6
dall’altro lato contiene la delega al Governo a disciplinare l’articolazione
di questo tipo di responsabilità (art. 11 della legge stessa).
Attuando tale delega il decreto recepisce i principi che spingono verso
una responsabilizzazione della persona giuridica, individuando in tale
intervento un presupposto necessario ed improcastinabile per la lotta
alla criminalità economica.
Infatti il Consiglio d’Europa ha da tempo segnalato l’esigenza di creare
un apparato sanzionatorio concretamente idoneo a tutelare gli interessi
(prevalentemente economici) dei Paesi partecipanti all’Unione europea,
che avesse come necessario referente anche le persone giuridiche.
Peraltro questa nuova prospettiva si inquadra nel più ampio progetto di
Corporate Social Responsibility (CSR), definibile come “integrazione su
base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed
ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti
Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari
delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (Bruxelles, 29
novembre 1996) e nella Convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione di pubblici
ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi 17 dicembre 1997).
In particolare la convenzione del 26 luglio 1995, insieme ai protocolli aggiuntivi del 27
settembre 1996, del 29 novembre 1996 e del 19 giugno 1997, adottati e firmati dagli
Stati membri nell'ambito del trattato sull'Unione europea (trattato di Maastricht),
costituiscono i primi elementi importanti di una base comune di tutela penale degli
interessi finanziari dell'Unione, nella misura in cui disciplinano taluni aspetti attinenti al
diritto penale e alla cooperazione giudiziaria in materia.
7
interessate”
3
. Con questo progetto si vuole andare oltre il semplice
rispetto della normativa, promuovendo una “cultura dalla responsabilità”
all’interno del sistema industriale.
Vengono, infatti, considerati tutti gli aspetti di un comportamento
socialmente responsabile alla luce delle relazioni che l’organizzazione
intrattiene con i suoi stakeholder (risorse umane, soci/azionisti, clienti,
fornitori, partner finanziari, Stato, enti pubblici e P.A.).
Si aggiunga soltanto che il D.Lgs. 231/01 interpreta l'esigenza, oramai
diffusa, di colmare un'evidente lacuna normativa del nostro
ordinamento, tanto più evidente in quanto la responsabilità della
societas è già una realtà in molti Paesi europei (Regno Unito, Francia,
Germania, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Svezia, Finlandia,
ecc.).
Un quadro della situazione europea è fornito dal Libro Bianco della
Commissione europea del gennaio 2005
4
che, nell’ambito di un’iniziativa
volta a rafforzare le possibilità di mutuo riconoscimento delle sentenze
penali, ha analizzato, Paese per Paese, l’esistenza di una forma di
responsabilità degli enti, un casellario o un suo equivalente specifico per
le sanzioni e le autorità giudicanti.
3
Libro verde del 2001 della Commissione europea: “promuovere un quadro Europeo per
la responsabilità sociale delle imprese”.
4
Libro bianco del 2005 relativo allo scambio di informazioni sulle condanne penali e
sull’effetto di queste ultime nell’Unione europea.
8
Ad esempio in Inghilterra sin dalla fine degli anni ’40, quando fu
ampliata la possibilità di conversione delle pene detentive in pecuniarie,
le imprese possono essere dichiarate responsabili per reati compiuti dai
propri vertici.
Nell’Europa continentale è la Francia ad aver fatto da battistrada nella
materia. La responsabilità delle società è stata, infatti, inserita nel
nuovo Codice penale in vigore dal 1994. Una stabilizzazione favorita
dall’assenza di un esplicito principio costituzionale di personalità della
responsabilità penale (come invece avviene in Italia in forza dell’art. 27
della Costituzione
5
).
In Francia, peraltro, l’estensione della disciplina anche agli enti pubblici
diversamente da quanto previsto in Italia, costituisce anche un rischio
per le possibili conseguenze che a dover pagare il prezzo del reato siano
gli utenti alle prese con possibili riduzioni o cancellazioni di un servizio a
causa delle decisioni dell’autorità giudiziaria.
La soluzione praticata dalla Germania è invece più vicina a quella
italiana, visto che ha scelto di non attribuire una forma di responsabilità
penale agli enti commerciali. La natura della responsabilità è invece di
5
L’art. 27, comma 1 della Costituzione, in forza del quale “la responsabilità penale è
personale”, è stato tradizionalmente interpretato come una conferma, anche a livello
costituzionale, del dogma “societas delinquere non potest” e rappresenta la causa
principale della tardivo riconoscimento della responsabilità “penale” degli enti. Anzi, il
dogma in questione ha potuto resistere così a lungo proprio grazie a questa norma
costituzionale che non trova riscontro negli altri ordinamenti europei e che assume una
notevole rilevanza nell’ambito di questo tema.
9
natura amministrativa per illeciti compiuti non solo dai vertici della
società, ma anche da parte di semplici dipendenti. La sanzione è
essenzialmente di natura pecuniaria, sia pure non inflitta attraverso il
meccanismo delle quote che, secondo la disciplina italiana, dovrebbe
permettere all’autorità giudiziaria una più efficace modulazione sul caso
singolo. Sono escluse, invece, le misure interdittive che, prese anche in
via cautelare, sono forse l’elemento caratterizzante dell’apparato
punitivo italiano.
Allargando poi il campo di osservazione fuori dall’Europa è possibile
rilevare che l’elenco dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di
Parigi del 1997
6
sia estremamente ampio e comprenda, tra gli altri, gli
Stati Uniti e l’Australia, ma anche il Giappone, la Corea, il Brasile e
l’Argentina. Una presa d’atto del fatto che la responsabilità penale per la
commissione di illeciti viene formalmente attribuita ad amministratori,
sindaci, dirigenti, che, in realtà si muovono come semplici esecutori di
una linea di politica aziendale almeno poco trasparente.
Gli stessi Stati Uniti, nei quali misure penali a carico delle società
risalgono addirittura al Codice penale di New York del 1882, hanno
fornito un contributo importante sul piano delle esimenti, introducendo
una sensibile diminuzione della pena, qualora la società abbia adottato
6
Convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle
operazioni economiche internazionali (Parigi 17 dicembre 1997)
10
un programma di controllo interno idoneo a prevenire, colpire e
sanzionare i reati
7
. Formula questa poi mutuata dal legislatore italiano
che ha previsto l’adozione di modelli organizzativi, da sottoporre
all’esame di efficacia del pubblico ministero, come causa di esenzione
dalla contestazione del reato.
Quindi il legislatore italiano, aderendo all’orientamento che reclama
l’affermazione di forme di responsabilizzazione delle persone giuridiche,
ha elaborato ed approvato il decreto legislativo in esame, le cui
disposizioni hanno una rilevante portata innovatrice, infatti, ha
introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità in
sede penale degli enti, che si aggiunge a quella della persona fisica che
ha realizzato materialmente il fatto illecito.
Appare ormai pacifico che le principali e più pericolose manifestazioni di
reato sono poste in essere da soggetti a struttura organizzata e
complessa. Tali forme di criminalità hanno di fatto prodotto un
sopravanzamento della illegalità di impresa sulle illegalità individuali,
tanto da indurre a capovolgere il noto principio, ammettendo che ormai
la societas può delinquere.
7
La relazione di accompagnamento al decreto piuttosto che sancire un generico dovere
di vigilanza e di controllo dell’ente sulla falsariga di quanto disposto dalla delega fa
esplicito riferimento ai compliance programs, da tempo funzionanti negli Stati Uniti.
All’ente viene in pratica richiesta l’adozione di modelli comportamentali specificamente
calibrati sul rischio-reato, e cioè volti a impedire, attraverso la fissazione di regole di
condotta, la commissione di determinati reati.
11
L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nella punizione di
taluni illeciti penali il patrimonio degli enti e, in definitiva, gli interessi
economici dei soci, i quali, fino all’entrata in vigore della legge in esame,
non pativano conseguenze dalla realizzazione di reati commessi, con
vantaggio della società, da amministratori e/o dipendenti.
Il principio di personalità della responsabilità penale li lasciava, infatti,
indenni da conseguenze sanzionatorie, diverse dall’eventuale
risarcimento del danno, se ed in quanto esistente.
Sul piano delle conseguenze penali, infatti, soltanto gli artt. 196 e 197
cod. pen. prevedevano (e prevedono tuttora) un’obbligazione civile per
il pagamento di multe o ammende inflitte, ma solo in caso d’insolvibilità
dell’autore materiale del fatto.
L’innovazione normativa, perciò, è di non poco conto, in quanto né
l’ente, né i soci delle società o associazioni possono dirsi estranei al
procedimento penale per reati commessi a vantaggio o nell’interesse
dell’ente. Ciò, ovviamente, determina un interesse di quei soggetti (soci,
associati, ecc.) che partecipano alle vicende patrimoniali dell’ente, al
controllo della regolarità e della legalità dell’operato sociale.
A rigore, dal punto di vista fenomenologico, è addirittura possibile
catalogare le diverse situazioni secondo scale di gravità ben precise.
All'apice, dovrebbero essere collocati i casi di impresa “intrinsecamente
illecita”, il cui oggetto sia cioè proiettato in modo specifico verso la
12
commissione di reati (si pensi a società finanziate totalmente con i
proventi di attività delittuose delle organizzazioni criminali, che pertanto
hanno come unico fine quello di riciclare denaro sporco).
La scelta del legislatore delegante è stata tuttavia di non prendere in
esame tali eventualità. Vero è, infatti, che il decreto prevede
l'applicazione in via definitiva di sanzioni interdittive all'ente il cui unico
scopo consista nel consentire ovvero nell'agevolare la commissione di
reati; tuttavia, considerata la tipologia dei reati selezionati dagli
strumenti ratificati, il caso si palesa di teorica più che di pratica
realizzabilità.
Il contesto di attuazione degli obblighi internazionali in cui la legge
delega si inseriva, ha, infatti, indirizzato l'attenzione del delegante verso
forme di patologia più "ordinaria".
All'interno di tale tipo di “economia illegale”, è opportuno distinguere
due differenti tipologie, puntualmente rispecchiate dall'assetto di tutela.
Da un lato, si collocano le ipotesi in cui, pur non essendo l'attività della
persona giuridica finalizzata alla commissione di reati, quest'ultima
rientri nell'ambito della sua diffusa politica aziendale. Si pensi alla
corruzione, considerata un vero e proprio costo d'azienda, alle truffe in
finanziamenti, ecc. In tutte queste ipotesi, che meritano un trattamento
di maggior rigore, l'attività discende da decisioni di vertice dell'ente, e,
13
quindi, la responsabilità di persone che rivestono in esso un ruolo
apicale.
Dall'altro lato, si pongono i casi in cui la commissione di reati derivi non
già da una specifica volontà sociale, ma esclusivamente da un difetto di
organizzazione o di controllo da parte degli apici: vale a dire, le ipotesi
in cui il comportamento materiale sia realizzato da soggetti in posizione
subordinata. Si faccia l'esempio dell'impiegato o del "quadro" il quale,
agendo di sua iniziativa - se non in contrasto con una dichiarata linea di
politica aziendale della società - compisse un atto il quale comporti un
forte risparmio di spesa per questa, disinteressandosi delle conseguenze
penali dello stesso, al fine di ottenere un aumento dello stipendio od un
avanzamento di carriera.
Relativamente alla valutazione di impatto amministrativo, la nuova
normativa prevede una forma di responsabilità degli enti che viene
accertata dal giudice penale nell'ambito del procedimento per il reato
commesso dalla persona fisica e, pertanto, il presente decreto legislativo
non implica modifiche dell'apparato amministrativo attuale e quindi
alcun onere organizzativo aggiuntivo per lo Stato rispetto all'esistente.
La previsione di una responsabilità, seppure amministrativa, in capo alle
persone giuridiche, chiamate a rispondere delle violazioni conseguenti ai
fatti illeciti sopra indicati con sanzioni pecuniarie ovvero interdittive,
implica invece, per i soggetti destinatari della normativa, un certo onere
14
organizzativo funzionale a predisporre le strutture dell'ente secondo
moduli idonei ad escludere, da parte dei soggetti aventi responsabilità di
amministrazione o rappresentanza, la commissione di determinate
categorie di reati (artt. 6 e ss.). Ne discende un conseguente onere
finanziario cui, ovviamente, va aggiunto quello direttamente derivante
dall'applicazione, nei confronti dell'ente, delle sanzioni previste in caso
di violazione.
Il decreto in esame prevede, dunque, un nuovo tipo di responsabilità
che il legislatore denomina ‘amministrativa’, ma che ha forti analogie
con la responsabilità penale.
Infatti, tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata alle
garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma
di illecito amministrativo con la conseguenza di dar luogo alla nascita di
un “tertium genus” che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di
quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni
dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima
garanzia.
Ciò che rende questo nuovo tipo di responsabilità molto vicina a quella
penale è non soltanto la circostanza che il suo accertamento avvenga
nell’ambito del processo penale, quanto che essa è autonoma rispetto
alla persona fisica che ha commesso il reato: secondo il disposto dell’art.
8, infatti, l’ente potrà essere dichiarato responsabile, anche se la
15
persona fisica che ha commesso il reato non è imputabile ovvero non è
stata individuata.
Presupposti perché un ente possa incorrere in tale responsabilità e che
di conseguenza siano ad esso imputabili le sanzioni pecuniarie o
interdittive dallo stesso decreto previste, sono:
ξ che un soggetto che riveste posizione apicale all’interno della sua
struttura ovvero un sottoposto abbia commesso uno dei reati previsti
dalla parte speciale del decreto;
ξ che il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio
dell’ente
8
;
ξ che il reato commesso dalle persone fisiche (soggetti in posizione
apicale o sottoposti) costituisca espressione della politica aziendale
ovvero quanto meno derivi da una “colpa di organizzazione”
9
.
Da ciò deriva che non è prefigurabile una responsabilità dell’ente ove la
persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell’interesse
8
È opportuno ricordare che questa nuova responsabilità sorge soltanto in occasione della
realizzazione di determinati tipi di reati da parte di soggetti legati a vario titolo all’ente
e solo nelle ipotesi che la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a
vantaggio di esso. Dunque, non soltanto allorché il comportamento illecito abbia
determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, per l’ente, ma anche nell’ipotesi in
cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto-reato trovi ragione nell’interesse
dell’ente.
9
Per colpa organizzativa il legislatore intende lo stato soggettivo imputabile all’ente
consistente nel non avere istituito un efficiente ed efficace sistema di prevenzione dei
reati.
16
esclusivo proprio o di terzi ovvero nell’ipotesi in cui all’ente non sia
imputabile alcuna ‘colpa organizzativa’.
Pur nella consapevolezza che un sistema giuridico si forma anche per
mezzo di un processo continuo di normazione e attraverso il
consolidamento giurisprudenziale e che, pertanto, la fotografia attuale
potrebbe risultare sensibilmente modificata, anche con l’introduzione di
nuove fattispecie di reato, da quella a regime, il presente lavoro ha lo
scopo di “fare il punto” sulla attuazione della nuova normativa in
materia di responsabilità da reato degli enti.
Infatti difronte al fallimento storico del diritto penale classico, per
l'inidoneità quasi assoluta ad esercitare una qualunque funzione
preventiva sulle politiche di impresa, si comincia a provare ad incidere,
se pure attraverso la minaccia e si spera di ottenere la partecipazione di
tutta l'impresa all'attività di prevenzione dei reati.
Prenderò in esame dapprima l’articolato del decreto legislativo 231
soffermandomi sui punti di maggiore interesse/innovazione, per poi
passare ad approfondire alcuni aspetti operativi tratti dalla pratica e
dall’esperienza personale nella materia specifica.
In conclusione mi sembra di poter convenire, nell’ attesa di maturare
l'indispensabile esperienza per formulare un bilancio consuntivo
attendibile, sul fatto che il sistema introdotto in Italia con il D.Lgs. 231
rappresenti un tentativo certamente condivisibile e assolutamente
17
coerente con qualsiasi principio dimostrato o postulato dell'economia
liberale.
Poiché a distanza di cinque anni dall'entrata in vigore, il decreto
legislativo continua a suscitare ancora oggi dubbi di costituzionalità,
tuttavia mai affermata ed, anzi, contraddetta da un progressivo
ampliamento delle fattispecie di reato oltre che da una sempre maggiore
applicazione delle sanzioni previste da parte della magistratura penale,
viene da pensare che il bisogno di "legalità" sia oggi avvertito così
fortemente da rendere superflua ogni discussione sulla potenziale
incostituzionalità della norma
10
.
Le varie "tangentopoli" che troppo spesso hanno affollato le pagine dei
quotidiani nazionali evidentemente hanno prodotto, per reazione, una
generazione di legislatori e magistrati "illuminati" ed animati da
esigenze di rispetto della legalità.
Il tutto nella consapevolezza dell’importanza della diffusione e del
radicamento nelle imprese di una nuova cultura del controllo, della
10
Il riconoscimento della responsabilità penale delle persone giuridiche violerebbe il
principio costituzionale sia perché il fatto di reato “appartiene” alla persona fisica sia
perché la sanzione finirebbe per produrre i suoi effetti pregiudizievoli su terzi innocenti,
quali i soci, i dipendenti, il pubblico dei consumatori, tutti estranei alla commissione
dell’illecito: così, ad esempio, il sacrificio economico, sopportato dall’impresa a seguito
dell’irrogazione della pena pecuniaria, potrebbe essere successivamente “trasferito” a
carico dei consumatori, attraverso un aumento dei prezzi dei beni prodotti.
Quest’obiezione si radica nella teoria della finzione che, come già visto in precedenza,
considera la persona giuridica come un’entità artificiale, priva di una propria
soggettività reale.
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legalità e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse poiché, il
D.Lgs. n. 231 in realtà, non costituisce un’imposizione illiberale ma,
contemperando in modo ideologicamente equilibrato minacce repressive
e suggerimenti ad ampio spettro di protezione, si pone, immaginandone
la sua capillare applicazione, come una rete di legalità a sostegno del
mercato e, un domani, a tutela della persona in generale.