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ragioni di ordine estetico)
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, ma saper vedere il soggetto nella sua
interezza, saperlo descrivere nella sua organicità, perché, e
curiosamente questo fu palese a tutti fin dall’inizio, il quadro di
Botticelli ci mette sotto gli occhi, indiscutibilmente, una scena
unica, in cui tutti i personaggi hanno un ruolo preciso, ciascuno dei
quali con la propria gestualità concorre alla presentazione della
scena stessa. Su questo scoglio hanno cozzato tutte le
interpretazioni conosciute ad oggi, tranne una. E su questa ci
concentreremo, dopo aver percorso velocemente alcune delle altre
interpretazioni, cercando di sottolineare come sia l’unica che riesca
concretamente a svelarci che cosa voglia dire la Primavera.
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E. H. Gombrich, citato nel volume di G. Reale che useremo come punto di riferimento per questo primo
capitolo, Botticelli, la “Primavera” o le “Nozze di Filologia e Mercurio”?, Rimini, Idea Libri, 2001, pp.
179-180, scrive: “Di fronte a lui (Botticelli; ndr) ci manca la guida che ci assicurano le formule fisse
dell’arte medievale per interpretare gesti e situazioni, e la sua padronanza della complessità
dell’espressione non è ancora in grado di superare questo nuovo problema.”
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2. Breve storia della critica della Primavera.
Dobbiamo a Giorgio Vasari il titolo della tela: la battezza,
infatti, così nella sua opera celeberrima
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. Per chi fosse stato dipinto
il quadro non è facile a dirsi, sembra piuttosto probabile che il
destinatario fosse Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino di
Lorenzo il Magnifico, appartenente al ramo cadetto della famiglia.
Anche la datazione non è certa: dalla seconda metà degli anni
Settanta si è passati all’ipotesi 1482, anno delle nozze fra Lorenzo
di Pierfrancesco e Semiramide Appiani. Il titolo Primavera si
impose in età moderna, ma va ricordato che nel Seicento e nel
Settecento il dipinto venne chiamato Giardino di Atlante o anche
Giardino delle Esperidi, e che nell’Ottocento venne anche
denominato Giudizio di Paride. Solamente nel Novecento il titolo
Primavera divenne davvero stabile, e con esso, l’interpretazione
tradizionale dei vari personaggi: leggendo la tela da sinistra a
destra troviamo Mercurio, le Tre Grazie, Cupido, Venere, Flora,
Cloris e Zefiro.
Il paradigma ermeneutico che si diffonde maggiormente,
almeno in un primo momento, è quello legato a paralleli letterari
tratti per lo più da testi classici che, resi noti o imitati da autori
contemporanei di Botticelli, facevano parte del bagaglio culturale di
qualsiasi intellettuale italiano dell’Umanesimo. Il modello
interpretativo che si impone come punto di riferimento per gli altri
fu quello di Aby Warburg, presentato nel 1893 (ricordiamo che
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G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, Newton, 1991, p. 493.
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Warburg ha dato inizio a quell’indirizzo di studi sulla storia
dell’arte cui è stato dato il nome di “iconologia”): alla base vi è un
testo di Alberti, in cui indica come felice stimolo poetico per la
composizione di un quadro La Calunnia di Apelle e in seguito si
augura di poter vedere presto dipinte anche le Tre Grazie
(ispirandosi a un testo di Seneca). Va da sé che la prova
schiacciante del fatto che l’Alberti abbia influenzato Botticelli è
che questo ultimo dipinse non solo La Calunnia di Apelle, ma anche
le Tre Grazie, proprio nella Primavera. Partendo da questo assunto,
Warburg si mette alla ricerca delle fonti poetiche che, non è
difficile da immaginare, facilmente risulteranno ricchissime e
variegate. I Fasti e le Metamorfosi di Ovidio, l’Orfeo e le Stanze di
Poliziano, il Ninfale fiesolano di Boccaccio; Venere, al centro del
quadro, sarebbe invece una fedele rappresentazione della Venus del
De Rerum Natura di Lucrezio. Warburg riconosce dunque nel
dipinto l’immagine letteraria del regno di Venere, (propone infatti
proprio questo titolo per la tela, Il regno di Venere) con la dea al
centro in regale ornamento, sotto i suoi piedi la nuova terra con
splendida e variegatissima fioritura, Mercurio che scaccia le nuvole,
le Grazie simbolo della bellezza giovanile e il vento di ponente che
farebbe spargere fiori a Flora. A latere Warburg pone come tesi
accessoria, basata sui punti di contatto con le Stanze, quella che
identifica nella figura della Primavera il ritratto celebrativo di
Simonetta Vespucci, amata da Giuliano dei Medici (e madrina della
giostra disputata nel 1476, vinta da Giuliano e celebrata in ottave da
Poliziano), morta di tisi a soli ventitré anni.
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Secondo Reale ci sarebbe però in quest’interpretazione una
sostanziale forzatura del “fatto” stesso. Warburg parla di “lieve
brezza”, a destra di chi legge l’opera, fra gli aranci chini, dove si
trova Zefiro. Reale contesta fortemente questa lettura, e ad una
osservazione attenta in effetti ci sembra contestare a proposito: non
si tratta affatto di una lieve brezza ma di un forte e violento vento,
che addirittura curva gli alberi, e ancora, non di aranci, ma di piante
di alloro, si tratta
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. Il fatto non può di certo essere tralasciato (e si
vedrà in seguito il perché).
Ad accettare in pieno la tesi warburghiana fu Panofsky, il
quale, accanto a molti altri modelli letterari, riconosce la netta
supremazia delle Stanze e della pastorale leggermente più tarda, il
Rusticus (una delle Silvae), di Poliziano. L’elemento nuovo
introdotto da Panofsky rispetto alla precedente tesi di Warburg
riguarda la figura di Mercurio, che sarebbe portatore di un
significato metaletterale dimostrato dal suo volgere le spalle alle
Grazie, quasi con studiata indifferenza (e in questa maniera sarebbe
contestata l’interpretazione tradizionale che vuole Mercurio
accompagnatore e guida delle Grazie). Panofsky è inoltre il primo a
sostenere l’esistenza di un legame inscindibile fra la Nascita di
Venere e la Primavera. Secondo la sua teoria stavano a
rappresentare le due Veneri della tradizione platonica, Venere
Pandemia (in cui era del resto confluita l’immagine della Venere
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Così si esprime G. Reale, Botticelli…, cit., pp. 185-186: “Per usare una terminologia introdotta dagli
epistemologi, diremmo che il punto debole dell’interpretazione consiste in questo: Warburg, per far
entrare un particolare dato di fatto nel contesto del paradigma interpretativo che propone, è costretto a “ri-
fare” e ad “arte-fare” il “fatto” stesso. […] risulta evidente che dalle fonti letterarie così numerose e
differenti che vengono chiamate in causa non si ricava quell’unità che Warburg ricerca, ma la si
costruisce e la si impone ad esse.”
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Humanitas del neoplatonico Marsilio Ficino), e cioè la Primavera,
da intendere come immagine di una grande “festività”, e Venere
Celeste, da intendere come un’autentica teofania. Il ruolo di
Mercurio, presente solamente in una tela, la Primavera (e
ricordiamolo, assente dai testi di Poliziano) sarebbe quasi quello di
un intermediario fra i due mondi, un intermediario che Panofsky
identifica come “dio della Ragione”, una sorta di personaggio “di
rottura” all’interno della composizione, in quanto portatore
dell’unica facoltà psicologica che rimane esclusa dall’Amor divinus
(la Nascita di Venere) ma allo stesso tempo si autoesclude
dall’Amor humanus (e infatti Mercurio dà le spalle a tutti i
personaggi della tela e sembra assorto in qualcosa di indefinito).
L’interpretazione non sembra convincente, in quanto proprio la
presenza di quel Mercurio “metaletterale” va ad intaccare tutto il
senso del Regno di Venere costruito dalle argomentazioni di
Warburg, oltre al fatto che quella fonte-modello assunta come
principale, Poliziano, non nomina affatto Mercurio
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.
Nel 1945 Gombrich è il primo a prendere in considerazione un
apporto sistematico della filosofia neoplatonica alla lettura e
spiegazione delle opere botticelliane. La Primavera sarebbe stata
dipinta fra il 1477 e il 1478 per Lorenzo di Pierfrancesco dei
Medici (dato nuovo e importante da sottolineare. Da questo
momento in poi, infatti, le interpretazioni si divideranno
idealmente in due filoni: da una parte, coloro che fanno capo a
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G. Reale, ivi, pp. 189: “Ben altra fonte sarà quella in grado di spiegare l’enigma del personaggio
Mercurio con le spalle voltate agli altri personaggi in apparenza veramente inspiegabile. Si tratta di un
atteggiamento talmente fuori dalle regole sia logiche sia artistiche : solo se viene spiegato e motivato in
modo adeguato il ruolo che esso svolge, risulta possibile intendere il senso generale della “Primavera”.
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Warburg e collegano strettamente la tela di Botticelli al ramo
principale della famiglia Medici, quello di Lorenzo il Magnifico e
di suo fratello Giuliano; dall’altra parte, coloro che si pongono
sulla scia di Gombrich e spostano l’attenzione sul nome di Lorenzo
di Pierfrancesco - specie dopo il ritrovamento del documento datato
1499 in cui si ha registrazione del fatto che la Primavera, insieme
alla Minerva e il Centauro, si trovava nel palazzo di Lorenzo di
Pierfrancesco in via Larga - e gli elementi stessi per la
comprensione del quadro si troverebbero in una lettera in forma di
oroscopo scritta da Ficino proprio per il giovanissimo Lorenzo. Una
lettera che presentava, in una forma squisitamente dotta e codificata,
l’esortazione a seguire Venere, simbolo di “umanità”, cultura,
raffinatezza. Anche la Primavera, dunque, doveva contenere una
esortazione per Lorenzo, a dirigere la propria mente verso Mercurio,
il buon consiglio, la ragione e la conoscenza, e naturalmente verso
Venere-Humanitas. Si sarebbe trattato perciò di una sorta di quadro-
sermone costellato da tutti i precetti della nuova dottrina
dell’umanesimo (e vedremo poi come questa interpretazione
coincida, almeno per quanto riguarda la finalità per così dire
parenetica e didascalica, con l’interpretazione che Reale giudica
l’unica esaustiva, quella di Claudia Villa); i personaggi e le figure
del quadro si riferirebbero a quelli contenuti nel Giudizio di Paride,
all’interno dell’Asino d’oro: come Paride sceglie Venere nel testo di
Apuleio, così Lorenzo è invitato ad eleggere Venere-Humanitas
come la più bella, interagendo con la tela e con i suoi personaggi e
andando così a completare il senso del quadro (e ricordiamo che
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questo “meccanismo scenico” era assolutamente tipico degli
spettacoli di corte)
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. Il grande merito di Gombrich è quello di aver
saputo riconoscere nella tela botticelliana una forte matrice
neoplatonica e di aver centrato la propria indagine su questo
presupposto, elevando il piano di studio dalla semplice, e sterile,
ricerca di modelli letterari frammentari e mai riconducibili ad
un’unica visione organica. Su questa strada si muove anche Wind,
che pone alla base del significato da dare al quadro proprio la
costellazione Ficino-Poliziano-Botticelli, alla luce, appunto, della
dottrina neoplatonica del primo, e della triade dinamica specifica
della metafisica neoplatonica emanatio-conversio-remeatio
(processione, conversione, ritorno): tale triade esplica il movimento
comune a tutti gli esseri, il loro derivare dal Principio primo e
supremo e al contempo il loro rivolgersi e tornare ad esso. Possiamo,
dunque, leggere il quadro da questa prospettiva: la triade delle
figure a destra si ricollega con la triade delle figure a sinistra, due
momenti dialettici dell’amore mediati da Venere, al centro del
quadro, ricondotta da Wind non tanto alla dottrina ficiniana ma a
quella di Plotino, che rileggeva la figura come Venere-Psyché.
L’enigmatica figura di Mercurio starebbe ad indicare il dio
ingegnoso dell’intelletto che indaga, rivelatore, perciò, di
conoscenze segrete (è intento, infatti, a scacciare le nubi che
offuscano e confondono la mente) e si troverebbe in uno stretto
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G. Reale, ivi, p. 192, citando Gombrich :”La conseguenza ultima di questa interpretazione sarebbe che
era lo stesso giovane spettatore, Lorenzo di Pierfrancesco, per il quale il dipinto era stato commissionato,
che doveva completare l’insieme. Stando di fronte al quadro egli sarebbe l’oggetto della perorazione di
Venere; […] Nel campo della poesia e degli spettacoli di corte, questo rivolgersi direttamente allo
spettatore non sarebbe sorprendente.”
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rapporto dinamico con Zefiro, all’estrema destra della tela. Le due
figure rappresentano le due forze complementari dell’amore:
Mercurio è la forza della ragione, Zefiro quella dirompente della
passione. Lo sforzo di Wind, sulla scia del lavoro di Gombrich, di
fornire alla tela un’interpretazione sistematica è notevole, ma non
convince
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.
Tutte le interpretazioni velocemente percorse fino a questo
momento hanno chiaramente qualcosa in comune: si muovono su
percorso simili, a volte combinando gli elementi in maniera diversa,
o dosandoli in quantità differenti, ma tutte si avvalgono dei
medesimi modelli letterari (dai classici latini, Ovidio, Seneca, a
Boccaccio, Lorenzo il Magnifico, fino all’imperante Poliziano) e
alcune, da Gombrich in poi, si ancorano profondamente al sistema
epistemologico del Neoplatonismo. Da queste strutture alcuni,
tuttavia, si discostano. Ad esempio il paradigma più avversato da
Lightbown è proprio quello neoplatonico. Secondo questo studioso
il messaggio della Primavera sarebbe squisitamente primaverile:
nella tela viene celebrato il matrimonio fra Lorenzo di
Pierfrancesco con Semiramide Appiani, avvenuto nel luglio 1482.
La presenza di Mercurio è spiegata rifacendosi al suo statuto di “dio
della primavera”, e infatti il nome di maggio deriva dal nome della
ninfa Maia, madre di Mercurio stesso. Più complessa, ma simile a
quella di Lightbown, appare la prima delle due interpretazioni
proposte da Mirella Levi d’Ancona.
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G. Reale, ivi, p. 195: “Questo progetto interpretativo è certamente più “coerente” di altri, però solo dal
punto di vista “formale”: è debole invece nella sua “consistenza”, in quanto non ha adeguato supporto nei
testi.”