3
subordinata a strategie continentali. La Francia, pur avendo costruito
con successo un grande impero coloniale e conquistato enorme
prestigio internazionale ed una flotta militare rispettabile,
concentrava i propri sforzi finanziari nell’esercito imponendo alla
Marina un basso profilo al di fuori della sfera d’influenza coloniale.
L’Inghilterra era l’unica nazione che sviluppava una politica
marittima di grande respiro al di fuori dell’agone prettamente
europeo in cui la maggior parte delle potenze aveva maggiormente
investito il proprio peso politico ed economico. La rivoluzione
industriale aveva trasformato paesi europei piccoli ed ambiziosi in
grandi ed intraprendenti imperi commerciali e militari capaci di
mettere in discussione il dominio dei mari britannico. Infatti in
Germania e in Italia, grazie alla progressiva industrializzazione, si
vedeva crescere una classe mercantile intraprendente che spingeva la
classe dirigente ad aprire rotte e commerci all’estero. Questi paesi
dovevano elaborare una nuova strategia marittima alternativa al Rule
of Sea inglese. I primi anni del ventesimo secolo, prima della Grande
Guerra, vedevano soprattutto la Germania e L’Italia costruire
poderose flotte e impiantare colonie e scali in concorrenza con
l’Impero Britannico che, con l’avvento delle corazzate, vedeva la
strategia nelsoniana della “battaglia decisiva” improponibile e
pericolosa. La corazzata, pur mantenendo le vecchie tattiche
manovriere della “linea”, aveva completamente rivoluzionato
l’impostazione strategica della guerra marittima moderna poiché
ormai le battaglie non si potevano più vincere, secondo la dottrina
marittima del tempo, con la manovra e con l’iniziativa ma solamente
con il calibro dei cannoni e con la corazzatura degli scafi. Le potenze
impostavano i bilanci su navi da guerra che avessero la gittata più
ampio e la corazzatura più spessa a discapito della manovra e della
4
velocità. Infatti la classe Dreadnought era il frutto delle convinzioni
del tempo poiché consisteva in corazzate enormi con potenza di
fuoco virtualmente immensa ma estremamente lente come enormi
tartarughe marine. La dottrina delle navi di linea influenzerà
profondamente l’impostazione dottrinaria delle marine di tutto il
mondo ed è rimasta infatti indiscussa anche per un certo periodo
dopo la Grande Guerra. La Germania e L’Italia, nella gara con
L’Inghilterra, avevano costituito una potente flotta ma erano
geopoliticamente chiuse da mari in cui stretti erano nel complesso
controllati dalla Royal Navy. Le flotte tedesche e italiane vantavano
superiorità tecnica rispetto all’obsolescente Marina britannica che, a
causa degli enormi spazi da controllare, e dei bilanci e delle politiche
interne, non riusciva più a gareggiare con successo con la rapidissima
tecnologizzazione dell’Europa, degli Stati Uniti e del Giappone.
Lo scoppio della Grande Guerra, tra l’altro, si dovette anche al fatto
che era inevitabile il confronto delle nascenti potenze navali con il
vecchio sistema britannico. La Grande Guerra aveva portato
imprevedibili innovazioni tecniche e nuovi tipi di armi che avevano
rivoluzionato profondamente non solo la guerra terrestre ma anche la
guerra marittima e la coscienza del cambiamento era appena
percepita poiché la battaglia dello Jutland era stata una conferma
delle corazzate come spina dorsale della flotta di ogni grande
potenza. Le notevoli innovazioni erano l’ingresso in scena di
sommergibili, mine, aerei che in mancanza di adeguate contromisure,
dimostravano tremenda efficacia sulle vulnerabili flotte di superficie.
Queste armi potevano essere micidiali nel ristretto teatro
mediterraneo e L’Italia era all’avanguardia, sia per la sua posizione
geografica sia per l’esperienza già maturata del suo Genio aero-
navale. L’Italia sarebbe stata in grado di diventare una potenza
5
aeromarittima di tutto rispetto ma, per una serie di motivi che
presenterò nel mio lavoro, non ha potuto sfruttare tale possibilità. La
Germania, come vedremo, si ritroverà, dopo la disfatta nella Grande
Guerra, priva completamente di una flotta ma, nonostante la difficile
situazione, poté elaborare una grande strategia marittima innovativa e
varare addirittura una portaerei, la Graf Zeppelin; vi furono tuttavia
dei motivi che impedirono anche alla Germania di sviluppare, come
avvenne in Italia, una coerente ed efficace cooperazione
aeromarittima fondamentale per una politica marittima moderna.
Le portaerei sono navi attrezzate per caricare un gran numero di
aerei specializzati in varie mansioni soprattutto nell’esplorazione di
un ampio raggio di acqua marina attorno alla flotta comprendente
portaerei per intercettare in anticipo flotte nemiche e aiutare il
comandante ad elaborare adeguate contromisure tra cui anche evitare
disastrosi contatti con forze superiori. Le portaerei non hanno avuto
da sempre il caratteristico ponte lungo e generalmente molti paesi
preferirono, per risparmiare sui costi, convertire vecchi transatlantici
o navi di grandi dimensioni in portaerei oppure realizzare progetti
ibridi di portaerei aventi fumaioli e cannoni a guisa di mezzo
incrociatore oppure adattare aerei a bordo di vere e proprie unità da
battaglia. Gli idrovolanti avevano il vantaggio di essere leggeri e
facilmente trasportabili e smontabili sulle navi da battaglia ma per
entrare in azione dovevano essere trasportati tramite cavi e calati in
mare e anche dopo l’ammaraggio di ritorno doveva ripetersi la
medesima operazione con le prevedibili conseguenze di rallentare
molto la flotta. Questo fatto provocò diffuso scetticismo da parte di
diversi ammiragli di ogni paese che spesso consideravano inutile e
dannosa l’arma aerea nelle operazioni navali. Le portaerei invece,
come si è visto, sono diventate lo strumento principale della
6
proiezione di potenza nei mari poiché esse, con il progresso
tecnologico, sono diventate autentici aeroporti galleggianti con la
facoltà di inviare intere squadriglie ad enormi distanze. La 2.GM ha
dimostrato, soprattutto nel teatro del Pacifico, la vulnerabilità delle
corazzate ad attacchi aerei e ha individuato il fattore decisivo della
sorpresa con attacchi improvvisi dal mare come è avvenuto a Taranto
e a Pearl Harbour. Le potenze totalitarie, come dimostrerò nella Tesi,
avevano la caratteristica di essere regimi strutturalmente disarticolati
nonostante l’apparente monolitismo. I regimi totalitari, essendo retti
dalla personalità carismatica del dittatore, non potevano basarsi sui
principi di legittimità istituzionale che mantengono le democrazie
poiché l’ideologia totalitaria aveva spezzato la continuità del potere e
livellato la società non più strutturata secondo le norme e le tradizioni
ma solamente dal terrore o dal consenso. Il dittatore non governa
secondo la legge dello Stato e deve mantenere il proprio potere
dividendo lo Stato tra i suoi gerarchi e mettendoli anche in
competizione fra loro. Anche le forze armate finiscono per diventare
teatro di giochi di potere fra i gerarchi del Partito o comunque fra
gruppi di pressione generando fenomeni di totale contrasto reciproco
tra le Armi. L’Aeronautica, essendo stata l’istituzione più recente, era
la più rappresentativa del potere totalitario nelle forze armate poiché
essa simboleggiava il nuovo, la tecnologia, il progresso, quale un
tempo era stata la automobile per Lenin e quindi non rientrava tra i
suoi obbiettivi collaborare con la Marina. Questo e altri limiti
impedirono alle potenze dell’Asse di sfruttare con profitto le enormi
conquiste ottenute nel campo della tecnica e della tattica costituendo
un grave difetto di organizzazione strategica complessiva e di
coordinazione e di fantasia nel comando. L’Asse ha vinto molte
battaglie ma ha perso la Guerra. Non si può dire con certezza che le
7
portaerei , se fossero entrate realmente in servizio, avrebbero potuto
capovolgere le sorti della Guerra. Avrebbero potuto essere
insufficienti e sarebbe stato necessario anche molto tempo, almeno
dieci anni di intenso addestramento con elevati costi di formazione
del personale di volo e di equipaggio degli scafi.. La Storia non si fa
con i “se” e io non posso essere sicuro che le portaerei avrebbero
fatto vincere l’Asse se fossero state messe in servizio prima del ’41
poiché anche L’Impero Britannico, secondo Giorgio Giorgerini, non
ha utilizzato direttamente in battaglia, dopo la notte di Taranto, le
portaerei e la maggior parte della guerra aeromarittima è stata
combattuta senza che entrambe le flotte militari avessero cercato una
battaglia decisiva. L’Inghilterra disponeva di portaerei obsolete ed
aerei lenti. Venuto meno il fattore sorpresa, queste unità si fecero
rapidamente sostituire dall’aviazione navale di Malta che da sola
sostenne, con alterna fortuna, il confronto con l’aviazione di terra
della Luftwaffe e della Regia Aeronautica. La mia tesi è quindi volta
a cercare di comprendere perché le potenze dell’Asse, per un motivo
o per l’altro, non seppero o non vollero varare le portaerei nonostante
i progetti, le iniziative e le occasioni che si verificarono nel corso di
vent’anni.
8
1
LA DOTTRINA NAVALE DELLE POTENZE
DELL’ASSE
Entrambe le potenze dell’Asse erano “chiuse” da mari ristretti, il
Mediterraneo e il Baltico, che, pur essendo geopoliticamente
differenti, avevano l’eguale caratteristica di consentire soltanto una
limitata capacità di manovra con i convogli , civili e militari, quale
compito prioritario.
La Germania e L’Italia erano paesi con limitate risorse economiche e
dipendevano moltissimo dall’approvvigionamento di materie prime
necessarie per la guerra. La Germania aveva bisogno di acciaio
svedese mentre l’Italia prevedeva di aver bisogno di tutte le risorse
delle colonie. Entrambe le potenze si stavano organizzando per un
rapido riarmo generale per mettere in discussione o “revisionare” i
punti fissati dal Trattato di Versailles. Il riarmo richiedeva spese
militari sempre più ingenti e quindi grande sforzo produttivo che a
sua volta esigeva materie prime che non erano tuttavia disponibili nei
territori metropolitani.
La debolezza dell’economia autarchica imponeva due strade per
acquisire le materie prime : la conquista militare e l’importazione via
mare del materiale necessario. La mancanza delle risorse imponeva
una strategia aggressiva ed imperialistica che era anche insita nelle
ideologie totalitarie che rifiutavano le leggi del diritto internazionale
e dell’ordine politico costituito. Entrambe le potenze dovevano, per
perseguire i propri obbiettivi, difendere i convogli marittimi. Dopo la
Grande Guerra il dominio globale era diventato obbiettivo prioritario
per tutte le grandi potenze interessate ad assicurarsi sfere di influenza
per motivi di prestigio o per necessità economiche. Tuttavia il riarmo
aveva i suoi costi e i suoi rischi e poteva ulteriormente danneggiare il
9
già fragile equilibrio internazionale. Nel periodo fra la fine della
prima guerra mondiale e i primi anni ’20 vennero stipulati accordi
soprattutto fra Francia, Inghilterra e Germania sulla limitazione di
armamenti soprattutto della Germania da parte della Francia timorosa
di un nuovo conflitto con Berlino.
Negli anni ’20, stavano mutando gli schemi strategici e tattici della
guerra navale. Le esperienze della Grande Guerra insegnavano
quanto fosse rischiosa la strategia navale di cercare la flotta nemica e
costringerla ad una grande battaglia per l’alto costo delle grandi navi
di linea e per l’incertezza di una vittoria decisiva come era avvenuto
nella battaglia dello Jutland dove entrambe le flotte avevano subito
pesanti perdite senza che vi fosse stata vittoria o sconfitta. La forza
produttiva delle nazioni moderne in guerra costringeva a sostenere
inevitabilmente guerre logoranti e la vittoria poteva arridere al paese
più capace di sfruttare i rifornimenti marittimi necessari per le
industrie belliche. Quindi i convogli erano già considerati obbiettivo
primario da attaccare o difendere e le uniche armi davvero efficaci,
erano i sommergibili e gli aerei.
Douhet già scrisse nell’Indipendente sull’emergere del sommergibile:
Dominare il mare non significa solo impedire all’avversario di
navigare, significa anche acquistare la capacità di liberamente
navigare.(…)I colossi navali odierni sono impotenti o quasi contro le
piccole armi insidiose sottomarine, e queste sono estremamente
minacciose per tali colossi i quali hanno bisogno di farsi largamente
scortare. A che servono questi colossi al giorno d’oggi?. La guerra
attuale insegna (…). Solo una nazione che possa avere la sicurezza
di mantenere la preponderanza di una flotta galleggiante potrà
10
costruirsi tale flotta, tutte le altre dovranno rinunciarvi per dare il
massimo sviluppo alla flotta sottomarina
1
L’arma aerea e sottomarina erano ancora più necessarie per paesi di
media grandezza come L’Italia e la Germania poiché i costi di aerei e
sottomarini erano nella media inferiori a quelli delle costosissime
corazzate delle grandi potenze coloniali come l’Inghilterra e la
Francia. Entrambi i paesi, Germania e Italia, sfruttarono l’esperienza
accumulata nella Grande Guerra per indebolire la supremazia delle
corazzate dei grandi Imperi coloniali attraverso tentativi di
coordinare l’aereo con la nave o con il sommergibile. La strategia
aeronavale quindi era accettata come principio poco dopo gli anni ’20
ma la diversità dei due comandi e la diversità degli scenari
stabilirono due diversi modi di applicare i nuovi strumenti di guerra .
1
Botti Feruccio –- LA STRATEGIA MARITTIMA NEGLI ANNI VENTI –– in bollettino
d’archivio – Ufficio Storico M.M - settembre 1988 - p 243
11
1.1 IL MEDITERRANEO E LA DOTTRINA
AERONAVALE ITALIANA
Il Mediterraneo era mare ristretto dominato da tre grandi potenze
dell’epoca quali erano la Francia, l’Italia e l’Inghilterra. La carta
geografica a prima vista fa notare l’Italia nettamente in posizione
centrale con entrambi i lati controllati dalle grandi potenze
antagoniste sopraddette. L’Italia era un paese bagnato da tre mari. La
posizione suggeriva una naturale espansione in Africa per assicurarsi
il controllo delle emigrazioni. La politica coloniale italiana,
diversamente da quella inglese, era basata sulla concezione di “spazi
vitali” per scaricarvi la pressione demografica e per acquisire risorse
agricole. La Libia era ricchissima di bacini petroliferi del tutto ignoti
alla classe dirigente italiana fascista e prefascista che la ritenevano
sede ideale per la coltivazione e per la colonizzazione. L’Italia, non
essendo fortemente industrializzata ed essendo povera soprattutto di
bacini carboniferi e petroliferi, dipendeva moltissimo da importazioni
marittime sia dalla Libia sia dal resto del Mediterraneo. La Francia e
l’Inghilterra potevano colpire gravemente l’economia del paese
chiudendole l’uso del mare. Il pericolo era ben avvertito ed infatti
era, nella politica estera mussoliniana, prioritaria la difesa degli
interessi nazionali in più punti del Mediterraneo per allontanare lo
spettro dell’accerchiamento. Le iniziative in tal senso furono la
partecipazione alla crisi di Corfù e del Dodecaneso e la assimilazione
dell’Albania.. La Francia era considerata naturale antagonista nella
contesa per l’Africa Settentrionale. L’Italia sostenne un lungo
contenzioso con la Francia riguardo alla definizione dei confini della
Tunisia e della Libia fin dal 1919 soprattutto riguardo alla regione del
12
Tibesti e del Borcu ma anche L’Inghilterra aveva minacciato il
dominio coloniale italiano con richieste di ridefinizione territoriale
che Roma aveva considerato inaccettabili
2
. La tensione diplomatica
fra le tre potenze riguardo alla Libia raggiunse il suo apice nel 1925
quando scoppiò la crisi di Giarabub. L’Occupazione dell’oasi di
Giarabub fu la causa della rottura diplomatica con entrambe le
potenze rivali. La politica aggressiva e colonialista dell’Italia le
faceva pagare il prestigio internazionale con ostilità delle grandi
potenze coloniali, soprattutto della Francia che non volle né
riconoscere l’influenza italiana in Africa né accettare la
colonizzazione dell’Etiopia. La conquista dell’Etiopia sarebbe poi
divenuta il culmine del prestigio del regime e di Mussolini che
proclamò la nascita dell’Impero “sui colli fatali di Roma”. Il Duce
tuttavia era anche in contenzioso con la Francia riguardo ai Balcani
tradizionalmente considerati dalla Francia propria zona d’influenza. I
difficili rapporti con la Francia imponevano all’Italia di rilanciare un
vasto programma di riarmo navale e di partecipare attivamente alle
trattative di Washington sulla limitazione degli armamenti allo scopo
di ottenere una posizione di equilibrio con Parigi
3
. Negli anni ’20 Il
bilancio finanziario per le forze armate doveva essere stabilito
secondo gli obbiettivi strategico-politici da perseguire. Le frontiere
protette da alpi suggerivano di investire maggiori risorse per la
Marina in caso di conflitto contro la Francia.
2
Per la storia coloniale italiana leggesi Del Boca Angelo - GLI ITALIANI IN LIBIA – Milano
Mondadori –– 2004
3
Per il confronto diplomatico fra Francia e Italia per il Mediterraneo leggesi Olla Brundu Paola –
L’EQUILIBRIO DIFFICILE – Milano - Giuffrè – 1980
13
Ferruccio Botti cita un affermazione del capitano di vascello Grenet
che nel 1921 affermava :
(…)L’Italia è molto più sicura di prima dagli attacchi terrestri, e il
pericolo dell’invasione non appare probabile. Per risolvere la
situazione nei riguardi italiani al nemico converrà tagliare i
rifornimenti (…), e noi dovremmo cercare con le nostre forze navali
di impedirlo o di assicurare i rifornimenti almeno da un lato, a
seconda dei casi (…). L’Italia deve decidere il da fare in rapporto
alle altre Marine.(…)La Marina italiana non può fare dei
programmi in rapporto a quelli dell’Inghilterra, del Giappone,
dell’America: sono programmi di vasto impegno finanziario, e noi
non siamo in grado di affrontarli.(…) Non possiamo e non dobbiamo
aspirare al dominio assoluto del Mediterraneo perché altri popoli vi
hanno interessi egualmente legittimi e cospicui: ma, occorre però
che si sappia che l’Italia, mentre vuol fare una politica di lavoro e di
cordiale intesa con tutti, vuol essere sicura in casa propria e non
vuol subire sopraffazioni di sorta altrove. Su queste basi occorre
determinare la flotta e il genere di flotta che occorre all’Italia
4
Bernotti era convinto che l’Italia dovesse subito mettere da parte le
grandi corazzate a favore di una flotta di incrociatori di medio
tonnellaggio o portaerei soprattutto per nei limiti delle spese
sostenibili dal Paese e questa richiesta era già stata più volte avanzata
fin dal '17
5
. La strategia italiana nel Tirreno era influenzata dalla tesi
di Bonamico che considerava come centro di tutte le operazioni, nel
4
Botti Feruccio –- op. cit.,– p 246
5
Bernotti Romeo-- CINQUANT’ANNI NELLA MARINA MILITARE –– Milano – Mursia -
1971 - p 112
14
teatro strategico, la base della Maddalena. Bernotti criticava la
sopravvalutazione riguardo alla Maddalena a causa della vicinanza
delle batterie costiere della Corsica che avrebbero minacciato la flotta
ancorata all’estuario. Bernotti riteneva dannoso imporre alla Regia
Marina l’utilizzo di un'unica base e subito aveva escluso laSpezia e
Napoli che non garantivano una rapida azione offensiva e che
avrebbero sottoposto la popolazione civile a rappresaglie nemiche. Si
imponeva la scelta della Sardegna come base per tagliare i
collegamenti fra la Francia e le colonie. Bernotti formulava il suo
piano tattico nella certezza che gli aerei così avrebbero ricevuto una
tale autonomia da annullare le enormi distanze del Tirreno. Tuttavia
Il Governo ritenendo non prioritaria la costruzione di basi aeronavali
in Sardegna non volle concedere i fondi
6
. Le idee di Bernotti
incontravano infatti l’opposizione della linea più conservatrice dei
Comandi che ancora ritenevano le navi da linea la spina dorsale di
ogni flotta. Emergeva anche un altro “partito” che sosteneva
radicalmente l’abolizione totale delle corazzate a favore di una flotta
costituita solamente da sottomarini e aerei. L’arma aerea e
sottomarina erano ancora più necessarie per paesi di media grandezza
come L’Italia poiché i costi di aerei e sottomarini erano nella media
inferiori alle costosissime corazzate delle grandi potenze coloniali
come l’Inghilterra e la Francia. Dominava ancora nei primissimi anni
’20 l’opinione di Douhet che, oltre a considerare l’aeronautica unica
arma indispensabile, riteneva il Mediterraneo ristretto e facilmente
“ricoperto” dagli aerei che potevano supplire alla mancanza di una
grande flotta di superficie senza troppi problemi.
6
Bernotti Romeo – op. cit,– p 115
15
Douhet suscitava un tale entusiasmo che Bottai, nel 1919, istituì
numerosi “gruppi aviatori” che erano reparti paramilitari di
ispirazione fascista. Mussolini era molto interessato all’arma aerea
come pure il Governo che subito aveva messo sotto tutela statale tutti
gli stabilimenti di costruzione degli aerei.
7
In quel periodo tuttavia
ancora non erano state pienamente valutate le capacità effettive degli
aerei italiani esistenti di colpire con efficacia le pesanti corazze delle
navi nemiche. La ricerca effettuata da Bernotti offriva un quadro non
ottimistico soprattutto per la constatazione che le bombe usate erano
state ancora giudicate troppo poco potenti e le tecniche di attacco
imprecise
8
.L’arma aeronautica, nonostante le esperienze della Libia
e poi della Grande Guerra, era ancora in fase di lenta maturazione e
solo nel 1923 le venne riconosciuto lo status di arma indipendente
quando venne costituita ufficialmente la “Forza aerea della Regia
Marina”. In questi anni, il principale problema da affrontare, per
venire incontro alle idee di Bernotti e Fioravanzo, era come scortare
le flotte della Regia Marina con il mezzo aereo in mancanza di unità
apposite per il trasporto aerei. Nel giugno 1920, poco dopo la
costituzione della Forza aerea della Regia Marina, era stata presentata
una relazione sul servizio aeronautico da parte dell’Ispettorato per
l’Aeronautica e nel testo si era fatto cenno ad uso di prototipi di
elicotteri che già si stavano progettando per risolvere il problema di
fornire alle navi di linea la necessaria protezione aerea
9
. I timidi
tentativi di creare una volta per tutte una flotta aerea per la Marina
erano ostacolati non solo dalla dottrina di Douhet convinto
7
Cardoni Fulvio - IL PROBLEMA AEREONAVALE ITALIANO - in bollettino d’archivio -
Ufficio Storico M.M – dicembre 1987 - p 214
8
Botti Feruccio - op cit ,– p 244
9
Cardoni Fulvio - op. cit, – p 219
16
dell’inutilità di disperdere gli aerei
10
ma anche dalla dottrina della
“battaglia decisiva” di Giamberardino. Egli, nel testo Arte della
guerra in mare, riteneva le navi di linea indispensabili per colpire al
primo urto il nerbo della flotta nemica con la convinzione che solo la
flotta che avesse le corazze e i cannoni più avanzati potesse dominare
il mare
11
. Fioravanzo, rispondendo a Giamberardino, insisteva
comunque sulla necessità per la Regia Marina ad organizzarsi su
obbiettivi meno ambiziosi e più pratici come la fondamentale difesa
dei convogli e la difesa delle coste evitando di perdere le scarse e
preziose unità in inutili e pericolosi scontri navali diretti. Quindi la
Regia Marina doveva sviluppare piuttosto naviglio leggero e una
struttura più flessibile ed adeguata di unità per azioni
prevalentemente difensive. La strategia di Fioravanzo si legava alla
vecchia dottrina del XIX secolo che prevedeva per le flotte più deboli
rapide incursioni evitando il più possibile lo scontro diretto
12
. Le
opinioni che facevano capo a Fioravanzo e Bernotti in contrasto
dottrinario con Douhet e a Giamberardino lasciavano l’intera Marina
nell’incertezza di un piano concreto e coerente. La situazione trovò
uno sblocco soltanto nel 1922 quando il Comitato degli ammiragli
presentò al ministero della Marina una risoluzione intesa come
compromesso fra le varie dottrine sull’organizzazione della Marina.
La soluzione era creare una forza aerea “ausiliaria” caricata a bordo
delle navi di linea venendo incontro alle posizioni di Bernotti per la
soluzione “ausiliaria”.Tuttavia il ruolo decisivo restava comunque
affidato alle navi di linea soprattutto per il fatto che gli aerei non
potevano decollare e rientrare in tempi brevi dalle corazzate durante
una battaglia. La forza aerea “ausiliaria” doveva restare una forza
10
Giorgerini Giorgio - LA GUERRA ITALIANA SUL MARE - Milano – Mondadori - p 132
11
Giorgerini Giorgio – op. cit, – p 44