore, di “mitografo”. Il rapporto
con lo spettatore è per lui massimale, egli è spettatore del
suo stesso processo creativo; egli, la sua memoria
cinematografica, il pubblico, addirittura l'idea dello
spettacolo sono protagonisti presenti dei suoi film. L'atto,
l'azione, la scena cinematografica, per esistere deve
"essere vista", nella realtà e nella finzione ha bisogno del
soggetto percipiente. Senza questo non esiste storia,
senza di esso esiste solo l'ignoto.
Ogni realtà, veritiera o fittizia, possiede un minimo
comune denominatore di due entità senzienti. Una agisce
rispetto all'altra, che ne recepisce l'agire, e viceversa. E
siccome la Storia è fatta di storie, ogni storia avrà un suo
narratore il quale in precedenza sarà stato spettatore-
fruitore della vicenda stessa. Questo è il cardine attorno
al quale ruota la mitologia, l'agiografia, la letteratura,
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
17
tutta l'arte, il cinema e soprattutto la memoria. Ognuna di
queste categorie non è che una rappresentazione, uno
specchio di realtà, una proiezione della vita. Leone nel
suo cinema [del mito, del cinema, della memoria] rende
evidente questo gioco di specchi
4
.
Il western come anima dell’America Leone lo aveva già
scoperto, dunque, proprio in quegli anni di rigido regime
autarchico: se già l’America come paese lontano e quindi
vagamente “esotico” aveva un suo fascino epico e un suo
potenziale mitico, soprattutto nell’immaginario fanciullesco di
un bimbo già di per sé predisposto all’uso e abuso della fantasia
personale, il fatto di assistere a spettacoli o di leggere
libri/fumetti chissà come arrivati e tradotti
5
(i film statunitensi,
regolarmente distribuiti sino al 1939, subirono un massiccio
blocco nei quattro anni seguenti e Leone, come i colleghi della
sua generazione, recupererà il “tempo perduto” velocemente)
accresceva senz’altro lo status di culto di quell’American Dream
ancora inconsapevole ma ben presto ossessione esistenziale e
artistica
6
.
4
Federico Bezzi, Veni, Vidi, Vici: metacinema di Sergio Leone, in
http://www.effettonotteonline.com/enol/index.html, dicembre 2003
5
Con chissà quanta verità, per un uomo che ha sempre detto di amare
l’ambiguità conferita a cose e fatti dal filtro del tempo, Leone disse, a
proposito di C’era una volta in America: “è un omaggio alle cose che
ho sempre amato, e in particolare alla letteratura americana di
Chandler, Hammett, Dos Passos, Hemingway, Fitzgerald. Personaggi
che, quando li ho conosciuti, erano proibiti in Italia. Li ho letti in
clandestinità ai tempi del fascismo, e come tutte le cose proibite hanno
assunto un significato anche superiore alla loro importanza effettiva”.
Francesco Mininni, Sergio Leone, L’Unità/Il Castoro (Editrice Il
Castoro), Firenze-Roma, 1995, p. 11-12.
6
Vale sicuramente la pena citare, a proposito dell’America e delle
affettuose nostalgie ad essa legate, una bella dichiarazione di Federico
Capitolo Uno. Cenni biografici ed esordi
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E se per un momento può apparire lecito che l’estensore di
queste pagine lavori anche di fantasia e proietti elementi
biografici sulla tela dell’opera cinematografica, piacerebbe
davvero pensare che, in quel periodo, Leone – luce fioca,
pantaloni abbassati, libro di Jack London sulle ginocchia –
passasse parte del suo tempo libero a leggere nel fetido cesso
comune di un modesto condominio, abbinando il piacere della
lettura a pratiche corporali quotidiane un po’ come il suo futuro
Noodles, magari aspettando una Peggy a cui mostrare
orgoglioso l’appendice della virilità maschile e maschilista,
mentre fuori la lotta per la sopravvivenza con relativi tentativi di
sopraffazione reciproca avrebbe tranquillamente continuato a
sporcare di sangue le strade e a rendere ancora più deserta una
città che per il coprifuoco forse assomigliava già a uno di quei
paesini fantasma della lontana frontiera.
Naturalmente, nulla stava così, in primo luogo perché le
condizioni economiche della famiglia Leone erano tutt’altro che
Fellini che si potrebbe benissimo immaginare essere stata detta da
Leone in persona: “Su quei vecchi giornalini a fumetti la mia
generazione ha trovato la possibilità di evadere e di contestare le
processioni, le adunate, i campi Dux. I ragazzi italiani, immiseriti
dalla Chiesa e dal fascismo, attraverso personaggi come Mio Mao, o
Bibì e Bibò, o la Checca, potevano finalmente sognare una vita
festosa. La vera letteratura americana non è stata solo quella dei
Faulkner e degli Steinbeck ma anche quella degli inventori di
Arcibaldo, di Petronilla, di Dick Fulmine, di Braccio di Ferro.
All’America abbiamo potuto perdonare tutto, anche l’imperdonabile,
grazie alle immagini liberatorie che ci ha regalato attraverso i suoi
fumetti e il suo cinema.” da Donata Righetti, “Quasi un film, di carta”,
in Il Giornale, martedì 17 luglio 1990, contenuto in Milo Manara,