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gruppo focale
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per un avvistamenti superiori a 10 minuti di durata. Il presente studio si
discosta dai precedenti per aver preso in esame esclusivamente l’area interessata da un
impianto di ittiocoltura, la cui installazione nel 1992 ed il suo ampliamento nel 1995, ha
causato un elevato incremento del numero di delfini all’interno del Golfo degli Aranci già
evidenziato dagli studi di Diaz-Lopez (2001 b). Infatti i nutrienti provenienti dall’allevamento
(come gli escrementi dei pesci allevati ed i residui del mangime), hanno contribuito a creare
un ambiente in cui si concentrano alcune delle prede comprese nella dieta del tursiope, come
diverse specie ittiche e Cefalopodi, che qui trovano rifugio ed alimento (Cottiglia,1994).
1.1 Il tursiope: caratteristiche generali
Morfologia
Tursiops truncatus appartiene all’ordine dei Cetacei, mammiferi marini adattati alla
vita acquatica a partire dallEocene con il gruppo ancestrale degli Archeoceti. Tra questi
ultimi, i più antichi furono i Protocetidi, da cui si sono differenziati i due sottordini odierni dei
Cetacei Misticeti (Cetacei con i fanoni) ed Odontoceti (Cetacei con i denti). Durante
l’evoluzione i Cetacei hanno perso quasi tutte le tracce del loro passato terrestre e si sono
adattati in modo perfetto alla vita acquatica. Il corpo ha assunto una forma idrodinamica e il
pelo è completamente scomparso per aumentare l’idrodinamicità; il collo è diventato breve e
rigido, per consentire il nuoto ad alta velocità; gli arti anteriori sono divenuti pinne, mentre
quelli posteriori sono scomparsi; la potente coda funge da propulsore e le narici si sono
spostate sulla sommità del capo per facilitare la respirazione in superficie; le ossa mascellari e
premascellari si sono allungate posteriormente a formare il rostro; la dentatura è omodonte e
monofiodonte, poiché tutti i 20-25 denti di ogni emiarcata sono uguali e definitivi.
I tursiopi sono facilmente distinguibili dagli altri membri della famiglia Delphinidae
per diverse caratteristiche morfologiche. Presentano un capo con un rostro ben distinto,
generalmente corto e tozzo (da cui il nome inglese “Bottlenose dolphin”, ovvero “delfino a
naso di bottiglia”) ma talvolta moderatamente allungato. Il corpo è robusto e presenta una
pinna dorsale in posizione centrale di media altezza e falcata, due pinne pettorali a base larga
moderatamente lunghe e con estremità appuntita e una pinna caudale, preceduta da un grosso
peduncolo, che si presenta possente, orizzontale, con due ampi lobi ed uno spazio interlobare
evidente.
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Per gruppo focale si intende un “branco” di tursiopi osservati in apparente associazione, che si muovono nella stessa direzione e spesso, ma
non sempre, impegnati nella stessa attività (Shane, 1990).
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Fig.2: Tursiops truncatus, Montagu, 1821
La colorazione, abbastanza complessa, può variare dal grigio chiaro al grigio scuro. Il dorso
presenta una sfumatura scuro bluastra o grigio brunastra; i fianchi sono grigio chiaro mentre il
ventre è completamente bianco, grigio chiaro o rosato, con presenza di alcune macchie
puntiformi nell’età adulta; una stria leggermente più scura della colorazione di base va
dall’occhio alle pinne pettorali; il corpo degli adulti, inoltre, presenta lunghe cicatrici e graffi,
spesso causati da individui della stessa specie durante le relazioni sociali. Le dimensioni
medie di un individuo adulto variano da 1,9 m a 3,9 m ed il suo peso oscilla tra i 150 Kg ed i
270 Kg, mentre un neonato misura 0,9 m-1,2 m (Leatherwood et al., 1983) ed ha un peso
compreso tra i 15 Kg ed i 30 Kg. Per quanto riguarda il dimorfismo sessuale, nel tursiope non
si notano grandi differenze tra maschi e femmine, se non nelle dimensioni: a parità di età i
maschi sono poco più grandi delle femmine. Tuttavia per la determinazione del sesso, si fa
riferimento unicamente alle zone genitali. Nel maschio una piccola piega posta più o meno in
posizione mediana tra l’ano e l’ombelico, nasconde il pene retrattile. Nella femmina l’apertura
genitale è molto vicina all’orifizio anale e presenta ai lati due pieghe nelle quali sono
alloggiate le ghiandole mammarie.
Anatomia e Fisiologia
Il tursiope, come tutti i Delfinidi, raggiunge elevate velocità, perché è in grado di
evitare la turbolenza dell’acqua a contatto con il corpo variandone le caratteristiche
superficiali in ragione delle diverse velocità, acquisendo così massima efficienza col minimo
attrito. Questo è possibile perché il suo corpo non è rigido, ma flessibile: il tegumento, molto
sottile, che aderisce allo spesso strato di tessuto adiposo sottostante, presenta la possibilità di
un certo movimento rispetto alla muscolatura. E’ stato notato, studiando il nuoto del tursiope,
che ad alta velocità, sulla sua pelle, compaiono delle pieghe trasversali per lo più su ventre e
fianchi, come risultato delle diverse pressioni dell’acqua esercitate sui vari punti della
superficie del corpo; le creste sono i punti in cui si esercita una minore pressione, le fossette
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quelli in cui vi è una pressione più elevata (Essapian, 1955). Il tursiope, quindi, mantiene un
flusso il più possibile laminare lungo la superficie del corpo, contrastando le turbolenze grazie
alle risposte del tessuto adiposo. Sempre durante il nuoto è stato notato che sono più frequenti
i salti quando le velocità sono più elevate. Questo avviene perché quando il tursiope emerge
per respirare, si crea un’onda che frena la sua avanzata; esiste, pertanto, un punto limite della
velocità oltre il quale risulta essere più conveniente, dal punto di vista energetico, balzare
fuori dall’acqua con tutto il corpo, respirando in quel lasso di tempo (Au et al., 1988).
Nei condotti nasali di tutti i Cetacei è presente un ridotto epitelio olfattivo (Yablokov
et al., 1972), ma in acqua le narici sono quasi sempre ermeticamente chiuse, il che preclude la
possibilità di odorare l’ambiente circostante.
Per quanto riguarda il gusto, alcuni studi, come quello di Suchowskaja (1972) hanno
messo in evidenza la presenza di papille gustative all’interno di 5-8 depressioni formanti una
“V” sul dorso posteriore della lingua del tursiope, lasciando quindi presupporre un eventuale
senso del gusto. La sua presenza è stata evidenziata anche da osservazioni condotte su
individui in cattività, i quali mostrano nette preferenze tra i diversi tipi di pesci che vengono
loro offerti (Herman e Tavolga, 1988). Tuttavia è innegabile l’esistenza di un sistema
chemiorecettivo rappresentato da sensori della lingua o delle mucose della bocca, dal
momento che individui in cattività riescono a rilevare sostanze chimiche disciolte nell’acqua
della vasca in cui vivono (Nachtigall et al., 1984). Ad esempio è stato osservato che il tursiope
intercetta composti chimici di secrezione sessuale (come quelle della ghiandola prostatica) e
gli escrementi (Herman e Tavolga, 1988), supportando l’ipotesi di una comunicazione
chimica tra i delfini (Kuznetsov, 1978).
Il tursiope presenta una buona vista, dei nervi ottici incrociati e ben sviluppati e grandi
occhi. Tuttavia la visione non è binoculare: studi fisiologici confermano che i due occhi si
muovono indipendentemente l’uno dall’altro (Dawson et al., 1981), pur presentando delle
piccole aree di sovrapposizione visiva (Ridgway, 1990). Presumibilmente un occhio ha la
funzione di guardare in avanti e in alto, mentre l’altro di guardare indietro e in basso
(McCormick, 1969). Tuttavia la muscolatura dell’occhio è ben sviluppata ed è in grado di
protrarre e retrarre l’occhio nell’orbita per circa 2 cm. In questo modo quando l’animale sta
osservando un oggetto di fronte a lui o sotto di lui, esso può ricevere diverse immagini,
godendo così della possibilità di una visione parzialmente binoculare. Sembra che il tursiope
mostri una preferenza per la visione con l’occhio destro, come riportato da diversi studi su
animali in cattività. Si è osservato che nel primo periodo di cattività che segue alla cattura, il
tursiope, in moltissimi casi, nuota continuamente in senso antiorario (Lilly, 1962; Caldwell et
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al., 1965; Ridgway, 1990) anche durante stati di sonno apparente (Ridgway,1972). In questo
modo, infatti, l’occhio destro guarda il bordo ed i muri della vasca, da dove provengono la
maggior parte degli stimoli, come la presenza dell’uomo e quindi il rifornimento di cibo
(Ridgway, 1990).
Per quanto riguarda il tatto, i Cetacei in generale mostrano una sensibilità cutanea ben
sviluppata e sulla loro pelle si trovano molte strutture di recezione (Herman e Tavolga, 1988).
Terminazioni nervose libere sono raggruppate sulla pelle del tursiope, specialmente intorno
agli occhi e allo sfiatatoio, sul rostro, sui capezzoli, sulla regione genitale e su parte delle
pinne pettorali, ossia su tutte le zone di contatto frequente tra individui conspecifici (Palmer e
Weddel, 1964). La sensibilità è minore lungo la mandibola inferiore e diminuisce lungo la
schiena (Ridgway, 1990). E’ stato dimostrato che il tursiope, come altri Cetacei, cerca la
cosiddetta “self-stimulation”. Questo fenomeno è stato osservato in studi condotti in cattività:
l’animale espone varie parti del corpo a getti d’acqua provenienti da tubi di gomma o si
strofina su spazzole situate sul fondo della vasca, nonché si masturba sfregando i genitali
contro oggetti fissati nella vasca (Caldwell e Caldwell, 1972). Il contatto fisico quindi svolge
un ruolo primario nel sistema di comunicazione e rinforza il legame madre-piccolo (Herman e
Tavolga, 1988).
L’apparato uditivo del tursiope è altamente specializzato e riveste grande importanza,
dimostrata dall’ipertrofia di alcune parti del cervello, come il lobo temporale ed i centri
acustici (Jansen e Jansen,1969). I Cetacei hanno subito una serie di modificazioni di questo
apparato tali da permettere loro di sentire in acqua e sembra che in questi animali l’udito sia il
senso più sviluppato (Ridgway, 1990). L’evoluzione dell’orecchio dei Cetacei è stato un
processo in cui sono state enfatizzate ed ampliate quelle caratteristiche che permettono di
sentire le frequenze più alte; il tursiope infatti può percepire frequenze di circa 150 kHz con la
massima sensibilità compresa tra i 40 ed i 70 kHz (Popper, 1988). L’apparato uditivo è
rappresentato dall’orecchio interno, medio ed esterno; l’assenza del padiglione auricolare
rappresenta un adattamento per una migliore idrodinamicità e l’orecchio esterno consta di un
minuscolo orifizio di soli 2-3 mm di diametro, posto 5-6 cm dietro l’occhio. L’orecchio medio
è costituito da staffa, incudine e martello, tre ossicini sostenuti da legamenti e circondati da
aria; le cavità risultano così acusticamente separate dal cranio e fungono da recettori autonomi
(Reysenbach de Haan, 1957). I suoni raggiungono l’orecchio medio tramite due vie: o dal
meato acustico esterno, una struttura circondata da uno strato di grasso che facilita la
conduzione del suono (Norris e Harvey,1974), oppure dalla mandibola inferiore. In
quest’ultima è presente un canale mandibolare ripieno di una sostanza oleosa che termina
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nella bulla timpanica dell’orecchio medio; i suoni entrano in questo canale tramite il
cosiddetto “pan-bone”, regione di 1 mm di spessore presente sulla mandibola inferiore
(Norris, 1964). I due sistemi funzionano come un unico ed efficiente apparato uditivo in
quanto il tessuto che circonda il meato acustico esterno percepisce frequenze intorno ai 20-30
kHz, mentre sembra che il ruolo di organo principale per la recezione di frequenze più alte sia
svolto dal canale oleoso della mandibola (Popper, 1988).
Fig. 3: Sezione del capo di un tursiope
L’ecolocalizzazione è un senso che funziona a distanza permettendo al tursiope di
analizzare oggetti utilizzando come fonte di informazione l’eco di ritorno di un suono detto
“click” emesso dall’animale stesso (Sales e Pye,1974). La frequenza dei clicks oscilla tra 0,2 e
150 kHz (Evans e Maderson, 1973) a seconda delle necessità: generalmente è di 35 kHz
(Diercks et al., 1971), ma durante l’analisi di oggetti complessi i clicks emessi sono di
frequenza più alta. Secondo Ayrapet’yants e Kostantinov (1974) l’aumento della frequenza è
indice di un’analisi accurata e di una più fine informazione riguardo l’identificazione di
oggetti nuovi o non familiari. I clicks aumentano di frequenza (120-130 kHz) anche in
ambienti in cui il rumore di sottofondo causato da imbarcazioni o da altre fonti è elevato (Au
et al., 1974). Gli spettri acustici percepiti durante l’ecolocalizzazione vengono registrati nella
memoria del delfino che poi li confronta per identificare gli oggetti. Esistono, inoltre,
specifiche “immagini di ricerca” acustiche che guidano l’animale con accuratezza verso la
preda preferita (Popper, 1988). Attraverso l’ecolocalizzazione il delfino riceve informazioni
sulla forma, consistenza, volume, spessore e distanza dell’oggetto in questione. E’ quindi un
potente strumento che gli Odontoceti condividono solo con altri pochi mammiferi, come ad
esempio i Microchirotteri. I suoni prodotti dal tursiope sono di tre tipi: due a banda larga (i
clicks, usati nell’ecolocalizzazione, ed i “barks”, suoni ad impulso) ed uno di frequenza
modulata a banda stretta(4-20 kHz) che sono i “fischi”, che, secondo la teoria del “signature
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whistle”, rappresentano una sorta di “firma” dell’individuo (Evans e Prescott, 1962). Poiché
ogni fischio è distinguibile e con caratteristiche acustiche particolari, esso viene usato come
strumento per il riconoscimento intraspecifico (Caldwell e Caldwell, 1990). Il sito primario
per la produzione dei suoni risiede nella regione dei sacchi nasali (Norris et al., 1961), i quali
sono in numero di 3-4 paia, attaccati alle narici ossee, lungo la regione della laringe fino allo
sfiatatoio (Evans, 1973). I sacchi presentano una lieve asimmetria con quelli di sinistra più
complessi di quelli di destra.
L’aria compressa passa dai sacchi nasali ventrali a quelli dorsali producendo fischi
nella parte sinistra e clicks nella parte destra (Dormer, 1974, 1979). Il melone, una grossa
massa di grasso situata frontalmente nel capo, subito al di sopra del rostro, funziona come una
lente acustica che focalizza il suono e lo direziona lungo il percorso corretto (Wood e Norris,
1964, 1968). Questo è costituito da un nucleo formato da lipidi che permettono una
trasmissione dei suoni a bassa velocità, e da una corteccia, che circonda il nucleo, costituito
da lipidi, che permettono una trasmissione ad alta velocità, e da tessuto connettivo (Litchfield
et al., 1973). In questo modo il suono passa attraverso lo strato di grasso ad alta velocità di
trasmissione, che ne cambia le caratteristiche permettendo ad esso di entrare nell’acqua con la
minima perdita di energia (Norris e Harvey, 1974).
Fig. 4: Percorso dei suoni nel capo di un tursiope
I Mammiferi marini sono ipoosmotici, cioè i loro fluidi corporei hanno un minor
contenuto di sali rispetto all’ambiente circostante, quindi è alto il pericolo di disidratazione. A
differenza di molti animali marini, dotati di ghiandole specifiche per la rimozione dei sali in
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eccesso, i Cetacei provvedono all’escrezione dei sali solo attraverso un sistema filtrante renale
molto efficiente. I reni sono formati da unità minori funzionalmente indipendenti (renicoli) e
viene prodotta urina più concentrata dell’acqua di mare. L’acqua necessaria all’animale viene
ricavata dalle prede di cui esso si nutre, dal metabolismo dei grassi e viene assorbita a livello
delle vie respiratorie superiori (Donoghue e Wheeler, 1990).
I Cetacei hanno la necessità di emergere frequentemente per respirare, inoltre vivono
in un ambiente privo di protezione da eventuali predatori. Hanno così sviluppato un sistema di
riposo che interessa solo un emisfero cerebrale alla volta, in modo tale da rimanere vigili
anche durante il sonno. Le prime ipotesi su questa capacità furono effettuate da Lilly (1964)
nel corso di osservazioni in ambiente controllato. I delfini infatti dormivano chiudendo
alternativamente prima un occhio e poi l’altro. Le ricerche compiute da Muchametov (1984)
hanno mostrato che i delfini dormono circa il 33,4% della giornata , e sono completamente
privi di fasi di sonno REM. Per pochi istanti entrambi gli emisferi cerebrali sono in riposo, poi
uno dei due torna attivo. Durante il riposo l’animale riduce l’attività motoria, non emette
vocalizzazioni e mostra scarsa attenzione verso l’ambiente circostante. Tuttavia, questo
“sonno parziale” permette di emergere normalmente in superficie per respirare. In cattività il
riposo si presenta in due forme: Riposo in Superficie (RIS) e Riposo in Movimento (RIM)
(Gnone et al., 1998). Nel primo caso, osservato esclusivamente in cattività, il delfino rimane
in assetto stazionario con lo sfiatatoio emerso, e mostra preferenza per alcune zone della
vasca. Il riposo in movimento invece è stato osservato anche in natura: il delfino nuota lungo
una traiettoria regolare, lentamente, riemergendo solo per respirare, spesso in sincronia con un
altro delfino. L’occhio rivolto verso il compagno è generalmente aperto.
Biologia riproduttiva
Il ciclo vitale dei tursiopi è ben documentato da studi avvenuti sia su animali in libertà
che in cattività. Ad esempio studi condotti sull’età hanno dimostrato che la vita media del
tursiope si aggira intorno ai 35 anni (Silvestre, 1993) con le femmine che possono
raggiungere i 46 anni (Scott e Chivers, 1990). I maschi raggiungono la maturità sessuale
intorno ai 10-13 anni di età, mentre le femmine intorno ai 6-12 anni (Peddemors, 1989; Mead
e Potter, 1990; Klinowska, 1991; Wells, 1991 a,b; Silvestre,1993). In questi Cetacei
l’accoppiamento è promiscuo in quanto i maschi si muovono da un gruppo femminile all’altro
alla ricerca di femmine recettive, con le quali instaurare brevissime associazioni che
terminano con la fine dell’accoppiamento (Scott et al., 1990). Durante il corteggiamento sia il
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maschio che la femmina producono dei suoni simili a guaiti ripetuti aritmicamente e si
sfiorano nuotando uno accanto all’altro.
Prima dell’accoppiamento la coppia si pone pancia contro pancia in verticale oppure
con la femmina che giace sotto al maschio; di solito, però, la coppia nuota insieme fino a che
il maschio non scivola sotto la femmina (Donoughe e Wheeler, 1990). Questo comportamento
è stato osservato non solo in individui sessualmente maturi, ma in esemplari di tursiope di
tutte le età in momenti differenti dell’anno, e, a volte, anche tra delfini dello stesso sesso, nei
quali, però, nel caso di due maschi, non avviene penetrazione (Donoughe e Wheeler, 1990).
La gestazione ha una durata di 12 mesi e le nascite avvengono durante la tarda primavera
(Shane, 1977), la tarda estate o in autunno, quando comunque la temperatura dell’acqua è
massima (Wursig, 1978; Wells et al., 1987; Hansen, 1990; Wilson, 1995; Bearzi et al., 1997).
Le femmine partoriscono, di solito, un solo neonato, in media ogni 2-3 anni (McBride
e Kritzler, 1951; Mitchell, 1975), ma Richards (1993) ha rilevato che l’intervallo minimo tra
le gravidanze di femmine che non hanno perso i piccoli è di circa 4 anni. In caso di morte del
piccolo la femmina resta gravida nella stessa stagione o in quella successiva (Bearzi et al.,
1997).
Il neonato nasce dalla coda, con gli occhi aperti, i sensi attivi, con una coordinazione e
una muscolatura tali da permettergli di seguire immediatamente la madre durante il nuoto.
Appena nato, la madre porta il piccolo in superficie per farlo respirare, aiutata ed assistita da
altre femmine non gravide (Donoughe e Wheeler, 1990). E’ stato osservato in diversi studi
(Caldwell e Caldwell, 1964, 1966; Tavolga, 1966; Shane, 1990a) che la madre viene aiutata
da queste femmine, chiamate “zie” da Herman e Tavolga (1988), anche durante tutto il
periodo in cui il piccolo rimane con essa. Queste sono spesso femmine esperte che hanno
rapporti di parentela con la madre (Norris e Pryor, 1991). Le cure parentali, nelle quali non
intervengono in nessun modo i maschi (Donoughe e Wheeler, 1990), della madre verso il
giovane delfino sono consistenti, come dimostra la lunga unione tra i due che dura 3-4 anni
(Wells, 1991b; Smolker et al., 1992; Wilson, 1995; Bearzi et al., 1997). Durante le prime
settimane di vita il neonato dipende interamente dalla madre, ed impara a spostarsi
mantenendosi sempre al suo fianco (Essapian, 1953). Nel cosiddetto “Echelon swimming” il
giovane individuo ha un continuo contatto fisico con la madre e risparmia energia facendosi
portare dalle onde di pressione di lei prodotte durante il nuoto (Norris et al., 1961; Prescott,
1977).
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Figura 5: Madre e neonato durante il nuoto
L’allattamento avviene per 12-18 mesi dalla nascita del piccolo (Caldwell e Caldwell,
1972; Ross, 1977; Perrin e Reilly, 1984), ed il latte, molto ricco in contenuto lipidico, viene
spremuto attivamente dalla madre nella bocca del piccolo, quando questo, dal quinto giorno di
vita in poi (Peddemors et al., 1992), ne stimola i capezzoli (Schroeder, 1990). Il neonato inizia
ad allontanarsi un poco dalla madre solo dopo tre settimane di vita, in coincidenza dello
sviluppo della muscolatura assiale con la riduzione dello strato di grasso (Cockroft e Ross,
1990 b) e la diminuzione della frequenza respiratoria.
Alimentazione
La dieta del tursiope include un gran numero di specie tra pesci e cefalopodi (Marini,
1994). Secondo Cockroft e Ross (1990 b), animali di età diversa prederebbero su specie
diverse o su individui della stessa specie ma di taglie diverse: questa sarebbe una spiegazione
della diversa composizione e comportamento dei gruppi in funzione del sesso e dell’età. Per il
Mediterraneo, sebbene gli scarsi dati a disposizione non forniscano ancora un quadro
completo, sono state individuate, mediante analisi dei contenuti gastrici di animali spiaggiati,
diverse specie di prede. Orsi Relini et al. (1994) indicano che nel contenuto stomacale di sei
individui provenienti dalle acque liguri, il contenuto percentuale in peso era rappresentato
essenzialmente da : Merluccius merluccius (21,4%), Lepidopus caudatus (17,175%), Conger
conger (11,897%) e Loligo vulgaris (9,951%). Questi dati permettono di ipotizzare che il 90%
della dieta del tursiope nel Mediterraneo è costituita da pesci e il restante 10% da cefalopodi
(Volani e Volpi, 1990).