internazionale e perciò multiculturale e nuovo. La strategia sociale dunque si inserirebbe
come sistema di gestione a fine d’impresa al pari delle altre strategie per così dire
convenzionali.
Nella tesi si è voluto trattare di Eni. La scelta è stata determinata dalla volontà di
analizzare una grande azienda che per struttura assomiglia alle aziende americane ma
conserva e promuove una maniera di operare tipicamente italiana. Questo nell’anno del
centenario della nascita di Enrico Mattei, uomo di grande lungimiranza e dagli ideali genuini,
che hanno fondato la cultura responsabile di Eni. Una società petrolifera come vedremo ben si
adatta alle tematiche di internazionalizzazione e responsabilità, in quanto legata per
definizione alle risorse fossili e quindi alle principali fonti sia d’inquinamento sia di dissidi
internazionali.
Dopo la prima parte in cui si cercherà di esplicitare cosa si intenda per
internazionalizzazione e per responsabilità d’impresa, si passerà nella parte seconda ad
un’analisi del settore petrolifero ed energetico oggi sempre più legati per motivi di
integrazione. Si approfondirà quali siano le dinamiche economiche, strategiche e geopolitiche
più importanti e quali siano le connessioni con gli stakeholder e con le sfide socio-ambientali.
Nella parte terza si entrerà poi nel vivo della trattazione su Eni, dove a seguire ad una
breve parte descrittiva dell’impresa, della sua storia e delle sue politiche di sviluppo, si
esporrà come si configura il suo approccio responsabile con esempi di quali attività vengono
sviluppate in particolare in Ungheria e in Nigeria. Le due nazioni sono state scelte per la
significatività dei casi a disposizione e perché si possono evidenziare le differenze negli
approcci responsabili di Eni alla luce di due contesti diversi. In Ungheria inoltre mi sono
recato di persona per svolgere queste indagini direttamente nelle sedi delle filiali e delle
corrispondenti delle società Eni.
Nella parte quarta saranno poi analizzati e interpretate alcune informazioni riportate
cercando di trovarne i punti di forza e di debolezza. Verrà inoltre valutata la corrispondenza
delle iniziative alle linee guida delle organizzazioni internazionali promotrici dei principi etici
di cui Eni si fa carico, in particolare verrà valutata l’aderenza alle linee guida OCSE e Global
Compact applicabili. Ci si avvarrà dell’aiuto di modelli teorici per spiegare le diverse
esperienze e si cercherà di effettuare una stima dei vantaggi in senso economico.
Nella parte quinta sarà poi espresso un giudizio sulle attività, valutando l’importanza
dell’approccio responsabile nella strategia aziendale e proponendo possibili spunti per nuove
ricerche e approfondimenti.
5
PARTE I
1.1 Strategia di internazionalizzazione
“Per internazionalizzazione delle imprese può intendersi un processo che, a partire da
un rapporto relativamente semplice ma sistematico delle imprese con i mercati esteri, come
quello generato da flussi esportativi non occasionali, porta via via verso forme d’investimento
all’estero e comunque verso lo sviluppo di relazioni competitive, transattive e collaborative
con altre aziende di produzione, di beni e di servizi, pubbliche e private, in diversi paesi.”
1
Quindi ogni azienda che si confronti sul piano internazionale in modo continuativo e
sistematico attraverso le forme più varie già si configura come azienda internazionalizzata.
Discorso applicabile sia al commercio di beni sia a quello di servizi, poiché
muovendosi dalla definizione di impresa transnazionale (la nuova formulazione di impresa
multinazionale) fornita dalle Nazioni Unite, si definisce internazionalizzata un’impresa che:
possiede interessi in due o più paesi, senza riferimento alla loro forma legale e al
campo di attività,
operante sotto un sistema decisionale che permette politiche coerenti e una
strategia comune attraverso uno o più centri decisionali,
nei quali le attività sono così connesse, attraverso proprietà diretta o altro, che una
o più di esse possa esercitare influenza rilevante sulle altre strutture nei diversi
paesi, in particolare, condividere conoscenza, risorse e responsabilità con gli altri
centri.
1.1.1 - Le motivazioni alla base dell’internazionalizzazione
All’origine del processo di internazionalizzazione di un’impresa possono essere
individuati stimoli e motivazioni diversi in parte comuni ai processi di crescita e sviluppo,
legati quindi anche agli obiettivi di diversificazione geografica e in parte specifici del
fenomeno in questione.
L’internazionalizzazione si può vedere come una forma d’integrazione verticale, nel
senso che vengono incorporate nell’impresa una serie di attività verticalmente correlate, con
l’unica differenza che si trovano distribuite in posizioni geografiche distinte.
1
Cfr. Rispoli, 1994
6
Nel caso poi dell’internazionalizzazione, l’integrazione non è solo verticale in quanto
avviene anche per linee orizzontali, alla ricerca di nuovi sbocchi, sia di fonti sia di mercati.
Secondo l’approccio dei costi di transazione
2
, un’impresa si forma quando i costi di
transazione del coordinamento operato dal mercato sono maggiori dei costi amministrativi del
coordinamento interno all’impresa. Allo stesso modo, se un’impresa può coordinare attività
internazionali agendo da sola in modo migliore rispetto a quanto può fare il mercato da solo,
questa sceglierà una forma d’internazionalizzazione adatta al suo caso. Oggi grazie
principalmente al già citato abbassamento dei costi di comunicazione, le organizzazioni sono
diventate molto più efficienti nel gestire internamente molte transazioni, e sono diventate
capaci anche di gestire diversamente i dati per estrapolarne nuove informazioni utili per
prendere nuove e sempre più delicate scelte.
Le motivazioni dell’internazionalizzazione sono divisibili in due categorie
3
come
esposto in Figura 1.1:
Fattori di spinta
Fattori di traino
Figura 1.1 – Fattori di spinta e di traino al processo di internazionalizzazione
Fattori di spinta Fattori di traino
Mercato domestico saturo o maturo
Costi dei fattori produttivi elevati
Clima politico non favorevole
Congiuntura economica negativa
Livelli di redditività scarsi
Mancanza di risorse
Mercato estero in crescita
Affinità culturale del mercato
Fattori di attrattiva
Fattori finanziari
Dotazione infrastrutturale
Presenza di risorse specifiche
Il processo d’internazionalizzazione è quindi spinto da una parte da fattori di
insoddisfazione verso il mercato originario, in cui l’impresa è presente, come esempio sugli
altri, la saturazione del mercato domestico, unita all’elevato grado di concorrenza possono
spingere l’impresa a cercare nuovi mercati di sbocco, d’altro canto è spinto anche dalle
opportunità che i nuovi mercati presentano. Ormai nel contesto globale in cui ci troviamo è
impensabile non considerare tra le normali opzioni di crescita, l’internazionalizzazione delle
2
Cfr. Coase, 1995
3
Cfr. Botten e McManus, 1999
7
proprie attività. Esistono poi come esposti in figura vantaggi specifici collegati a un sito
produttivo estero e non presente in quello domestico, fattori che trainano quindi l’impresa a
esercitare la sua attività nel nuovo contesto per conseguire più facilmente che in patria una
crescita.
L’internazionalizzazione come detto può essere vista come un processo d’integrazione
ma d’altra parte si può considerare anche come una strategia di diversificazione. Le strategie
di diversificazione si prefiggono infatti tre obiettivi fondamentali:
crescita
riduzione del rischio
aumento della profittabilità
Obiettivi comuni e normalmente alla base della sostenibilità di un’impresa e della sua
scelta di andare all’estero.
Seppur le scuole di pensiero siano discordi su questo punto, si vuole qui considerare la
crescita come un elemento imprescindibile per un’impresa, pena la sua insostenibilità nel
lungo periodo. Si aggiunge d’altronde che per crescita intendiamo la capacità di rispondere in
maniera adeguata a un numero sempre maggiore di richieste da parte di tutti gli stakeholder e
in modo qualificato.
È infatti naturale la pressione degli azionisti che vogliono ricevere ritorni economici
sempre più elevati e comunque continui nel tempo, ma come vedremo è sempre più
imprescindibile per la stabilità nel lungo periodo dell’impresa il soddisfacimento delle istanze
di altri portatori di interessi, come i fornitori, i clienti, l’ambiente, le istituzioni, le comunità, i
dipendenti e addirittura le generazioni future. La struttura di cui si deve dotare un’impresa per
rispondere a queste non evitabili richieste deve essere più grande, più solida, mantenendo
performance economiche soddisfacenti.
Crescere diventa così, ricordando che si parla di imprese transnazionali, un obbligo
non una scelta, fino ad arrivare a una dimensione minima ottima in un determinato momento
spazio/temporale.
Riguardo alla riduzione del rischio, è chiaro che l’internazionalizzazione pesi
positivamente: diversificando, infatti, si possono da una parte effettuare investimenti in
diversi siti e quindi ripartire il rischio, inoltre si possono acquisire benefici specifici legati ad
una nazione e infine il valore dell’impresa può essere superiore a quello della stessa non
diversificata grazie alle sinergie che si generano.
La ricerca della profittabilità si collega con il conseguimento di un vantaggio
competitivo, derivante dal legame tra l’unità e la casa-madre.
8
Ma la principale fonte di creazione di valore all’interno dell’impresa diversificata è la
capacità di trasferire le competenze manageriali, il sistema di gestione strategica e il processo
di allocazione delle risorse tra le diverse attività. La dimensione critica risulta quindi quella
strategica e non tanto quella operativa. Cruciale dunque rimane saper applicare le stesse
procedure di allocazione delle risorse e lo stesso sistema di controllo a tutte le attività del
portafoglio dell’impresa.
1.1.2 - Il vantaggio competitivo nel contesto internazionale
Il ruolo della disponibilità di risorse a livello nazionale nel contesto della concorrenza
internazionale è preso in esame dalla teoria del vantaggio comparato, che afferma che una
nazione ha un vantaggio comparato nella produzione di quei beni che utilizzano
massicciamente le risorse delle quali il paese è più ricco.
Oltre alle risorse naturali, esistono anche altre risorse di tipo culturale e strutturale in
una nazione, come possono essere ad esempio le affinità religiose o di costume nel primo caso
o le caratteristiche del mercato del lavoro e dell’istruzione nel secondo.
Michael Porter fornisce un utile modello per comprendere la rilevanza delle condizioni
nazionali sul vantaggio competitivo di un’impresa
4
.
L’analisi di Porter si fonda su tre principi:
1. La performance competitiva di un paese dipende dalle performance delle aziende
nazionali.
5
2. la sostenibilità nel tempo del vantaggio competitivo in un settore richiede alle
nazioni un vantaggio dinamico: le imprese devono allargare ed estendere le basi
del proprio vantaggio grazie all’innovazione e al potenziamento delle risorse e
delle competenze.
3. l’influenza dell’ambiente nazionale sulla performance delle imprese è più
strettamente collegata al concetto di vantaggio dinamico che non alla disponibilità
di risorse naturali.
6
4
Cfr. Porter, 1991
5
Punto su cui diversi autori dissentono, evidenziando l’emergere di “imprese senza patria”, nella visione qui
esposta nonostante sia chiaro che per alcune imprese il mercato nazionale sia relativamente poco importante, si
considera che ha comunque un influsso derivante da storia, valori, contesto istituzionale. Non si può quindi
affermare che le loro competenze, strategie e stili di direzione non siano influenzate dalla loro nazione di
provenienza. Cfr. The Stateless Corporation, 1990 in Business Week
6
Concetto solo parzialmente applicabile alle compagnie petrolifere, che sono molto soggette invece alla varianza
nell quantità, qualità e difficoltà del recupero delle risorse naturali.
9
L’analisi di Porter dell’impatto delle condizioni nazionali sul vantaggio competitivo
nei contesti internazionali è rappresentato nella Figura 1.2.
Figura 1.2 – Il modello di Porter per l’analisi dell’ambiente nazionale
7
Condizioni dei fattori
Strategia, struttura e
concorrenza
Settori
correlati e di
sostegno
Condizioni
della
domanda
Di seguito viene spiegato il significato delle diverse sezioni del modello:
Condizioni dei fattori: nel caso in cui il vantaggio comparato derivi da una vasta
tipologia di risorse, l’analisi di Porter mette in evidenza il ruolo delle risorse
sviluppate internamente e, secondariamente, delle risorse altamente specializzate.
Settori industriali e correlati di sostegno: in molti settori una risorsa critica è
rappresentata dalla presenza di relazioni tra i settori. Una evidenziazione
importante dell’analisi di Porter è infatti la tendenza ad associare i punti di forza di
una nazione con i più importanti raggruppamenti d’imprese.
Condizioni della domanda: le condizioni della domanda del mercato nazionale
costituiscono il principale stimolo alle innovazioni e al miglioramento della
qualità.
Strategia, struttura e concorrenza: Porter evidenzia il ruolo della concorrenza nel
mercato interno come principale stimolo all’innovazione e alla ricerca del
vantaggio competitivo.
Nei settori globali quindi, per stabilire un vantaggio competitivo, occorre che vi sia
congruenza tra la strategia di business e le caratteristiche del vantaggio comparato nazionale.
7
Cfr. GRANT, 1991 in Strategic Management Journal
10
Necessario risulta dunque sviluppare la capacità di configurare un contesto
organizzativo adatto a fondere i due fattori e la capacità di individuare quelle nazioni in cui
sia meglio delocalizzare.
Le decisione circa la delocalizzazione della produzione devono tenere conto di tre
principali fattori:
Influenza delle risorse nazionali, ad esempio costo del lavoro, competenze, risorse
naturali
Specificità del vantaggio competitivo, cioè per le aziende il cui vantaggio
competitivo si basi su risorse e competenze interne, dipende da dove queste doti
possano meglio essere messe a frutto
Trasferibilità dei beni, fondamentale per valutare la convenienza della
localizzazione della produzione di beni lontano dai mercati di destinazione dipende
dalla loro trasferibilità. Alti costi di trasporto potrebbero richiedere una produzione
locale, come nel caso dei cementi. Ricordiamo a questo proposito che i costi di
trasporto devono essere calcolati in modo percentuale sul valore del prodotto
spostato e non in maniera assoluta, e che oggi l’abbassamento dell’incidenza di
questa voce e del costo di comunicazione sono quelle che stanno avvantaggiando
più di tutte il crescente processo di internazionalizzazione.
Dato che parliamo di imprese transnazionali, che come detto sono portate a
diversificare molto la loro attività, dobbiamo ricordare che l’offerta di qualunque prodotto o
servizio è composta da una catena verticale di attività, le cui caratteristiche possono variare
notevolmente. Ne deriva una delocalizzazione della produzione in diversi paesi legati a catena
tra loro che si occupano di una o più fasi specifiche di produzione ma non di tutte.
Occorre dunque determinare quale si la localizzazione ottimale per ogni singola
attività, ad esempio la R&S potrebbe localizzarsi in un paese dove ci sia abbondanza di
ricercatori, mentre la produzione potrebbe essere invece dove si abbia un costo del lavoro
basso, e i dipartimenti di marketing nei paesi di vendita finale dei prodotti.
Ogni unità seguirà politiche adattate al proprio contesto, che dovranno, in buona
misura, essere da lei generate, per questo il rischio che si corre è indebolire il legame tra le
varie fasi della catena. Necessaria diventa dunque l’opera di coordinamento da parte della
corporate che avrà l’onere di armonizzare le diverse politiche, cercando di ovviare il più
possibile al pericolo della disgregazione dell’unità della politica aziendale.
11
L’equazione che deve essere soddisfatta deve dunque essere che i vantaggi dovuti alla
disgregazione geografica delle attività siano superiori agli svantaggi e ai costi
dell’indebolimento della catena, del coordinamento e del controllo.
1.1.3 - Modalità di entrata nei paesi esteri e forme di multinazionale
Come ricordato nella definizione all’inizio di questo capitolo per
internazionalizzazione, non si intende solo l’investimento diretto all’estero, ma sono
disponibili varie forme che sono applicabili a seconda delle esigenze.
La distinzione fondamentale riguarda l’ingresso tramite rapporti commerciali piuttosto
che investimenti diretti all’estero. Per decidere la modalità migliore, l’azienda deve valutare i
vantaggi e gli svantaggi relativi di ciascuna opzione, procedendo a considerazioni sui propri
punti di forza e di debolezza e sulle caratteristiche intrinseche del prodotto, dunque andrà
esaminato:
Se il vantaggio competitivo è specifico dell’azienda o è piuttosto specifico del
paese ospitante
Se l’azienda possiede una gamma completa di risorse e competenze per stabilire un
vantaggio competitivo nel mercato estero
Se esistono ostacoli al trasferimento del bene
Se le risorse dell’impresa sono facilmente copiabili
Qual è la natura dei costi di transazione relativi a negoziazione, controllo,
monitoraggio del rispetto dei termini degli accordi.
Alla fine del processo di scelta, l’impresa opterà per una modalità di entrata indiretta,
attraverso dunque singole transazioni, contratti a lungo termine, distributori, licenziatari o
strutture di franchising, oppure diretta attraverso joint venture o filiali.
Per completare l’inquadramento del fenomeno si vogliono ricordare le diverse strutture e
forme che possono essere assunte dalle multinazionali.
Federazione decentrata, esiste un centro per il coordinamento ma ogni unità locale
gode di ampia autonomia, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di
prodotti, la produzione interna e il marketing, è un modello che ha il limite di non
sfruttare appieno i vantaggi della transnazionalità di un’impresa in termini di
economie di scala e di apprendimento. Questo modello ormai superato si situava
però in una situazione in cui comunicazioni e trasporto erano meno affidabili e
12
molto più costosi. Ha infatti il vantaggio di essere più facilmente implementabile
perché trascura buona parte dei collegamenti tra casa-madre e unità locali.
Federazione coordinata, è simile al primo ma differisce poiché i compiti direttivi e
di R&S erano accentrati nella corporate, mentre le unità locali avevano autonomia
in campo di marketing e implementazione pratica e applicazione delle politiche e
del know-how della casa-madre nel proprio paese
Assetto centralizzato, in cui produzione, R&S sono accentrati, mentre alle sedi
estere rimane solo la funzione delle vendite
Corporazione transnazionale, tentando di conciliare le economie di scala tipiche
delle strutture globali con i benefici derivanti dalla differenziazione nazionale,
questa struttura cerca di coniugare l’efficienza di costo ottenuta tramite
l’integrazione globale della produzione con lo sviluppo tecnologico. Esistono così
diversi centri interfunzionali che seguono una politica unitaria ma che sono ognuna
in grado di generare innovazioni di ogni tipo, ad esempio di prodotto, di stili
manageriali, di know-how. L’elemento distintivo del modello transnazionale è che
esso costituisce una rete integrata di risorse e competenze diffuse ma
interdipendenti. Ogni nazione è una fonte di idee, abilità e competenze che
possono essere messe a frutto in favore dell’intera organizzazione, le unità
nazionali raggiungono economie di scala a livello globale realizzando per
l’impresa particolari prodotti, componenti o attività. Il centro deve invece
assumere un ruolo nuovo, di coordinamento delle relazioni tra le diverse unità in
maniera molto flessibile, focalizzandosi non tanto sulla gestione operativa diretta
delle attività quanto cercando di pensare un quadro organizzativo volto al
coordinamento e alla risoluzione delle differenze, definendo chiari obiettivi di
impresa e valori culturali su cui basarne l’esistenza.
13
1.2 - CSR, significato e perché implementarne un sistema
1.2.1 - La CSR come processo
Il concetto di responsabilità d’impresa è spesso conosciuto in modo vago e ogni
persona e organizzazione tende a dargli un significato a seconda dei propri valori di
riferimento.
Si collega alla convinzione che sia necessario anche da parte di un impresa rispondere
a istanze sociali oltre che economiche sulla base che è essa stessa una specie di essere vivente
parte della società, espressione di una pluralità di persone e nata per favorire lo sviluppo di
benessere.
Nella visione più tradizionalista che si collega alla visione classica e neoclassica di A.
Smith e M. Friedman, “ciò che è buono per l’impresa è buono per la società”, il che è legato
all’idea che l’impresa abbia come unico scopo legittimo la generazione di profitto per i propri
azionisti e magari in una visione già più sociale di benessere per i propri collaboratori.
Coinvolgendo anche altri stakeholder, nelle accezioni più semplici viene confusa con
la filantropia, che si configura come un’azione a titolo gratuito a favore della società civile.
Un’accezione più ampia considera anche altri portatori d’interesse a partire da
fornitori e clienti per poi considerare anche l’ambiente. In questo senso si configura la forma
della triple bottom line, che a un sostrato di obiettivi economici, sormonta uno di obiettivi
sociali e un terzo di obiettivi ambientali.
Alla base di questo approccio c’è una fondamentale dichiarazione di valori che
capovolge la visione classica, si propone dunque un nuovo paradigma “ciò che è buono per la
società è buono anche per l’impresa”
8
. L’idea fondamentale di questo approccio è che non
bisogna rinunciare al profitto, che rimane fondamentale pena il fallimento di mercato delle
imprese ma occorre considerare gli stakeholder in chiave strategica al pari degli shareholder.
L’idea è di usare l’investimento in responsabilità come uno strumento d’investimento in
competitività e longevità delle imprese, nella convinzione che il mercato premierà questa
assunzione di responsabilità, attraverso migliori performance economiche come il fatturato e
il valore di borsa. Quindi la responsabilità potrebbe essere una nuova arma strategica a
disposizione dell’impresa per creare nel medio-lungo periodo un enorme vantaggio
competitivo e valore.
8
Cfr. Kofi Annan
14
Quello che si vuole dimostrare è dunque che l’attenzione agli stakeholder va ad essere
un elemento distintivo che distingue l’azienda e le fornisce un ritorno economico a favore di
quegli stessi azionisti che sembrerebbero svantaggiati da questa politica. Per questo motivo si
parla di strategia, d’investimento. Per distinguere ciò che si configura come uno spendere
nella società per fini di sostenibilità d’impresa da ciò che fa bene alla società ma lascia
indifferente l’impresa o peggio che rappresenta solo un’operazione di marketing relazionale in
cui l’impresa cerca di spingere i propri prodotti facendosi un make-up di responsabilità, con
attività propagandistici che esagerano i propri interventi. Se il secondo approccio può indicare
un’attenzione alla società, la relega in una posizione esterna all’azienda non in chiave
strategica, l’ultimo approccio è invece molto rischioso, si pone come un “molto fumo e niente
arrosto”, quando il fumo si dirada, si rischia di avere un effetto boomerang che solo
danneggia l’impresa.
Questa è dunque la lettura che si vorrebbe dare alla CSR: un investimento qualsiasi,
alla stessa stregua di quelli in Ricerca & Sviluppo (R&S) ad esempio. Un investimento è per
definizione del denaro risparmiato ora per un guadagno superiore in futuro, chiaro è che si
potrebbe distribuire subito ma si precluderebbero all’impresa vie di crescita certe. Una
situazione simile a scegliere tra un uovo oggi o la gallina domani.
La responsabilità sociale diviene così un processo che le imprese intraprendono per
ridefinire la propria governance nell’ottica di rispondere alle istanze che provengono dalla
molteplicità di portatori d’interessi in modo che si realizzi un bilanciamento dei poteri. Ciò al
fine che nessuno degli attori (interni, esterni, sociali e istituzionali) prevalga sull’altro, e
soprattutto prevalga nel senso che i suoi interessi opportunistici diventino interessi prevalenti
nell’azienda
9
.
9
Cfr. G. SAPELLI, Integrità d’impresa e sfere di giustizia
15
1.2.2 - La ridefinizione del rapporto impresa/profitto
Il profitto costituisce come detto, il fondamento ineludibile dell’attività della
medesima, senza profitto non ci sarebbe impresa e non ci sarebbe quindi nemmeno
responsabilità sociale.
Quest’ultima, infatti, se la si intende come un processo interno e partecipato che
permette il bilanciamento tra poteri e istanze a volte contrapposte, diviene il fine dell’impresa,
che è cosa ben diversa dal fondamento della stessa.
È chiaro che gli azionisti vogliono vedere crescere il profitto, ed è altrettanto chiaro
che la tensione ideale degli stessi è indirizzata alla realizzazione di una coincidenza tra il fine
che perseguono (massimizzazione del profitto) e il fondamento dell’impresa (profitto); ma la
tensione ideale trova un limite nel fatto che, come già detto, l’impresa moderna è un
microcosmo intorno al quale ruotano attori diversi, con fini diversi.
Perché l’impresa possa crescere in un’ottica di sostenibilità di medio-lungo periodo è
funzionale che avvenga un bilanciamento di contrapposte tensioni. In caso contrario l’impresa
è volta al declino. In questo senso si comprende come in realtà non esista la presunta
contrapposizione tra il fine ideale degli azionisti e gli altri fini a cui deve tendere l’impresa.
Tutti gli attori che partecipano al processo perseguono infatti una sorta di meta-fine che
coincide con il raggiungimento di un equilibrio sostenibile di medio-lungo periodo tra istanze
contrapposte.
Gli azionisti come il management accettano dunque di confrontarsi in un processo
partecipato di ridefinizione della governance, non per altruismo o per bontà
10
, ma perché la
sostenibilità dell’impresa costituisce la moral suasion che induce tutti gli attori a scambiarsi
reciproche concessioni rispetto ai propri fini individuali, per rendere possibile il
bilanciamento di istanze contrapposte.
Se dunque l’antinomia si dovesse comunque verificare saremmo di fronte ad una
situazione patologica frutto di politiche opportunistiche di breve periodo del management. In
una situazione di questo tipo gli azionisti ne trarrebbero sicuramente maggior vantaggio; le
citate politiche tenderebbero, infatti, alla coincidenza con il fine primario di massimizzazione
del profitto perseguito dagli stessi. L’impresa sarebbe però esposta con una percentuale di
certezza crescente alla sanzione del mercato.
10
Cfr. MORO, PROFUMO, Plus Valori, la responsabilità sociale dell’impresa
16
1.2.3 - La CSR come concordato tra gli stakeholder
La dimostrazione che l’assunto basato sul contrasto tra fini perseguiti dagli azionisti e
fini legati alla CSR sia in realtà infondato - ragionando chiaramente in termini di sostenibilità
di medio-lungo periodo dell’impresa – viene ulteriormente confermato se si introducono nella
presente riflessione alcune considerazione che riguardano un’importante variabile con cui
l’impresa si deve necessariamente confrontare nel momento in cui inizia, al suo interno, il
descritto processo partecipato di ridefinizione della propria governance.
La variabile è data dall’influenza che un diritto naturale che si sviluppa in un mercato
sano - fatto di un complesso di regole non scritte, ma condivise da tutti gli operatori, che
trovano il proprio fondamento in valori quali la trasparenza nelle transazioni, l’equità, il
rispetto dei competitors, la riservatezza nell’uso di informazioni sensibili, nonché la
correttezza nella conduzione degli affari – può avere, come fattore esogeno che condiziona il
processo di autoregolamentazione interno alle imprese.
Nel momento infatti in cui quel diritto naturale viene condiviso all’interno del sistema
di mercato perché sentito come “giusto” rispetto all’obiettivo di dare maggiore certezza alle
transazioni negoziali, si dovrebbe creare tra gli operatori un tacito accordo di non porre in
essere comportamenti opportunistici pena la sanzione dell’esclusione o della perdita di
reputazione all’interno di quella stessa comunità.
Quanto detto mostra come in tale contesto, indipendentemente dall’intervento del
legislatore, il mercato risulta titolare di un importante potere sanzionatorio, tanto più rilevante
quanto maggiore sarà il grado di adesione degli attori ai sopra citati principi. Quel potere
dovrebbe così diventare un forte fattore di deterrenza per l’impresa; quest’ultima si vede
infatti indotta a considerare anche tale pressione nel processo, di cui si è detto, di
contemperamento di istanze contrapposte.
Ecco dunque come, in un sistema di mercato sano, il descritto superamento del
contrasto e il conseguente passaggio ad adottare politiche che puntano all’ottimizzazione, e
non più alla massimizzazione del profitto, avviene anche contemperando la rinuncia a porre in
essere condotte opportunistiche o spregiudicate; ciò per evitare di subire la risposta
sanzionatoria del mercato stesso.
Nel caso poi che il mercato non funzioni così bene, forse può attuarsi il processo
contrario, può cioè essere la CSR - qualificata come processo interno all’impresa di
bilanciamento di istanze e poteri contrapposti – a svolgere una funzione di riduzione
17