2Anche la popolazione americana sar bombardata, ma con armi mediatiche.
Verr insinuata in essa una nuova concezione di razzismo, che fa leva sulle
emozioni incontrollate, come la paura del diverso, e si nutre delle differenze
culturali di due tradizioni presentate come inconciliabili. L impossibilit
dell incontro e della convivenza pacifica non dipendono dalla dialogante civilt
occidentale, ma dalla mancanza di volont dell islam radicale di conformarsi
all ideologia dominante (Gramsci, 1953), non importa se ci equivarrebbe a
rinunciare a una parte della propria sovranit .
Questa tesi intende cos evidenziare gli aspetti sociali che sono stati
coinvolti nella costruzione di una nuova alterit ostile nel senso comune. Il mio
obiettivo portare alla luce il processo sociologico e le strategie comunicative che
hanno permesso che ogni occidentale familiarizzasse con la figura del terrorista
islamico, fino a quel momento solo presente sugli schermi di Hollywood, e
costruisse su di essa nuovi significati.
L elaborato suddiviso in due parti. La prima teorica, anche se non
esclusivamente di natura compilativa, e comprende i primi tre capitoli. In essa
effettuo un analisi sociologica dell argomento, con il supporto teorico dei sociologi
della modernit (Zygmunt Bauman, Anthony Giddens) e del rischio (Ulrich Beck).
Tuttavia l intento quello di apportare un contributo originale e critico
sull argomento.
Il primo capitolo tratta della costruzione dell identit dello straniero
all interno dello stato-nazione, del rapporto che c tra identit e cultura, delle
nuove forme di razzismo moderno. Il secondo capitolo incentrato sulla societ
del terrorismo , un era cominciata con gli attacchi al World Trade Center e non
ancora conclusa, in cui il rischio legato al territorio e quindi alla sovranit
nazionale, e la ˙politicizzazione del problema della sicurezza¨ (Beck, 2000)
funzionale alla creazione di nuovi nemici pubblici su cui scaricare le ansie
individuali. Il terzo capitolo affronta i meccanismi di rappresentazione dello
straniero nei discorsi, come si impongono i pregiudizi etnici e che ruolo ha in ci
l lite dominante; una parte dedicata a come viene rappresentata dall Occidente la
figura del musulmano.
3La seconda parte, composta dal quarto e ultimo capitolo, invece di ricerca
empirica e verte sull analisi sociosemiotica dei due, a mio parere, pi significativi
discorsi alla nazione, pronunciati dal presidente degli Stati Uniti nel settembre
2001. Gli strumenti semiotici mi hanno permesso di indagare i meccanismi nascosti
che sono stati attivati nella strategia comunicativa di George W. Bush per
fortificare il Noi e costruire un nuovo Altro .
Ringraziamenti
Vorrei ringraziare la Prof.ssa Monica Santoro per avermi seguito con grande
disponibilit , pazienza e precisione nel mio lavoro di tesi. Un ringraziamento
speciale va inoltre alla Prof.ssa Cinzia Bianchi che mi ha trasmesso la sua passione
per la semiotica e, con i suoi preziosi consigli, mi ha introdotto nel mondo della
ricerca. Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza l appoggio quotidiano di
Romana, Davide, Marcello ed Elena, a cui va il mio pi caro affetto.
4CAPITOLO PRIMO
L IDENTIT¸ DEL NEMICO NELLO STATO-NAZIONE
1.1.Diverso e inferiore
Nelle societ premoderne, o tradizionali, la figura dello straniero era ben
definita dalle categorie interno-esterno. L identit interna era chiara a tutti per una
questione di appartenenza naturale a quel dato luogo, fin dalla nascita. Lo
straniero che si inseriva successivamente nella societ era guardato con sospetto e
non riusciva mai completamente a integrarsi nella comunit , anche dopo che era
trascorso molto tempo dal suo arrivo, poich veniva tenuto a distanza attraverso
rituali di allontanamento (Giddens, 1994).
Nella seconda modernit
1
, caratterizzata dalla separazione del tempo e dello
spazio e dalla disaggregazione dei sistemi sociali (Ibidem), intesa come de-
localizzazione dei rapporti sociali e riaggregazione degli stessi a livello globale, la
linea di demarcazione tra straniero e autoctono crolla. Lo straniero non pi solo
esterno, ma anche interno. Ø colui che vive nelle nostre citt , consuma i nostri stessi
cibi, ha comportamenti d acquisto simili ai nostri, si mimetizza tra noi. La semplice
definizione di estraneo , che in un piccolo villaggio etichettava chi non era del
luogo, non pi adeguata. Nelle grandi metropoli attuali tutti sono estranei, anche i
nostri vicini di casa.
Comincia a farsi strada allora una nuova, pi insidiosa, distinzione fra Noi e
lo straniero, che inquadra quest ultimo in colui che appartiene a uno stato-nazione
differente dal nostro. Le categorie inerno-esterno vengono rimpiazzate dal binomio
1
I sociologi della modernit , Beck e Giddens, distinguono tre fasi del mutamento sociale: la societ
preindustriale, o premodernit , dominata dalla tradizione, dalle credenze religiose e mitiche; la
modernit classica, detta anche societ industriale o prima modernit , caratterizzata dalle istituzioni
proprie dello stato-nazione, dalle grandi ideologie, dai conflitti di classe; infine la modernit
riflessiva, societ del rischio o seconda modernit , che si distingue per la dissoluzione dei vincoli
spazio-temporali, per la velocit e la portata dei cambiamenti, per la globalizzazione dei rischi.
5normalit -diversit (Colombo, 1999). Occorre per definire cosa significa
appartenere a uno stato-nazione in un mondo globalizzato come quello attuale.
Per Giddens nella seconda modernit la natura delle istituzioni moderne
cambiata radicalmente e la stessa idea di stato-nazione si dissolta (Giddens,
1994). Condivido solo parzialmente questa teoria, in primo luogo perch persiste il
concetto di sovranit degli Stati, riconosciuto e regolato dal diritto internazionale.
In secondo luogo, le istituzioni odierne sembrano dimostrare una certa lontananza
dall idea di una societ cosmopolita , come quella teorizzata da Beck, secondo cui
l uomo moderno dovrebbe smettere di pensare in termini universalistici di
superiorit -inferiorit e cominciare a vivere il confronto con l Altro in una
concezione cosmopolita (Beck, 2003).
L analisi di Beck evidenzia l atteggiamento dimostrato dall Occidente
sviluppato, e in particolar modo dagli attuali Stati Uniti, nei confronti dei popoli di
altre culture. Un discorso che attinge dalle teorie postcolonialiste, ma affonda le
radici nel mito del buon selvaggio
2
di Rousseau. Noi occidentali, dal XIV secolo,
ci siamo abituati a dividere l umanit secondo l antitesi uguale-diverso, facendo
coincidere l uguaglianza con l uguale valore e la diversit con il minor valore
(Ibidem):
˙Sostenere che la scienza e l economia moderne siano approcci avalutativi
a una conoscenza universalmente valida, identifcando nello stesso tempo
questi approcci con la societ moderna, equivale a trasformare in un
dogma indiscutibile l asserzione che le societ tradizionali sono inferiori¨
(Beck, 2003, p. 143).
La nostra concezione attuale della differenza in termini di inferiorit -
superiorit probabilmente da ricercare da un lato nell universalismo nazionalista
dei politologi dell epoca coloniale, che avevano l obiettivo di soggiogare e rendere
innocui interi popoli; dall altro nell universalismo pedagogico dei padri missionari,
il cui intendo era educare i nativi alla religione, perch si sottomettessero prima
2
Jean-Jaques Rousseau (1712-1778) considerava l essere umano privo di peccato originale. In
quello che egli definiva lo stato di natura , cio lo stato primitivo, selvaggio, l uomo era buono e
innocente poich non ancora corrotto dai vizi della societ e del progresso.
6all autorit superiore di Dio e di conseguenza a quella dei suoi rappresentanti in
terra: l evoluta societ europea. E la storia ha dimostrato che l universalismo arriva
a servirsi della forza per imporre la propria cultura (Ibidem).
Posto che il colonialismo stato superato definitivamente negli anni settanta
del Novecento e che il diritto all autodeterminazione dei popoli uno dei principi
cardine delle Nazioni Unite, tuttavia persiste la tendenza a considerare il diverso
come inferiore. Anche se il diverso, lo straniero che fa paura, non pi colui che
appartiene solo a un altro uno stato-nazione, perch l Occidente formato da tanti
Stati individualmente sovrani. Nella stessa Europa, nessun cittadino italiano si
sognerebbe di temere uno spagnolo o uno svedese. Se ci spostiamo oltreoceano,
negli Stati Uniti siamo ben accolti, al pari dei francesi.
Il collante diventato l avere delle radici comuni e in mancanza di esse, dei
valori condivisi e irrinunciabili. Sentire di appartenere a una stessa nazione, intesa
come comunit immaginaria, significa riconoscersi in una cultura comune
(Colombo, 1999).
E infatti il presidente degli Stati Uniti andato ripetendo che l attacco
terroristico al cuore dell America era un attacco all Occidente, ai nostri valori, tra i
quali il pi importante la democrazia. Con questo atto retorico di esclusione,
G.W. Bush ha delineato precisamente l Altro, il nostro nemico globale: egli
economicamente e socialmente arretrato (quanto meno il suo popolo), vive nelle
grotte tra le montagne, come un uomo delle caverne. Egli compie gesti crudeli,
ripudia il valore un tempo cristiano e ora laicizzato della vita, un barbaro, per
questo inferiore a noi. E se inferiore nostro diritto e dovere educarlo,
modernizzarlo, il che equivale a dire occidentalizzarlo, americanizzarlo,
esportando la democrazia con la forza, se necessario, dato che non in grado di
dialogare con noi perch non riconosciuto come nostro pari.
L Altro cos definito in base alla logica della mancanza illustrata da
Colombo (1999). Essa delinea lo straniero come inadeguato al confronto con gli
altri esseri umani, perch carente di una qualche abilit fisica, intesa come naturale,
biologica, che si dimostra un ostacolo al vivere sociale. L Altro presentato come
colui che non ha leggi (o le viola), vive nel caos (o lo provoca), perch non conosce
il significato della parola ordine. Egli non obbedisce ad alcuna autorit , non ha (o