Capitolo 1 Fisiologia del metabolismo osseo
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Recenti acquisizioni sul processo di osteolisi hanno, peraltro, permesso di comprendere che
l’attività della maggior parte dei fattori che, con meccanismo endocrino, paracrino e autocrino,
intervengono nella regolazione del metabolismo calcio-fosforico è il risultato della
mediazione del cosiddetto sistema citochinico “RANK-L/OPG”. Queste due molecole,
appartenenti alla super-famiglia del TNF, prodotte da cellule della linea osteoblastica,
svolgono infatti un ruolo chiave nella modulazione della fase finale dell’osteoclastogenesi e
sono caratterizzate da funzione opposta sugli osteoclasti.
Il receptor activator of NF kappa B-ligand (RANK-L) stimola la maturazione dell’osteoclasta
dal suo immediato precursore; l’osteoprotegerina (OPG) è invece in grado di legare RANK-L
e di inibirne la funzione (4).
Capitolo 1 Fisiologia del metabolismo osseo
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1.2 Metastasi Ossee: Aspetti Epidemiologici, Patogenetici,
Fisiopatologici ed Anatomopatologici
L’incidenza di tumore negli USA è di circa 1.200.000 nuovi casi l’anno; di questi circa
600.000 nuovi casi/anno sono costituiti da tumore che comunemente metastatizza alle ossa;
circa 300.000 pazienti sviluppano metastasi ossee (5,6). Rapportando i dati epidemiologici
americani alla popolazione italiana e’ possibile stimare una incidenza annuale di metastasi
ossee di circa 35.000 casi nuovi/anno. L’alta incidenza di metastasi ossee è in netto contrasto
con il piccolo numero di pazienti affetti da sarcoma primitivo dello scheletro: 2.700 nuovi casi
l’anno negli Stati Uniti.
Le metastasi sono infatti la causa più frequente di lesione ossea scheletrica nell’adulto,
rappresentando il 99% delle forme neoplastiche a livello osseo (7).
L’apparato scheletrico costituisce la terza sede, dopo il polmone ed il fegato, di localizzazione
di metastasi (7).
La malattia ossea metastatica è di comune riscontro nelle fasi avanzate della malattia
neoplastica; in casistiche autoptiche, sono state evidenziate localizzazioni ossee, nel 47-85%
dei pazienti deceduti a causa di carcinoma della prostata, nel 54-85% dei pazienti deceduti a
causa di carcinoma della mammella, nel 28-60% dei pazienti deceduti a causa di carcinoma
polmonare. Tali neoplasie sono responsabili di circa l’80% delle localizzazioni scheletriche
secondarie riscontrate in pazienti oncologici (7,8). Altri tumori, come i carcinomi renali e
tiroidei, presentano uno spiccato tropismo per il tessuto osseo, ma la loro bassa incidenza fa si
che essi influiscano poco sulla casistica globale. Infine il carcinoma del colon, del pancreas,
dell'ovaio metastatizzano all'osso più raramente (7,8).
L’interessamento del tessuto scheletrico, durante la naturale evoluzione della patologia
tumorale, si estrinseca secondo due diverse modalità:
1- un processo diretto, caratterizzato dalla diffusione delle cellule tumorali a livello del tessuto
scheletrico (9,10)
2- un processo indiretto, mediato dalla produzione di fattori che agiscono sistematicamente
sull’osso e sul rene alterando la fisiologica omeostasi calcio-fosforica (9,10);
La metastasi, in generale, costituisce un fenomeno estremamente complesso, caratterizzato da
una cascata di eventi in successione che comportano l’attecchimento della cellula tumorale a
livello della sede di localizzazione secondaria (10).
Capitolo 1 Fisiologia del metabolismo osseo
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La cellula tumorale per dare origine a localizzazione secondaria deve :
1) distaccarsi dal tumore primitivo,
2) penetrare, attraverso i neovasi tumorali per mezzo di molecole di adesione come E-caderina
o laminina, nella circolazione sistemica,
3) sopravvivere al sistema immunitario ed agli attriti meccanici legati alla circolazione,
4) fermarsi in un distretto capillare,
5) fuoriuscire dal letto capillare ed iniziare l’invasione (metalloproteinasi),
6) proliferare nel nuovo sito (metastatico) (10) (Figura 1).
Figura 1 Tratta da Guise T.A. and Mundy G.R., Cancer and Bone, Endocrine Reviews,
19(1):18-54, 1998
Affinché le cellule tumorali siano in grado di dare metastasi, è necessario che abbiano
particolari caratteristiche:
1- capacità di produrre enzimi proteolitici necessari per il distacco dal tumore primitivo, per
l’invasione dei tessuti circostanti, per il raggiungimento del torrente circolatorio, per la
fuoriuscita da questo ed infine per la degradazione della matrice ossea,
Capitolo 1 Fisiologia del metabolismo osseo
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2- perdita o espressione di molecole di adesione cellulare fondamentali per il distacco dal sito
primitivo e per l’adesione a quello secondario,
3- mobilità all’interno del distretto circolatorio,
4- capacità di protezione nei confronti della sorveglianza del sistema immunitario,
5- capacità di risposta a stimoli chemiotattici (10).
La cellula neoplastica raggiunge il tessuto osseo, generalmente, per via ematogena; la
distribuzione delle metastasi scheletriche riflette quasi completamente quella del midollo
osseo riccamente vascolarizzato: lo scheletro assiale (colonna vertebrale, coste, bacino) è,
infatti, sede di più dell'80% delle localizzazioni secondarie. Metastasi ossee localizzate
distalmente al ginocchio ed al gomito sono infrequenti e più del 50% di queste sono causate
da carcinoma polmonare (9,10,11,12).
Non è ancora del tutto chiaro quali siano i meccanismi che regolano la relativa facilità con cui
avviene l'impianto metastatico. Una prima spiegazione può essere data, su base anatomo-
fisiologica, tramite la teoria di Batson. Questi, nel 1940, dimostrò nell'animale da esperimento
e nel cadavere umano come il sangue venoso refluo dalla regione mammaria e pelvica possa
immettersi, oltre che nella vena cava, anche direttamente nel plesso venoso vertebrale. Questo
spiegherebbe come carcinomi della mammella e della prostata siano in grado di metastatizzare
all'osso saltando il filtro polmonare.
Il flusso ematico, a livello del plesso venoso vertebrale, delle vene epidurali, perivertebrali,
della parete toraco-addominale e del capo-collo, è inoltre molto ridotto e l'assenza di valvole
fa si che esso sia continuamente soggetto ad arresti ed inversione di direzione, favorendo
l'impianto neoplastico (13). La teoria di Batson, per quanto suggestiva, non è comunque
sufficiente per motivare l'elevata frequenza di metastasi ossee in pazienti portatori di
determinate patologie, rispetto ad altri. Lo studio del microambiente osseo ha permesso di
comprendere che la metastasi scheletrica non è un evento casuale, essa è infatti il risultato di
una complessa interazione tra fenotipo cellulare neoplastico e caratteristiche anatomiche e
suscettibilità del sito metastatico all’attecchimento ed alla crescita tumorale (4,10,12).
La concezione che attualmente prevale è che, nella compagine della neoplasia, esistano cloni
cellulari, dotati di forte tropismo per il tessuto osseo e che la metastatizzazione sia un processo
selettivo, influenzato da fattori intrinseci, propri della cellula tumorale, ed estrinseci, relativi
all'ospite (14). Questa sorta di "selezione clonale" potrebbe avvenire a livello del tumore
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primitivo o nella fase di disseminazione ematica. L'organo tropismo dei carcinomi per il
tessuto osseo si basa sui seguenti presupposti:
ξ molecole circolanti, prodotte dal catabolismo dell'osso, come i frammenti del collagene di
tipo 1, hanno dimostrato di esercitare un'azione chemiotattica nei confronti delle cellule
tumorali,
ξ l'adesione delle cellule tumorali all'endotelio vascolare dell'osso è dovuta alla presenza di
glicoproteine organo-specifiche, presenti sulla membrana cellulare,
ξ i sinusoidi midollari sono privi di membrana basale e presentano ampie fenestrature tra le
cellule endoteliali, facilitando così la fuoriuscita delle cellule neoplastiche,
ξ la predilizione, da parte delle cellule neoplastiche, per il tessuto osseo, è dovuta alla
presenza locale di fattori di crescita e citochine che creano un microambiente ottimale per
l'impianto metastatico scheletrico (seed and soil theory) (10).
L'impianto della cellula neoplastica comporta, infatti, una serie di eventi a catena che sono il
risultato dell'interazione tra tumore e tessuto osseo dell'ospite. Le cellule dei carcinomi
secernono e favoriscono la secrezione, abnorme e non soggetta a fisiologico controllo, degli
stessi fattori che stimolano l'attività osteoblastica ed osteoclastica in vitro (1,10). Il risultato
dell’interazione tra cellule tumorali e microambiente osseo è comunque la perdita della
sequenza ordinata, riassorbimento e neoapposizione, tipica del rimodellamento fisiologico,
con formazione di aree di osteolisi, in cui l'attività di osteosintesi è assente o comunque
scarsa, oppure di aree di più o meno marcata neoapposizione (9,10,12).
Fattori responsabili di localizzazioni osteolitiche sono il parathyroid hormone related peptide
(PTHrP), l’IL1, l’IL6, l’IL11 (1,2,10). Molteplici studi hanno dimostrato che lo sviluppo e la
progressione di metastasi scheletriche da carcinoma della mammella è dovuto alla produzione
da parte delle cellule tumorali di grandi quantità di PTHrP. Tale citochina sarebbe in grado di
indurre l’attività osteoclastica interferendo con il sistema RANK-L/OPG (4,12).
Lesioni di tipo osteoaddensante, tipiche del carcinoma prostatico, ma anche talvolta associate
al tumore mammario, sarebbero invece dovute alla produzione di fattori quali:
- uPA, attivatore del plasminogeno, membro della famiglia delle serin-proteasi. È coinvolto
nel processo di migrazione e proliferazione tumorale e nel processo di invasione tissutale,
mediato dall’attivazione di specifici enzimi a livello della sede di metastasi (10,15);
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- FGF1, presente nella matrice ossea mineralizzata ed in grado di stimolare la replicazione
delle cellule del tessuto osseo. Provoca la produzione di TGFb, inducendo così il processo di
formazione ossea. Lesioni ossee miste o di tipo osteoaddensante sono caratterizzate da
un’elevata produzione di FGF1 (10,12);
- ET1, potente vasocostrittore, implicata nella genesi delle lesioni osteoaddensanti. Elevati
livelli di ET1 sono evidenziabili nel siero di pazienti affetti da lesioni osteoblastiche (12).
L’ET1 è in grado di stimolare l’osteoblastogenesi e di inibire l’attività osteoclastica (12).
La produzione di bFGF, BMPs, PDGF e TGFb da parte della cellula tumorale stimola inoltre
direttamente l’attività degli osteoblasti favorendo così il processo di formazione ossea (10)
(Figura 2).
Figura 2 Tratta da Guise T.A. and Mundy G.R., Cancer and Bone, Endocrine Reviews,
19(1):18-54, 1998
Bisogna infine sottolineare che la matrice ossea è ricca di fattori di crescita come il TGFb,
l’IGF1 e l’IGF2, che liberati durante il processo di osteolisi tumorale, sono in grado di
stimolare la proliferazione e l’attività delle cellule neoplastiche (15,16).
Tali complesse interazioni fisiopatologiche conducono pertanto ad un circolo vizioso con
tendenza all'autoamplificazione, che da un lato altera il processo di rimodellamento osseo
fisiologico, dall'altro facilita la progressione di malattia (10,12).
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Anatomopatologicamente il processo neoplastico interessa nelle fasi iniziali la zona
trasecolare dell’osso, successivamente in seguito alla crescita del tumore viene interessata
anche la corticale; tale fenomeno risulta evidenziabile sia clinicamente sia mediante
metodiche radiologiche (17).
Radiologicamente possono essere distinte due tipi di lesioni scheletriche: lesioni di tipo
osteolitico e lesioni di tipo osteoaddensante. Le prime sono le più frequenti e sono
caratterizzate da un incremento dell’attività osteoclastica al quale non corrisponde un aumento
dell’attività osteoblastica, di pari entità. Le seconde invece sono meno frequenti e sono
caratterizzate da un processo opposto (12,17). Questa suddivisione risulta tuttavia troppo
semplicistica: i processi di riassorbimento e di formazione ossea sono, infatti, strettamente
connessi fra loro. Le lesioni osteoaddensanti, sebbene siano il risultato di una diffusa reazione
osteoblastica, sono infatti caratterizzate da un sincrono incremento dell’attività osteoclastica,
viceversa nell’ambito di lesioni litiche vicino all’incrementata attività osteoclastica è presente
anche attività osteoblastica (12,17).
Le lesioni ossee da mieloma multiplo sono tipicamente litiche pure. Quelle associate al
carcinoma del polmone e della mammella hanno solitamente aspetto radiologico di lesioni
miste, con la componente litica che prevale su quella addensante (12,18).
La maggior parte delle localizzazioni da carcinoma prostatico sono di tipo osteoaddensante
(12). Sebbene tuttavia l’interessamento metastatico scheletrico da carcinoma prostatico sia,
nella maggior parte dei casi, accompagnato da una diffusa reazione osteoblastica, esistono
evidenze istomorfometriche e biochimiche di un sincrono incremento, in tali pazienti,
dell’attività osteoclastica, che risulta sovrapponibile a quello tipico di lesioni litiche o miste
(12,15,18). L’aumentato riassorbimento scheletrico nei pazienti affetti da carcinoma prostatico
non è soltanto la conseguenza dell’attivazione focale degli osteoclasti da parte delle cellule
neoplastiche, ma può costituire un fenomeno generalizzato, dovuto ad almeno due
meccanismi: la soppressione androgenica indotta dall’ormonoterapia antineoplastica (19) e
l’iperparatiroidismo secondario alla cosiddetta bone hunger syndrome (“sindrome dell’osso
affamato”), condizione patologica in cui l’osso sede di diffusa reazione osteoblastica tende ad
accumulare calcio, causando ipocalcemia e conseguentemente secrezione di paratormone con
attivazione degli osteoclasti (15,20,21). La lesioni scheletriche da carcinoma prostatico
risultano quindi essere localizzazioni miste in cui la fase di riassorbimento e neoformazione
avvengono contemporaneamente ma a livello di differenti siti. La reazione osteoblastica non è
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pertanto rivolta come in condizioni fisiologiche a riparare una lesione litica ma si verifica in
una zona di tessuto sano. Il risultato di tale complesso processo fisiopatologico è la
formazione di lesioni che, pur avendo una densità ossea aumentata, sono costituite da tessuto
più fragile e pertanto a maggior rischio di fratture (15,22,23).