__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 2
gruppo focale
1
 per un avvistamenti superiori a 10 minuti di durata. Il presente studio si 
discosta dai precedenti per aver preso in esame esclusivamente l’area interessata da un 
impianto di ittiocoltura, la cui installazione nel 1992 ed il suo ampliamento nel 1995, ha 
causato un elevato incremento del numero di delfini all’interno del Golfo degli Aranci già 
evidenziato dagli studi di Diaz-Lopez (2001 b). Infatti i nutrienti provenienti dall’allevamento 
(come gli escrementi dei pesci allevati ed i residui del mangime), hanno contribuito a creare 
un ambiente in cui si concentrano alcune delle prede comprese nella dieta del tursiope, come 
diverse specie ittiche e Cefalopodi, che qui trovano rifugio ed alimento (Cottiglia,1994).  
 
 
1.1  Il tursiope: caratteristiche generali 
 
Morfologia  
Tursiops truncatus appartiene all’ordine dei Cetacei, mammiferi marini adattati alla 
vita acquatica a partire dallEocene con il gruppo ancestrale degli Archeoceti. Tra questi 
ultimi, i più antichi furono i Protocetidi, da cui si sono differenziati i due sottordini odierni dei 
Cetacei Misticeti (Cetacei con i fanoni) ed Odontoceti (Cetacei con i denti). Durante 
l’evoluzione i Cetacei hanno perso quasi tutte le tracce del loro passato terrestre e si sono 
adattati in modo perfetto alla vita acquatica. Il corpo ha assunto una forma idrodinamica e il 
pelo è completamente scomparso per aumentare l’idrodinamicità; il collo è diventato breve e 
rigido, per consentire il nuoto ad alta velocità; gli arti anteriori sono divenuti pinne, mentre 
quelli posteriori sono scomparsi; la potente coda funge da propulsore e le narici si sono 
spostate sulla sommità del capo per facilitare la respirazione in superficie; le ossa mascellari e 
premascellari si sono allungate posteriormente a formare il rostro; la dentatura è omodonte e 
monofiodonte, poiché tutti i 20-25 denti di ogni emiarcata sono uguali e definitivi. 
I tursiopi sono facilmente distinguibili dagli altri membri della famiglia Delphinidae 
per diverse caratteristiche morfologiche. Presentano un capo con un rostro ben distinto, 
generalmente corto e tozzo (da cui il nome inglese “Bottlenose dolphin”, ovvero “delfino a 
naso di bottiglia”) ma talvolta moderatamente allungato. Il corpo è robusto e presenta una 
pinna dorsale in posizione centrale di media altezza e falcata, due pinne pettorali a base larga 
moderatamente lunghe e con estremità appuntita e una pinna caudale, preceduta da un grosso 
peduncolo, che si presenta possente, orizzontale, con due ampi lobi ed uno spazio interlobare 
evidente. 
                                                 
1
 Per gruppo focale si intende un “branco” di tursiopi osservati in apparente associazione, che si muovono nella stessa direzione e spesso, ma 
non sempre, impegnati nella stessa attività (Shane, 1990). 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 3
                
                           Fig.2: Tursiops truncatus, Montagu, 1821 
 
 
La colorazione, abbastanza complessa, può variare dal grigio chiaro al grigio scuro. Il dorso 
presenta una sfumatura scuro bluastra o grigio brunastra; i fianchi sono grigio chiaro mentre il 
ventre è completamente bianco, grigio chiaro o rosato, con presenza di alcune macchie 
puntiformi nell’età adulta; una stria leggermente più scura della colorazione di base va 
dall’occhio alle pinne pettorali; il corpo degli adulti, inoltre, presenta lunghe cicatrici e graffi, 
spesso causati da individui della stessa specie durante le relazioni sociali. Le dimensioni 
medie di un individuo adulto variano da 1,9 m a 3,9 m ed il suo peso oscilla tra i 150 Kg ed i 
270 Kg, mentre un neonato misura 0,9 m-1,2 m (Leatherwood et al., 1983) ed ha un peso 
compreso tra i 15 Kg ed i 30 Kg. Per quanto riguarda il dimorfismo sessuale, nel tursiope non 
si notano grandi differenze tra maschi e femmine, se non nelle dimensioni: a parità di età i 
maschi sono poco più grandi delle femmine. Tuttavia per la determinazione del sesso, si fa 
riferimento unicamente alle zone genitali. Nel maschio una piccola piega posta più o meno in 
posizione mediana tra l’ano e l’ombelico, nasconde il pene retrattile. Nella femmina l’apertura 
genitale è molto vicina all’orifizio anale e presenta ai lati due pieghe nelle quali sono 
alloggiate le ghiandole mammarie. 
 
Anatomia e Fisiologia 
Il tursiope, come tutti i Delfinidi, raggiunge elevate velocità, perché è in grado di 
evitare la turbolenza dell’acqua a contatto con il corpo variandone le caratteristiche 
superficiali in ragione delle diverse velocità, acquisendo così massima efficienza col minimo 
attrito. Questo è possibile perché il suo corpo non è rigido, ma flessibile: il tegumento, molto 
sottile, che aderisce allo spesso strato di tessuto adiposo sottostante, presenta la possibilità di 
un certo movimento rispetto alla muscolatura. E’ stato notato, studiando il nuoto del tursiope, 
che ad alta velocità, sulla sua pelle, compaiono delle pieghe trasversali per lo più su ventre e 
fianchi, come risultato delle diverse pressioni dell’acqua esercitate sui vari punti della 
superficie del corpo; le creste sono i punti in cui si esercita una minore pressione, le fossette 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 4
quelli in cui vi è una pressione più elevata (Essapian, 1955). Il tursiope, quindi, mantiene un 
flusso il più possibile laminare lungo la superficie del corpo, contrastando le turbolenze grazie 
alle risposte del tessuto adiposo. Sempre durante il nuoto è stato notato che sono più frequenti 
i salti quando le velocità sono più elevate. Questo avviene perché quando il tursiope emerge 
per respirare, si crea un’onda che frena la sua avanzata; esiste, pertanto, un punto limite della 
velocità oltre il quale risulta essere più conveniente, dal punto di vista energetico, balzare 
fuori dall’acqua con tutto il corpo, respirando in quel lasso di tempo (Au et al., 1988).  
Nei condotti nasali di tutti i Cetacei è presente un ridotto epitelio olfattivo (Yablokov 
et al., 1972), ma in acqua le narici sono quasi sempre ermeticamente chiuse, il che preclude la 
possibilità di odorare l’ambiente circostante. 
Per quanto riguarda il gusto, alcuni studi, come quello di Suchowskaja (1972) hanno 
messo in evidenza la presenza di papille gustative all’interno di 5-8 depressioni formanti una 
“V” sul dorso posteriore della lingua del tursiope, lasciando quindi presupporre un eventuale 
senso del gusto. La sua presenza è stata evidenziata anche da osservazioni condotte su 
individui in cattività, i quali mostrano nette preferenze tra i diversi tipi di pesci che vengono 
loro offerti (Herman e Tavolga, 1988). Tuttavia è innegabile l’esistenza di un sistema 
chemiorecettivo rappresentato da sensori della lingua o delle mucose della bocca, dal 
momento che individui in cattività riescono a rilevare sostanze chimiche disciolte nell’acqua 
della vasca in cui vivono (Nachtigall et al., 1984). Ad esempio è stato osservato che il tursiope 
intercetta composti chimici di secrezione sessuale (come quelle della ghiandola prostatica) e 
gli escrementi (Herman e Tavolga, 1988), supportando l’ipotesi di una comunicazione 
chimica tra i delfini (Kuznetsov, 1978). 
Il tursiope presenta una buona vista, dei nervi ottici incrociati e ben sviluppati e grandi 
occhi. Tuttavia la visione non è binoculare: studi fisiologici confermano che i due occhi si 
muovono indipendentemente l’uno dall’altro (Dawson et al., 1981), pur presentando delle 
piccole aree di sovrapposizione visiva (Ridgway, 1990). Presumibilmente un occhio ha la 
funzione di guardare  in avanti e in alto, mentre l’altro di guardare indietro e in basso 
(McCormick, 1969). Tuttavia la muscolatura dell’occhio è ben sviluppata ed è in grado di 
protrarre e retrarre l’occhio nell’orbita per circa 2 cm. In questo modo quando l’animale sta 
osservando un oggetto di fronte a lui o sotto di lui, esso può ricevere diverse immagini, 
godendo così della possibilità di una visione parzialmente binoculare. Sembra che il tursiope 
mostri una preferenza per la visione con l’occhio destro, come riportato da diversi studi su 
animali in cattività. Si è osservato che nel primo periodo di cattività che segue alla cattura, il 
tursiope, in moltissimi casi, nuota continuamente in senso antiorario (Lilly, 1962; Caldwell et 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 5
al., 1965; Ridgway, 1990) anche durante stati di sonno apparente (Ridgway,1972). In questo 
modo, infatti, l’occhio destro guarda il bordo ed i muri della vasca, da dove provengono la 
maggior parte degli stimoli, come la presenza dell’uomo e quindi il rifornimento di cibo 
(Ridgway, 1990). 
Per quanto riguarda il tatto, i Cetacei in generale mostrano una sensibilità cutanea ben 
sviluppata e sulla loro pelle si trovano molte strutture di recezione (Herman e Tavolga, 1988). 
Terminazioni nervose libere sono raggruppate sulla pelle del tursiope, specialmente intorno 
agli occhi e allo sfiatatoio, sul rostro, sui capezzoli, sulla regione genitale e su parte delle 
pinne pettorali, ossia su tutte le zone di contatto frequente tra individui conspecifici (Palmer e 
Weddel, 1964). La sensibilità è minore lungo la mandibola inferiore e diminuisce lungo la 
schiena (Ridgway, 1990). E’ stato dimostrato che il tursiope, come altri Cetacei, cerca la 
cosiddetta “self-stimulation”. Questo fenomeno è stato osservato in studi condotti in cattività: 
l’animale espone varie parti del corpo a getti d’acqua provenienti da tubi di gomma o si 
strofina su spazzole situate sul fondo della vasca, nonché si masturba sfregando i genitali 
contro oggetti fissati nella vasca (Caldwell e Caldwell, 1972). Il contatto fisico quindi svolge 
un ruolo primario nel sistema di comunicazione e rinforza il legame madre-piccolo (Herman e 
Tavolga, 1988).  
L’apparato uditivo del tursiope è altamente specializzato e riveste grande importanza, 
dimostrata dall’ipertrofia di alcune parti del cervello, come il lobo temporale ed i centri 
acustici (Jansen e Jansen,1969). I Cetacei hanno subito una serie di modificazioni di questo 
apparato tali da permettere loro di sentire in acqua e sembra che in questi animali l’udito sia il 
senso più sviluppato (Ridgway, 1990). L’evoluzione dell’orecchio dei Cetacei è stato un 
processo in cui sono state enfatizzate ed ampliate quelle caratteristiche che permettono di 
sentire le frequenze più alte; il tursiope infatti può percepire frequenze di circa 150 kHz con la 
massima sensibilità compresa tra i 40 ed i 70 kHz (Popper, 1988). L’apparato uditivo è 
rappresentato dall’orecchio interno, medio ed esterno; l’assenza del padiglione auricolare 
rappresenta un adattamento per una migliore idrodinamicità e l’orecchio esterno consta di un 
minuscolo orifizio di soli 2-3 mm di diametro, posto 5-6 cm dietro l’occhio. L’orecchio medio 
è costituito da staffa, incudine e martello, tre ossicini sostenuti da legamenti e circondati da 
aria; le cavità risultano così acusticamente separate dal cranio e fungono da recettori autonomi 
(Reysenbach de Haan, 1957). I suoni raggiungono l’orecchio medio tramite due vie: o dal 
meato acustico esterno, una struttura circondata da uno strato di grasso che facilita la 
conduzione del suono (Norris e Harvey,1974), oppure dalla mandibola inferiore. In 
quest’ultima è presente un canale mandibolare ripieno di una sostanza oleosa che termina 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 6
nella bulla timpanica dell’orecchio medio; i suoni entrano in questo canale tramite il 
cosiddetto “pan-bone”, regione di 1 mm di spessore presente sulla mandibola inferiore 
(Norris, 1964). I due sistemi funzionano come un unico ed efficiente apparato uditivo in 
quanto il tessuto che circonda il meato acustico esterno percepisce frequenze intorno ai 20-30 
kHz, mentre sembra che il ruolo di organo principale per la recezione di frequenze più alte sia 
svolto dal canale oleoso della mandibola (Popper, 1988). 
                                     
                                      
                                   Fig. 3: Sezione del capo di un tursiope 
 
L’ecolocalizzazione è un senso che funziona a distanza permettendo al tursiope di 
analizzare oggetti utilizzando come fonte di informazione l’eco di ritorno di un suono detto 
“click” emesso dall’animale stesso (Sales e Pye,1974). La frequenza dei clicks oscilla tra 0,2 e 
150 kHz (Evans e Maderson, 1973) a seconda delle necessità: generalmente è di 35 kHz 
(Diercks et al., 1971), ma durante l’analisi di oggetti complessi i clicks emessi sono di 
frequenza più alta. Secondo Ayrapet’yants e Kostantinov (1974) l’aumento della frequenza è 
indice di un’analisi accurata e di una più fine informazione riguardo l’identificazione di 
oggetti nuovi o non familiari. I clicks aumentano di frequenza (120-130 kHz) anche in 
ambienti in cui il rumore di sottofondo causato da imbarcazioni o da altre fonti è elevato (Au 
et al., 1974). Gli spettri acustici percepiti durante l’ecolocalizzazione vengono registrati nella 
memoria del delfino che poi li confronta per identificare gli oggetti. Esistono, inoltre, 
specifiche “immagini di ricerca” acustiche che guidano l’animale con accuratezza verso la 
preda preferita (Popper, 1988). Attraverso l’ecolocalizzazione il delfino riceve informazioni 
sulla forma, consistenza, volume, spessore e distanza dell’oggetto in questione. E’ quindi un 
potente strumento che gli Odontoceti condividono solo con altri pochi mammiferi, come ad 
esempio i Microchirotteri. I suoni prodotti dal tursiope sono di tre tipi: due a banda larga (i 
clicks, usati nell’ecolocalizzazione, ed i “barks”, suoni ad impulso) ed uno di frequenza 
modulata a banda stretta(4-20 kHz) che sono i “fischi”, che, secondo la teoria del “signature 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 7
whistle”, rappresentano una sorta di “firma” dell’individuo (Evans e Prescott, 1962). Poiché 
ogni fischio è distinguibile e con caratteristiche acustiche particolari, esso viene usato come 
strumento per il riconoscimento intraspecifico (Caldwell e Caldwell, 1990). Il sito primario 
per la produzione dei suoni risiede nella regione dei sacchi nasali (Norris et al., 1961), i quali 
sono in numero di 3-4 paia, attaccati alle narici ossee, lungo la regione della laringe fino allo 
sfiatatoio (Evans, 1973). I sacchi presentano una lieve asimmetria con quelli di sinistra più 
complessi di quelli di destra.  
L’aria compressa passa dai sacchi nasali ventrali a quelli dorsali producendo fischi 
nella parte sinistra e clicks nella parte destra (Dormer, 1974, 1979). Il melone, una grossa 
massa di grasso situata frontalmente nel capo, subito al di sopra del rostro, funziona come una 
lente acustica che focalizza il suono e lo direziona lungo il percorso corretto (Wood e Norris, 
1964, 1968). Questo è costituito da un nucleo formato da lipidi che permettono una 
trasmissione dei suoni a bassa velocità, e da una corteccia, che circonda il nucleo, costituito 
da lipidi, che permettono una trasmissione ad alta velocità, e da tessuto connettivo (Litchfield 
et al., 1973). In questo modo il suono passa attraverso lo strato di grasso ad alta velocità di 
trasmissione, che ne cambia le caratteristiche permettendo ad esso di entrare nell’acqua con la 
minima perdita di energia (Norris e Harvey, 1974). 
 
 
                   
 
 
                                              Fig. 4: Percorso dei suoni nel capo di un tursiope 
 
 
I Mammiferi marini sono ipoosmotici, cioè i loro fluidi corporei hanno un minor 
contenuto di sali rispetto all’ambiente circostante, quindi è alto il pericolo di disidratazione. A 
differenza di molti animali marini, dotati di ghiandole specifiche per la rimozione dei sali in 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 8
eccesso, i Cetacei provvedono all’escrezione dei sali solo attraverso un sistema filtrante renale 
molto efficiente. I reni sono formati da unità minori funzionalmente indipendenti (renicoli) e 
viene prodotta urina più concentrata dell’acqua di mare. L’acqua necessaria all’animale viene 
ricavata dalle prede di cui esso si nutre, dal metabolismo dei grassi e viene assorbita a livello 
delle vie respiratorie superiori (Donoghue e Wheeler, 1990). 
I Cetacei hanno la necessità di emergere frequentemente per respirare, inoltre vivono 
in un ambiente privo di protezione da eventuali predatori. Hanno così sviluppato un sistema di 
riposo che interessa solo un emisfero cerebrale alla volta, in modo tale da rimanere vigili 
anche durante il sonno. Le prime ipotesi su questa capacità furono effettuate da Lilly (1964) 
nel corso di osservazioni in ambiente controllato. I delfini infatti dormivano chiudendo 
alternativamente prima un occhio e poi l’altro. Le ricerche compiute da Muchametov (1984) 
hanno mostrato che i delfini dormono circa il 33,4% della giornata , e sono completamente 
privi di fasi di sonno REM. Per pochi istanti entrambi gli emisferi cerebrali sono in riposo, poi 
uno dei due torna attivo. Durante il riposo l’animale riduce l’attività motoria, non emette 
vocalizzazioni e mostra scarsa attenzione verso l’ambiente circostante. Tuttavia, questo 
“sonno parziale” permette di emergere normalmente in superficie per respirare. In cattività il 
riposo si presenta in due forme: Riposo in Superficie (RIS) e Riposo in Movimento (RIM) 
(Gnone et al., 1998). Nel primo caso, osservato esclusivamente in cattività, il delfino rimane 
in assetto stazionario con lo sfiatatoio emerso, e mostra preferenza per alcune zone della 
vasca. Il riposo in movimento invece è stato osservato anche in natura: il delfino nuota lungo 
una traiettoria regolare, lentamente, riemergendo solo per respirare, spesso in sincronia con un 
altro delfino. L’occhio rivolto verso il compagno è generalmente aperto. 
 
Biologia riproduttiva 
Il ciclo vitale dei tursiopi è ben documentato da studi avvenuti sia su animali in libertà 
che in cattività. Ad esempio studi condotti sull’età hanno dimostrato che la vita media del 
tursiope si aggira intorno ai 35 anni (Silvestre, 1993) con le femmine che possono 
raggiungere i 46 anni (Scott e Chivers, 1990). I maschi raggiungono la maturità sessuale 
intorno ai 10-13 anni di età, mentre le femmine intorno ai 6-12 anni (Peddemors, 1989; Mead 
e Potter, 1990; Klinowska, 1991; Wells, 1991 a,b; Silvestre,1993). In questi Cetacei 
l’accoppiamento è promiscuo in quanto i maschi si muovono da un gruppo femminile all’altro 
alla ricerca di femmine recettive, con le quali instaurare brevissime associazioni che 
terminano con la fine dell’accoppiamento (Scott et al., 1990). Durante il corteggiamento sia il 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 9
maschio che la femmina producono dei suoni simili a guaiti ripetuti aritmicamente e si 
sfiorano nuotando uno accanto all’altro.  
Prima dell’accoppiamento la coppia si pone pancia contro pancia in verticale oppure 
con la femmina che giace sotto al maschio; di solito, però, la coppia nuota insieme fino a che 
il maschio non scivola sotto la femmina (Donoughe e Wheeler, 1990). Questo comportamento 
è stato osservato non solo in individui sessualmente maturi, ma in esemplari di tursiope di 
tutte le età in momenti differenti dell’anno, e, a volte, anche tra delfini dello stesso sesso, nei 
quali, però, nel caso di due maschi, non avviene penetrazione (Donoughe e Wheeler, 1990). 
La gestazione ha una durata di 12 mesi e le nascite avvengono durante la tarda primavera 
(Shane, 1977), la tarda estate o in autunno, quando comunque la temperatura dell’acqua è 
massima (Wursig, 1978; Wells et al., 1987; Hansen, 1990; Wilson, 1995; Bearzi et al., 1997).  
Le femmine partoriscono, di solito, un solo neonato, in media ogni 2-3 anni (McBride 
e Kritzler, 1951; Mitchell, 1975), ma Richards (1993) ha rilevato che l’intervallo minimo tra 
le gravidanze di femmine che non hanno perso i piccoli è di circa 4 anni. In caso di morte del 
piccolo la femmina resta gravida nella stessa stagione o in quella successiva (Bearzi et al., 
1997). 
Il neonato nasce dalla coda, con gli occhi aperti, i sensi attivi, con una coordinazione e 
una muscolatura tali da permettergli di seguire immediatamente la madre durante il nuoto. 
Appena nato, la madre porta il piccolo in superficie per farlo respirare, aiutata ed assistita da 
altre femmine non gravide (Donoughe e Wheeler, 1990). E’ stato osservato in diversi studi 
(Caldwell e Caldwell, 1964, 1966; Tavolga, 1966; Shane, 1990a) che la madre viene aiutata 
da queste femmine, chiamate “zie” da Herman e Tavolga (1988), anche durante tutto il 
periodo in cui il piccolo rimane con essa. Queste sono spesso femmine esperte che hanno 
rapporti di parentela con la madre (Norris e Pryor, 1991). Le cure parentali, nelle quali non 
intervengono in nessun modo i maschi (Donoughe e Wheeler, 1990), della madre verso il 
giovane delfino sono consistenti, come dimostra la lunga unione tra i due che dura 3-4 anni 
(Wells, 1991b; Smolker et al., 1992; Wilson, 1995; Bearzi et al., 1997). Durante le prime 
settimane di vita il neonato dipende interamente dalla madre, ed impara a spostarsi 
mantenendosi sempre al suo fianco (Essapian, 1953). Nel cosiddetto “Echelon swimming” il 
giovane individuo ha un continuo contatto fisico con la madre e risparmia energia facendosi 
portare dalle onde di pressione di lei prodotte durante il nuoto (Norris et al., 1961; Prescott, 
1977). 
__________________________________________________Introduzione e scopo del lavoro 
___________________________________________________________________________ 10
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Figura 5: Madre e neonato durante il nuoto 
 
 
L’allattamento avviene per 12-18 mesi dalla nascita del piccolo (Caldwell e Caldwell, 
1972; Ross, 1977; Perrin e Reilly, 1984), ed il latte, molto ricco in contenuto lipidico, viene 
spremuto attivamente dalla madre nella bocca del piccolo, quando questo, dal quinto giorno di 
vita in poi (Peddemors et al., 1992), ne stimola i capezzoli (Schroeder, 1990). Il neonato inizia 
ad allontanarsi un poco dalla madre solo dopo tre settimane di vita, in coincidenza dello 
sviluppo della muscolatura assiale con la riduzione dello strato di grasso (Cockroft e Ross, 
1990 b) e la diminuzione della frequenza respiratoria. 
 
Alimentazione 
La dieta del tursiope include un gran numero di specie tra pesci e cefalopodi (Marini, 
1994). Secondo Cockroft e Ross (1990 b), animali di età diversa prederebbero su specie 
diverse o su individui della stessa specie ma di taglie diverse: questa sarebbe una spiegazione 
della diversa composizione e comportamento dei gruppi in funzione del sesso e dell’età. Per il 
Mediterraneo, sebbene gli scarsi dati a disposizione non forniscano ancora un quadro 
completo, sono state individuate, mediante analisi dei contenuti gastrici di animali spiaggiati, 
diverse specie di prede. Orsi Relini et al. (1994) indicano che nel contenuto stomacale di sei 
individui provenienti dalle acque liguri, il contenuto percentuale in peso era rappresentato 
essenzialmente da : Merluccius merluccius (21,4%), Lepidopus caudatus (17,175%), Conger 
conger (11,897%) e Loligo vulgaris (9,951%). Questi dati permettono di ipotizzare che il 90% 
della dieta del tursiope nel Mediterraneo è costituita da pesci e il restante 10% da cefalopodi 
(Volani e Volpi, 1990).