1.1 - La contrattazione decentrata
In Italia, lo strumento principale di decentramento contrattuale è la
contrattazione aziendale, delle volte sostituita dalla territoriale. Il suo
compito
3
è quello di disciplinare gli standard normativi ed economici
applicabili ai rapporti di lavoro individuali esistenti nel suo ambito di
applicazione. Essa, per quanto articolata ed approfondita, non va mai a
sostituirsi alla contrattazione svolta a livello nazionale che rimane, sempre e
comunque, il punto di riferimento di ogni successiva discussione.
Giuridicamente
4
la contrattazione collettiva aziendale potrebbe apparire come
un controsenso considerato l’accostamento di due termini così profondamente
diversi come “collettivo” ed “aziendale” che sembrerebbero riferirsi a due
contesti distanti tra loro. Di conseguenza, il contratto aziendale inizialmente
sembrò doversi classificare tra i contratti plurisoggettivi. Invece, nel momento
in cui esso venne ufficialmente riconosciuto e legittimato, si preferì inserirlo
tra i contratti collettivi e tale qualifica derivò dalla pluralità di soggetti
collettivamente considerati, i cui interessi venivano tutelati da
un’organizzazione sindacale
5
.
Le prime esperienze
6
di contrattazione aziendale nel nostro paese risalgono al
periodo prefascita, ma proprio l’avvento di quest’ultimo, ne ridimensionò il
ricorso. Nell’immediato secondo dopoguerra il sistema di contrattazione si
presentava quasi totalmente centralizzato. Il livello più alto era quello
confederale che delibera su ogni argomento, sia relativamente alla parte
normativa sia relativamente alla parte economica. Se i contratti nazionali di
categoria, pur essendo formalmente riconosciuti, dovevano così accontentarsi
di un ruolo secondario, faticando a recuperare autonomia, la contrattazione a
livello aziendale era praticamente nulla, ma soprattutto informale e sommersa.
Fu necessario aspettare gli anni ’50 per trovare nuovamente traccia di accordi
aziendali che però continuarono ad essere siglati in maniera ufficiosa dalle
3
G. Giugni, op. cit. pag. 152
4
A. Lassandari, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, ed. Giuffrè, 2001 pag. 37
5
A. Lassandari, op. citata pag. 45
6
A. Lassandari, op. citata pag. 32
2
commissioni interne
7
e non poterono godere ancora di una qualificazione
giuridica ben precisa. La loro efficacia derivò
8
dalla loro costante
applicazione di fatto in azienda piuttosto che dalla natura intrinseca del
contratto stesso che arrancava all’interno di una struttura fortemente
centralizzata in cui la facevano da padrone ancora gli accordi interconfederali.
Agli inizi degli anni sessanta i sindacati, spinti da una sorta di ribellione
innescata da CGIL e CISL, riuscirono a modificare a loro favore il potere
contrattuale, consentendo alla contrattazione di svilupparsi sui due livelli,
nazionale ed appunto aziendale, che, sino a quel momento, erano stati
piuttosto modesti. I contratti nazionali di categoria diventarono il fulcro della
contrattazione e gettarono le basi per un primo decentramento. Nella
conclusione di contratti aziendali le commissioni interne furono affiancate dai
sindacati provinciali di categoria e, nel 1962, i contratti aziendali furono
formalmente riconosciuti grazie al Protocollo Intersind-Asap
9
che gettava le
basi per una contrattazione nuova, definita come “articolata” e che vedeva
proprio nei sindacati provinciali di categoria, esterni all’azienda, gli unici
agenti autorizzati a trattare, anche perché le strutture interne erano ancora
troppo fragili. Il passo avanti compiuto era sicuramente importante, ma il
decentramento era ancora troppo parziale e le materie a disposizione del
livello aziendale ancora troppo poche così che la funzione da esso svolta era
unicamente integrativa del contratto nazionale di categoria.
Il boom economico degli anni sessanta stimolò il concorso-conflitto tra
contratti di diverso livello e la contrattazione aziendale iniziò a prendere in
esame materie diverse da quelle trattate in precedenza, con rivendicazioni
inedite come la ricerca della parità tra impiegati ed operai. Il mancato
raggiungimento di un’intesa al termine dell’autunno caldo del 1969 spezzò le
norme di collegamento giuridico tra gli esistenti livelli contrattuali. Si passava
così dal concetto di “contrattazione articolata” a quello di “specializzazione
autonoma” ovvero di “contrattazione non vincolata” dove i due livelli
principali operavano indipendentemente l’uno dall’altro. A livello aziendale
7
G. Giugni, op. cit. pag. 154
8
A. Lassandari, op. citata pag. 39
9
G. Giugni, op. cit. pag. 155
3
diventava così potenzialmente possibile aprire, in ogni momento trattative su
materie di competenza anche nazionali, ma da riaffrontarsi in ambito
aziendale. Di fatto, la contrattazione aziendale finiva con l’occuparsi solo di
temi che non trovavano una disciplina uniforme a livello nazionale. Era il
momento di massimo decentramento
10
per il nostro ordinamento con il
contratto aziendale che passava dallo svolgere un ruolo integrativo-
applicativo del livello nazionale all’assumere una funzione modificativa-
sostitutiva dello stesso, talvolta funzionando da traino su certi argomenti. Il
livello aziendale anticipava
11
quindi contenuti e aspetti che venivano poi
generalizzati dal contratto nazionale. Le materie oggetto di discussione
variavano dai sistemi di inquadramento professionale dei lavoratori (ridurre il
divario tra operai ed impiegati), alla struttura del salario (ridurne la
complessità), all’orario di lavoro (aumentarne la flessibilizzazione per ridurne
il costo). Le conquiste fatte in campo aziendale erano generalizzate e traslate
in campo nazionale: la contrattazione nazionale di categoria, infatti, si
“appropriava” delle soluzioni elaborate dal livello inferiore, soprattutto
quando le soluzioni provenivano dalle grandi imprese, svolgendo così una
funzione di generalizzazione. Per la prima volta, la contrattazione nazionale
riusciva a non essere schiacciata dalle disposizioni provenienti dal livello
confederale. Dell’affermarsi di questo modello bipolare, unico in Europa, che
andava a discapito della contrattazione interconfederale, praticamente
scomparsa in quegli anni, ne guadagnavano soprattutto le piccole-medie
imprese che vedevano affermarsi in misura significativa i primi veri e propri
accordi aziendali. Si trattava di un campo che era sempre rimasto autonomo e
l’unico tentativo di ingerenza dall’esterno era quello attuato negli anni ’70
quando, con riferimento ai diritti d’informazione sulle politiche aziendali,
alcune aziende vennero escluse dalle discussioni. Alcuni settori come
l’edilizia e l’agricoltura poi, svilupparono una contrattazione decentrata
differente che si realizzava a livello provinciale allo scopo di migliorare ed
integrare le condizioni predisposte dal CCNL.
10
G. Giugni, op. cit. pag. 157
11
F. Rossi – P. Sestito, Contrattazione aziendale, struttura negoziale e determinazione decentrata del salario, da
Rivista di politica economica, 2000
4
La crisi economica generata dall’aumento dei prezzi delle materie prime, con
conseguente aumento dell’inflazione, spinsero il sistema nuovamente verso la
centralizzazione: il livello confederale riuscì a recuperare terreno ed a ridurre
il raggio d’azione dei livelli sottostanti, sottraendo loro spazio e relegandoli
alla sola gestione delle conseguenze sull’occupazione prodotte dai processi di
riconversione tecnologica ed organizzativa. Il protocollo del gennaio 1983
rispolverò il criterio di gerarchia tra i livelli, dettando indicazioni precise sui
contenuti e sulla struttura che avrebbe dovuto avere la contrattazione. Impose,
in primo luogo, che la contrattazione aziendale non avrebbe dovuto mai
occuparsi di materie di competenza degli altri livelli ed anche che, proprio a
livello aziendale, si potesse promuovere la gestione dei problemi tramite la
ricerca del consenso piuttosto che del conflitto. Con il lodo Scotti del gennaio
1983 si stabilì che gli incrementi retributivi previsti dal CCNL fossero già
comprensivi di diciotto mesi di aumenti potenziali a livello aziendale. A
seguito del fallimento dell’accordo trilaterale del febbraio 1984, le
negoziazioni s’interruppero e s’iniziarono a siglare accordi difensivi più che
propositivi al fine di salvaguardare l’occupazione. Solo dalla seconda metà
degli anni ’80 in poi le imprese avvertirono l’esigenza di liberarsi del
meccanismo della scala mobile e di provvedere ad uno spostamento delle
relazioni industriali a livello aziendale, dove si sarebbe realizzata anche una
forte flessibilità organizzativa
12
. La dinamicità di un mercato del lavoro
caratterizzato dalla precarietà e talvolta della stagionalità, riusciva a spiegare
il continuo altalenare da una struttura contrattuale centralizzata ad una
decentrata. Così, mentre l’interventismo statale era sinonimo di
centralizzazione, il rilancio della contrattazione decentrata aveva per le mani
la ripresa economica. Pur essendo notevole, l’importanza della contrattazione
aziendale non riuscì mai a raggiungere quella della nazionale. Entrando in
crisi il meccanismo della scala mobile, i sindacati rinunciarono a trattare gli
elementi retributivi sino alla stipula del Protocollo luglio 1993.
12
G. Giugni, op. cit. pag. 160
5
1.2 – Il Protocollo del luglio 1993
Prima del 1993 il sistema contrattuale italiano
13
appariva caratterizzato da un
basso grado di cooperazione e coordinamento nelle regole che determinavano
i salari ed il nostro paese si poneva in una situazione nettamente distinta
rispetto ad altri paesi europei tipicamente organizzati con strutture
corporativistiche. La svolta per le relazioni industriali italiane arrivò nel 1993
con la stipula di un accordo triangolare, una sorta di carta costituzionale che
trattava della politica dei redditi e dell’occupazione e gettava le basi per una
nuova era di contrattazione.
Con esso le parti sociali vollero dare una chiara svolta individuando la strada
che avrebbe dovuto essere seguita in fase di contrattazione nazionale ed
aziendale. Conteneva per lo più clausole obbligatorie che lo rendevano
vincolante per le parti firmatarie, ma anche clausole normative come quella
concernente la vacanza contrattuale. Nel secondo punto venivano individuati
gli assetti contrattuali sia con riferimento all’ambito nazionale sia all’ambito
territoriale o aziendale, a seconda delle abitudini attuali dei diversi settori. Il
rapporto tra i livelli della struttura
14
era tanto gerarchico, perché era il CCNL
che decideva cosa rinviare a livello aziendale, quanto funzionale dal momento
che il livello decentrato conservava una certa autonomia. Per certi versi,
infatti, al contratto aziendale, veniva riconosciuta una specializzazione in
materia retributiva e di gestione degli effetti sociali derivanti dalle
trasformazioni aziendali, togliendolo da quel semplice ruolo integrativo cui
era chiamato.
La contrattazione collettiva si legava alla concertazione senza la quale non
sarebbe mai nata. Mediante il Protocollo Ciampi – Giugni, non solo si ribadì il
doppio livello di contrattazione (triplo se consideriamo anche
l’interconfederale), ma lo si formalizzò definitivamente. La contrattazione
nazionale disciplina gli aspetti del rapporto di lavoro nei limiti delle politiche
dei redditi ed occupazionali fissate. Ha durata quadriennale per la sua parte
normativa e biennale per la sua parte economica e, durante la vigenza, le parti
13
M. Signorelli – M. Tiraboschi, Mercato del lavoro, norme e contrattazione scritti in memoria di M. Biagi.
Edizioni Scientifiche Italiane, 2004
14
G. Giugni, op. cit. pag. 164
6
possono intervenire per attuando nuove contrattazioni per gestire le
ripercussioni dell’eventuale introduzione di innovazioni organizzative o
tecnologiche. Con riferimento agli aspetti economici le decisioni dovranno
essere coerenti con i tassi di inflazione programmata per salvaguardare il
potere d’acquisto delle retribuzioni motivo per cui, in sede di rinnovo
economico, vi sarà anzitutto un confronto tra l’inflazione programmata e
quella reale intervenuta nel biennio di riferimento. Le piattaforme
rivendicative concernenti i CCNL dovranno essere presentate con tre mesi
d’anticipo sulla scadenza del contratto e per questo periodo (più un altro mese
oltre la scadenza) detto periodo di raffreddamento, le parti non potranno
attuare alcuna azione diretta o iniziativa unilaterale, pena l’anticipazione o lo
slittamento, a seconda della parte violante, dei termini di decorrenza
dell’indennità di vacanza contrattuale. Tale istituto rappresenta una novità
rispetto al passato ed è inquadrato come un elemento provvisorio della
retribuzione che viene corrisposto ai lavoratori il cui contratto non è ancora
stato rinnovato a causa del prolungarsi delle trattative. La base imponibile per
la vacanza contrattuale, 30% del tasso di inflazione programmata (elevato al
50% dopo sei mesi), è pari al minimo tabellare più l’indennità di contingenza.
Per quanto riguarda invece la contrattazione aziendale o territoriale i
meccanismi sono stabiliti a livello nazionale con riferimento alla tempistica,
agli istituti trattabili, all’autonomia della quale può godere. I soggetti
autorizzati a trattare sono i rappresentanti delle RSU o delle organizzazioni
territoriali firmatarie del CCNL e comunque seguendo le modalità da questi
definite. Con riferimento alla parte economica, gli istituti trattabili sono
diversi e non ripetitivi da quelli stabiliti a livello nazionale e le erogazioni
sono strettamente correlate agli andamenti aziendali ed al raggiungimento di
obbiettivi di produttività, qualità, redditività, competitività in genere prefissati
tra l’azienda stessa e le rappresentanze sindacali. In pratica, la differenza
richiesta rispetto alle voci trattate nel CCNL è che vi sia la variabilità delle
somme corrisposte rispetto agli obbiettivi predeterminati, accertato il loro
reale raggiungimento mediante una serie di parametri ed indicatori ritenuti
adeguati alla loro valutazione. Le voci esposte nei contratti aziendali possono
avere evidentemente carattere innovativo e, più o meno direttamente possono
7
andare ad incidere su altri aspetti della vita aziendale, andando a migliorarla
dal punto di vista economico, ma anche organizzativo. Ponendosi su due
livelli evidentemente differenti si corre il rischio che i contratti nazionali ed
aziendali entrino in conflitto tra loro e, mentre in passato questo problema era
stato superato tramite il criterio di successione temporale prima e della
specialità poi, grazie al Protocollo ’93, intanto si riduce in partenza il numero
dei conflitti e quelli che eventualmente si presentano sono risolti con il
criterio sistematico. Mediante esso la risoluzione dei conflitti avviene
osservando l’intero sistema contrattuale in cui esso è inserito: in pratica, se il
contratto aziendale andrà oltre
15
le sue competenze non potrà produrre i suoi
effetti.
Le
16
parti si sono adeguate alle disposizioni contenute nel Protocollo. È
sicuramente cresciuto il numero di contratti aziendali rispettosi della cadenza
quadriennale, e sono anche stati introdotti i parametri richiesti per erogare gli
elementi variabili della retribuzione. È altrettanto vero però che spesso questi
parametri sono effimeri ed elusivi dell’accordo con le parti che preferiscono
ancora la tradizionale prassi del premio fisso
17
, così come gli stessi contratti
finiscono per l’avere una cadenza differente, per esempio annuale, e vanno a
rinnovarsi automaticamente. Un merito della struttura così impostata è stato
indiscutibilmente quello di ridurre il numero dei conflitti tra le parti coinvolte.
Dati alla mano, infatti, resistono conflitti di una certa intensità solo con
riferimento all’art. 18 dello statuto. Altro dettaglio non trascurabile concerne
la scarsità di controversie giudiziarie sull’argomento, strano se consideriamo
che nel campo del diritto del lavoro quasi tutti gli argomenti sono stati oggetto
di vertenze giudiziarie. Nonostante questi aspetti positivi la struttura della
contrattazione non può stare tranquilla perché è in studio una sua possibile
revisione al fine di dotarla di maggiore flessibilità e di un più ampio
decentramento. Le critiche
18
che vengono mosse riguardano aspetti economici
ed istituzionali, vedi in quest’ultimo caso la riforma del titolo V o il dibattito
acceso sul federalismo.
15
G. Giugni, op. cit. pag. 173
16
A. Lassandari, op. citata pag. 127
17
Diritto delle R.I. – M. Napoli, n. 3 XIII – 2003, pag. 357
18
Diritto delle R.I. – M. Napoli, n. 3 XIII – 2003, pag. 358
8
Dal primo punto di vista è criticato il meccanismo di determinazione dei
minimi salariali che vanno a discapito delle zone del Mezzogiorno che, per
superare il disagio, hanno sperimentato una serie di contratti di secondo
livello integrativi come il contratto d’area, il territoriale o quello di
riallineamento retributivo. Per una maggiore correttezza però il paragone tra
nord e sud dovrebbe essere fatto sulla base dei salari di fatto, sui quali incide
più della contrattazione di categoria, quella aziendale. La struttura su
enunciata non dovrebbe essere, a detta di molti, oggetto di trasformazioni o
modifiche che producessero dei passi indietro rispetto a quanto è stato
faticosamente conquistato.
1.3 – Funzione
La qualifica più importante assegnata al contratto aziendale risale agli anni
’60 ed è quella di integrativo del contratto nazionale. Originariamente il
termine “integrativo”
19
era usato per sottolineare la perfetta linea di confine
esistente tra la competenza di categoria e quella aziendale; non era consentita
alcuna sovrapposizione ed anzi veniva negata l’autonomia giuridica del
contratto integrativo considerandolo come una coda di una formazione
progressiva nazionale. Ma il contratto aziendale, pur discendendo da un punto
di riferimento importante quale quello nazionale, costruisce una disciplina
propria, fatta di compromessi e mediazioni. La qualifica di integrativo fa
anche pensare ad un’azione migliorativa del contratto aziendale a cui si può
chiedere di arricchire i trattamenti minimi previsti per i lavoratori. Molte
clausole del contratto aziendale però accantonano il concetto di minimo e lo
sostituiscono con quello di standard: in tal modo non è escluso che gli
standard previsti possano anche rivelarsi peggiorativi creando delle difficoltà
nella gestione dell’istituto in questione. Solo quando a livello aziendale
vengono discussi gli aspetti economici si riesce a capire se vi è stato un
effettivo miglioramento nelle condizioni di vita del lavoratore. In molti altri
casi le decisioni che vengono prese non sono facilmente inquadrabili tra gli
19
A. Lassandari, op. citata pag. 138
9
aspetti migliorativi o peggiorativi come accade per esempio quando vengono
individuati i periodi in cui sarà possibile godere delle ferie o recuperare i
permessi. Ogni soggetto coinvolto
20
nella contrattazione ha chiaramente degli
interessi da difendere e cerca di sfruttare al meglio questi momenti: il datore
di lavoro programma la propria attività in maniera tale da rimanere
competitivo sul mercato mentre i lavoratori sperano di veder migliorare le
condizioni di lavoro. Diverso è il discorso per i sindacati, che, promotori degli
interessi dei lavoratori, contemporaneamente, perseguono il personale
interesse di far crescere il numero degli iscritti per poter controllare l’offerta
di lavoro internamente. Si potrebbe anche sostenere che la funzione del
contratto aziendale si esaurisca con la regolamentazione dell’organizzazione
del lavoro, con i sindacati che vengono coinvolti dai datori per perseguire le
performance produttive necessarie per mantenere competitiva l’azienda. Ed,
in effetti, non è scorretto affermare che quasi tutte le clausole discusse in
azienda, da quelle relative alla sicurezza a quelle concernenti il premio per
obbiettivi passando attraverso quelle sull’orario, ruotano intorno proprio
all’organizzazione del lavoro. Se però nel contratto aziendale venissero
inserite clausole dal contenuto incerto
21
o generico, non riguardanti
l’organizzazione interna del lavoro, queste non avrebbero alcun diritto di
sostituirsi alle equivalenti clausole nazionali. Esiste un contratto aziendale per
cui non si pone il problema dell’efficacia normativa sui rapporti individuali: è
il caso di quei contratti aziendali conclusi in situazioni di crisi aziendale. La
funzione gestionale di cui può essere dotato il contratto collettivo riguarda un
provvedimento di gestione del personale, in particolari momenti aziendali
dove è necessario provvedere alla riduzione dell’orario di lavoro o alla CIG o
al licenziamento collettivo, tutti casi di crisi in cui il lavoratore non è
destinatario di benefici bensì di sacrifici, talvolta anche peggiorativi degli
standard nazionali. In questi casi, più che il datore, è lo stesso lavoratore ad
avere tutto l’interesse a sottrarsi all’applicazione di questi accordi a lui più
sfavorevoli, ma lo potrà fare tecnicamente solo o se non è iscritto ad un
sindacato o se il suo sindacato non rientra tra i firmatari. Altre volte l’accordo
aziendale rappresenta solo una fase obbligatoria del procedimento che il
20
A. Lassandari, op. citata pag. 112
21
A. Lassandari, op. citata pag. 141
10
datore deve porre in essere: quando deve andare all’esame congiunto dei
sindacati per un licenziamento collettivo: che scaturisca o meno un accordo
con la controparte, infatti, questo non sarà decisivo nella risoluzione del
rapporto di lavoro che scaturirà invece dal licenziamento collettivo
22
. Difetto
del contratto gestionale è però la mancanza di efficacia reale perché esso è
dotato di clausole che sono vincolanti nel rapporto datore-sindacato, ma non
sono influenti sui contratti individuali. La distinzione
23
enunciata tra la
funzione gestionale (esercizio del potere dell’imprenditore) e la funzione
integrativa (relativa alla disciplina dettata dal CCNL) è molto meno netta di
quanto si possa pensare, anzi spesso le due tendono a sovrapporsi. Anche se è
stato il Protocollo 1993 a chiarire i rapporti vigenti tra contratto di categoria e
contratto aziendale, facendo sì che il primo prevalga ed il secondo possa
decidere solo entro certi margini, indicazioni simili erano già contenute
nell’accordo del 1983 che stabiliva come a livello aziendale non si potessero
discutere materie già di competenza dei livelli superiori. I contratti nazionali
di solito non contengono che poche modificazioni rispetto ai propri
predecessori, limitandosi ad aggiustare qualche dato, ma difficilmente ne
stravolgono la base. In caso di successione tra contratti aziendali, invece,
tanto gli accordi nella loro totalità quanto i singoli istituti sono considerati
autonomi e slegati l’uno dall’altro, ma il fatto che spesso contengano degli
specifici rinvii genera un collegamento di fatto tra accordi successivi e creano
allo stesso tempo un quadro completo dell’evoluzione della contrattazione ed
evidenziano i mutamenti che hanno interessato l’organizzazione del lavoro.
Per quanto concerne invece la forma che deve avere il contratto collettivo
qualcuno ricorda che il contratto collettivo non rientra tra quelli per cui l’art.
1350 C.C. pretende la forma scritta, più che altro perché all’epoca non era
ancora accettato dall’ordinamento. Tecnicamente, a livello aziendale,
potrebbe non essere necessario che l’accordo sia redatto in forma scritta
24
visto il grado di conoscenza dello stesso raggiunto tra le parti stipulanti, ma è
anche vero che la maggior parte dei casi la contrattazione avviene in forma
orale.
22
G. Giugni, op. cit. pag. 147
23
A. Lassandari, op. citata pag. 115
24
A. Lassandari, op. citata pag. 156
11
Accanto alle forme “ad sustantiam” o “ad probationem” emerge la nuova
forma “integrativa” che permette al contratto di produrre effetti ulteriori
rispetto a quelli che già produce normalmente tra le parti. Quando
l’imprenditore concede dei trattamenti più favorevoli ai propri dipendenti,
solitamente incidenti sui minimi di trattamento, senza alcuna intermediazione,
si parla di usi aziendali; quando il termine usato è “contratto” invece non vi è
argomento che non venga discusso alla presenza dei sindacati. La dottrina
cerca di avvicinare gli usi aziendali al contratto, riducendo il divario esistente
tra questi due strumenti, anche se deve fare i conti con la crescita dei
contenuti del contratto
25
. La prassi gestionale individua, invece, quei momenti
in cui datore e rappresentanti dei lavoratori collaborano per la risoluzione di
un problema comune.
1.4 - Efficacia soggettiva ed efficacia oggettiva
I due concetti di efficacia affrontano il problema, rispettivamente
dell’individuazione dei soggetti a cui i contratti collettivi sono applicabili
(orizzontale) e la ricerca di un meccanismo giuridico con cui il contratto può
vincolare questi soggetti (verticale). Il problema dell’efficacia è stato
affrontato con maggiore intensità con riferimento all’ambito nazionale,
individuando nell’adesione ad un sindacato, nella concreta esecuzione del
contratto nazionale di categoria, nelle disposizioni contenute nell’art. 39 e 36
della Costituzione e nell’art. 2070 del C.C. la giustificazione per la sua
applicazione. Ma la questione presenta attinenza anche con il contratto
aziendale, poiché allo stesso modo ci si chiede di come può esservi
subordinato. Ci si domanda se il riferimento alla sottoscrizione di contratti
collettivi contenuto nella seconda parte dell’art. 39 della costituzione, sia
riferibile anche ai contratti aziendali. Osservando bene
26
ci si accorge che la
Costituzione fa riferimento ad una struttura giuridica ben precisa e non ad una
serie indistinta di organismi che gestiscono le fasi di contrattazione in
azienda, dove i formalismi strutturali sono meno accentuati.
25
A. Lassandari, op. citata pag. 159
26
A. Lassandari, op. citata pag. 296
12
L’art. 39 nasce per gestire la contrattazione collettiva a livello aziendale e non
sembra sia in alcun modo applicabile anche al contratto aziendale
27
. La
dottrina però fa riferimento alla indivisibilità dell’oggetto di regolamentazione
del contratto aziendale, perché si ritiene che le esigenze dei lavoratori possano
essere definite ed accontentate solo se si tiene conto delle reali condizioni in
cui vertono e per far ciò e necessario focalizzare l’attenzione sulla dimensione
aziendale. È l’organizzazione del lavoro il concetto base a cui si rilegano tutte
le prestazioni di lavoro ed il contratto aziendale diventa lo strumento più
adatto a contenere l’insieme di clausole che disciplinano i tanti aspetti della
vita aziendale. Ciò costituisce un passo importante per evidenziare il nesso
28
tra l’efficacia generale del contratto e l’organizzazione del lavoro in azienda.
Fintanto che la contrattazione aziendale possedeva un carattere acquisitivo per
il datore di lavoro non c'era alcuna differenza tra iscritti e non iscritti, quindi il
problema non sorgeva nemmeno. O meglio, dottrina e giurisprudenza, lo
risolvevano appigliandosi al fatto che era sufficiente la sottoscrizione del
contratto da parte del datore, perché tutti i membri della comunità aziendale
fossero vincolati. Quindi, inizialmente, e sino alla metà degli anni settanta, si
presupponeva l’efficacia generale del contratto aziendale.
Il richiamo al principio della “parità di trattamento in azienda”
29
, che tra
l’altro fatica ad imporsi, sembrerebbe legarsi al “divieto di discriminazione”
contenuto nello statuto dei lavoratori. I continui rinvii di legge, con cui si
persegue l’efficacia generale del contratto, non sembrerebbero poi sufficienti
a raggiungere gli obbiettivi fissati dal legislatore. Un altro criterio utilizzato
per affermare l’efficacia di tale contratto a livello generale è riferito alle
qualità del sindacato individuate nella sua maggiore rappresentatività, ma il
ridimensionamento subito da tale caratteristica, ha fatto cadere questo legame.
Tradizionalmente, l’efficacia del contratto aziendale derivava dai soggetti
stipulanti
30
. Si sosteneva che i contratti aziendali stipulati dalle commissioni
interne o dal consiglio di fabbrica o dalle RSU, estendevano la loro efficacia
verso tutti i lavoratori rappresentati, e ciò per il solo motivo che ne avevano la
27
A. Lassandari, op. citata pag. 304
28
A. Lassandari, op. citata pag. 309
29
A. Lassandari, op. citata pag. 246
30
A. Lassandari, op. citata pag. 274
13
rappresentanza. È indubbio che il contratto sia espressione della volontà della
maggioranza dei lavoratori, ma è altrettanto vero che la maggioranza non ha il
diritto di schiacciare le minoranze o la volontà dei singoli
31
. Laddove un
contratto aziendale contenga dei miglioramenti nei trattamenti, è lecito
domandarsi se e come la sua applicazione debba coinvolgere tutti i dipendenti
dell’impresa. Tramite la sentenza n. 268/94 della Corte Costituzionale si è
affermata la teoria sulla base della quale il contratto aziendale che incidesse
su aspetti del rapporto di lavoro individuale, sarebbe dotato di efficacia
generale. Sminuendo così il problema dell’efficacia ci si rifà alla teoria del
contratto gestionale basato sulla separazione tra la regolamentazione del
diritto e del potere
32
. Le cose si complicano quando fanno la loro comparsa
clausole collettive aziendali non migliorative di standard già garantiti. Nei
casi di crisi che producono riduzione dell’orario di lavoro o ricorso alla CIG
od al licenziamento collettivo si manifesta, infatti, una distribuzione di
sacrifici più che di vantaggi per i lavoratori con determinazione di standard
anche peggiorativi dei nazionali. Il lavoratore penalizzato preferisce sottrarsi
all’applicazione di questi accordi, ma ciò sarà possibile solo se non è iscritto
ad un sindacato o se il suo sindacato non rientra tra i firmatari
33
. Delle altre
volte l’accordo aziendale rappresenta solo una fase obbligatoria del
procedimento che il datore deve porre in essere, come quando non può evitare
di andare all’esame congiunto dei sindacati per un licenziamento collettivo:
che scaturisca o meno un accordo con la controparte, infatti, questo non sarà
decisivo nella risoluzione del rapporto di lavoro che scaturirà invece dal
licenziamento collettivo. Questo processo detto di procedimetalizzazione, ha
limitato fortemente e costantemente i poteri datoriali al fine primario di
ridurre il divario tra il suo potere contrattuale e quello dei lavoratori. Non è la
volontà
34
del datore a stabilire se un contratto ha efficacia generale, e
nemmeno ha rilevanza giuridica autonoma l’interesse del soggetto collettivo
dissidente.
31
A. Lassandari, op. citata pag. 250 – 254
32
A. Lassandari, op. citata pag. 258 – 260
33
G. Giugni, op. cit. pag. 147
34
A. Lassandari, op. citata pag. 327
14
Se il contratto collettivo non riesce ad acquisire generale efficacia, non sarà
35
possibile estenderne gli effetti ai soggetti dissidenti, ma in tal modo vedrà
intaccata la sua funzione primaria vale a dire quella di strumento
organizzatore del lavoro. La dottrina ha riconosciuto la validità del concetto
di effettività del contratto aziendale, intendendo per effettivo quell’accordo
che sia giunto alla risoluzione dei problemi, impedendo ai lavoratori
dissenzienti di poter far valere la propria posizione nei confronti del datore
36
.
I lavoratori, che per autotutelarsi hanno a disposizione l’art. 40 della
Costituzione, tendono a staccarsi dalla protezione offerta dai sindacati,
ritenendo di essere in grado di difendersi da soli. Viste le obbiettive difficoltà
di rendere il contratto efficace nei confronti di tutti i soggetti, e considerata la
possibilità degli stessi di richiederne volontariamente l’applicazione, si è
preferito spostare l’attenzione dal contratto collettivo alla contrattazione
collettiva.
Essa, per quanto atipica, diviene una fonte di diritto che si presenta come
efficace nei confronti di tutti, salvo la possibilità di essere in disaccordo con
essa e non verso i singoli atti che da questa derivano. Quello che non è in ogni
caso chiarito è perché ad un lavoratore sia consentito di essere dissenziente
verso una fonte ritenendo che si sarebbe, invece, potuto rendere la fonte
efficace verso tutti, e consentire ai lavoratori di dissentire rispetto ai suoi
singoli atti, salvo poi individuare i criteri oggettivi che avrebbero definito
quali che sarebbero potuti essere oggetti di contestazione
37
. Le vicende
controverse del contratto aziendale, hanno impedito sino alla fine degli anni
ottanta circa, il ricorso al diritto comune per meglio comprendere il significato
di efficacia e, dal momento che non si riesce ad affermare l’efficacia dei
contratti aziendali erga omnes si deve rimanere per forza di cose all’interno
degli schemi privatistici della rappresentanza
38
. Il contratto aziendale può
muoversi nei limiti degli spazi concessigli da quanto disposto a livello
nazionale, per quanto non sempre il primo accolga per intero quanto
demandato dal secondo.
35
A. Lassandari, op. citata pag. 341
36
A. Lassandari, op. citata pag. 261
37
A. Lassandari, op. citata pag. 264 - 265
38
A. Lassandari, op. citata pag. 268
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