-6-
INTRODUZIONE
-7-
CENNI STORICI
Sono trascorsi ormai dieci anni da quando la Sindrome da Immunodeficienza
Acquisita si è imposta alla nostra attenzione.
I primi casi si sono verificati nel relativamente lontano 1981. Risale al giugno
1981 la prima segnalazione ufficiale al mondo medico scientifico da parte del
CDC (Center For Disease Control) della comparsa di 5 casi di polmonite da
Pneumocistys Carinii verificatisi nei mesi precedenti in giovani omosessuali
maschi di Los Angeles.
Tale patologia il cui agente eziologico è un microrganismo di incerta
classificazione, generalmente considerato un protozoo, sino ad allora si era
incontrata molto raramente e solo in individui gravemente immunodepressi.
I cinque casi segnalati erano persone che non presentavano alcuna causa allora
nota di immunodeficienza.
Sempre nello stesso periodo giunse al CDC la segnalazione da New York di
diversi casi di Pneumocistys Carinii associati a sarcoma di Kaposi ancora in
giovani omosessuali maschi.
Il sarcoma di Kaposi, forma di tumore vascolare che sino ad allora aveva
interessato soprattutto individui con più di 60 anni, nei quali si localizzava quasi
esclusivamente a livello della cute degli arti inferiori, nei casi denunciati
presentava localizzazioni multiple anche al capo, al collo, al tronco, agli arti
superiori, nonchè nei visceri.
-8-
I casi di associazione delle due patologie, accompagnate frequentemente anche da
altre infezioni opportunistiche, aumentarono nei mesi seguenti e si osservarono
anche in altri gruppi di popolazione: tossicodipendenti che facevano uso di
stupefacenti per via endovenosa, emofilici, trasfusi o sottoposti ad infusioni di
emoderivati.
I dati epidemiologici raccolti dai CDC nel 1982 consentirono di affermare che si
trattava di una nuova malattia infettiva e siccome tutti i malati presentavano come
caratteristica comune un grave deficit immunitario, alla nuova malattia venne dato
il nome di " AIDS " da Acquired Immuno Deficiency Syndrome (sindrome da
immunodeficienza acquisita).
Negli anni seguenti si identificarono casi di AIDS anche in altri continenti: in
Europa, in Africa ecc... Si dimostrò poi che la malattia era trasmissibile oltre che
tramite rapporti omosessuali, anche tramite quelli eterosessuali nonchè da madre a
figlio.
Era oramai certo che responsabile dell' AIDS era un agente infettivo virale
trasmissibile per via ematica, sessuale e materno fetale.
Nel 1983 ricercatori francesi dell' Institu Pasteur di Parigi guidati da Luc
Montagnier identificarono un virus nei linfonodi dei malati di AIDS, che
denominarono LAV ( Virus Associato alla Linfoadenopatia ). (Barré-Sinoussi,
1983 )
L'anno successivo in USA, Robert Gallo ed i suoi collaboratori del National
Cancer Institute di Bethesda, annunciarono di aver isolato da soggetti con AIDS il
virus
-9-
ritenuto responsabile della malattia; ad esso venne dato il nome di HTLV-III
(Human T-Lymphotropic Virus type III ). ( Gallo, 1984 )
Nel 1985 venne poi dimostrata la struttura genetica del virus dell' AIDS e si scoprì
che LAV e HTLV- III erano lo stesso virus. Il Comitato Internazionale per la
Tassonomia dei Virus propose allora il nome di HIV da Human Immunodeficiency
Virus ( virus dell'immunodeficienza umana ) che venne accettato ufficialmente in
tutto il mondo solo nel 1986.
All'inizio del 1985 si isolò da un paziente senegalese, che presentava il quadro
clinico dell' AIDS un retrovirus con caratteristiche simili a quelle di HIV, ma
sufficientemente differenziato da essere considerato un sierotipo diverso. Per tale
motivo esso venne denominato HIV-2, riservando all'isolato iniziale il nome di
HIV-1.
HIV-2 , diffuso soprattutto in Africa nord-occidentale, sembra possedere minore
capacità patogena rispetto ad HIV-1. ( Essex, 1988 )
La scienza ha risposto con prontezza alla nuova epidemia . In due anni, dalla metà
del 1982 alla metà del 1984, ne sono stati chiariti i caratteri principali, è stato
isolato il nuovo virus: " il VIRUS dell'IMMUNODEFICIENZA dell'UOMO " e si
è dimostrato che esso è la causa della malattia, sono stati messi a punto degli
specifici esami del sangue ( nel 1985 è stato approvato ufficialmente l'uso di un
test immunoenzimatico chiamato " ELISA " per lo screening delle donazioni di
sangue e per la diagnosi di infezione ) e sono stati individuati i bersagli del virus
nell'organismo.
-10-
Dopo l'impulso iniziale i progressi sono stati costanti anche se lenti.
Nonostante, comunque, l'elevato impegno del mondo scientifico non è ancora
disponibile alcuna cura definitiva o vaccino e l'epidemia continua a diffondersi.
(Gallo, 1988 ).
La Zidovudina ( AZT ) approvata nel 1987 per il trattamento di pazienti con AIDS
o in stato avanzato di infezione, pur avendo degli effetti benefici, infatti sembra
possa prolungare il periodo medio di sopravvivenza dei pazienti affetti da AIDS in
fase avanzata di circa un anno, non rappresenta una risposta definitiva, poichè può
essere tossico soprattutto per il midollo osseo. (Yarchoan, 1988 )
-11-
ORIGINE
I primi retrovirus sono stati scoperti agli inizi del XX secolo come il virus del
Sarcoma di Rous ( RSV ) e il virus ALV (Avian Leukemia Virus).
Quarant'anni dopo Gross ( 1951 ) ha evidenziato il primo retrovirus murino: il
virus della leucemia murina (MULV ) .
Infine recentemente sono stati identificati dei retrovirus umani come HTLV e HIV.
Virus appartenenti a questa famiglia sono stati osservati però anche in molteplici
vertebrati, in un mollusco ( mitilo ), in un anellide ( tenia ), e un insetto ( mosca ) e
questo ne accentua il carattere universale.
Perciò si può sostenere che i retrovirus umani tra i quali quello
dell'immunodeficienza esistano senza ombra di dubbio da lungo tempo confinati in
qualche regione del mondo.
Gli aumentati scambi commerciali e l'incremento del flusso migratorio delle
popolazioni avrebbero favorito la diffusione della malattia. ( Darlix, 1991 )
-12-
AGENTE EZIOLOGICO
TASSONOMIA
I virus dell'immunodeficienza umana appartengono alla famiglia
RETROVIRIDAE.
Tale famiglia comprende virus a RNA con nucleocapside a simmetria elicoidale
rivestito da capside icosaedrico, avvolto da pericapside lipidico con diametro
intorno ai 100 nm.
I retrovirus sono caratterizzati dalla capacità di codificare la sintesi di
transcriptasi inversa ( DNA polimerasi RNA dipendente ), enzima che consente al
virus di trascrivere il proprio genoma RNA in DNA.
La versione DNA del genoma virale grazie all'enzima integrasi viene integrato
come provirus nel genoma della cellula ospite che resterà pertanto
indefinitivamente infetta e produrrà replicandosi una progenie cellulare a sua volta
infetta.
L'integrazione è responsabile di due aspetti caratteristici delle infezioni retrovirali:
la latenza e il decorso clinico a poussés.
Frequentemente i virus appartenenti a questa famiglia instaurano infezioni
croniche nei loro ospiti in quanto i retrovirus, in linea di massima, non esercitano
attività tossica e la maggior parte di essi non esercita attività citolitica.
-13-
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI RETROVIRUS
FORMA ROTONDA
GRANDEZZA 100 nm circa
PERICAPSIDE PRESENTE
SIMMETRIA ELICOIDALE E CUBICA
AC. NUCLEICO RNA MONOELICA
REPLICAZIONE CITOPLASMATICA
ALTRE PECULIARITA' : -TRANSCRIPTASI INVERSA
-INTEGRASI
-ASSENZA CITOCIDIA
I virus appartenenti alla famiglia RETROVIRIDAE, capaci di provocare neoplasie
o malattie infiammatorie croniche degenerative, in base ad un criterio
prevalentemente patogenetico, senza però trascurare le caratteristiche
morfologiche e di sequenza genomica, vengono ragruppati in tre sottofamiglie.
-14-
SOTTOFAMIGLIA GENERE CARATTERISTICHE
ONCOVIRINAE ONCOVIRUS VIRUS TRASFORMANTI, ONCOGENI.
LENTIVIRINAE LENTIVIRUS VIRUS CITOLITICI,
responsabili di malattie cronico-degenerative.
SPUMAVIRINAE SPUMAVIRUS VIRUS responsabili di lesioni
SCHIUMOSO-SPONGIFORMI.
ONCOVIRUS
Questo genere comprende tutti i virus a RNA tumorigeni. Essi posseggono come
tutti gli altri retrovirus RNA nel codice genetico, l'enzima transcriptasi inversa che
consente di sintetizzare DNA sullo stampo di RNA virale e l'integrasi che ne
permette l'inserimento nel genoma della cellula ospite determinandone la
trasformazione.
Tali virus pur producendo all'interno della cellula ospite nuovi virioni, solo
sporadicamente ne inducono la lisi.
Esistono 4 tipi morfologici di oncovirus, distinguibili tramite osservazione al
microscopio elettronico, che vengono indicati con le lettere A,B,C,e D.
-15-
TIPO A : Sono sempre intracitoplasmatici, localizzati nel reticolo endoplasmatico
e nelle cisterne della cellula ospite. Mancano tutti di pericapside.
Sono di due categorie :
1) Di 75 nm di diametro, costituisce il precursore dei virioni di tipo B
che possono essere individuati prima dell'acquisizione del
pericapside.
2) Di 60-90 nm di diametro, costituisce una specie di oncovirus a se
stante, che alcuni autori considerano distinta dagli oncovirus, e
chiamano cisternavirus A ( interessano cavie e topi ).
TIPO B: Sono caratterizzati dalla posizione eccentrica del nucleocapside, con un
diametro di 100-125 nm.
Presentano un pericapside dal quale protrudono i peplomeri.
Il virus più importante di questo tipo è quello di Bittner che induce la
comparsa di Adenocarcinoma Mammario nel topo.Tale tumore può
essere trasmesso da una generazione all'altra tramite il latte materno.
-16-
TIPO C: Presentano il nucleocapside in posizione centrale con diametro intorno
ai 100 nm.
Numerosi oncovirus sono di questo tipo.
Fra questi abbiamo: il Virus del Sarcoma dei Polli ( o Virus di Rous)
che provoca leucemia nei polli e in altri uccelli, altri virus che
determinano leucemie e tumori sempre in campo aviario, virus
tumorigeni dei rettili ( virus della vipera ), virus oncogeni e
leucemogeni dei mammiferi ( topo, gatto, hamster, suini, bovini,
primati ) a cui si sono aggiunti in tempi recenti i due virus
leucemogeni per l'uomo: HTLV-I e II.
TIPO D: Con piccole differenze rispetto ai virioni di tipo C. Il nucleocapside è
cilindrico o a forma di sbarra ed è più piccolo di quello degli altri tre
tipi. E' caratteristico di alcuni primati.