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dell’anima del proprio animale- maestro.
Ma lo sciamano che si tramuta in animale prefigura l’idea di ibrido, e
quindi di mostro, di creatura né umana né animale, portando così il
nostro cammino verso un’epoca, quella medievale, che sul mostro ci ha
costruito la propria storia, in cui ancora una volta il confine tra reale e
immaginario svanisce, facendo confondere cronache, leggende, folklore,
e cultura alta. Tutti i saperi della società, si confronteranno, alla fine con
creature sia immaginarie sia reali, considerate come abitanti di luoghi
lontani, nascosti e meravigliosi. Due saranno concettualmente questi
luoghi: l’Oriente, e la foresta, ovvero l’aldilà per un cittadino medievale.
Ma il medioevo cercherà anche una sorta di classificazione, di
nominazione di queste creature, attraverso opere come i bestiari e trattati
teologici di un certo livello. I dotti di tutta Europa divulgheranno e
moltiplicheranno in maniera enorme creature che anche se realmente
esistenti, prenderanno, a causa della loro natura esotica, fattezze di
mirabilia.
Il nostro cammino si conclude con la luce che scoperte scientifiche e
geografiche getteranno sul buio medievale, luce che sposterà l’attenzione
sempre più verso l’uomo il quale diverrà preda preferita di un sistema
giudiziario che non tollera diversità, come quello inquisitorio.
Diverse costanti fuoriescono da questo nostro cammino: anzitutto
dietro a simili creature è sempre presente quel conflitto uomo-natura,
irrisolto sin dalla più tarda antichità, che oggi si è fatto pressante più che
mai attuando un ritorno in massa di una fauna mostruosa che ha invaso
l’immaginario occidentale; seconda cosa il mondo immaginifico dei
mostri si presenta praticamente uguale in tutti i tempi e le culture pur
essendo più o meno latente; inoltre tra mondo medievale, immaginario
preistorico e sciamanico, gli animali reali e non, si confondono venendo
ad assumere lo stesso ruolo psichico, quello di simboli dell’irrazionale.
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I. DALL’ANIMALE ALL’UOMO : LA PREISTORIA
I.1. ANIMALI NELLE CAVERNE
Il terreno è umido e melmoso, e dobbiamo stare attenti a non
scivolare sulla roccia. La via sale e scende, poi viene uno stretto
passaggio, attraverso cui dobbiamo strisciare. E quindi, di
nuovo, grandi camere e stretti passaggi. In un ampia galleria
troviamo numerosi punti rossi e neri.
Le stalattiti sono magnifiche! Si può udire il lieve rumore della
goccia che cade dall’alto. Non c’è nessun altro suono,
nient’altro si muove…Il silenzio è soprannaturale…La galleria è
larga e lunga, e poi viene un tunnel molto basso. Abbiamo posto
le nostre lampade a terra e le abbiamo spinte nel foro. Louis [il
primogenito dei figli del conte] veniva in testa, poi seguiva il
professor Giffen, quindi Rita [moglie di Kühn] e infine il
sottoscritto. Il tunnel non è più largo delle mie spalle, né più
alto. Io posso udire gli altri davanti a me che sbuffano e posso
vedere quanto lentamente avanzino le loro lampade. Con le
braccia premute contro il corpo, ci contorciamo come serpenti.
Il passaggio in certi punti non è più alto di trenta centimetri,
cosicché dobbiamo strisciare per terra. Mi sento come dentro a
una bara. Non si può sollevare il capo, non si può respirare. Ora
il passaggio diventa un po’ più alto;ci si può almeno appoggiare
su un braccio. Ma non per molto, poiché di nuovo si restringe. E,
così, centimetro per centimetro, si va avanti una trentina di
metri. Nessuno parla. Le lampade vengono spinte avanti, e noi
dietro. Sento gli altri che gemono, il mio cuore batte forte ed è
difficile respirare. E’ terribile avere il soffitto così vicino alla
testa; ed è pericoloso, perché ogni tanto vi sbatto contro. Non
finirà mai? Poi all’improvviso siamo fuori, e tutti respiriamo. E’
come la salvezza.
La sala in cui ci troviamo è gigantesca. La luce delle lampade
corre sul soffitto e sulle pareti: uno spazio maestoso, e lì,
finalmente, le pitture. Da cima a fondo un’intera parete è
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coperta di incisioni. La superficie è stata scolpita da utensili di
pietra, e lì vediamo schierati gli animali che vivevano a quel
tempo nella Francia meridionale: il mammut, il rinoceronte, il
bisonte, il cavallo selvatico, l’orso, l’asino selvatico, la renna, il
ghiottone, il bue muschiato; appaiono anche gli animali più
piccoli: il gufo delle nevi, la lepre e i pesci. E dappertutto si
vedono lance che volano sulle pareti. Siamo colpiti in
particolare da parecchie figure di orsi: essi recano i fori dove
furono colpiti e si vede il sangue che esce dalla loro bocca.
Davvero una scena di caccia: il dipinto della magia della
caccia.
1
Questo resoconto dell’esplorazione della grotta di Troìs Frères è stato
redatto da Hebert Kühn nel 1926. Ciò che colpisce immediatamente è il
senso claustrofobico e le difficoltà del lungo percorso che porta alla grande
camera cerimoniale stracolma di pitture.
Questo è in realtà solo un esempio, come tanti ce ne sono, non solo in
Francia, ma in tutto il mondo, in quanto buona parte dei dipinti rupestri del
paleolitico sono realizzati nelle viscere della terra, in fondo a lunghi
cunicoli, in luoghi difficili da raggiungere; luoghi che non furono mai
abitazioni per coloro che le utilizzarono, nonostante l’uomo preistorico
vivesse effettivamente all’interno di caverne, queste erano assai superficiali
o addirittura solamente sporgenze rocciose.
Le ragioni che li mossero ad avventurarsi, coi loro miseri mezzi (semplici
lucerne riempite di grasso animale) nel ventre più profondo della terra
dovettero essere diverse e assai importanti.
Questi luoghi, sono dei veri e propri templi e le pitture ivi conservate
sono oltre che una preziosissima testimonianza dell’atto creativo come
istinto innato nell’uomo, rappresentazioni che attestano la nascita, o meglio
l’esistenza, della prima mitologia magico-religiosa che conosciamo, e
possono essere visti come veri e propri depositi di simboli rimasti sepolti
per millenni nell’oblio.
La grotta, di per sé, evoca diversi archetipi: il distacco dal mondo esterno
man mano che ci si cala nelle profondità in cui l’oscurità non è più assenza
di luce, ma qualcosa di tangibile, riporta alla coscienza quel senso di morte
caratteristico di tutti i riti iniziatici di tutte le civiltà e le religioni del
mondo. Morte come l’introdursi dentro i luoghi in cui per praticamente
tutte le cosmologie religiose del mondo sono custoditi gli inferi, per
uscirne, partoriti dal grembo della madre terra come menti nuove, menti
“flessibili” che hanno avuto modo di dialogare col mondo degli spiriti, di
concretizzare le loro visioni attraverso un gesto creativo motivato da scopi
magico-rituali, andando ad estendere il pantheon di questo mondo “oltre la
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Racconto tratto da:Campbell, Joseph, Mitologia primitiva: le maschere di Dio ,
Milano, Mondadori, 1990
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soglia” che per diversi millenni fu continuamente, ripetutamente ed
ossessivamente ampliato, suscitando in chi vi si imbatteva successivamente
una sorta di imprinting misto a paura e venerazione facendogli credere
(come certe popolazioni credono ancora) che queste figure furono lì da
sempre, o che furono create da quei primi esseri divini (i mitici antenati)
che popolarono la terra durante la mitica età dell’oro così importante nei
racconti e nelle mitologie sciamaniche.
Può apparire forse esagerato paragonare la grotta ad un utero, e il senso di
claustrofobia che comporta l’introdurvisi al ricordo della sensazione di
soffocamento della nascita, ma è comunque vero che gli uomini che
fuoriuscirono da questi luoghi dovettero provare quella che in termini
simbolici è una vera e propria rinascita come logica conseguenza dei rituali
svolti.
Le caverne possono quindi essere considerate come i primissimi spazi
sacri della storia dell’umanità, antenati di tutti i templi intesi come
proiezioni nello spazio fisico della casa del mito.
Santuario in cui vivono gli spiriti, quando non gli stessi animali, la grotta,
con la sua varietà di cunicoli, il senso di spaesamento e perdita totale non
solo dell’orientamento, ma di tutti i sensi, da cui è afflitto chi vi si
inserisce, evoca un secondo archetipo: il labirinto.
Può essere infatti vista, a livello psichico, come rappresentazione delle
camere labirintiche dell’anima ed è da qui che provengono e ritornano gli
animali: non a caso Origene nel III secolo d.C. scrive: “Sappi che tu hai
dentro te stesso mandrie di buoi, mandrie di pecore, mandrie di
capre…”.La moltitudine di animali dipinta all’interno delle caverne, per
l’uomo paleolitico, abita queste sue dimore. Il Minotauro della leggenda
cretese, vivrà proprio al centro di un labirinto, così come i “signori degli
animali” capeggiano nelle camere principali delle grotte preistoriche (fra
l’altro la figura dell’uomo-toro risale proprio a pitture sciamaniche di
questo periodo).
Luogo in cui lo spazio e il tempo si dilatano, fino a scomparire del tutto
creando quel vuoto che servì ai primi uomini come trampolino di lancio per
viaggiare nei regni degli spiriti, spiriti che saranno poi documentati nelle
stesse posizioni in cui apparvero immediatamente dopo la loro visita. Le
immagini create in tal modo sono in realtà più che semplici immagini:
mancano di finalità estetiche ( (anche se si può riconoscere in alcune grotte
una ricerca a livello compositivo, come nelle gallerie della grotta di
Lascaux), le figure sono spesso sovrapposte in stratificazioni millenarie,
non hanno una posizione ambientale, non compare mai il paesaggio e
neppure un elemento che lo suggerisca ed il loro apparente naturalismo
nasconde capacità di proiezione della mente umana e necessità di creazione
dei simboli a partire dalla realtà.
Servendosi delle scabrosità e irregolarità delle rocce, l’uomo primitivo
portò fuori dalla propria visione interiore, aiutato dalla trance e dal buio
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claustrofobico, questo mondo animato da spiriti tutelari e animali-maestro.
Citando Paul Klee “non rappresentano il mondo, ma ne creano uno”, o
meglio rappresentano, sì un mondo, ma quello interiore della mente e
mitologia preistoriche, manifestazioni di quello spazio magico da cui
deriva la gran sacralità di questi luoghi, inaccessibili ai più, in cui è
possibile propiziarsi gli spiriti per poter versare sangue senza essere colpiti
da punizione, portando a compimento quel ciclo di morte e rinascita
impossibile ad eseguirsi senza il volere degli spiriti, e che simbolicamente
può essere rappresentato dalla “morte” che accoglie chi entra in questi
anfratti oscuri e dalla successiva rinascita, conseguenza dovuta
all’esperienza del mistero (ma anche della paura e sofferenza) che infonde
consapevolezza universale e saggezza.
I.2 IL SIGNORE DEGLI ANIMALI
Fine di questi riti preistorici (sia che fossero di caccia, di iniziazione, o
fecondità) era comunque quello di entrare in contatto col mondo degli
spiriti, che ci fa intuire presenze sciamaniche già documentate all’interno di
queste grotte-tempio, grazie alla presenza di figure che sono state definite
come “animali maestro” o “signori degli animali”.
Una delle rappresentazioni più inequivocabilmente legata alla mitologia
sciamanica è presente all’interno della caverna di Lascaux; sul fondo di una
profonda cripta naturale, più difficile e scomoda da raggiungere è stata
tracciata questa figura umana (unica all’interno di tutta la caverna) con
testa d’uccello sotto alla quale sta una figurina ornitomorfa.
Alcuni hanno visto in questa scena un incidente di caccia poiché sembra
che l’uomo sia stato colpito dal bisonte alla sua sinistra, ma è se non altro
strano che in un contesto magico rituale come questo siano rappresentate
scene del genere, o perlomeno non sarebbero state poste nella cripta, nel
sancta sanctorum.
Numerose appaiono invece le corrispondenze con la mitologia
sciamanica: anzitutto la mutazione uomo-uccello così importante per lo
sciamanesimo, inoltre la figurina che in una scena di caccia al bisonte
sarebbe alquanto superficiale dell’uccello sottostante, in un’ottica
sciamanica riproduce quel simbolo dell’anima appollaiato sul grande
albero.Il fatto, inoltre che lo sciamano in questione sembra avere il pene in
erezione può essere ricondotto ad un tipo di magia fallica che ritroviamo
ancor oggi in diverse popolazioni cacciatrici (come gli aborigeni
australiani, o alcune tribù polinesiane).
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Resta misteriosa la stilizzazione della figura umana nei confronti del
naturalismo che contrassegna, invece, le rappresentazioni animali non solo
a Lascaux, ma in pratica in tutte le pitture o incisioni paleolitiche.
Leo Frobenius, grande studioso di arte rupestre, ha avanzato l’ipotesi che
non siano rappresentate semplici cerimonie, ma che “venisse effettuata una
consacrazione dell’animale non attraverso un confronto reale tra uomo e
bestia, ma attraverso la descrizione di un concetto”. Questo concetto è
quello di animale maestro e vittima volontaria, che ritroviamo nei segni di
potere sciamanico della figura umana stilizzata. Potere dal quale dipendono
le stesse pitture all’interno delle quali si reputa meno importante
rappresentare la figura umana poiché era l’animale, e non l’uomo, che
doveva evocare il principio atemporale di quell’essenza o immagine delle
mandrie nella caverna sacra in cui il rituale veniva eseguito.
E sono vere e proprie mandrie quelle che troviamo in un’altra importante
caverna-tempio come quella di Trois Frères
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. Nella camera principale gli
animali sono una moltitudine, e sembra veramente che quello sia il luogo
da dove provengono e stanno rifugiati, ma ciò che più colpisce è la figura
del forse più emblematico signore degli animali.
Figura enigmatica, incisa alla fine della caverna a circa quattro metri
sopra al livello del pavimento, alta circa settanta centimetri ne domina non
solo l’enorme spazio, ma anche tutti i suoi animali, e fissa il visitatore con
occhi penetranti.Sembra in posizione danzante, ed è l’unica immagine
colorata con pittura nera (tutti gli altri animali sono soltanto incisi nella
roccia), il che accentua il suo carattere dominante.
Figura ipercomposita, cioè composta da più componenti, in questo caso
animali, raggruppa in sé diverse caratteristiche: le orecchie erette e le corna
sono quelle di un cervo, gli occhi rotondi ricordano quelli di un gufo (che
ritroveremo poi nella più tarda mitologia della grande Dea sotto forma di
civetta in cui gli occhi ne divengono il simbolismo principale), la barba che
scende fino alle spalle è quella di un uomo, come anche le gambe, la coda
ricorda quella di un lupo o di un cavallo selvaggio, e la posizione degli
organi sessuali, posti sotto la coda è quella dei felini, forse di un leone, le
mani, infine, sono zampe d’orso.
Anche di queste figure esistono diverse interpretazioni: alcuni la vedono
come stregone, altri come il dio o lo spirito che protegge le spedizioni di
caccia, altri ancora vi vedono lo stesso artista mago, altri un uomo pronto a
cacciare cervi che si sta propiziando gli spiriti. Per comprenderne
l’importanza dobbiamo rivolgerci alla simbologia del divino, in cui
esistono due maniere di rappresentare la divinità suprema: una è quella di
renderla come pura luce indistinta, limite formale oltre il quale è difficile
andare; l’altra si pone esattamente all’opposto, è cioè quella di sommare
quante più forme possibili in una composizione figurativa che è comunque
1
Supra, cap.ANIMALI NELLE CAVERNE
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connotata in senso antropomorfo: il così detto onniforme.
Nel nostro caso gli animali di cui è composto sono una summa di quelli
cacciati all’epoca e quindi più conosciuti ed essenziali per la sopravvivenza
stessa, centro del mondo attorno cui girano vita e morte degli uomini.
Elemento che può situare questo signore degli animali in alto nel pantheon
paleolitico risulta in quanto la maggioranza di questi animali maestro è
formata da una trasmutazione di tipo binario: uomo più un animale
(bisonte, uccello, toro, ecc…), inoltre egli domina l’immenso spazio della
grotta tramite la sua posizione rialzata, e appare come l’unica figura
colorata che la differenzia da tutti gli altri animali.
Sicuramente non è il dio supremo, in quanto frutto comunque di una
cultura animista, ma o uno sciamano particolarmente potente che indossa il
costume di tutti i suoi spiriti guida o comunque un potente dio incarnatosi
in qualche sciamano che ne è divenuto la manifestazione tangibile.Forse
proprio la manifestazione di quello sciamano-dio creatore del mondo (ma
anche imbroglione e creatore del principio del disordine, padre tuttavia
della cultura) che sembra essere stata la principale figura mitologica del
paleolitico, figura che col tempo è diventata la rappresentante di tutti gli
strati inferiori del carattere di un individuo (clown, buffone, diavolo,
Pulcinella, o folletto) e si identifica oggi, dopo secoli di messa al bando da
parte della morale cattolica, nella figura del trickster, mentre nel paleolitico
era in realtà l’archetipo dell’eroe, colui che dispensava grandi benefici; il
maestro del genere umano.
I. 3 LA DANZA DEL BUFALO
Nella grotta di Trois Frères esistono altre manifestazioni del signore degli
animali.
Su di una in particolare intendiamo soffermarci.
In una delle sale sono rappresentati alcuni animali che sembrano danzare
o fuggire in mezzo ai quali, in atteggiamento danzante suonando una specie
di strumento musicale vi è una figura metà uomo e metà bisonte. (figg.8-9)
Anche in questo caso è probabile che si tratti di uno sciamano, epifania del
suo spirito protettore.
E’ atteggiato come se volesse compiere un incantesimo sulle bestie,
ammaliarle con la sua danza o la sua musica, una sorta di pifferaio magico
ante litteram.Uno degli animali si volta ad osservarlo non si capisce se
incuriosito o spaventato.
In una caverna vicina, nota come Tuc d’Audoubert, esiste una camera in
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cui sono rappresentati due bisonti, realizzati a bassorilievo in argilla. Sul
terreno argilloso sono rimaste impresse impronte lasciate millenni or sono
durante una danza rituale: la danza del bufalo.
Forse una leggenda della tribù pellerossa dei Piedineri può far luce su
questa ritualità arcaica.
La sopravvivenza di questa tribù dipendeva interamente dall’arrivo e
dalla partenza di questi animali, ed uno dei loro sistemi per ucciderne in
gran numero consisteva nell’attrarre gli animali sopra un dirupo e farli
precipitare di sotto.
La leggenda racconta che:
molto tempo fa i cacciatori per qualche ragione, non
riuscivano più ad indurre gli animali a seguirli e quindi
soffrivano la fame. I bufali si avvicinavano al precipizio, ma, a
quel punto, girando a destra o a sinistra, scendevano dai pendii
e ritornavano nella vallata. Perciò la gente era affamata e la
loro situazione era grave.
Fu così che una mattina quando una giovane donna andò a
prendere acqua e vide una mandria di bufali nella prateria,
vicino al precipizio, gridò:”Oh, se cadeste già, io sposerei uno
di voi!”
Si trattava di un modo di dire scherzoso. Perciò la sua
meraviglia fu grande quando vide gli animali correre verso la
roccia e precipitare. E fu terrificata quando vide un grosso toro
che saltava con un balzo il recinto e si avvicinava a lei. “Eccomi
qua” egli disse, e la prese per un braccio.
“Oh, no!” essa gridò, indietreggiando.
“Ma tu hai detto che, se i bufali fossero caduti giù, ne avresti
sposato uno. Guarda! Il recinto è pieno.”E, senza indugiare, la
portò con sé nella prateria.
Quando gli uomini ebbero ucciso tutti i bufali e tagliato la loro
carne, cercarono la giovane donna. I suoi parenti erano molto
tristi; suo padre prese arco e frecce e disse:”andrò a cercarla”.
Così si recò sulle rocce e poi nella prateria.
Giunto a una notevole distanza, capitò in uno stagno dove i
bufali andavano a bere e a fare il bagno. E lì vide una mandria.
Essendo stanco, si sedette vicino allo stagno per riflettere sul da
farsi. E,mentre stava pensando,un meraviglioso uccello bianco e
nero con una lunga coda -una gazza – si posò vicino a lui.
“Sei un grazioso uccello” disse l’uomo. “Aiutami! Volando
intorno, cerca mia figlia e, se la vedi, dille che suo padre è in
attesa presso lo stagno.”
La gazza volò sopra la mandria e, vedendo una giovane donna
fra i bufali, si posò vicino a lei e incominciò a beccare qua e là;