7
che permetta agli immigrati di avere dei diritti, senza dimenticare il dovere di seguire le
leggi dello stato che li accoglie. La situazione è però molto complessa, specialmente in
stati come l’Italia, che solo negli ultimi due decenni è diventata meta di forte
immigrazione. L’incontro con il diverso, rappresentato dagli immigrati stranieri, può
generare, specialmente all’inizio, paure e incomprensioni. Gli autoctoni hanno la
sensazione di perdere parte della loro identità culturale e storica e si sentono attaccati da
gruppi estranei. In questa realtà l’incontro interculturale, inteso come il contatto tra
persone rappresentanti di culture diverse, può, da una parte, tramutarsi in uno scontro;
dall’altra parte rappresenta un’opportunità di conoscenza reciproca. Nel caso frequente
in cui gli immigrati abbiano figli che si trovano a vivere o nascono in Italia, si assiste ad
un contatto molto diretto tra gli Italiani e gli immigrati soprattutto nelle scuole. Per
questo motivo, la pedagogia interculturale come disciplina nasce proprio in riferimento
al mondo della scuola, e si pone l’obiettivo di rendere possibile l’integrazione dei
giovani immigrati tramite un processo di apertura alla differenza e non di negazione
della stessa (che avviene nel caso dell’assimilazione). Tuttavia, pur essendo la scuola un
luogo privilegiato d’incontro tra autoctoni e stranieri, esso non è l’unico. Partendo da
questa idea cercherò in questa tesi di unire due grandi temi che, nel presente, si trovano
in stretta connessione tra di loro: l’intercultura e il volontariato. Come si è detto,
l’economia sembra essere dominata da un capitalismo e da un liberalismo sfrenati,
basati su una progressiva riduzione del controllo economico da parte degli stati, in nome
del libero mercato: il motore dell’economia, il suo mezzo e il suo fine, appare essere
unicamente il denaro. Eppure, ogni giorno, milioni di persone prestano la propria opera
e lavorano gratuitamente: questo può avvenire ad un livello molto informale, aiutando
parenti e amici, o ad un livello più formale e organizzato, tramite le associazioni e i
gruppi di volontariato. Godbout
4
tende a spiegare questo apparente controsenso – il
lavoro volontario in un mondo gestito dal denaro – con il “desiderio del dono” insito in
tutte le persone, che vogliono non solo guadagnare, ma anche aiutare il prossimo. Molte
altre sono le interpretazioni sulle motivazioni del volontariato, ma ciò che conta è che i
volontari esistano e lavorino senza richiedere una ricompensa di tipo economico.
Il volontariato è un fenomeno in forte crescita, in Europa e in Italia, e negli ultimi anni
ha cominciato a godere anche di una visibilità maggiore a livello pubblico. I volontari
sono impegnati in campi molto diversi, ma sempre di più si trovano a confronto non solo
con i propri connazionali, ma anche con persone straniere. Questo porta ad una
4
Godbout J.T. (1998), Il linguaggio del dono. Con un intervento di Alain Caillé, Bollati Borlinghieri,
Torino.
8
ridefinizione sia del loro ruolo, sia dei metodi di lavoro che essi utilizzano: con questo
non intendo dire che il mondo del volontariato non sia in grado di affrontare la nuova
realtà, ma che esso ha bisogno di una serie di strumenti che permettano un suo sviluppo
continuo.
Il volontariato e il processo dell’incontro interculturale sono, perciò, strettamente
legati tra di loro. L’obiettivo della mia tesi è mostrare lo sviluppo di questa connessione
illustrandone i punti di contatto: i volontari hanno il bisogno di essere formati per
svolgere al meglio il proprio lavoro. Nel caso di volontari che si trovano a lavorare a
contatto con immigrati stranieri, può diventare determinante l’apporto della pedagogia
interculturale, che propone elementi teorici ed esperienze pratiche per rendere possibile
la comunicazione e la comprensione tra soggetti diversi.
Tra le varie forme di volontariato, si ponga subito una distinzione tra il volontariato
svolto in patria e quello all’estero. Le differenze non riguardano soltanto le possibili aree
d’intervento dei volontari, ma soprattutto l’inserimento in uno stato diverso dal proprio,
insieme a ciò che questo comporta da un punto di vista linguistico, sociale, culturale,
politico, ecc.
Il Servizio Volontario Europeo fa parte dell’ampio Programma Gioventù, creato
dall’Unione Europea per permettere ai giovani di avere un’occasione di vivere
un’esperienza di educazione non-formale (a differenza, ad esempio, del progetto
Erasmus, che prevede un’educazione formale), lavorando all’estero per un periodo dai 6
ai 12 mesi in qualità di volontario europeo. Questo progetto si è sviluppato nel corso
degli anni aumentando sempre di più il numero dei giovani che vengono inviati ogni
anno (circa 10.000) e sembra rispondere al desiderio dei giovani europei, che, nel corso
di molte conferenze e incontri a livello europeo, hanno chiesto di potersi esprimere in
modo attivo, per vivere in prima persona il significato di “Europa unita”, non solo
economicamente. Anche i giovani italiani - definiti da Diamanti come “generazione
invisibile”
5
per la loro apparente mancanza di punti di riferimento (politici, sociali,
famigliari), senza i quali essi non riescono ad esprimere le loro potenzialità, rimanendo
nell’ombra – hanno dimostrato negli ultimi anni un interesse sempre maggiore per il
volontariato, come mezzo per incontrare nuove persone ed essere utili al prossimo,
acquisendo nel frattempo esperienze lavorative. Lo SVE è quindi un’opportunità offerta
5
Diamanti I. (1999), La generazione invisibile. Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Il Sole 24 Ore
S.p.A, Milano.
9
a tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni per vivere all’estero, lavorando e imparando una
nuova lingua.
Io ho avuto la prontezza e anche la fortuna di saper cogliere questa opportunità al
momento giusto, perché ho fatto domanda per poter svolgere un progetto in Germania e
in tre mesi ho trovato l’accordo e ho sbrigato, aiutato dalla mia organizzazione d’invio,
tutte le pratiche burocratiche prima della partenza. Ho vissuto sette mesi molto intensi in
Germania, durante i quali ho avuto moltissime soddisfazioni e successi personali,
insieme a qualche problema e delusione. Nel periodo vissuto all’estero ho anche
raccolto molto materiale che ho utilizzato nel corso di questa tesi, in modo da coniugare
gli aspetti più teorici alla mia esperienza pratica. Essa è, naturalmente, solo un esempio
del possibile rapporto tra intercultura e volontariato, ma ha comunque un suo valore,
perché documenta una fase della mia vita interessantissima sul piano sociale, lavorativo
e formativo. In Germania, ho avuto l’occasione di conoscere moltissime persone, sia
tedesche, sia straniere, con le quali ho vissuto, lavorato, fatto amicizia, litigato, ecc. La
base per qualsiasi rapporto è la comunicazione, che, nel mio caso, è stata quasi sempre
con persone non italiane. Ciò ha reso necessario un mio tentativo di aprirmi alla
differenza tramite la comunicazione interculturale. In questo difficile cammino non sono
stato da solo, ma ho avuto l’aiuto degli insegnamenti appresi sia all’università, sia nella
mia altra esperienza di vita all’estero fatta in Germania durante l’Erasmus nel 2002. Mi
sono accorto di quanto la formazione sia necessaria per affrontare il progetto nel modo
migliore, ma tale bisogno non viene sentito solo dai volontari all’estero, bensì anche da
quelli che lavorano in Italia a contatto con persone straniere.
Per dimostrare la necessità della formazione dei volontari alle tematiche
dell’intercultura e della comunicazione interculturale, ho l’intenzione di procedere per
fasi. La mia tesi è, infatti, divisa in tre parti principali: nella prima parte, di carattere più
teorico, si ha l’intenzione di introdurre i concetti di volontariato da una parte e di
intercultura dall’altra. Nel primo capitolo ci si concentrerà sul volontariato, tentando di
darne una definizione e di illustrarne gli obiettivi generali (1.1), analizzando brevemente
la sua storia a livello sia europeo sia italiano (1.2) e cercando di capire le motivazioni e
gli ambiti d'intervento dei volontari (1.3). Nel secondo capitolo si partirà da una
presentazione generale della modernità, con i fenomeni che la contraddistinguono
(globalizzazione, immigrazione), mostrando la loro interconnessione e le conseguenze
pratiche: società multiculturali, assimilazione, integrazione (2.1). In seguito, si darà una
definizione teorica dei processi cognitivi che portano a formulare stereotipi, pregiudizi e
10
che possono sfociare nel razzismo; inoltre, la comunicazione interculturale verrà
presentata come un sistema per promuovere il dialogo ed evitare i conflitti (2.2).
Nell’ultima parte del capitolo si cercherà di collegare volontariato e intercultura,
illustrando gli ambiti in cui i volontari vengono più a contatto con gli stranieri, e in cui si
sente più il bisogno di una formazione al dialogo interculturale (2.3).
Nella seconda parte della tesi sarà presentata una forma particolare di volontariato che
è particolarmente connessa al tema dell’intercultura: il Servizio Volontario Europeo,
un'Azione facente parte del Programma Gioventù, ideato e finanziato dall’Unione
Europea. Nel terzo capitolo si descriverà lo SVE nei dettagli, a cominciare dalla sua
storia e dai suoi obiettivi (3.1), per arrivare a spiegare nei particolari chi può partecipare
e come si sviluppa dall’inizio alla fine il progetto (3.2 e 3.3). Nell’ultima parte del
capitolo si svolgerà lo sguardo al futuro dello SVE, in previsione della seconda fase del
suo sviluppo, che comincerà nel 2007 (3.4).
Nel quarto capitolo racconterò la mia esperienza personale di volontario europeo,
compiuta tra il settembre 2004 e l’aprile 2005 in Germania. Ad una fase di ricerca,
selezione, approvazione del progetto (4.1) è seguito il periodo di permanenza e di lavoro
all’estero, presso l’Auslandgesellschaft (Società per Stranieri) di Dortmund,
organizzazione non-profit di cui riporterò brevemente la storia e gli obiettivi (4.2).
Nell’ultima parte del capitolo descriverò lo sviluppo della mia esperienza personale
nelle sue varie fasi (accoglienza, inserimento, valutazione), sia a livello lavorativo, sia a
livello formativo tramite due seminari ai quali ho partecipato (4.3).
Nella terza ed ultima parte della tesi scenderò ulteriormente nei particolari della mia
esperienza, presentandola come studio di caso: durante il mio periodo da volontario
all’estero ho avuto modo di vedere in modo pratico quanto il lavoro volontario e
l’incontro interculturale possano essere in contatto tra di loro. Lavorando ho conosciuto
giovani provenienti da tutto il mondo, rappresentanti di culture profondamente diverse.
Nel quinto capitolo verrà presentato il mio rapporto con i due gruppi di persone con le
quali sono stato maggiormente a contatto: gli altri tre volontari europei, provenienti da
Austria, Ungheria ed Estonia, e gli studenti stranieri che studiavano tedesco nella mia
organizzazione, provenienti da 24 stati diversi. Tramite le interviste fatte con i tre
volontari e con tre studenti diventati miei amici e l’analisi di un questionario distribuito
a tutti gli studenti (circa 90), darò un’immagine delle esperienze vissute dai volontari
(5.1) e dagli studenti (5.2) all’estero.
11
Nell’ultimo capitolo, infine, cercherò di concludere il processo di analisi delle
interviste, tramite una comparazione tra volontari e studenti, riguardo ad alcuni temi
chiave: lo SVE degli altri volontari a Dortmund (6.1) e l´esperienza diretta fatta
all’estero dai volontari e dagli studenti (6.2). In appendice sarà fornita la trascrizione
delle interviste, tradotte da me in italiano, svolte con gli altri volontari e con tre studenti
di Dortmund.
12
Prima parte:
Il volontariato: teorie, storia, sviluppi nel presente.
L´intercultura nel volontariato
13
Cap. 1 Il concetto di volontariato
1.1 Definizione, caratteristiche, obiettivi del volontariato
1.1.1 Definizione di volontariato
Come già accennato nell’introduzione, è molto difficile dare una definizione univoca
del volontariato. In questo paragrafo si tenterà di fornire una denominazione ampia, che
tenga conto di tutti i vari ambiti in cui si va a collocare il volontariato: società,
economia, politica. Per questo motivo è necessario procedere per gradi, analizzando il
fenomeno separatamene in ottiche diverse, per cercare di operare alla fine una sintesi tra
i vari elementi.
In primo luogo, è importante introdurre subito la caratteristica base del volontariato –
la gratuità – con le parole contenute nella Carta dei Valori FIVOL
6
(che è stata proposta
come documento fondante del volontariato da parte della Fondazione Italiana del
Volontariato):
“Il volontariato è azione gratuita. La gratuità è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende
originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò comporta
assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti. In
questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo,
dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente sull’"avere" e sul
consumismo.
I volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano interiore e sul
piano delle abilità relazionali. “
In questo punto della Carta vengono presentati diversi elementi interessanti: la gratuità,
cioè l’”assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai
vantaggi diretti e indiretti” come base dell’impegno volontario; il vero “guadagno” del
volontario inteso come “motivi di arricchimento sul piano interiore e sul piano delle
abilità relazionali”.
Un altro punto fondamentale è la distinzione tra il volontariato svolto a livello
personale e quello organizzato: si ha, da una parte, un volontariato esercitato da una
persona o da una famiglia a livello privato; dall’altra un tipo di volontariato all'interno di
un gruppo, che può essere formale o informale, riconosciuto a livello giuridico oppure
no, laico o religioso, ecc. Entrambe le forme di servizio sono definite volontariato, ma la
prima è più difficilmente valutabile: ad esempio può essere considerato volontariato il
6
Carta dei Valori FIVOL (reperibile in rete all’indirizzo www.fivol.it), Principi Fondanti, n. 3
14
lavoro svolto gratuitamente per aiutare la famiglia o gli amici? Per fare un po’ di
chiarezza è utile presentare la definizione del “volontario” proposta dalla FIVOL:
“Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e
le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in
modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria
azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni.
I volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in organizzazioni
strutturate; pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose diverse, essi hanno in
comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore.”
7
In base a questa definizione, accettata dalla maggiore parte delle organizzazioni di
volontariato, volontario è chi mette a disposizione le proprie capacità e il proprio tempo
libero per gli altri, intesi a livello più limitato (comunità) o ampio (intera umanità). Le
forme di partecipazione possono essere diverse. Poli distingue tra:
“Attività diretta: può essere svolta sia dal singolo che da una famiglia.
Attività all’interno di strutture:
-strutture composte promiscuamente da volontari e da altri soggetti
-strutture composte esclusivamente da volontari
8
”
Vista questa macrodifferenza tra volontariato come azione in forma individuale oppure
organizzata, da ora in poi verrà considerata in questa trattazione solo la seconda forma
(volontariato organizzato), perché maggiormente quantificabile e osservabile, anche se
nel commento sul numero dei volontari in Italia verrà preso in considerazione anche il
volontariato individuale. La gratuità dell'azione volontaria, tuttavia, non è l’unico fattore
che deve essere considerato, perché
“l’azione volontaria e gratuita non è esclusiva dei cosiddetti mondi del volontariato ed è anzi costitutiva di
molte altre forme associative”
9
Anche i partiti politici e i sindacati, ad esempio, hanno al loro interno dei volontari, ma
non vengono considerate come organizzazioni di volontariato. Per chiarire questa
apparente contraddizione, bisogna chiarire il concetto di terzo settore. Giulio Marcon dà
una spiegazione del terzo settore ed individua una “definizione larga” e una “definizione
ristretta”: secondo la prima definizione appartengono al terzo settore tutte le
organizzazione non-profit, ma in questo modo si rischia di includere anche soggetti
come partiti politici, sindacati, università, ecc.; nella “definizione ristretta”, invece,
7
Carta dei Valori FIVOL, Principi Fondanti, n. 1-2 (corsivo mio)
8
Poli A. (2002), Volontariato oggi. Le organizzazioni di volontariato in Italia, SPES Associazione
Promozione e Solidarietà, Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio, pagg. 29-30
9
Tomai B. (1994), Il Volontariato. Istruzioni per l’uso. Universale Economica Feltrinelli, Milano, pag. 15
15
“l’assenza di lucro è una delle coordinate: la democrazia interna, la presenza rilevante del volontariato,
l’impatto solidaristico sono altrettanto importanti portando così a delimitare il campo e il numero dei
soggetti di terzo settore.”
10
Data questa delimitazione si possono individuare, sempre secondo Marcon
11
,
organizzazioni di tipo diverso: 1) organizzazioni di volontariato (riconosciute in base
alla legge 266 del 1991; 2) cooperative sociali di solidarietà; 3) associazioni; 4)
fondazioni; 5) organizzazioni mutualistiche. Secondo l’articolo 2 comma 1 della già
citata legge 266:
“Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale,
spontaneo e gratuito, tramite l´organizzazione di cui il volontariato fa parte, senza fini di lucro anche
indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.”
12
La differenza principale tra le organizzazioni di volontariato e tutte le altre è che le
prime sono mosse da “fini di solidarietà” verso un destinatario esterno
all’organizzazione e hanno in larga parte lavoratori volontari, mentre le altre hanno
obiettivi e forme diversi (si rimanda a 1.2.2 per una trattazione più precisa).
Per concludere: il volontariato è considerato come azione e lavoro gratuito (inteso
senza guadagni economici) svolto da una persona a livello privato o a livello
organizzato, sia a livello formale sia informale. Oltre alla gratuità, le altre caratteristiche
sono l´indirizzo non-profit, l´intento solidaristico destinato ad aiutare persone terze (per
questo motivo sono esclusi sindacati e partiti politici) e la democraticità all'interno del
gruppo: “le organizzazioni di volontariato si ispirano ai principi della partecipazione
democratica promuovendo e valorizzando il contributo ideale e operativo di ogni
aderente.”
13
A seconda di una divisone più o meno ampia di volontariato, il numero dei volontari
cambia considerevolmente (1.3.1).
1.1.2 Le caratteristiche e i miti da sfatare
Nel paragrafo precedente sono già state viste alcune caratteristiche del volontariato
che, se da una parte giustamente devono essere messe in risalto come basi stesse
dell’agire volontario, dall’altra parte possono portare ad esagerazioni, fraintendimenti e
creazioni di falsi miti. Tra questi elementi, citati nella Carta dei Valori, vi sono
l’impegno dei volontari ad aiutare il prossimo e la gratuità. Questo impegno altruistico
10
Marcon G. in Bottaccio M. (1999), Tutti al centro. Volontariato e terzo settore in un “paese normale”,
I Quaderni dello straniero N. 3, Edizioni Minimum Fax, Roma, pag. 50
11
Marcon G. in Bottaccio M, op. cit., pagg. 52-53
12
L. 11 Agosto 1991, n. 266, Legge-quadro sul volontariato, riportata in Poli A., op. cit., pag. 136
13
Carta dei Valori FIVOL, Principi Fondanti, n. 18
16
“per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore”
14
è stato a
volte interpretato in modo troppo idealistico e distaccato dall’esperienza reale. Una parte
dell’opinione pubblica ha cercato di vedere nel volontario militante una sorta di
salvatore dei più bisognosi e dei più poveri. Per Tomai questa impostazione del
“volontario superman”
“è particolarmente improduttiva: se da un lato sottolinea l’aspetto positivo di generosità individuale
nell’azione sociale, dall’altra è fuorviante rispetto alle potenzialità e alle effettive capacità che l’azione dei
gruppi e delle associazioni di volontariato può produrre.”
15
In altre parole, è certamente giusto apprezzare il ruolo del volontario e il suo desiderio di
“donare” agli altri, ma non bisogna esagerare sull’importanza della sua funzione svolta,
che è e deve restare complementare rispetto a quella svolta dallo stato. Le
organizzazioni e i volontari al loro interno sono consci del fatto che, dato l’impegno
relativo di tempo e di risorse destinato al volontariato, il loro lavoro è comunque
parziale ed ha limiti precisi e non hanno la pretesa di voler salvare il mondo in un
attimo, bensì di migliorarlo, compiendo sacrifici, poco a poco.
Un altro mito creato dall’esterno, ma non condiviso dai volontari e dagli addetti ai
lavori, è quello del volontariato come lavoro gratuito, che non genera nessun tipo di
ricompensa personale per chi lo offre. Questa è un’altra rappresentazione molto
idealistica, che, però, ancora una volta, non tiene conto della realtà. Infatti, sebbene il
volontario non riceva nessuna ricompensa di tipo economico, vi sono altri
riconoscimenti e contraccambi che si sviluppano durante il lavoro volontario. Questi
elementi, di tipo sia personale e psicologico (conoscenza di nuove persone,
gratificazione personale) sia esterni (ad es. esperienza di lavoro utile per il futuro), non
sono sconosciuti ai volontari, ma sono riconosciute anche nella Carta dei Valori: “i
volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano
interiore e sul piano delle abilità relazionali”
16
. Inoltre, essi costituiscono spesso anche
le motivazioni delle persone ad intraprendere un’attività di volontariato “gratuita”,
quando queste hanno già altri impegni costanti (lavoro, famiglia, ecc.). Per un’analisi
più approfondita delle motivazioni dei volontari si rimanda a 1.3.2; qui basti dire che i
volontari sono consapevoli di questi contraccambi non economici e, quindi, il mito della
gratuità deve essere sfatato.
Un terzo mito presente è quello dell’autonomia delle organizzazioni di volontariato nei
confronti dello Stato. Solo ad un livello puramente teorico si può pensare che queste
14
Carta dei Valori FIVOL, Principi Fondanti, n. 2
15
Tomai B., op. cit., pag. 16
16
Carta dei Valori FIVOL, Principi Fondanti n. 3
17
organizzazioni possano non avere rapporti con le istituzioni, ma la realtà è ben diversa. I
rapporti con le amministrazioni comunali e con lo Stato sono inevitabili perché il
volontariato spesso si occupa di settori (ad es. assistenza sanitaria, assistenza a
tossicodipendenti, alcolisti, ecc.) che appartengono di ruolo allo stato. Per questo
motivo, invece di negare questi rapporti in nome di una presunta “purezza” del
volontariato, è più utile cercare di capire come queste relazioni si sviluppino. Tomai
nota come fino agli Anni 70 la maggior parte delle organizzazioni di volontariato abbia
avuto un rapporto sempre di dipendenza, maggiore o minore, con le istituzioni nazionali
e locali. Alcune organizzazioni storiche come le Acli e le Arci hanno cercato di ottenere
maggiore indipendenza, ma
“fra l’affermazione di questa volontà di autonomia nei confronti delle forze politiche e una pratica
effettivamente autonoma, c’è di mezzo il mare di legami pesanti e difficili da sciogliere in modo
definitivo.”
17
Dato che un rapporto esiste e deve esistere in tutti i casi, Marcon sottolinea la necessità,
da parte delle organizzazioni, di vedere riconosciuto maggiormente il loro ruolo anche a
livello politico, per poter influenzare le istituzioni e non solo seguirne le leggi:
“Il non pieno riconoscimento di un’autonomia – anche politica.- del sociale porta al rischio di un rapporto
subordinato con le istituzioni e i partiti. Ciò che va ancora pienamente conquistata è l’autonomia politica
del sociale.”
18
Nella pratica quotidiana, poi, ogni organizzazione si trova a dover compiere delle scelte
nei rapporti con le istituzioni: a volte finanziamento ed ideali seguono la stessa
direzione, altre volte entrano in collisione e si devono prendere delle decisioni che
possono mettere in crisi l’identità delle organizzazioni.
Per concludere, è necessario osservare che intorno al mondo del volontariato si
sviluppano molti miti e credenze imprecise o del tutto false, che tendono ad esaltare
idealmente i volontari (superman che lavorano gratis) senza riconoscere l’importante
funzione pratica da loro svolta. Anche il mito dell’autonomia non può essere accettato
come tale, bensì è più utile esaminare le situazioni e i comportamenti delle singole
organizzazioni.
17
Tomai B, op. cit., pag. 19
18
Marcon G. in Bottaccio M. (1999), op. cit., pagg. 61-62
18
1.2 Lo sviluppo del volontariato
1.2.1 La nascita del volontariato e lo sviluppo attuale in Europa
Il volontariato a livello europeo ha una storia molto diversa da stato a stato ed è
influenzata da molti elementi diversi: tra questi, di particolare importanza, sono la
religione e lo sviluppo politico. La religione ha sempre avuto la funzione di associare e
unire le persone e, nel corso del 20° secolo fino ad oggi, moltissimi sono i gruppi di
volontariato a base religiosa. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, anche in Italia,
paese tradizionalmente molto praticante, il volontariato di matrice cattolica ha svolto un
ruolo importante nelle diverse fasi della storia italiana. La politica è ancora più centrale,
perché le differenze nello sviluppo del cosiddetto welfare state durante gli ultimi
decenni hanno influenzato notevolmente lo sviluppo del volontariato. Per meglio capire
l’entità del fenomeno, verranno analizzati brevemente di seguito i maggiori stati
europei.
I Paesi scandinavi hanno tutti una lunga tradizione di welfare state e di intervento
statale nella società, ma vi sono tuttavia delle differenze. La Norvegia ha trovato
un’ottima bilancia tra stato e volontariato: “il welfare norvegese si è sviluppato
integrando nel sistema pubblico le organizzazioni di volontariato”
19
. Per questo motivo
il volontario svolge un ruolo importante nell’ambito dei servizi sociali e sanitari. La
Finlandia presenta una situazione simile a quella norvegese, mentre Danimarca e Svezia
sono ai poli opposti: in Danimarca il settore del volontariato è molto dinamico, ma
ancora poco strutturato, mentre in Svezia la presenza di un “sistema fortemente
strutturato e statalizzato”
20
non prevede uno sviluppo indipendente del volontariato dallo
Stato.
In Germania convivono sia un settore non-profit sia un welfare state molto sviluppati e
vengono applicati i principi costituzionali di sussidiarietà:
“il corpo sociale immediatamente più ampio ha il duplice compito di rispettare l’autonomia di scelta dei
corpi sociali più piccoli e quello di intervenire in loro favore se questi ultimi non sono in grado di
provvedere da soli.”
21
Data questa impostazione, si sviluppa un sistema dinamico e complementare tra lo stato
e le organizzazioni non-profit, ad ampia base volontaria: lo stato definisce i settori del
welfare e si impegna a sostenere le organizzazioni del terzo settore in modo da garantire
19
A.aV.v., (2001), Volontariato. Rapporto biennale sul volontariato in Italia, Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, pag. 229
20
A.aV.v., (2001), Volontariato. Rapporto biennale sul volontariato in Italia, pag. 229
21
A.aV.v., (2001), Volontariato. Rapporto biennale sul volontariato in Italia, pag. 230
19
ai cittadini un adeguato supporto di servizi sociali. In Olanda si nota uno sviluppo
ancora maggiore del terzo settore, senza avere però lo stesso impianto costituzionale
tedesco. In Francia si ha una forte presenza del terzo settore, definito “economie
sociale” (economia sociale), impegnato soprattutto nel sociale. In generale, in Germania,
Olanda e Francia il terzo settore e il volontariato sono molto forti ed estremamente
organizzati, con un rapporto decentrato rispetto allo stato, che ha, comunque, il compito
di sostenerli.
Il Belgio occupa nel panorama europeo una posizione particolare perché il terzo
settore si è sviluppato in modo incredibilmente ampio, arrivando a concorrere per il 5%
al PIL del paese. Circa i due terzi delle organizzazioni di volontariato sono composti da
volontari non remunerati, mentre la restante parte è un’organizzazione mista. Gli ambiti
più interessati sono la cultura, lo sport e il tempo libero.
In Gran Bretagna vi è una lunga tradizione di associazionismo e volontariato nel
settore sociale: circa la metà della popolazione partecipa ad attività di volontariato in
modo più o meno continuativo. La caratteristica del volontariato anglosassone è però
l’alta informalità e l’organizzazione inadeguata delle associazioni.
In Austria si ha uno sviluppo relativamente limitato del volontariato, perché
“il Partito Socialista (per lunghi anni al governo del paese) non aveva un atteggiamento molto positivo nei
confronti del volontariato, visto come un possibile ostacolo allo sviluppo dell’occupazione retribuita e
organizzata.”
22
Spagna e Portogallo, controllate a lungo dalle dittature di Franco e Salazar, hanno
visto uno sviluppo ritardato del volontariato organizzato e indipendente politicamente,
ma si è registrato un forte aumento delle organizzazioni a partire dagli anni 80.
Come si è visto in questa veloce descrizione del fenomeno “volontariato” a livello
europeo, diversi sono gli atteggiamenti dello stato nei confronti del terzo settore. Inoltre,
anche in presenza di una forte tendenza a fare volontariato, vi sono stridenti contrasti tra
nazioni in cui il volontariato è estremamente organizzato (ad es. Germania e Belgio)
rispetto ad altre in cui la componente informale è maggioritaria (Gran Bretagna).
In tutti i casi, il volontariato è una risorsa per l’Europa attuale: l’obiettivo dell’Unione
Europea è di dare spazio al terzo settore in modo che esso possa completare il servizio
svolto dallo Stato. Un altro obiettivo delle organizzazioni di volontariato è quello di
riuscire ad assumere una maggiore visibilità politica e di avere leggi precise che
regolino la loro presenza giuridica.
22
A.aV.v., (2001), Volontariato. Rapporto biennale sul volontariato in Italia, pag. 232
20
1.2.2 Il volontariato in Italia
1.2.2.1 Lo sviluppo del volontariato in Italia
Il terzo settore e il volontariato come sono intesi oggi sono un fenomeno relativamente
nuovo, ma si possono rintracciare alcuni embrioni di tali realtà già verso la fine
dell’Ottocento nel mutualismo contadino e operaio e nel solidarismo cattolico. Da una
parte il movimento socialista cerca di unire i contadini e gli operai tramite associazioni
non-profit con obiettivi mutualistici, dall’altra parte la Chiesa cattolica, pur respingendo
le teorie socialiste, inaugura esperienze di solidarismo cristiano. Dopo il ventennio
fascista dove quasi tutte le organizzazioni erano controllate a livello politico, alla fine
della seconda guerra mondiale, in un’Italia devastata da bombe e invasioni, c’è il
bisogno di ricostruire e di aiutarsi uno con l’altro. Per questo motivo si sviluppano molte
associazioni di mutuo soccorso, che hanno un carattere d’emergenza e devono servire
all’aiuto reciproco tra persone in difficoltà. La caratteristica principale di queste
organizzazioni è quella di essere appoggiate o ad un partito politico (molto spesso il
Partito Comunista Italiano) oppure alla chiesa cattolica e di avere una larga base di
partecipazione volontaria. Questi modelli di associazioni erano definiti “dalla culla alla
bara”, perché erano un appoggio e un punto di riferimento per tutta la vita:
“Per volere rappresentare il cittadino in tutte le diverse fasi della sua vita e in tutte le sue diverse
esperienze, esse si ripromettevano contemporaneamente di rappresentare i giovani e gli anziani, i
lavoratori e i pensionati; il loro campo d’intervento toccava tutti i campi dell’azione umana: dal tempo
libero al turismo, dall’assistenza sociale alla cultura popolare, ecc. Sono i modelli associativi prevalenti
delle società del malessere o della scarsità…”
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Per vari decenni, quindi, la maggior parte delle organizzazioni di volontariato ha una
matrice politica oppure religiosa, legata alle ideologie o alla tradizione. A partire dagli
Anni 60 e in particolare negli Anni 70 e 80, in un processo che si deve concludere
definitivamente ancora adesso, questo modello di associazionismo va in crisi e si
sviluppa una nuova tendenza: le organizzazioni di volontariato tendono a diventare più
laiche o apolitiche e acquistano un maggiore livello di indipendenza.
Questo fattore – la crisi dei modelli tradizionali di partecipazione religiosa e politica –
si unisce ad un altro elemento fondamentale: la nascita, sviluppo e crisi del welfare
state. Nel corso del secolo scorso si arriva, infatti, al “compromesso socialdemocratico”:
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Tomai B., op. cit., pag. 9