5
Il problema era sicuramente di ordine culturale, in quanto lo stato
di diritto non era ideologicamente idoneo a farsi carico del compito
di garantire i diritti sociali dell’individuo.
Oggi, invece, si può osservare che, nonostante la nostra
Costituzione sia caratterizzata da una diffusa programmaticità, l’art.
32 Cost. manifesta la sua peculiarità ed eccezionalità e si qualifica
come norma prescrittiva. La salute viene assunta nella dimensione di
autentico diritto soggettivo (e questo è confermato non solo nelle
posizioni dottrinali, ma anche giurisprudenziali
1
), o, meglio, al 1°
comma, come “fondamentale diritto dell’individuo” la cui tutela, a
differenza di altre norme consimili, è affidata alla Repubblica nel
senso di una pluralità di soggetti tanto ampia quanto indistinta
2
. Ed a
mio modestissimo avviso, proprio in questa norma, ed in particolare
in quest’ultima precisazione, risiede la fonte della posizione di
garanzia del medico-chirurgo ed il consequenziale obbligo di
impedire l’evento ex art. 40 cpv c.p. per quel che concerne la
responsabilità penale per omissione.
Tuttavia, il quadro che emerge dalla norma Costituzionale è
estremamente complesso a partire dal fondamentale problema che
attiene alla stessa accezione del concetto di salute previsto dalla
norma Costituzionale.
1
Cass., Sez. Un., 20 febbraio 1992, n. 2092, in Sanità pubblica, 1993, 9 ss.. Cass.
Sez. Un., 6 ottobre 1979, in Mass. Giust.civ., 1979, I, 1386
2
Rosario Ferrara, Salute (diritto alla), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche
6
L’Assemblea Costituente, a seguito di un acceso dibattito, le cui
linee sono ripercorribili analizzando la Relazione al progetto di
Costituzione, giunse ad affermare una tutela forte della salute, quale
diritto della persona alla base dell’esplicazione di ogni attività
umana nella sfera morale, intellettuale ed economica
3
. Essa
consisterebbe in uno stato di completo benessere fisico, mentale
sociale, e non consisterebbe solo in un’assenza di malattia o di
infermità
4
. Ed è proprio per questo che il concetto costituzionale
della salute si estenderebbe anche alla prevenzione della malattia
oltre che alla promozione del generale benessere psicofisico della
persona; e la qualificazione espressa del diritto alla salute quale
diritto fondamentale e quindi inviolabile è un indiscutibile elemento
peculiare della nostra Carta Costituzionale.
Ma occorre evidenziare come tutti questi elementi essenziali del
diritto alla salute, come tanti altri diritti costituzionalmente tutelati
(si pensi al diritto di sciopero), siano stati per molto tempo ignorati
sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla giurisprudenza
ordinaria. Tale conseguenza discende dalla collocazione del diritto in
oggetto nella più ampia categoria dei diritti sociali, i quali furono
interpretati alla stregua di enunciazioni di principi e di programmi
politici che non la consacrazione di veri e propri diritti soggettivi.
Solo a seguito di un complesso dibattito si è giunti alla pronuncia di
3
Relazione all’Assemblea Costituente, 295 ss.
4
Benciolini, Il diritto alla salute, in Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli, 1988,
48 ss.
7
significative sentenze che hanno portato un cambiamento di rotta
fino a riconoscere al diritto alla salute la qualifica di diritto
soggettivo direttamente azionabile e, soprattutto, la sua sopra citata
valenza di diritto fondamentale ed inviolabile
5
.
In concreto, quindi, tutti i soggetti pubblici che insieme
compongono la Repubblica (dallo Stato alle Regioni, dalle Province
ai Comuni) sono impegnati a rendere effettivo questo diritto
intervenendo sia direttamente, attraverso apposite strutture
assistenziali, sia indirettamente, mediante la predisposizione degli
strumenti idonei a consentire anche a soggetti privati lo svolgimento
della stessa funzione.
Una seconda accezione che si ricava dalla lettura del 1° comma
dell’art. 32 Cost, è il diritto alla salute inteso come interesse della
collettività; proprio tale accezione spiega e giustifica, innanzitutto,
l’attività di prevenzione che i soggetti pubblici sono tenuti a svolgere
(si pensi alla prevenzione delle malattie infettive) ed, in secondo
luogo, le disposizioni legislative che prevedono trattamenti sanitari
obbligatori. La lesione, pertanto, di questo fondamentale diritto può
dar luogo a risarcimento non solo nei casi di danno patrimoniale (si
pensi al danno biologico); e tuttavia, tale diritto non comporta un
connesso dovere individuale a mantenersi in buona salute
6
, nel senso
che non comporta nessun obbligo di sottoporsi a determinati
5
Cass. Sez. Un., 9 aprile 1973, in foro it., 1979, I, 843; Cass. Sez. Un., 6 ottobre
1976, in foro it., I, 385
6
Caretti-De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, 2004
8
trattamenti sanitari, salvo i casi previsti dalla legge (nella normale
attività di prevenzione a tutela dell’interesse della collettività) e
sempre nel rispetto della persona umana(art. 32, 2° comma Cost.).
Nell’ambito dell’ampio tema del diritto alla salute, con le sue
irrisolte problematiche, grande importanza riveste sia l’attività
medico-chirurgica
7
in generale, il cui carattere costante consiste
nello scopo terapeutico volto alla tutela dell’integrità psico-fisica del
singolo individuo alla luce del comma 1° dell’art. 32 Cost., sia il
rapporto medico-paziente che è notevolmente cambiato negli ultimi
anni, nel senso che è passato da un modello “tutorio-paternalistico”
in cui in capo al medico risiedeva la titolarità di ogni decisione,
attuazione e governo delle scelte terapeutiche in assoluta autonomia,
ad un modello basato sull’”alleanza terapeutica” con il malato
8
, il
quale diviene soggetto attivo delle scelte terapeutiche alla luce dei
principi costituzionali di libertà. Nel primo caso emerge la
responsabilità del medico per esito infausto della terapia ( e non solo,
si pensi anche alle omissioni), nel secondo, invece, rileva la
7
Grispigni, in la liceità giuridico-penale del trattamento medico-chirurgico,
Milano, 1914, p. 8, definisce l’attività medico-chirurgica come “quella
modificazione dell’organismo altrui, compiuta secondo le norme indicate dalla
scienza, per migliorare la salute fisica e psichica della persona, o la bellezza della
medesima”; Iadecola, in il medico e la legge penale, Padova, 1993, p. 5, evidenzia
che rientra nel trattamento medico-chirurgico “ogni condotta di chi eserciti
un’attività sanitaria sul corpo umano, a scopo terapeutico (operazioni chirurgiche,
rimedi di medicina interna, cure psichiche ecc.), non terapeutico (sperimentazione
sulla persona umana, trattamenti cosmetici ed operazioni plastiche, interventi a
favore di terzi come il trapianto d’organo e la trasfusione di sangue ecc.) o a scopo
diagnostico”.
8
Dassano, Il consenso informatola trattamento terapeutico tra valori costituzionali,
tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti”, Torino, 2004
9
violazione del c.d. “consenso informato”, consenso che fonderebbe
la liceità di ogni trattamento medico alla luce dei principi
costituzionali.
10
Capitolo II
ATTIVITA’ MEDICO-CHIRURGICA: IL FONDAMENTO
DELLA LICEITA’ DELL’INTERVENTO E
RESPONSABILITA’ PENALE
2.1 La responsabilità del medico-chirurgo in generale
L’attività del medico-chirurgo può comportare (e non raramente
comporta) un illecito. Conseguenza dell’illecito, che consiste in una
condotta umana commissiva od omissiva in violazione di un
comando o di un divieto previsto dall’ordinamento giuridico, è la
responsabilità di colui che lo ha posto in essere. Tale responsabilità,
che porterà alla irrogazione di una sanzione, può essere penale, civile
o amministrativa e tale distinzione trova la sua ragion d’essere nella
natura degli interessi specificamente tutelati.
La responsabilità civile deriva dalla violazione di regole poste a
tutela di interessi di natura privatistica e, pertanto, il soggetto
danneggiato dalla condotta illecita avrà la possibilità di agire in
giudizio contro l’autore del fatto illecito per ottenere la riparazione
(in forma specifica se possibile o per equivalente) del danno
ingiustamente subito.
11
La responsabilità amministrativa è data, invece, dalla violazione
di doveri posti nell’interesse della Pubblica Amministrazione, che
possono essere rivolti, da un lato, ad una categoria indistinta di
soggetti, dall’altro, a specifici soggetti i quali si trovino in un
particolare rapporto con la Pubblica Amministrazione stessa.
Di notevole importanza, è l’appartenenza dei medici al relativo
Ordine professionale, dotato di ampi poteri disciplinari che mirano a
reprimere gli eventuali abusi, scorrettezze e mancanze commesse
nell’esercizio dell’attività professionale.
Oggetto principale della mia indagine, però, è la rilevanza penale
dell’attività medico-chirurgica ed in relazione a questa cercherò di
soffermarmi evidenziando le principali problematiche del tema in
oggetto.
Preliminarmente, l’illecito penale postula una violazione di regole
ritenute fondamentali per la convivenza civile ed è accertato a
seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte di un ufficio
pubblico, il Pubblico Ministero.
Il diritto penale è, pertanto, quel ramo del diritto che appresta
tutela a beni della vita al fine di assicurare la conservazione sociale.
E non si può dubitare che anche sul versante penalistico “il bene
integrità fisica”, quale aspetto particolarizzato del diritto di salute
costituzionalmente tutelato, abbia una certa rilevanza; e l’attività
medico-chirurgica viene ad incidere, senza dubbio, sull’integrità
12
fisica del paziente, soprattutto nei casi in cui sia ravvisabile un
profilo di colpa per violazione delle regole dell’arte medica, ma non
solo secondo alcune opinioni.
9
Tuttavia, sia la dottrina, sia la
giurisprudenza, hanno cercato di legittimare l’attività medica, in
quanto esplicazione di una delle attività più nobili ed utili per gli
esseri umani.
9
Manna, trattamento medico-chirurgico, in Enc.Dir., vol. XLIV, 1992, p. 1280,
secondo l’autore, l’intervento chirurgico integrerebbe la fattispecie di lesioni
personali anche nell’ipotesi in cui abbia dato un esito positivo e non siano state
violate le regole della scienza medica.
13
2.2. Il fondamento della liceità del trattamento medico
In linea generale, si possono enucleare cinque distinte posizioni
fondamentali:
a) Il primo di questi filoni dottrinali, che segue la c.d. teoria
dell’azione socialmente adeguata, sostiene che il problema del
fondamento della liceità dell’intervento medico-chirurgico sorge non
quando l’operazione ha avuto esito felice, perché in questo caso non
si può dire che si sia verificato un peggioramento dell’integrità fisica
personale, anche se il chirurgo abbia cagionato un dolore o prodotto
un’amputazione nell’organismo del soggetto (mancherebbe la
conformità al tipo legale della fattispecie), ma qualora l’esito sia
stato negativo; ma anche in questo caso, salvo un’imprudenza o una
negligenza dell’operatore, il fatto sarebbe lecito, e tale liceità “deve
ravvisarsi nel fatto che l’attività medico-chirurgica corrisponde ad un
alto interesse sociale, ossia la cura degli infermi, interesse che lo
Stato riconosce autorizzando, disciplinando e favorendo l’attività
medesima”
10
e non nel consenso del paziente, perché il bene alla vita
non è disponibile e quello all’integrità fisica personale lo è soltanto
in limiti ristretti. Il soggetto passivo del trattamento, quindi, non
potrebbe che ottenere in concreto dei benefici dal trattamento
medico, anche a fronte di menomazioni permanenti dell’integrità
10
Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, p. 317, sedicesima ed.,
2003, Giuffrè Ed.
14
fisica che il medico deve necessariamente produrre nell’ambito di
un’attività posta al servizio del rispetto di quello stesso bene
dell’integrità fisica e della buona salute del soggetto. Così come non
potrebbe qualificarsi omicidio, la morte prodotta nel corso di una
siffatta attività, essendo quest’ultima conforme agli ideali o agli
scopi generalmente riconosciuti dalla società. Il fatto lesivo
dell’integrità fisica, ovvero l’evento morte non costituiscono di per
sè reato per mancanza del fatto tipico, nel senso che il codice penale
punisce la lesione personale non si riferisce ad ogni tipo di
menomazione fisica procurata al soggetto passivo, ma solo a quelle
alterazioni che sono poste in essere in senso peggiorativo della
situazione fisica della parte lesa
11
.
Questa impostazione, oltre ad aver trovato scarsissimo
accoglimento negli orientamenti giurisprudenziali, è stata facilmente
criticata, innanzitutto per la sua indeterminatezza, e, poi, per il fatto
che “l’adeguatezza” non può costituire una causa di non punibilità.
Tale teoria, pertanto, può, e forse deve, “assumere valore di guida
11
Petrocelli, Il consenso dell’avente diritto nell’attività medico chirurgica, aderisce
alla tesi ribadendo che “la lesione chirurgica non costituisce reato essendo diretta al
bene del paziente ed alla eliminazione o attenuazione di una preesistente situazione
dannosa o pericolosa dell’organismo”; Ondei, La persona fisica ed i diritti della
personalità, Torino, UTET, per il quale “se le operazioni sono dirette a vantaggio
della salute non può entrare in considerazione il problema della legittimità degli atti
di disposizione, perché sarebbe contraddittorio che la legge, avendo lo scopo, nel
vietare questi atti, di garantire la conservazione della salute, dovesse poi vietarli
anche quando servono a migliorarla o ad impedire futuri pericoli nell’interesse dello
stesso disponente”
15
per l’interprete e criterio de jure condendo”
12
, utile riferimento come
limite alla stessa configurabilità del fatto tipico
13
.
b) Una seconda impostazione fonda la liceità dell’attività medica
sulla configurabilità di una scriminante non codificata, facendo leva
sul principio della “mancanza di danno sociale, ritenendo, pertanto,
le scriminanti suscettibili di estensione analogica. L’attività del
medico-chirurgo, quindi, secondo il Vassalli
14
, trarrebbe la sua
legittimazione da una causa di giustificazione non codificata, ma che
sarebbe estremamente auspicabile attraverso un intervento specifico
del legislatore
15
.
Anche tale impostazione non può essere accolta. Innanzitutto per
la sua contrarietà al principio del divieto di analogia, che opera
anche in relazione alle scriminanti
16
, in secondo luogo per la
violazione del principio di tassatività quale corollario del principio di
legalità
17
.
c) La terza impostazione fa ricorso, alla tesi dell’assenza
dell’elemento soggettivo proprio del reato in astratto configurabile in
12
Dassano, La responsabilità medico-chirurgica. I limiti del penale., 2003,
Giappichelli ed., p. 40
13
Manna, Profili penalistici del trattamento medico chirurgico, Milano, 1984
14
Vasalli G, Alcune considerazioni sul consenso del paziente e lo stato di necessità
del trattamento medico-chirurgico, in Arch. Pen. 1973, n. 81
15
Il Vassalli, a fronte dell’atteggiamento della giurisprudenza, restia ad evadere
dalle norme espresse, ritiene che tale comportamento si spieghi per il diffuso timore
di concedere troppo alla scienza, soprattutto quella medica, il che potrebbe far
correre grandi rischi per certe libertà dell’uomo e certi fondamentali diritti della
personalità
16
V. art. 1 disp. Prel., art. 1 c.p., art. 25, comma II, Cost.
17
Dassano, op. cit., p. 41
16
quanto il medico non agisce per nuocere ma per migliorare la salute
del malato.
Tuttavia, la critica preliminare che si muove a tale impostazione è
che “non si può attribuire rilievo ai fini da cui l’agente è mosso per
valutare la rilevanza penale del suo agire (o inagire), perciò la
finalità pur nobile ed apprezzabile perseguita dal medico rimane
penalmente (del tutto) irrilevante e non lo esonera da responsabilità
penale per il reato di lesione personale per il configurarsi del quale
basta che il soggetto abbia voluto l’evento”
18
.
d) I fautori dell’impostazione più antica
19
, ravvisavano il
fondamento della liceità del trattamento medico nell’assenza del
fatto tipico, nel senso che sarebbe errato ritenere illecito penale la
lesione chirurgica, in quanto il fatto non costituirebbe di per sé reato.
Inutile, pertanto, la ricerca di una scriminante.
La giustificazione di tale ragionamento si rinverrebbe nella ratio
delle norme punitive, in quanto il legislatore, nel momento in cui
punisce la lesione personale non si riferisce ad ogni tipo di procurata
menomazione fisica, ma solo quelle alterazioni che sono poste in
essere in senso peggiorativo della situazione fisica o psichica della
parte lesa. E poiché il sanitario opera per il “bene” del paziente, non
può parlarsi di “lesione” così come intesa nel codice penale, perché
l’azione non è dannosa nel suo complesso.
18
Iadecola, In tema di rilevanza penale del trattamento medico-chirurgico eseguito
senza il consenso del paziente, in Giust. Pen., 1991, II, 163.
19
Tra cui il Grispigni ed il Carrara
17
E secondo tale tesi, la situazione giuridica non cambierebbe anche
in caso di trattamento negativo per il paziente, perché se il sanitario
ha eseguito un intervento corretto nei suoi presupposti teorici e
realizzato secondo le regole dell’arte medica, la sanzione penale non
può essergli ascritta.
Tale teoria, però, sembra dare rilievo ai motivi, allo scopo
dell’atto, che sono del tutto irrilevanti nell’ambito del diritto penale.
Pertanto, anche questa teoria non può essere accolta.
e) Ultima impostazione, che tenta di trovare un fondamento per la
liceità del trattamento sanitario, è quella che fa riferimento alle
scriminanti codificate.
Non si può sottacere, a questo riguardo, la tesi sostenuta dal
Mantovani
20
, il quale ritiene che la problematica può essere risolta
operando una distinzione fra il problema della non punibilità
dell’attività chirurgica come tale, e cioè dell’incisione del corpo, e
quello concernente la non punibilità degli eventi negativi che da
quella attività possono derivare. Per quel che riguarda l’attività
medico-chirurgica, ebbene essa deve essere ritenuta lecita “perché il
Legislatore implicitamente l’autorizza, regolamentandola,
disciplinandola e addirittura favorendola”.
20
Mantovani, Enciclopedia del diritto, voce <Esercizio del diritto>, Milano, 1966,
p. 644