2storica. Ciò può essere meglio compreso confrontando la definizione di di Aldo
Rossi e quella di
di Bernardo Secchi.
Per Rossi, che pur mirando alla costruzione di una teoria generale dei fenomeni
urbani, prende come oggetto iniziale di osservazione la città storica, i fatti urbani sono
“
3
essi sono
4
la loro individualità e la loro complessità li rende
5
e sono tali in quanto
prodotto di una collettività ed in costante rapporto tra la memoria del proprio passato e le
trasformazioni a cui sono continuamente sottoposti. Essi sono cioè una porzione di un
continuum più vasto, sottoposto ad un sistema coerente di regole morfologiche che in quel
punto possono presentare delle particolarità. La loro essenza è comunque il prodotto di un atto
creativo intenzionale, per quanto complessi possano essere le relazioni ed i meccanismi che lo
hanno generato.
Assai meno strutturato appare invece il meccanismo di costruzione della città
contemporanea a cui si riferisce Bernardo Secchi, per il quale
!" # $
%
6
Questo confronto appare particolarmente pertinente al tema della definizione di un
ruolo per gli spazi verdi contemporanei. Incrociando la lettura degli elementi presenti sul
territorio con l’insieme dei documenti che se ne occupano dal punto di vista operativo e
strategico emerge infatti costantemente la dialettica tra un’aspirazione alla continuità degli
elementi ambientali e la condizione di frammentarietà che caratterizza la città
3
Aldo Rossi
, Clup, Milano, 1987, pag. 17.
4
5
., pag. 21.
6
Bernardo Secchi,
, Laterza, Roma – Bari, 2000, pagg. 161-162.
3contemporanea
7
. Questa atomizzazione dei contesti urbani nasce da una duplice condizione di
frammento, da un lato della realtà materiale in sé, dall’altro del soggetto che ne compie
l’esperienza
8
. Se la prima è il frutto di un insieme complesso di trasformazioni che solo a
partire da tempi relativamente recenti sono state al centro di analisi sistematiche ed
approfondite, la seconda ha invece trovato già da tempo un posto all’interno della storia della
filosofia e della cultura occidentale, essendo stata riconosciuta come una delle caratteristiche
all’origine della modernità
9
Una difficoltà che è dunque innanzi tutto interpretativa ed espressiva e che nel nostro
caso si ripercuote sulla incapacità, ad esempio, di individuare un posto per gli spazi che
abitiamo all’interno delle categorie con cui tradizionalmente si descrive la città. Difficoltà che
ha prodotto, per reazione, il diffondersi della tendenza a le cose, nel tentativo molto
spesso illusorio di appropriarsi in questo modo di un significato che non si riesce a
comprendere. Ciò sembra riconfermare l’impressione che nella città contemporanea si sia
7
Una riflessione sulla continuità come concetto o fondamentale della storia urbana e sulla sua
contrapposizione al frammento si trova in: Bernardo Secchi,
pagg. 12-32.
8
Significativamente proprio con una citazione legata all’immagine del puzzle (Carlo Ginzburg e
Adriano Prosperi,
Torino, 1975) Tafuri apre
l’introduzione de
, saggio interamente attraversato, a partire dal titolo stesso,
dall’idea della frantumazione dell’unità formale (Manfredo Tafuri,
, Einaudi,
Torino, 1980, pag. 3). Il testo di Tafuri analizza in maniera sistematica la sfida delle avanguardie
artistiche ed architettoniche a partire dal ‘700 per la distruzione dell’ordine classico e la ricostruzione
di un nuovo ordine. A proposito dell’idea di frammento e della figura del puzzle, cfr. Paola Viganò,
pagg. 17-18 e 137-148. A proposito dei rischi insiti nell’appiattimento su uno dell’avanguardia,
Franco Rella rileva: “
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(Franco Rella, )
, Feltrinelli, Milano, 1993, pag. 116).
9
Essa è ad esempio protagonista di molta della grande letteratura scritta a cavallo tra ‘800 e ‘900,
come afferma Claudio Magris in un suo recente intervento:
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Claudio Magris, ,
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lezione inaugurale della cattedra di Letteratura Europea al College de France di Parigi, in “Il
Corriere della Sera”, venerdì 26 ottobre 2001.
4esaurito l’influsso ereditario dei principi architettonici e funzionali esplicitati dalla città
dell’ottocento ed in particolare della legge di
10
, secondo la quale un
modello architettonico può passare da una cultura architettonica ad un’altra senza che si
conservi la funzione, ma di solito ne rimane invariata la modalità d’uso dell’ambiente, che è
possibile definire per categorie ampie e poco specifiche.
È dunque la condizione di “frammento” che ogni singolo elemento assume nella città
contemporanea, la possibilità cioè di riconoscerne l’identità individuale, di isolarlo da un
contesto di cui però è difficile, se non impossibile ricostituire un’unità e da cui solo in parte è
possibile desumere delle regole generali, un primo punto su cui riflettere e che di per sé
legittima l’approccio al luogo sotto la forma del “catalogo”
11
.
Alla luce di quanto detto, il primo capitolo “La natura in città” traccia un profilo del
ruolo attuale degli spazi verdi nella città contemporanea, mettendone in luce potenzialità e
tendenze di sviluppo grazie al confronto con ricerche provenienti da diversi settori delle arti
visive.
Il secondo capitolo “il verde come oggetto”, consiste in un lavoro sul campo volto alla
individuazione delle caratteristiche di
che sono stati selezionati all’interno della
città di Torino. È a sua volta suddiviso in due sezioni, la prima delle quali si concentra sulle
forme e le condizioni generali del verde nella città consolidata
12
, mentre la seconda si
sofferma in maniera più specifica su un’area studio, una parte del territorio dell’area
metropolitana di Torino situata a Nord Est del capoluogo, che ha come limiti la Stura di
Lanzo ed il Po e comprende parte dei territori comunali di Torino, Settimo Torinese, Borgaro.
L’area è stata scelta per alcune sue caratteristiche che la rendono particolarmente
interessante come caso studio. La sua estensione arriva a comprendere parti di tessuto urbano
consolidato ed espansioni periferiche in costante trasformazione. Essa infatti presenta
10
Maurice Cerasi,
, Mazzotta, Milano 1976, pag. 98. Un tipico esempio di questo
principio è il viale alberato che da elemento del paesaggio agrario diviene elemento costitutivo della
forma urbana.
11
Sul tema della catalogazione come tecnica descrittiva e sul suo ruolo all’interno delle discipline che
si occupano della città si veda: Bernardo Secchi,
, relazione introduttiva al 2° Convegno Internazionale di Urbanistica, Prato, 30 marzo-1 aprile
1995.
12
Si intendono qui con tale termine le aree urbane in cui il rapporto tra tipologie edilizie e spazi aperti
dà luogo a configurazioni dotate di un grado di coerenza complessiva immediatamente riconoscibile;
dette aree vanno dal centro storico alle espansioni residenziali del secondo dopoguerra,
approssimativamente fino agli anni ’70.
5insediamenti di tipo misto (produttivo, terziario, residenziale, commerciale) con grandi
prospettive di sviluppo, inframmezzati da vaste aree libere; è attraversata pesantemente da una
serie di grandi infrastrutture di trasporto (autostrada e ferrovia Torino-Milano, futura linea ad
alta capacità, tangenziale di Torino, Superstrada Torino-Caselle) che la ritagliano in aree
spesso non comunicanti tra loro, mentre d’altra parte la rendono facilmente accessibile e
attraversabile; è definita da elementi geografici importanti che ne connotano il territorio
(confluenza di Po e Stura, sistema della collina Torinese); al suo interno o nelle immediate
vicinanze si trovano inoltre preesistenze ambientali interessanti (tessuti agricoli, alcune aree
verdi strutturate come nel caso della Falchera, il parco della Mandria, etc.), così come alcune
situazioni “critiche” (alvei fluviali soggetti a straripamenti, la discarica delle Basse di Stura,
etc.); è oggetto di un sistema di pianificazione che sotto vari aspetti si rivolge al tema “natura”
con particolare attenzione, oltre ai piani regolatori comunali: Piano del Parco del Po Torinese,
Progetto Torino Città d’acque, PRUSST Tangenziale Verde, Programma Pluriennale dei
rifiuti. Per questa ricchezza di spunti l’area-studio assume il ruolo fondamentale di un
serbatoio di elementi verdi o ambientali assai variegati per tipo e dimensione: campi coltivati,
campi abbandonati, boschi, parchi e giardini pubblici, aree protette, giardini privati, orti
urbani, aiuole, fioriere, parcheggi piantumati, piazze alberate, giardini condominiali, fasce di
rispetto incolte od occupate abusivamente. Si tratta spesso di vuoti all’interno di altri vuoti, a
volte addirittura privi di qualunque delimitazione fisica e distinti solamente in modo mutevole
per il colore e la consistenza del suolo: terreno dissodato o coperto di vegetazione coltiva,
erba rasata, terreno più compatto con vegetazione spontanea o detriti sparsi.
Oltre che di oggetti, l’area studio è un contenitore che accoglie al suo interno un
patrimonio di idee
13
sulla trasformazione della città stessa (i piani, progetti e programmi
pubblici che si occupano a vario titolo del tema del verde, dell’ambiente e dello spazio
pubblico) e di aspirazioni e sogni dei cittadini, alcuni espressi attraverso la trasformazione
spontanea dello spazio o attraverso rivendicazioni pubbliche, altri che filtrano più
sommessamente tra le righe di questi stessi comportamenti e in certi casi vengono raccolti e
13
L’area, perlomeno una parte di essa, è stata oggetto, nel corso del 2001, del seminario progettuale
svolto all’interno del
dottorato di ricerca in Architettura e Progettazione edilizia del Politecnico di Torino, fatto che la rende
interessante anche come territorio di confronto per ipotesi differenti sulla trasformazione della città.
Sempre sulla stessa area si è inoltre concentrato un ulteriore seminario progettuale,
, svoltosi nell’autunno del 2001, sempre all’interno del Dipartimento di
Progettazione Architettonica del Politecnico di Torino, che ha visto la partecipazione del prof. Hank
Hartzema dello studio olandese West8 che si occupa di architettura del paesaggio, e che quindi ha già
affrontato, seppure nel breve arco di due settimane e con un’attitudine fortemente indirizzata al
progetto di trasformazione piuttosto che alla riflessione analitica, alcuni aspetti del tema di questa
ricerca.
6reinterpretati attraverso le varie rappresentazioni dello spazio, operate ad esempio dalla
pubblicità o sulla stampa
14
.
Di tutti questi spazi si è cercato innanzi tutto di fare una sorta di inventario che
necessariamente, a causa della eterogeneità, oltre che per la natura minuta e cangiante
dell’oggetto osservato, che non lascia tracce sulle carte se non solamente di tipo
convenzionale, è stato costruito soprattutto attraverso una conoscenza diretta,
15
grazie ad una
serie di esplorazioni sul campo articolate come itinerari che si incrociano sullo stesso
territorio, sulla falsariga di quelli suggeriti all’interno delle guide turistiche, ma con
l’attenzione rivolta a fatti e differenti.
Questa parte della ricerca consiste dunque in un confronto tra aree verdi nella città
consolidata e aree verdi in un brano di città dispersa, confronto svolto analizzando le
caratteristiche formali, dimensionali, localizzative ed organizzative degli spazi verdi secondo
un procedimento, volutamente piuttosto meccanico, di rilevazione sul terreno,
rappresentazione fotografica, ridisegno, analisi cartografica e confronto morfologico
16
.
Prima operazione è consistita nell’individuazione di alcune
all’interno
della città consolidata, a cui ha fatto seguito la perimetrazione delle aree verdi che in essa si
14
Si pensi ad esempio alla mistificazione dell’abitare come idillio “campestre” che compare sui
tabelloni di cantiere di molti nuovi complessi residenziali nonché su pubblicità annunci e manifesti
immobiliari.
15
La riduzione della distanza tra osservatore e oggetto osservato è alla base di quell’ampia categoria
di descrizioni definita da Stefano Boeri come , (Stefano Boeri
, in
“Daidalos” n° 69/70, 1998.) descrizioni del territorio che avvicinano lo sguardo all’oggetto da differenti
punti di vista per capirne meglio il funzionamento, abbandonando l’idea di un punto di vista privilegiato
e con l’obiettivo di individuare i meccanismi di mutamento dello spazio fisico e le relazioni tra questi e
la società che li producono. Riconducibili nelle loro origini a certe esperienze delle avanguardie degli
anni ’60 ed in particolare al situazionismo, un movimento di cui oggi vengono recuperati vari contributi
(Si vedano ad esempio: Guy-Ernest Debord,
, in “Internationale Situationniste” n°
2, 1958; Guy-Ernest Debord,
, in “Les Lèvres Nues” n°
6, 1955.) Si tratta di un approccio alla conoscenza del territorio che ha avuto negli ultimi anni una
notevole considerazione anche dal punto di vista istituzionale, come dimostrano le sempre più
frequenti missioni fotografiche (uno strumento nato praticamente assieme alla fotografia stessa e che
già nel XIX secolo aveva svolto questo importante ruolo) che sono state commissionate con l’obiettivo
non più soltanto di produrre immagini pittoresche, ma di testimoniare i fenomeni di trasformazione,
essendo in grado di rivelare, al contempo, il modo in cui noi guardiamo il mondo (Frits Gierstberg,
!"
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$
%, catalogo della
mostra, Nederlands Foto Instituut, Rotterdam, 1998).
16
Per quanto questo metodo, sulla scia delle altre esperienze analoghe citate e già a partire dalla
scelta dell’oggetto dell’osservazione, si ponga come tentativo di superamento dei metodi di analisi
urbana tradizionali, è sicuramente per buona parte debitore della tradizione italiana di studi
morfologici. Si rimanda alla definizione di morfologia urbana, esemplare per lucidità e chiarezza, data
da Aldo Rossi in: $#$&in Aldo Rossi,
'
()*+,-)*./, Clup, Milano, 1975, pagg. 209- 225, già in AA.VV. Aspetti e
problemi della tipologia edilizia, CLUVA, Venezia, 1964.
7trovano; dette aree, individuate ricorrendo all’uso di fotografie aeree ed all’osservazione
diretta, sono state poi analizzate e confrontate tra loro per essere ricondotte ad alcune
tipologie base, denominate , per ognuna delle quali è stata definita una
rappresentazione sintetica convenzionale sotto forma di icona. Intento di questo lavoro non è
la precisa ricostruzione storica dell’evoluzione delle tipologie di spazi verdi descritte, quanto
piuttosto la definizione di alcuni caratteri salienti che permettano di comprendere il loro ruolo
rispetto ai contesti urbani in cui sono inserite e di riconoscere quali di queste caratteristiche
permangano in situazioni urbanizzate che nulla hanno a che fare con quelle rispetto a cui tali
definizioni tipologiche sono state messe a punto.
17
Per ogni
è stata realizzata
una scheda in cui ne viene riportata la posizione rispetto alla città, le aree verdi in essa
presenti sono evidenziate su una ortofotocarta a cui si affianca l’esemplificazione degli
in essa riscontrati, attraverso la loro rappresentazione fotografica.
Gli rilevati nelle diverse
sono stati messi tra loro a
confronto in modo da renderne chiari gli elementi ricorrenti e le caratteristiche distintive. Per
ognuno di essi sono stati analizzati e confrontati i corrispondenti casi locali ed alcuni esempi
storici particolarmente significativi. Quindi per ogni è stato individuato, tra gli
esempi storici esaminati, un
, ovvero un esempio in cui non solo le
caratteristiche generali del tipo, ma anche il loro significato rispetto alla società urbana
contemporanea, sono così evidenti da poter assurgere al ruolo di modello. L’oggetto icona è
stato poi utilizzato come elemento di confronto con gli oggetti verdi riscontrati all’interno
dell’
. È stata poi effettuata una comparazione sulla densità e distribuzione degli
spazi verdi nelle
.
Per quanto riguarda l’
, data l’estrema eterogeneità del verde in essa
presente, l’approccio è stato leggermente differente ed è consistito in una campionatura degli
“oggetti verdi” che sono presenti sul territorio.
È stata così realizzata una prima serie di carte che consistono nell’individuazione
dell’
rispetto alla città di Torino, nella perimetrazione di tutte le aree verdi in essa
presenti, nella individuazione e perimetrazione degli
analizzati e nella
evidenziazione dei rapporti tra questi ed alcuni sistemi particolarmente significativi a scala
territoriale, in particolare: edificato, infrastrutture e vie d’acqua.
17
Riguardo alla storia del verde urbano esiste una letteratura estremamente vasta, per una
bibliografia ragionata si rimanda a quella contenuta in: Franco Panzini,
, Zanichelli, Bologna, 1993.
8Per ogni
è stata poi redatta una “scheda” che cerca di darne una
descrizione sintetica e apparentemente “neutra”, lo localizza in planimetria, lo ritrae in vista
assonometrica, molto semplice al tratto
18
(un tipo di visione inusuale per il verde, ma essendo
fortemente schematica particolarmente efficace nel rendere l’oggettualità) ed in fotografia, ne
elenca le funzioni e ne dà una breve descrizione verbale.
Il terzo capitolo, “il verde come materiale”, affronta il problema di come il verde possa
essere utilizzato, appunto, come materiale per il progetto.
Il concetto di
qui proposto si appoggia da un lato alla già citata definizione
di
che proviene dalle ricerche di Bernardo Secchi, ovvero di elementi che
concorrono alla costruzione della città e si ripetono, si combinano e si compongono come
frammenti di un sistema aperto di cui la città stessa è un deposito in continua trasformazione;
dall’altro riprende una tendenza, riconducibile nelle sue origini ad alcune esperienze dell’arte
contemporanea
19
, ma sempre più diffusa anche nell’ambito della produzione edilizia
banalmente commerciale, ad un utilizzo del verde che prescinde dal lavoro di ricerca sullo
spazio aperto della tradizione dell’architettura del paesaggio per trattarlo, molto più
astrattamente, come un vero e proprio materiale da costruzione.
Questa parte del lavoro si configura come un repertorio di progetti e realizzazioni che
sono sembrati rappresentativi di questa maniera di approcciare la progettazione del verde e
che sono stati analizzati e classificati attraverso la realizzazione di una serie di schede che per
ogni categoria di “materiali verdi” propongono un’immagine iconica che la rappresenti e,
mettendo in stretta relazione testo e immagini, ne definiscono le caratteristiche morfologiche e
d’uso specifiche e ne esaminano le declinazioni più significative.
Pur partendo da una suddivisione abbastanza sistematica in categorie “tipologiche”,
anche questa parte della ricerca non ha ambizioni enciclopediche o di esaustività, mira
piuttosto, attraverso la costituzione di un repertorio di esperienze progettuali o di ricerca
18
La scelta di questo tipo di rappresentazione riprende una ricerca compiuta sulle trasformazioni
della città di Parigi da un gruppo di lavoro di architetti giapponesi, che ha assunto la forma finale di
una “guida turistica” del 13ème arrondissement. (Atelier Bow Wow, Yoshiharu Tsukamoto, Momoyo
Kaijima,
, Batofar, Parigi, s.d.)
19
Negli ultimi anni si assiste ad una tendenza sempre più diffusa allo sconfinamento disciplinare tra
architettura e arte contemporanea, ma nel caso della progettazione del paesaggio, a partire dagli anni
’60 con il fenomeno Land Art, oltre alla sovrapposizione di temi di riflessione teorica, si assiste anche
ad una coincidenza delle occasioni e delle professionalità. La ricerca artistica d’altra parte è spesso
più libera, essendo meno condizionata da vincoli materiali e dal dover rispondere in maniera puntuale
e diretta a desideri ed esigenze specifiche di una committenza. Nel corso della ricerca opere d‘arte e
progetti di architettura sono stati accostati sullo stesso piano. Queste ricerche sono state esaminate
come possibili aperture di campo verso tematiche progettuali, anche se non hanno dato luogo a spazi
identificabili come veri e propri progetti di architettura.
9significative, alla costituzione di una sorta di
del bricoleur,
nell’accezione ne dà che Lévi Strauss in "
":
!
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$
%%
20
Nel quarto capitolo “Definizione di alcuni principi di organizzazione degli spazi
verdi”, come conclusione del lavoro si è tentato di giungere ad un momento di sintesi tra
l’operazione di catalogazione degli spazi verdi all’interno dell’area studio, di comparazione
delle loro caratteristiche con quelle del verde nella città consolidata e l’applicazione del
repertorio di materiali appena descritto. Si è giunti così alla definizione di alcuni
che
da un lato sembrano già stare alla base dell’organizzazione degli spazi verdi stessi, dall’altro
possono fornire degli spunti per la ricerca di un nuovo sistema di coerenze su cui costruire il
progetto di trasformazione di questi spazi
21
. Per rendere più evidente il senso e le potenzialità
di queste ipotesi, si è tentato di incrociare i due sistemi mettendo a confronto alcuni progetti
presi in esame con una serie di situazioni reali in cui, per analogia o per vocazione dei luoghi,
sembrano attenersi ai medesimi principi.
20
Claude Lévi-Strauss,
, Il Saggiatore, Milano, 1990. Sull’uso del termine
per indicare le strategie progettuali delle nuove tecnologie, cfr. Giuseppe O. Longo,
, in “Telèma”, n° 26, 2001.
21
Il termine principi non vuole qui indicare regole morfologiche precise o tanto meno porsi come
soluzione definitiva, regola o
, per il progetto di trasformazione degli spazi verdi
nella città diffusa, operazione che apparirebbe palesemente ingenua ed inopportuna rispetto ad un
sistema così complesso ed instabile, né alludere a definizioni tipologiche specifiche. Sebbene in alcuni
casi la definizione del principio a ridosso di una categoria di oggetti fisici possa apparire ambigua, si
intende qui porre l’attenzione più sui meccanismi insediativi che sulla loro consistenza reale.