LA GUERRA DELL’AUDIENCE TRA LE MAGGIORI IMPRESE TELEVISIVE:RAI, MEDIASET E LA7 A CONFRONTO
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Nel decennio successivo, grazie alle innovazioni tecnologiche, la tv diventa sempre
più autonoma, sviluppando forme proprie. L’uso del satellite, poi, ha permesso di
diffondere contemporaneamente, e a livello mondiale, i grandi eventi di cronaca e di
sport, i cosiddetti media events, in cui il ruolo della televisione diventa sempre più
importante, a volte vincolando lo svolgimento stesso dell’evento: si pensi alle volte
in cui l’evento sportivo si trasmetteva nell’orario di maggiore ascolto per avere un
ritorno economico. Un’altra importante innovazione tecnica è stata l’introduzione dei
sistemi di registrazione videomagnetica (Ampex) che permettono di registrare e di
montare le immagini riprese dalle telecamere, nei tempi e nei modi congeniati dal
regista. Si tratta di un sistema che ammortizza i costi perché permette di avere copie
di alta qualità che possono essere trasmesse in ogni parte del paese e replicate
all’infinito (spesso in syndacation, cioè sul circuito delle tv locali indipendenti).
La pubblicità è un altro strumento di cui si serve la Tv generalista ma, questa volta,
come fonte di finanziamento in un mercato commerciale e concorrenziale. La
pubblicità affonda le sue radici già alle soglie degli anni Sessanta con Carosello (3
febbraio 1957) quando, alla normale programmazione televisiva, viene affiancata
«[…] la prima forma espressiva di spazio pubblicitario italiano […]»
2
. Inizialmente,
la comunicazione pubblicitaria in Tv doveva sottostare a delle regole inflessibili,
soprattutto per quanto riguarda la forma e il contenuto del linguaggio: vi erano delle
vere e proprie censure terminologiche per evitare che il pubblico venisse in qualche
modo offeso o infastidito. Ovviamente, si trattava di una rigorosa pratica
comunicativa che, col tempo, è andata diluendosi tant’è che, ad oggi, i messaggi
commerciali assomigliano sempre di più, nella forma e nel contenuto, a delle piccole
trasmissioni televisive.
Probabilmente, in molti convengono sul fatto che la pubblicità, negativa o positiva
che sia, è sempre pubblicità: basta che se ne parli. La televisione, in questo senso, è
una casa di vetro all’interno della quale ogni persona che vi appare viene ricordata ed
ogni cosa che viene detta è amplificata il giorno successivo perché l’ha detto la Tv,
guardata ogni giorno da milioni di persone. Questo ci porta a considerare che la cosa
più importante, tanto per le persone quanto per i prodotti, è apparire.
2
Cfr. A. Grasso, M. Scaglioni (2003) Che cos’è la televisione, Milano: Garzanti Libri
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A partire dagli anni Settanta si verificano grandi cambiamenti. Innanzitutto la
Riforma Rai che, nel ’75, forma un sistema di concorrenza interna essendo la tv
pubblica ora divisa in tre reti e in tre testate giornalistiche separate, a garanzia di un
maggior pluralismo informativo e culturale. Sono anche anni in cui cominciano a
svilupparsi le Tv locali che, oltre a costituire una nuova forma di concorrenza per il
monopolio statale, contribuiscono alla modifica del linguaggio televisivo e alla
nascita della contaminazione dei generi.
Dalla fine degli anni Settanta, il “sistema misto” (grandi emittenti private e forte
presenza pubblica) ha portato nel nostro paese una valanga di programmi di una certa
qualità e di forte appeal. Quando si parla di qualità si fa riferimento alla dimensione
dei valori che ruotano quasi tutti attorno ai sentimenti: modelli di vita a cui, non di
rado, i telespettatori si riconoscono o si ispirano, purché tali modelli stimolino
interesse. Un’offerta così ricca ha creato negli italiani una dipendenza
dall’apparecchio televisivo il quale, ogni sera, presentava almeno un programma
capace di attirare l’attenzione di un vasto pubblico. L’offerta era ricchissima: molte
reti, molti programmi e l’emergere di tanti nuovi guest stars. Questa “grande offerta”
è stata il risultato della lotta dell’emittenza privata contro quella pubblica per spartirsi
quote di spettatori e risorse pubblicitarie. La posta in gioco era alta: si trattava, da
una parte, di consolidare una dimensione aziendale che fosse unica in tutta Europa e,
dall’altra, di specializzare un servizio pubblico capace di reggere la concorrenza
privata.
È negli anni Ottanta, poi, che le reti private riescono a trovare la killer application in
grado di catturare l’attenzione e la fedeltà del pubblico, ovvero specializzandosi
nell’importazione di prodotti seriali americani che ben si adattano alle logiche seriali.
Anziché realizzare cose nuove la regola sembra essere, infatti, quella di imitare ciò
che in altre parti è stato decretato come “programma di successo”.
Il pubblico italiano, quindi, comincia a conoscere nuovi prodotti televisivi
contraddistinti da una forte serialità, seppur esiste ancora una scarsa conoscenza dei
meccanismi del suo funzionamento; deficit aggravato dalla preoccupazione dei
dirigenti della Rai, i quali dimostrano una certa diffidenza nei confronti dei prodotti
statunitensi, in quanto basati «[…] sulle logiche produttive industriali della quantità
che, lontane dai modelli cinematografici e teatrali, sono ritenute inconciliabili con
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un’idea di qualità […]»
3
. La Rai, infatti, si oppone alla concorrenza privata
investendo in costose produzioni internazionali riuscendo a strappare, comunque,
grandi ascolti.
Il processo d’importazione dei prodotti televisivi che ha caratterizzato questo
decennio, però, alla lunga trasforma l’Italia degli anni Ottanta da paese produttore di
programmi (per circa un ventennio) al principale importatore europeo, soprattutto di
fiction americana, a tal punto che il pubblico imparerà a metabolizzare schemi e
modelli di genere americani con cui, in seguito, anche la fiction italiana dovrà
confrontarsi.
Negli anni Ottanta vengono anche confermati i nuovi modelli di palinsesto e i nuovi
generi introdotti dalla tv commerciale, come conseguenza dell’innovazione
tecnologica della Tv a colori (in Italia dal 1977) e del telecomando (quello classico
nasce nei primissimi anni Ottanta), strumento che ha introdotto il fenomeno dello
zapping a sua volta progenitore di una serie di accorgimenti da parte dei network per
mantenere alta la fedeltà dello spettatore nei confronti di uno stesso canale o,
quantomeno, della stessa impresa televisiva per ciò che concerne Rai e Meidaset.
I film, insieme all’informazione e soprattutto allo sport, restano il prodotto più
seguito. A questi si aggiungono altri generi che completano l’offerta televisiva
quotidiana, a volte sfociando nel kitsch: conseguenza di un consumo televisivo di
routine. La visione comincia a diventare distratta o avviene con minore entusiasmo,
oppure ancora si va alla ricerca di programmi saltando da un canale all’altro. In molti
casi non si vedono programmi nella loro interezza, ma un mix di generi diversi. Non
a caso, già negli anni Settanta, si realizzano i programmi contenitore
4
, all’interno dei
quali si susseguono, senza una logica particolare, canzoni, giochi, talk, interviste,
ecc. Questi programmi non presuppongono che vengano seguiti dall’inizio alla fine
per cui, la fruizione può essere discontinua senza per questo avere problemi di
comprensione quando si giunge sul programma già avviato; la coerenza di genere
non è definita dai suoi contenuti, che sono variegati, ma dalla sua durata e dalla sua
capacità di creare un filo conduttore tra i diversi contributi, senza stancare il pubblico
anzi, fidelizzandolo. Questo è il precipuo compito che si chiede al conduttore del
3
Cfr. A. Grasso, M. Scaglioni, Che cos’è la televisione, op. cit.
4
Il primo esempio di programma contenitore è rappresentato da Domenica In, in onda su RaiUno dal
1976.
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programma che, vista la mole di lavoro (si parla di più di 6 ore di trasmissione), è
sempre coadiuvato da altri co-conduttori.
Negli ultimi anni, non a caso, si è progressivamente sviluppata la contaminazione dei
generi, un fenomeno che nasce “giocando” sulle regole di genere che, a volte, ha
prodotto disorientamento nel pubblico, soprattutto verso quello più conservatore,
rischiando l’insuccesso del programma. In genere, però, la tv generalista dovrebbe
limitare queste forme di ibridazione proprio perché si rivolge a un pubblico di
diverse fasce di età e di diversi livelli socio-culturali, quindi inclusi i tradizionalisti
più estremi. Per tali motivi, gli “addetti ai lavori” prestano molta attenzione nel
rispettare l’equilibrio esistente tra i generi tradizionali e le possibili innovazioni.
Infatti, gli spostamenti dei confini dei generi o la sovrapposizione tra aree differenti,
di solito, vengono testati all’interno di palinsesti in cui permangono ampie fasce di
programmi tradizionali ma dove ci sono anche aree utilizzabili per fare degli
esperimenti, proposti con estrema cautela e dopo lunghe fasi di studio e ricerca. Un
esempio ne è La7, Tv sperimentale per antonomasia che inizia la sua avventura nel
nuovo millennio rosicando audience alle altre reti nazionali.
L’inarrestabile corsa all’audience ha reso necessaria una sempre maggiore
disponibilità e innovazione di prodotti, meglio se a costi contenuti. Tuttavia, sembra
che sia la “spettacolarizzazione” della realtà ad essere preferita (sotto forma di fiction
o di reality show) in grado di attirare l’attenzione con una lacrima; non importa se di
pianto o di risata.
Dagli anni Novanta in poi c’è stato un incremento del fenomeno
dell’importazione/esportazione dei format, che hanno consentito di introdurre nei
palinsesti delle reti, sia statali che commerciali, numerosi nuovi programmi
caratterizzati da una generale ibridazione dei generi, riducendo i costi di produzione
e il rischio legato a qualsiasi novità. Dalla seconda metà degli anni Novanta viene
rilanciata l’autoproduzione, soprattutto di fiction. A questa inversione di marcia
hanno contribuito un serbatoio di fiction statunitense che stava esaurendosi, un
rapporto non più equo tra costi e ascolti e la saturazione del settore: il prodotto
cinematografico, infatti, non solo può essere fruito da altre fonti (vhs, canali a
pagamento, ecc.) ma anche sostituito da altri generi più appetitosi (quiz, talk show,
ecc.).
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Ad oggi non si è arrestato il processo tecnologico che sempre di più ha contribuito al
fenomeno della globalizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, generando
nuovi programmi “multipiattaforma”, cioè fruibili contemporaneamente attraverso
diversi media (Tv a pagamento, Internet, telefonia mobile), i cui palinsesti sono
adattabili ad personam.
Il palinsesto, più volte citato, è un termine tutto italiano utilizzato per indicare lo
schema della programmazione televisiva, cioè la sequenza dei programmi di ciascun
canale, sia in verticale, cioè nel corso della giornata, che in orizzontale, nell’arco
della settimana. Il palinsesto viene redatto per stagioni all’interno di un più ampio
piano annuale, che costituisce il quadro di riferimento per l’attività della rete e il
risultato del lavoro di sistemazione dell’offerta che si intende continuare o attivare ex
novo.
Due sono i meccanismi che principalmente guidano la fruizione degli spettacoli
televisivi e che sono altresì le cause dei suoi effetti. Il primo è quello della
standardizzazione e della ripetizione di ciò che si vede. La maggior parte dei
programmi tentano di sfruttare al massimo il trend di un prodotto di successo con il
rischio, però, di assuefare il pubblico. Il ricalco non si limita a qualche variazione di
poche strutture fondamentali, ma si ispira anche a molte cose già viste. La ripetizione
e la standardizzazione dei programmi finisce col ridurre la complessità del mondo
televisivo a poche tematiche: la violenza, l’amore e la cronaca. Occorre, quindi,
coinvolgere il pubblico con contenuti che facciano appello alle dimensioni più
umane: affettive, emozionali, estetiche ed intellettuali.
Un secondo meccanismo è invece quello che deriva dal modo di presentare i
contenuti: dall’informazione alla fiction, la rapidità è la caratteristica principale. Chi
prepara i testi per la Tv è costretto a lavorare su sequenze pensate per un immediato
coinvolgimento di chi guarda, per non indurlo alla noia o a cambiare canale.
L’attenzione dello spettatore deve essere attratta da continui colpi di scena, in quanto
non c’è abbastanza tempo per una decodifica razionale. Una sequenza televisiva
funziona se commuove, fa ridere, fa conoscere, incuriosisce tenendo incollato lo
spettatore davanti lo schermo. Non c’è tempo per la riflessione: una notizia in un Tg
viene data per non più di 1 minuto (esclusi, ovviamente, i servizi esterni), uno spot
pubblicitario racchiude una storia di senso compiuto in non più di 30 secondi, mentre
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l’angoscia che prova una protagonista di un film è racchiusa nella rapida dissolvenza
di una lacrima. È necessario creare un teaser, una sorta di gancio iniziale che attragga
l’attenzione nel modo più accattivante possibile, che permetta alle principali linee
narrative di un episodio, quanto di uno spot, di essere trasmesso in forma breve e
vivace.
Ogni giorno la Tv propone modelli e situazioni nuove che inducono lo spettatore a
lasciare per qualche istante il mondo vero per quello immaginario. Nessuno riesce a
resistere alla tentazione di vivere in un mondo diverso, pur sapendo bene che quello
televisivo è quello dell’irrealtà: guardando i personaggi di successo si cercherà di
emulare il loro modo di vestire o di parlare; osservando la pubblicità o gli interni
degli sceneggiati, si cercherà di rendere più gradevole il proprio vissuto. Non è,
infatti, un caso che gli operatori del marketing e i pubblicitari costruiscano sequenze
televisive e promuovano oggetti che sembrano combaciare perfettamente con modelli
e stili di vita ideali, con i desideri che ognuno di noi, nel suo piccolo, vuole vedere
realizzare.
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IPOTESI DI RICERCA
La motivazione che mi ha spinto ad analizzare nel dettaglio le strategie del marketing
televisivo adottate dalle più importanti imprese televisive - Rai, Mediaset e La7 - è
stata ampiamente influenzata dal profondo interesse che nutro nei confronti del
fenomeno televisivo. Conoscere i meccanismi che si celano dietro la realtà televisiva
è stato l’obiettivo della mia ricerca.
Il fulcro dell’indagine è incentrato sull’analisi delle strategie palinsestuali applicate
dalle tre maggiori imprese televisive quindi sulla logica, forma e contenuto di
ciascuna di esse, ma anche sul processo di produzione e organizzazione dei contenuti
televisivi. Il prodotto televisivo, infatti, non è altro che la predisposizione del
palinsesto cioè la combinazione ragionata dei diversi tipi di programmi, a seconda se
si vogliono raggiungere scopi sociali (precipuo fine perseguito dalla tv pubblica) o
per ottenere avidamente audience da vendere agli inserzionisti pubblicitari (precipuo
fine perseguito dalla tv commerciale).
Pertanto, una panoramica esaustiva delle tematiche relative alla pianificazione
strategica dell'impresa televisiva, analizzando il marketing televisivo e la costruzione
dei palinsesti dei programmi e delle pubblicità per il settore della televisione,
consentirà il raggiungimento degli obiettivi di questo lavoro: dimostrare che se negli
Anni Cinquanta la logica di costruzione dei palinsesti televisivi rispondeva alla
necessità di educare il cittadino in funzione della triade informare, educare e
intrattenere, oggi il palinsesto editoriale delle imprese televisive è strutturato in
funzione delle preferenze e delle aspettative del pubblico al fine di vincere, ogni
giorno, la guerra dell’audience. Ogni impresa televisiva adotta modalità differenti per
raggiungere, chi più chi meno, lo stesso obiettivo: trasformare l’audience in contatti
da vendere agli inserzionisti pubblicitari.
Partendo dalle origini storiche della televisione italiana e mettendo a confronto la Tv
di oggi con quella di ieri, ci rendiamo conto della povertà di strumenti e di contenuti
che vi era negli anni Cinquanta. L’obiettivo principale dell’appena nato apparecchio
televisivo sfuggiva, ancora, dalle articolate e complesse logiche di programmazione
dei palinsesti volti a fare audience. Era, innanzitutto, basilare creare un pubblico di
massa, omogeneo e unificato, secondo un fine pedagogico: istruire la massa,
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veicolando la tradizione storica e culturale in chiave cattolica. Fine del mezzo era,
dunque, quello di educare i telespettatori attraverso una tv pubblica che fosse in
grado di svolgere le funzioni di informare, educare e intrattenere; fin dalle origini la
Tv italiana ha cercato di anteporre la produzione artigianale a quella industriale
(ogni puntata era una produzione a sé) di un genere che oggi chiamiamo fiction e che,
in passato, era incarnato dal teleteatro e in seguito dallo sceneggiato. Alla produzione
domestica si è affiancata, poi, una progressiva apertura verso l’importazione dei
prodotti europei, soprattutto americani, diventati predominanti con l’introduzione
delle Tv private che, alle soglie degli anni Ottanta, stravolgono il monopolio della Tv
pubblica e lo scenario cambia completamente: viene concepito il palinsesto
generalista, basato sull’inserimento di programmi capaci di realizzare l’audience
promessa agli investitori pubblicitari.
Oggi, i programmi, a seconda delle esigenze e delle risorse a disposizione, possono
essere autoprodotti, cioè realizzati all’interno del proprio Paese ma ciò vuol dire
anche dotarsi delle strutture e delle competenze necessarie, assumendosi il rischio di
aumentare i costi fissi; oppure possono essere acquistati dal mercato interno e/o
internazionale. Il passaggio dell’Italia da Paese produttore a Paese importatore e, solo
recentemente, a Paese esportatore di format è stato un percorso lungo e travagliato
ma che, alla fine, ha portato i suoi frutti. Il business che deriva dalla compravendita
dei prodotti audiovisivi è di proporzioni enormi e considerato che l’attività primaria
dell’impresa televisiva consiste nel predisporre il palinsesto, ovvero decidere se
acquistare oppure produrre i vari programmi, è interessante studiare le scelte
strategiche adottate da tali soggetti. Pertanto, sarà fondamentale concentrare
l’attenzione sul fenomeno della produzione, quindi sul prodotto televisivo, e sulla
comprensione dei meccanismi che hanno condotto allo scambio di mercato di tale
prodotto al fine di raggiungere il successo dell'impresa che, in ultima analisi, è il
risultato dell’attività editoriale di comporre una sequenza di programmi in base alle
previsioni quantitative e qualitative della domanda del pubblico, e di trasmettere tali
programmi agli utenti.
Confrontando le tre maggiori imprese televisive - Rai, Mediaset e La7 - sarà
possibile carpire le modalità di organizzazione della programmazione secondo criteri
di logica, forma e contenuto determinati dagli obiettivi economici che, al contempo,
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devono essere coerenti con la tipologia di clienti assunti come riferimento. Il punto
focale della questione sarà dedicato alla nascita della RAI, del Gruppo Mediaset e de
La7 e ai motivi che hanno spinto i produttori di televisione a modificare i palinsesti
invertendo, così, le finalità del broadcasting all’origine e cioè non più servizio
pubblico ma impresa tesa al profitto, alla massimizzazione degli ascolti e alla
raccolta di pubblicità, che poi è quello di cui si nutrono le emittenti commerciali. Il
pubblico, perciò, è inteso come un mercato, un aggregato di acquirenti da
raggiungere, fidelizzare, conquistare, differenziato secondo alcuni parametri, come
classe sociale, età, sesso, ecc. Capire le strategie e gli stili di ciascuna rete volta a
produrre pubblico e analizzare le differenti forme di gestione dell’interazione
comunicativa in relazione allo spettatore sarà il fulcro della mia ricerca.
Analizzando le logiche di marketing seguite da Rai, Mediaset e La7 si tenterà di
conoscere anche la capacità magnetizzante della televisione, quale macchina
portentosa, in grado di indurre lo spettatore in un mondo immaginario realizzato
appositamente dagli operatori del marketing e della pubblicità, il cui scopo è proprio
quello di carpire i desideri del collettivo e cercare di tradurli in sequenze televisive.
Attraverso l'analisi delle politiche di marketing e delle strategie di vendita della
concorrenza televisiva, sotto il profilo dell’audience raggiunta e della
programmazione trasmessa, si cercherà di entrare nelle specificità relative agli
operatori del servizio pubblico, commerciale e a pagamento secondo una
suddivisione economica, ovvero di finanziamento dell’impresa televisiva. L'attività
principale di un'azienda televisiva è incentrata sui contenuti che trasmette, quindi,
nella fornitura di un servizio; ciò significa decidere, in riferimento a uno specifico
intervallo temporale e secondo un determinato criterio, la collocazione, la struttura di
successione e la frequenza di un insieme di programmi destinati al consumo di quegli
spettatori a cui sono riconducibili i ricavi dell’emittente. Si cercherà, difatti, di
dimostrare il forte connubio esistente tra la pubblicità e la programmazione
televisiva, studiando i ruoli delle concessionarie e le tipologie della pubblicità, con
uno sguardo anche alle principali funzioni e interventi dell'Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni: l’organismo speciale a cui è affidato il compito di vigilanza sul
rispetto delle regole antitrust.
Le operazioni del marketing televisivo servono anche ad analizzare, attraverso gli
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strumenti di misurazione del comportamento, le preferenze dei telespettatori e
l’immagine che questi hanno del sistema televisivo, individuando i punti di
debolezza che necessitano di maggiore attenzione e per meglio indirizzare le
operazioni future. Pertanto, sarà fondamentale analizzare gli strumenti di rilevazione
dell’ascolto, in primis Auditel, e le tecniche di cui si servono le tre imprese televisive
per applicare le giuste tecniche di programmazione. Gli strumenti in grado di
misurare quantitativamente il consumo di televisione e che raccolgono anche i dati
descrittivi sulle caratteristiche socio-demografiche degli spettatori sono gli strumenti
“audiometrici” e cioè i questionari, i diari di consumo e soprattutto il meter; questo
ultimo costituisce lo strumento mediante il quale avviene la raccolta automatica dei
dati Auditel. In quanto strumento di indagine finalizzato alla verifica delle
performance, l’Auditel diventa un importante indicatore delle scelte del pubblico e
permette anche di rilevare i contatti raggiunti dalla pubblicità stabilendo, così, i
prezzi da far pagare agli inserzionisti pubblicitari.
Ulteriori tecniche di rilevazione sono l'IQS (Indice di Qualità e di Soddisfazione), in
grado di rilevare la qualità percepita dei programmi televisivi RAI e il NoI
personaggi, un’indagine che fornisce informazioni statistiche sul gradimento di un
personaggio e il suo profilo, utili a ridurre il rischio decisionale nella scelta degli
ospiti in televisione e dei personaggi nelle specifiche attività di intrattenimento, sport
e cultura.
LA GUERRA DELL’AUDIENCE TRA LE MAGGIORI IMPRESE TELEVISIVE:RAI, MEDIASET E LA7 A CONFRONTO
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INTRODUZIONE
Ripercorrendo le fasi della storia della televisione italiana (vedi primo capitolo) è
possibile conoscere le varie evoluzioni che sono succedute dal periodo della paleo-Tv
a quello della neo-Tv; neologismi coniati da Umberto Eco per definire le profonde
differenze che hanno contraddistinto il modo di fare televisione di 50 anni fa da
quella odierna. In passato, infatti, i programmi ben definiti, per generi ed orari, erano
pensati per scopi e funzioni in chiave pedagogica-assertiva, senza alcuna attenzione
per le caratteristiche che distinguevano ogni singolo telespettatore; il palinsesto
odierno, invece, è il risultato di un’armoniosa combinazione tra strategie produttive e
tattiche di fruizione, in quanto l’obiettivo finale è la massimizzazione degli ascolti
(vedi quarto capitolo).
Tuttavia, negli anni, l’evoluzione tecnologica non si è spalmata in eguale modo nei
diversi mercati per via delle legislazioni vigenti, degli usi sociali dei media, delle
specifiche culture con cui entra in contatto. Per tali motivi la storia della televisione
italiana è stata articolata in tre età, così come è stato osservato da Aldo Grasso
5
: l’età
della scarsità, con riferimento alla limitata quantità delle frequenze disponibili; l’età
della disponibilità, con riferimento alla possibilità di scegliere i servizi televisivi
seppur partendo da un palinsesto predefinito; ed infine l’età dell’abbondanza, con
riferimento alla possibilità di personalizzare il consumo televisivo secondo i propri
gusti.
I prodotti audiovisivi possono essere frutto di un’autoproduzione (vedi terzo
capitolo); in questo caso, però, bisogna riflettere molto sul rapporto costi/ricavi
riferiti, direttamente o indirettamente, ad ogni singola realizzazione. A volte, non
sempre questo rapporto è gestibile; la Rai, per esempio, in quanto tv pubblica, ha
l’obbligo di realizzare programmi di un certo tipo rivolti anche a fasce limitate di
telespettatori, col rischio di non recuperare le spese di produzione. Ci sono prodotti,
poi, che hanno costi di produzione molto elevati per cui le imprese televisive
decidono di effettuare una produzione in appalto o una coproduzione: nel primo caso
si tratta di commissionare la creazione del prodotto a imprese indipendenti
specializzate nella produzione, generalmente nazionali, al fine di sfruttare il loro
5
Cfr. A. Grasso, M. Scaglioni, Che cos’è la televisione, op. cit.
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know-how, pur detenendo in esclusiva i diritti del programma; nel secondo caso,
invece, il prodotto viene realizzato da più soggetti, perlopiù a livello internazionale,
che forniscono le strutture produttive e/o i finanziamenti. In questo modo i costi di
produzione vengono ripartiti e i diritti d’uso vengono venduti ad emittenti estere, di
modo che in più paesi gli spettatori possono assistere a un programma che, nella
forma, è lo stesso mentre nei contenuti viene adattato alla cultura ed alle esigenze dei
diversi pubblici della nazione importatrice del prodotto televisivo. Non è una novità,
infatti, che il prodotto audiovisivo abbia alti costi fissi e bassi costi marginali e che,
per essere profittevole, occorre raggiungere il più elevato numero di spettatori
possibile, anche esponendo il prodotto nel maggior numero di mercati raggiungibili.
Un’altra tematica della quale vale la pena soffermarsi è l’aspetto commerciale delle
imprese televisive (vedi secondo capitolo), in modo particolare della televisione
privata in cui la pubblicità è il vero centro propulsivo. La vendita degli spazi
pubblicitari a livello nazionale è un fattore essenziale per acquisire risorse e per
investire sui programmi, soprattutto se si vuole varcare la dimensione locale.
Secondo quest’ottica, negli anni, abbiamo assistito al passaggio da una politica
product oriented, secondo cui all’impresa basta comunicare la presenza del prodotto,
ad una politica marketing oriented cioè orientata al mercato, secondo cui i network,
in regime di concorrenza, sviluppano determinate strategie al fine di produrre
pubblico. Da una parte la concorrenza nel settore dei media è fortemente aumentata,
dall'altra i gusti dei consumatori sono, nel tempo, cambiati. In sostanza, l'impresa
televisiva si trova davanti ad una duplice necessità: rinnovare il proprio prodotto per
assecondare un pubblico sempre più esigente e, al contempo, cercare di far conoscere
i motivi per cui il telespettatore dovrebbe preferire la propria televisione a quella
della concorrenza.
Negli ultimi anni, le modalità di produzione si sono orientate verso il format (vedi
terzo capitolo), ossia uno schema di programma contenente l’idea di base, i
meccanismi di svolgimento, fino ad arrivare ai moduli produttivi e agli elementi
scenografici, e viene commercializzato insieme a tutte le informazioni riguardanti la
possibile collocazione in palinsesto, le strategie promozionali, ecc. Questo nuovo
prodotto del mercato dei contenuti sta registrando un crescente successo, tanto in
Italia quanto in altri paesi europei. L’espressione format è, infatti, utilizzata per
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indicare l’oggetto di una compravendita di elementi invariabili di un programma che,
usati per trasmissioni di successo in un Paese, possono diventare fattore comune per
garantirne la replicabilità presso il pubblico di altri Paesi, e può essere oggetto di
tutela giuridica.
Tuttavia, è anche vero che l’adattamento di programmi stranieri non è un fenomeno
esclusivo di questi ultimi anni; nel caso italiano galeotto fu il basso sviluppo
economico, come conseguenza della Seconda Guerra Mondiale, che lasciò penetrare
con facilità i valori statunitensi: dalla diffusione degli elettrodomestici ai film,
contribuendo al cambiamento del ruolo della donna e dello status sociale dell’uomo.
I programmi statunitensi, per l’appunto, sono stati quelli maggiormente diffusi
all’estero in quanto portatori sani di una cultura variegata.
È necessario ricordare che le differenze e le originalità della produzione italiana,
rispetto ai modelli statunitensi, sono dovute non solo al desiderio di rispettare alcune
specificità della cultura italiana, ma anche al modo di fruire la televisione che
caratterizzò i primi anni del nuovo medium in Italia. Se negli Stati Uniti
l’apparecchio era già presente nelle case (Anni Cinquanta) e la fruizione era di tipo
familiare, in Italia i televisori si trovavano nei bar, nei locali pubblici, ci si riuniva a
casa di parenti, amici e vicinato che possedevano l’apparecchio televisivo o,
addirittura, ci si recava al cinema trasformandolo in un grande salone di casa, con
tanto di mensole che sorreggevano il televisore.
La fruizione della televisione nell’Italia di quel periodo era, dunque, collettiva e
questo non poteva non influenzare i responsabili dei contenuti dei programmi.
Nei primi anni di vita della televisione italiana, ci sono stati diversi esempi di
produzioni che traevano spunto dai programmi di successo delle Tv straniere.
Occorreva educare i telespettatori e, pertanto, il nuovo mezzo divenne contenitore di
opere teatrali, sceneggiati e anche di vere e proprie lezioni scolastiche volte ad
alfabetizzare gli italiani attraverso un programma creato ad hoc, Telescuola. In realtà,
la tv pubblica italiana ha sempre svolto una funzione pedagogica, divulgativa e di
promozione culturale applicando la teoria di John Reith, primo direttore generale
della BBC, emittente radiotelevisiva pubblica della Gran Bretagna. Reith asseriva
che il compito della tv pubblica doveva essere quello di informare, educare e
intrattenere che, tuttora, sono presenti nel modo di fare televisione ma nella forma di
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informazione, cultura e intrattenimento. Pertanto, l’attenzione che prima verteva solo
sui programmi da inserire o meno nel palinsesto, adesso, è rivolta anche ai
telespettatori che possono essere, al contempo, potenziali consumatori da vendere al
mercato pubblicitario. Questo periodo viene ricordato anche per la variegata offerta
complessiva di generi e formati domestici, talvolta di nuovi come le soap e le serie
“all’italiana”, seppur si attingeva a quelle statunitense. Formati e generi
internazionalmente riconosciuti e codificati, ma anche riadattati alle esigenze
specifiche del contesto nazionale sono stati, infatti, utilizzati per raccontare storie
domestiche, legate alla cultura italiana sia dal punto di vista dei contenuti che da
quello stilistico-formale
6
.
È stato riscontrato, dunque, di fondamentale importanza concentrare l’attenzione
anche sugli spettatori e sulla loro pratica di consumo televisivo (vedi quinto
capitolo), senza i quali la produzione televisiva non avrebbe ragione di esistere. In
realtà, i mezzi di comunicazione si sono sviluppati prima dell’esistenza di un
pubblico potenziale che, tuttavia, è andato costruendosi giorno per giorno attraverso
l’offerta dei prodotti televisivi. I media, perciò, hanno bisogno di conoscere i
telespettatori, le loro esigenze, le loro abitudini e i loro gusti, sia dal punto di vista
televisivo che da quello commerciale. Per tale motivo, si è reso necessario ottenere
dati sempre più precisi per organizzare la programmazione: sono state messe a punto
una serie di tecniche di rilevazione degli ascolti (in primis l’Auditel) dei diversi
programmi, nelle diverse fasce orarie, sia dal punto di vista quantitativo (con gli
indici di ascolto), sia dal punto di vista qualitativo (con gli indici di gradimento),
descrivendo un quadro sufficientemente esaustivo del comportamento del pubblico,
ovvero: chi-guarda-cosa, per quanto tempo, con quale frequenza, ecc. (vedi quinto
capitolo).
Considerando che il tempo medio che ogni telespettatore italiano dedica al piccolo
schermo si aggira attorno alle cinque ore quotidiane, vale a dire la seconda attività
principale dopo il sonno e il lavoro, ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale
studiare i contenuti di un mezzo di comunicazione così centrale nella vita di un
individuo
7
. L’ascolto televisivo in Italia è rilevato, attraverso l’Auditel, per quei
soggetti imprenditoriali che hanno interesse a conoscere quante persone assistono a
6
Cfr. A. Grasso, M. Scaglioni (2003) Che cos’è la televisione, Milano: Garzanti Libri
7
Cfr. G. Bettetini, P. Braga, A. Fumagalli, Le logiche della televisione, op. cit.
LA GUERRA DELL’AUDIENCE TRA LE MAGGIORI IMPRESE TELEVISIVE:RAI, MEDIASET E LA7 A CONFRONTO
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un programma televisivo trasmesso sulla loro rete, al fine di assegnare un valore
oggettivo e un prezzo concordato all’inserzione pubblicitaria che vi è contenuta. Si
pensi che le due maggiori imprese televisive, Rai e Mediaset, raccolgono più del
90% degli ascolti e delle risorse pubblicitarie destinate al mezzo televisivo. Sembra,
dunque, che le tecniche di rilevamento dell’audience, perfezionate con l’ingresso del
broadcasting commerciale televisivo, servano a identificare il teleutente che, in
ultima analisi, diventa merce di scambio tra l’emittente commerciale (sia privata che
pubblica, purché riceva introiti dalla pubblicità) e l’inserzionista pubblicitario.
L’audience, prodotta dall’emittente grazie alla sua programmazione, viene, quindi,
venduta al cliente finale della concessionaria di pubblicità. Ciò significa che, spesso,
la qualità dei programmi è valutata in modo direttamente proporzionale all’entità di
pubblico che riescono a drenare, a seconda della fascia oraria e dell’emittente in cui
sono collocati. Parallelamente all’affermarsi della guerra dell’audience, negli anni
Novanta, la nascita dei canali a pagamento e l’innovazione tecnologica hanno
favorito l’emergere di alcuni nuovi modelli di costruzione di palinsesto: a bouquet,
tematici, on demand e near video on demand (vedi primo capitolo). Grazie a queste
modalità di programmazione il teleutente diviene più attivo e non più legato alla
rigida griglia di un palinsesto precostruito anzi, saranno le sue abitudini domestiche a
dettare la logica di fruizione.