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nella posizione P1 del sito catalitico. Si tratta dell’enzima effettore del
processo apoptotico. Questo enzima, in forma di pro-caspase e quindi
inattivo, è presente in qualsiasi tipo cellulare.
Nel presente lavoro di tesi l’espressione del gene della caspase 3 è stata
studiata mediante RT-PCR semiquantitativa. Il gene è stato parzialmente
clonato e sequenziato e la quantificazione è stata effettuata mediante
l’utilizzo della β-actina come standard interno.
I risultati ottenuti dimostrano come ci sia un aumento significativo
(P<0,05) dell’espressione genica nei trattati rispetto ai controlli ed, in
particolare, nei trattati a dose più elevata di Cd. Inoltre, mediante
Western blotting è stata evidenziata la presenza della pro-caspase 3 in
tutti gli esemplari studiati, mentre la caspase 3 attiva è stata osservata
solo in organismi esposti al Cd.
In questo studio è stata considerata anche l’espressione della Heat Shock
Protein 70 (HSP70), proteina della famiglia delle chaperonine, molecole
coinvolte nel folding proteico e nel recupero della struttura e della
funzione di proteine sottoposte a stress. HSP70 viene considerata uno dei
principali fattori antiapoptotici poiché è in grado di inibire l’apoptosi
caspase dipendente.
Mediante un approccio biomolecolare è stata rilevato un aumento
significativo (P<0,05) dell’espressione genica dell’HSP70 nei trattati
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rispetto ai controlli. Il dato mette in evidenza un crescente stato di stress
negli organismi correlato con l’aumento della concentrazione di Cd
nell’acqua.
In conclusione i dati raccolti in questo lavoro suggeriscono come la
presenza di Cd nell’ambiente acquatico marino, induca l’attivazione di
un pathway apoptotico caspase-dipendente nel testicolo di individui
adulti.
I maschi di G. niger per evitare che le cellule del testicolo vadano in
apoptosi, in seguito ad esposizione al Cd, sintetizzano alti livelli di
HSP70. L’aumento di HSP70, riscontrato nel testicolo alle dosi di Cd
utilizzate nel presente studio, non è risultato sufficiente per bloccare il
processo apoptotico. Questo risultato è in accordo con quanto osservato
da precedenti studi condotti sulla carpa comune Cyprimus carpio ( Ali et
al., 2003).
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1. INTRODUZIONE
1.1 Apoptosi e necrosi
Il termine apoptosi che letteralmente in greco significa “caduta di foglie”
è stato introdotto per la prima volta nel 1972 per indicare un processo di
morte programmata che la maggior parte delle cellule è in grado di
attivare per autodistruggersi scomparendo senza lasciare traccia (Kerr et
al., 1972).
Esistono due diversi meccanismi messi in atto dalla natura per provocare
la morte della cellula: la necrosi e l’apoptosi.
Il primo meccanismo è un evento accidentale causato da agenti chimici
o fisici, che determina il rigonfiamento e la lisi della cellula con il
rilascio di materiale citoplasmatico nell’ambiente circostante. Il
processo necrotico interessa un numero elevato di cellule di un tessuto ed
è spesso causa di infiammazione e complicanze nella funzionalità del
tessuto colpito.
L’apoptosi è invece una forma di suicidio cellulare che interessa una
singola cellula che scompare senza dar luogo a fenomeni infiammatori e
necrotici. Si tratta di un processo ampiamente osservato in natura indotto
da una varietà di stimoli come citochine, ormoni steroidei, virus e insulti
di natura tossica.
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In cellule di organismi animali l’apoptosi è inizialmente visibile
morfologicamente in quanto la cellula subisce cambiamenti morfologici
evidenti come :
la condensazione e frammentazione della cromatina nucleare
la compattazione degli organelli citoplasmatici
la dilatazione del reticolo endoplasmatico
la diminuzione del volume cellulare
alterazioni nella struttura della membrana plasmatica.
Inoltre, piccoli frammenti di materiale nucleare possono raggiungere la
membrana plasmatica, dove sono circondati da evaginazione della
membrana stessa che conferiscono alla cellula un aspetto a bolle
(blebbing). Questi blebs si staccano dal corpo cellulare trascinando con
sé parte del citoplasma e del materiale nucleare, dando origine ai “ corpi
apoptotici” che vengono fagocitati dalle cellule vicine.
La figura qui di seguito mostra la sequenza di eventi alla base dei
cambiamenti morfologici che avvengono in una cellula in apoptosi.
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Fig. 1 Cambiamenti morfologici di una cellula in apoptosi
Per quanto possa sembrare drammatica, la morte cellulare programmata
è un evento fisiologicamente normale e necessario per la sopravvivenza
di un organismo pluricellulare, in cui è fondamentale l’equilibrio tra la
produzione di nuove cellule e l’eliminazione delle cellule “vecchie” che,
geneticamente danneggiate o infettate da agenti patogeni, non sono più
in grado di assolvere i loro compiti.
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Sia nel corso dello sviluppo embrionale che post-embrionale molte
cellule mettono in atto il loro programma di morte. L’apoptosi infatti è
essenziale per il raggiungimento della maturità morfologica e funzionale
di molti organi e sistemi.
Ne sono un esempio la formazione delle dita della mano, il
riassorbimento della coda nei girini, la formazione della rete neurale, la
regressione del dotto di Muller o del dotto di Wolff durante lo sviluppo
sessuale.
L’apoptosi è anche coinvolta in altri eventi fisiologici come la selezione
timica (McDonald et al., 1988), l’uccisione del bersaglio nelle reazioni di
citotossicità (Cohen et al., 1992), l’atrofia tissutale endocrino-dipendente
(Kyprianou et al, 1988).
Bisogna ricordare che l’importanza della morte cellulare programmata è
rimasta a lungo incompresa e solo recentemente sono state riconosciute
le sue implicazioni in un numero molto elevato di processi cellulari alla
base di diverse malattie. Fra le più significative le neoplasie, associate ad
un aumento della sopravvivenza cellulare e le neurodegenerative
associate ad un aumento di apoptosi come riportato nell’elenco qui di
seguito.
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Malattie associate ad un aumento della sopravvivenza cellulare
Cancro
Malattie associate ad un aumento dell’apoptosi
AIDS
Malattie neurodegenerative
Morbo di Alzheimer
Morbo di Parkinson
Sclerosi laterale amiotrofica
Retinite pigmentosa
Sindromi mielodisplastiche
Anemia aplastica
Danni ischemici
Infarto al miocardio
Ictus
Epatopatie indotte da alcool
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1.2 Meccanismi molecolari del processo apoptotico
I meccanismi genetici, biochimici e molecolari alla base del processo
apoptotico sono stati ottenuti da studi condotti sul nematode
Caenorabditis elegans. Nel corso dello sviluppo dell’animale, 131 delle
1090 cellule che costituiscono l’embrione si suicidano secondo
localizzazioni e tempi geneticamente predefiniti.
In questo evento risulta coinvolta una famiglia di geni chiamati ced (cell
death) che svolge un ruolo di regolazione del processo. In particolare si è
visto come il suicidio venga attuato solo da quelle cellule che esprimono
i geni ced3 e ced4 i quali codificano proteine indispensabili per
l’esecuzione dell’apoptosi : infatti il gene ced3 codifica una proteasi
citoplasmatica in grado di tagliare specifici substrati dopo essere stata
precedentemente attivata mediante taglio proteolitico da parte della
proteina ced4.
L’importanza della proteina ced3 deve essere ricercata nella sua
capacità di inattivare proteine indispensabili per la sopravvivenza della
cellula come ad esempio enzimi coinvolti nella riparazione del DNA.
Mutazioni che compromettano la funzionalità di ced3 e ced4 permettono
la sopravvivenza di cellule destinate a morire.
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E’ stato proposto che i prodotti di questi due geni siano tossici per le
cellule o comunque permettano la formazione di composti tossici da
parte di altri metaboliti (Ellis e Horvitz, 1986; Yuan e Horvitz, 1990).
Un altro gene appartenente alla famiglia ced è ced9 che agisce da
regolatore negativo del processo apoptotico inibendo l’attività dei geni
precedenti (Hengartner et al., 1992). ced9, infatti, agisce su ced4
sequestrandola nel citoplasma in modo da impedirne il legame a ced3,
l’apoptosi risulta così bloccata. La proteina ced9 sembra abbia il compito
di impedire la morte di tutte quelle cellule dell’embrione destinate a
sopravvivere comportandosi come un “commutatore binario” che regola
la scelta tra la vita e la morte (Scott F.Gilbert, 1996).
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I meccanismi d’azione che regolano ced9 e le modalità con cui questo
gene agisce una volta attivato non sono ancora del tutto chiari.
Comunque , grazie ad uno studio di genetica condotto su Drosophila
melanogaster è stato possibile arrivare ad una maggiore comprensione
del sistema che permette alla cellula di integrare i diversi segnali e
attuare così il suo programma di morte (White et al., 1996; Pronk et al.,
1996). Alcuni ricercatori, infatti, hanno isolato dal moscerino della frutta
un gene, chiamato successivamente reaper, che codifica un polipeptide
di 65 aminoacidi. Questa proteina, che non ha nessuna omologia con altri
peptidi noti, sembra svolgere in D. melanogaster il ruolo di coordinatore
e regolatore dell’apoptosi. A questa conclusione si è giunti osservando
che, nonostante mutanti per delezione del gene reaper mostrino
soppressione dell’apoptosi, la morte cellulare può comunque essere
indotta in embrioni privi dello stesso gene. Tutto questo ha permesso di
avanzare l’ipotesi secondo la quale reaper non è un semplice effettore
del processo apoptotico ma sicuramente è chiamato in causa per svolgere
un ruolo ben più complesso purtroppo al momento non ancora
caratterizzato. Nei Mammiferi la situazione è molto più complessa,
tuttavia è stato possibile identificare degli analoghi funzionali e
strutturali delle proteine ced. Si tratta di un gruppo di specifiche proteasi
per cisteina e aspartato/ ced3 simili conosciute come ICE (Interleukin-1β
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convertine enzyme) o CASPASI (cysteinyl-aspartate-specific
proteinases), proteasi contenenti cisteina caratterizzate da un’assoluta
specificità per residui di aspartato nella posizione P1 del sito catalitico. Il
taglio proteolitico delle caspasi è fondamentale per l’inizio del processo
apoptotico e può avere diversi effetti come ad esempio la perdita
dell’attività biologica della proteina bersaglio.
Le caspasi , nella cellula non apoptotica, vengono sintetizzate in forma
di precursore inattivo costituito da un prodominio all’estremità ammino-
terminale seguito da sequenze che codificano due subunità, generalmente
di 10 e di 20 kDa (P10 e P20) , legate covalentemente o separate da un
peptide linker. In condizioni di riposo i precursori sono liberi in forma
monomerica e a bassa concentrazione nel compartimento citoplasmatico.
Solo all’arrivo di determinati stimoli si innesca il piano di morte
cellulare che determina l’attivazione del precursore mediante un taglio
specifico in un residuo di cisteina per generare la forma matura
dell’enzima, in cui l’estremità N-terminale viene rilasciata e le due
subunità, P10 e P20, si complessano a formare un tetrametro.