Quello che spesso si dimentica e, forse, non si conosce affatto nella
considerazione di un prodotto come, in questo caso, i manga, è che essi vanno
incontro ad aspettative e a modi di intendere la realtà che possono, e di fatto
spesso sono, affini ai modi dei giovani lettori, cresciuti insieme ad essi, mentre
risultano distanti ed incomprensibili a chi si è formato attraverso esperienze,
letture, stimoli di altro tipo.
Bisogna mettersi in guardia dalle valutazioni affrettate ed assolute,
altrimenti non si avrà nient’altro che la solita ed insormontabile
contrapposizione tra denigratori di un genere ed i suoi sostenitori, i suoi
appassionati, l’ormai famigerata diatriba tra apocalittici ed integrati (Eco,
1964).
La validità di una narrazione consiste anche nel saper mostrare la
dimensione di un mondo fittizio con le caratteristiche e l’intensità del mondo
reale. Ovviamente, quanto più un soggetto è “predisposto” ad accogliere
all’interno dei suoi sistemi di valori e credenze gli eventi ed i personaggi
proposti dalla storia, tanto più questa gli dischiuderà le porte di un mondo
“altro”, tanto vero, nel senso di importante, quanto quello reale.
Al di là dei temi rappresentati, delle storie narrate, delle situazioni e dei
caratteri inventati, cosa rende così affascinante un manga? Spesso l’interesse
per una narrativa sembra risiedere nel fatto che essa sa dare forma ad una
situazione problematica, in cui alcuni nodi devono essere sciolti, si cercano
soluzioni, nuove possibilità per modificare o rinnovare uno stato
insoddisfacente. E questo è proprio ciò che succede nei manga: a livello
spettacolare, negli intrecci che riguardano cavalieri in armatura, guerrieri,
samurai, robot e piloti spaziali o anche nelle serie sportive, in cui ogni match è
simbolo di uno scontro fino all’ultima goccia di sudore, se non all’ultimo
sangue; in maniera meno drammatica, ma altrettanto emozionante ed intensa,
nelle serie “realistiche”, a sfondo quotidiano, nelle quali i protagonisti
comunque attraversano momenti di tristezza e di gioia, di allegria e di rabbia,
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vivono aspirazioni e ambiscono a traguardi importanti, oppure patiscono
delusioni cocenti e frustrazioni.
I manga tematizzano la conflittualità e la scissione presenti in ogni essere
umano, a livello più o meno esplicito. La svolgono, le danno forma, ma non la
risolvono, perché essa non è risolvibile. La prova può essere superata, il
traguardo raggiunto, il nemico battuto, il sogno coronato dalla sua
realizzazione, ma la scissione interna, la tensione, lo sforzo in vista del
raggiungimento di un fine restano: l’eroe sa che la vita è un perfezionamento
continuo, i nemici e gli scontri ci saranno sempre, così come sa che gli
imprevisti ed i guai quotidiani, le incomprensioni e i fraintendimenti dovranno
sempre essere accomodati e spiegati. Ma tutto questo testimonia l’inesauribilità
della vita e, al contempo, la sua unicità. Non è la ripetizione delle gag dei
fumetti americani – Willie il Coyote che viene sempre “gabbato” dallo struzzo
Beep Beep, il gatto Silvestro che fallisce sempre nei suoi tentativi di mangiarsi
l’uccellino Titti, Tom che perde sempre il confronto con Jerry – e non è
nemmeno la ripetizione identica a se stessa delle situazioni disneyane, in cui i
buoni restano sempre buoni e i cattivi restano cattivi, l’ordine è sempre
ristabilito ed anche il caos è, a ben vedere, del tutto inquadrato in un ordine, è
funzionale al riproponimento della vicenda: situazione felice / difficoltà /
ristabilimento della situazione felice. Se conflitto c’è, nei fumetti Disney esso
viene risolto in maniera totale, tanto che la chiusura del tipo “…e vissero felici
e contenti” risulta quasi pleonastica.
Anche nella maggior parte dei manga il conflitto è sciolto, la vittoria arride
ai protagonisti, i personaggi principali ottengono il raggiungimento del loro
obiettivo, ma non sempre viene esclusa l’eventualità del conflitto, del problema
da affrontare, dello sforzo e dell’energia da impiegare per avere ragione di una
nuova difficoltà. E questo perché i personaggi possono vivere essi stessi in una
situazione di conflitto, di contraddizione: meno “caratteri ideali” e più vicini
alla multiformità della soggettività del lettore, i personaggi dei manga sono a
loro volta soggettività con desideri, scopi, aspirazioni, intenzioni spesso in lotta
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tra loro o con altre in opposizione, a cui forse va un po’ stretta la definizione
delle categorie narratologiche messe a punto da Propp (Propp, 1928).
Non solo i manga sono depositari di queste dinamiche, certo; ma, forse, più
d’altri mezzi narrativi o d’altre forme di comunicazione odierne, sanno
stabilire un contatto intimo con il loro pubblico.
I manga hanno un altro merito: mostrano chiaramente sulla scena quegli
eventi minimi dell’esistenza che spesso, per pudore o perché considerati
superflui, insignificanti, non vengono rappresentati. Nelle vicende a sfondo
quotidiano, soprattutto, si assiste alla rappresentazione di momenti inutili ed
ininfluenti i quali, in realtà, non vengono colti nella loro insignificanza, ma
sono tali da concentrare l’attenzione e, al contempo, dilatano lo “spirito”.
Le storie di un manga, come quelle della vita reale, si costruiscono ed
evolvono in questo costante rapporto d’interdipendenza e reciprocità tra
momenti di tensione e di conflitto e paure di sospensione. La cura per gli
“eventi minimi” della vita dell’uomo si traduce in una concentrazione
dell’attenzione e della capacità di essere “presenti” in ogni istante, di vivere
pienamente il tempo che è concesso, di sfruttare al meglio le proprie energie e
potenzialità, anche nei momenti di sforzo intenso e di crisi.
Questo lavoro parte della premessa per cui disconoscere il valore formativo
del racconto narrativo, di ogni specie, non può che portare alla rimozione dei
problemi, al rinnegamento del reale e alla perdita della possibilità di
comprendere la verità. Fintanto che le favole narrate ai bambini restano
confinate in un mondo autoreferenziale, alternativo, nel quale, comunque vada
la storia, i buoni restano tali e vengono premiati, i cattivi finiscono male e sono
condannati, difficilmente si può ottenere quello “scarto” nella comprensione
della verità che, per avere luogo, deve tenere necessariamente conto del fatto
che il mondo non è giusto, il bene viene di rado ricompensato e le azioni più
crudeli raramente punite. E’ questo, in fondo, quello che si vorrebbe sempre
mostrare ai bambini, rischiando di far loro credere che il mondo sia così come
glielo si presenta.
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Succede allora che le persone crescano nella convinzione che la violenza
esista soltanto quando è rivolta contro loro stessi, perché tutto ciò che hanno
imparato a scuola e all’università ha per loro soltanto un significato astratto e
non fa parte della loro esperienza di vita. Per i poeti invece vale il contrario:
essi soffrono a causa della crudeltà che non solo devono sperimentare sulla
propria pelle, ma che devono pur patire due volte.
I manga, e chi li crea, sembrano dover subire un destino analogo: poiché
mostrano la difficoltà del “bene” e l’incomprensione che spesso tocca a chi si
sforza di seguirlo, di attuarlo, sono deprecabili e condannabili.
A loro modo sono, invece, davvero edificanti perché sono in grado di
reggere lo sguardo di fronte alle bassezze della vita, pur incorniciandole in
strutture narrative avvincenti, ad alto impatto emotivo; e al contempo
mantengono alti e inalterati i valori su cui si fonda l’azione dell’individuo.
Anche in una società gerarchicamente organizzata, come quella giapponese, in
cui le dimensioni della comunità e della società sembra risultare, in ogni caso,
prioritaria rispetto alle esigenze ed ai bisogni dell’individuo, la possibilità e le
responsabilità della scelta sono comunque nelle mani del singolo. Se non è la
persona stessa a voler comprendere, a decidere, niente e nessun altro lo farà per
lui. Il gruppo conta per dare maggior forza e sostegno alla decisione, per
trovare le energie là dove il singolo soccomberebbe.
Ma la capacità di attendere che dei semi generino nuova vita nel deserto, la
possibilità di trasformare lacrime in sorrisi proviene dal profondo dell’animo di
ogni singolo uomo, dal suo kokoro (mente-cuore).
Quello che sembra un fenomeno puramente ludico ed estetico, come la
produzione, la “spettacolarizzazione” e la lettura di un fumetto giapponese,
contiene in sé, sempre, un fondo di moralità: l’evento estetico si trasforma in
momento etico di riconoscimento e di celebrazione della vita, tentativo di
comprendere chi e perché noi siamo, ciò a cui aspiriamo e i valori per i quali
lottiamo e c’impegnamo.
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Più da vicino, c’interrogheremo sulla costruzione narrativa dell’identità,
tema che, a buon diritto, può essere considerato l’asse portante del manga,
fornendo, tra le righe, una riflessione critica sull’estendibilità del modello
popperiano.
A tal scopo, nel primo capitolo verrà tracciata quella che è la storia del
manga, la sua nascita, le sue radici culturali e verranno effettuate le prime
analisi di alcuni titoli interessanti.
Nel secondo capitolo verrà fatto un primo confronto tra i manga e i fumetti
Disney, mettendo ben in evidenza le differenze che intercorrono tra i
personaggi principali, i loro valori e i loro ideali. Confronto che sarà mantenuto
nel corso di tutta la tesi.
Il terzo capitolo affronterà il tema dell’omologazione, dell’individualità e
del senso di gruppo che caratterizza tutta la produzione fumettistica giapponese
e, soprattutto, quei manga che narrano vicende legate al mondo dello sport.
Il quarto capitolo sarà dedicato ai manga che hanno come protagonisti robot
e cyborg, alla tecnologia e ai suoi effetti positivi e negativi.
Infine, nel quinto e ultimo capitolo verrà esplorato il mondo degli otaku, gli
appassionati di manga e di cultura giapponese in genere, collegato al neo-
movimento del manga amatoriale, a tratti diverso da quello del manga
tradizionale.
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1. DUE PASSI INDIETRO NELLA STORIA E NELLA
CULTURA.
Non sappiamo dove stiamo andando,
ma è lì che andiamo.
(M.Vargas Llosa)
Accostarsi alla produzione fumettistica giapponese, cercando di capirla in
quanto mezzo di comunicazione e veicolo di trasmissione di una cultura,
significa cercare di penetrarne la forma in quanto “architettura” di significato:
espressione che traduce (in maniera molto libera) il termine giapponese kata
1
,
il quale, nella sua rappresentazione grafica, mostra una struttura attraverso cui
filtrano i raggi del sole. Chi non ne varca la soglia vede solo la luce che la
finestra lascia filtrare, perché il suo punto di vista, che guarda dall’esterno
verso l’interno, è ristretto all’ingresso. E’ a coloro che sono penetrati nei
recessi della stanza che la trama e le più piccole particolarità del kata vengono
rivelate. Il kata inoltre “è una sorta d’illuminazione molto particolare perché
può accendere una luce negli spazi dominanti dell’animo umano” (Ghilardi,
2003).
Come per un viaggio fisico ci si deve preparare con alcuni strumenti, così
per un viaggio culturale è necessario aver presenti alcune informazioni base ed
imparare ad avere una certa confidenza con il terreno in cui ci si deve muovere.
Del resto oggi si avverte la sensazione che la nostra società stia vivendo una
sorta di processo di osmosi, di perdita di confini, ed i modelli giapponesi, o
orientali in generale, si stanno amalgamando con quelli americani, più invasivi.
1
Per la trascrizione dei termini giapponesi si è adottaro il sistema Hepburn (Yoshimoto, 1989).
9
Modelli che attingono ai fenomeni della cultura di massa: fumetti, musica pop,
cartoni animati ecc…
Takashi Murakami, forse uno dei più conosciuti artisti giapponesi
contemporanei, ha affermato : “Il mondo del futuro dovrebbe essere come il
Giappone oggi : super piatto” (2000). Nel super piatto di Murakami – o Super
Flat come viene internazionalmente definito – si contaminano linguaggi
diversi come i manga, le anime giapponesi, la fantascienza, la musica pop, il
web design.
La produzione artistica nipponica suscita un grande interesse in Occidente,
tanto da essere comunemente denominata New Pop o J-Pop. Le mostre si
susseguono numerose, ricordando la collettiva The Japanise Experience,
tenutasi da Ursula Stiftung a Kraichtal in Germania, le personali di Murakami
al P.S.1 di New York e al Museum of Fine Arts di Boston, o quelle di Mr e di
Yoshitomo Nara alla Stephen Friedman Gallery di Londra. Se risulta difficile
parlare di un linguaggio comune, ciò che più colpisce nelle opere di questi
artisti è una raffigurazione antimimetica, dove il principio di realtà si
allontana da ogni morfologia descrittiva, per identificarsi invece nell’universo
magmatico dei mass media: una generazione di artisti il cui immaginario è
stato fortemente influenzato dalla televisione, dal cinema d’animazione, dai
fumetti. Le suggestioni formali citano l’universo adolescenziale, dove l’artista,
come l’adolescente, si chiama fuori dai doveri e dagli obblighi sociali per
rifugiarsi nel suo mondo super piatto.
L’universo di Murakami mostra una sottile complessità, dovuta anche al suo
ruolo di teorico e non solo di artista. Il suo stile è unico ed inconfondibile, dove
gli eroi dei fumetti e dei manga sono reinterpretati. Ha ideato personaggi come
Mr. Dob, il quale intende raggiungere le dimensioni planetarie di un Mickey
Mouse nipponico, attraverso T-shirt, portachiavi e altri gadget.
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Visto che le opere appartengono alla cultura di massa, allo stesso modo
devono avere una diffusione che esca dai confini del mondo dell’arte. E’ infatti
la cultura di massa mondiale a interessare questi artisti. E poi non
dimentichiamo quanto la moda e la musica siano interessate al lavoro di questi
artisti. Marc Jacobs e Murakami hanno lavorato insieme per la collezione P/E
2003 delle borse Louis Vuitton, mentre i Groovision, graphic designer
provenienti da Harajuku, il quartiere più alla moda di Tokyo, oltre ad aver
creato Chappie, super model bidimensionale che ha posato per calendari e
copertine di dischi, collaborano spesso con la band musicale Pizzicato Five.
Molto spesso questi fenomeni, soprattutto il fumetto giapponese, hanno
determinato una serie di movimenti, amori sviscerati, proteste a favore o contro
l’introduzione di forme di espressione apparentemente troppo distanti per poter
essere integrate pacificamente. E nonostante i vantaggi promessi dalla
globalizzazione e dall’abbattimento dei confini politici, culturali e ideologici,
resistono ancora pregiudizi su tutto ciò che è “altro”, nella sua diversità e nella
sua ricchezza. Un modo possibile per contrastare questa tendenza allarmante
può essere quello di proporre la conoscenza di questa realtà diversa, troppo
spesso radicata esclusivamente su pre-giudizi.
Con uno sguardo sul fumetto giapponese, il quale d’acchito può essere
considerato “distante” per una mente “occidentale”, si possono sottolineare e
individuare alcuni tratti caratteristici di questo mezzo di comunicazione e di
narrazione e far emergere alcuni punti tematici e problemi che da esso si
sviluppano, astraendo un pensiero vero e proprio che riesca a trovare un senso
a questo affascinante mondo.
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1.1. La nascita del manga.
L’inizio della storia del fumetto in Giappone viene fatto risalire all’era
Meiji
2
(1868 – 1911), periodo in cui il Paese entra nella fase di sviluppo
industrializzato.
In primo luogo è utile dare una spiegazione del termine “manga”:
etimologicamente la parola (che viene scritta in Kanji , ideogrammi importati
dalla Cina e integratisi nella lingua indigena del Giappone originario) è
composto da “man” che significa “svago, divagazione” e “ga” ossia
“immagine, disegno”.
Attualmente il termine designa il fumetto giapponese nella sua forma
cartacea, ed il merito di averlo coniato va a Katsushika Hokusai (1760 - 1849),
famoso artista del periodo Tokugawa e autore di 15 rotoli noti sotto il titolo di
Hokusai Manga. Erano una serie di caricature in stile grottesco che
costituivano una sorta d’enciclopedia per immagini. Alcuni studiosi
considerano antecedenti dei manga gli emakimono (alla lettera “oggetto
disegnato arrotolato” da “e” disegno, “maku” arrotolare e “mono” oggetto),
rotoli di carta o seta contenenti disegni dipinti in sequenza, con tematiche quali
gesta guerriere o scene di vita quotidiana; o anche il famosissimo Chojugiga
(alla lettera “caricature di animali selvatici”), opera satirica creata nel XII sec.
da un monaco di nome Toba Sojo.
Fu in era Meiji che si intravide l’inizio di un
giornalismo nuovo con riviste nate dall’interazione
angloamericana con la stampa nipponica. Una delle
più significative fu “The Japan Punch”, fondata nel
1862 a Yokohama dall’inglese Charles Wirgman,
che si era stabilito in Giappone come corrispondente
de “The Illustred London News”. Questi giornali erano indirizzati
Fig.1 “Emakimono”
2
Età storica successiva a quella denominata Togukawa (1603-1867).
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prevalentemente ai residenti inglesi ed americani, ma furono apprezzati anche
dal pubblico giapponese, desideroso di conoscere il mondo occidentale. Nel
1905 nasce “Tokyo Punck”, primo giornale satirico giapponese, ad opera di
Rakuten Kitazawa. Il disegnatore aveva già avuto modo di collaborare con
altre testate, ed iniziò ad apportare alle vignette alcune innovazioni che
sarebbero poi rimaste in uso per diverso tempo.
Infatti nel 1901 comparvero le prime strisce in sei riquadri disposte in due
sezioni verticali e iniziarono a figurare personaggi fissi. Uni dei primi esempi
fu la storia intitolata: “Il viaggio a Tokyo di Tagasaku e Mokubei”. Iniziava a
essere possibile riconoscere un’impronta narrativa ed una sequenza temporale,
mentre il dialogo era riportato nel riquadro delle vignette. La continua ascesa
del manga si tradusse nell’organizzazione di mostre annuali e nella nascita di
associazioni di disegnatori come la Shin Nihon Mangana Kyokai (“nuova
associazione giapponese dei disegnatori di manga”), tutt’ora esistente. In breve
tempo avvenne un allargamento del target del manga: partendo dalla
constatazione delle potenzialità espressive e comunicative del disegno, nacque
l’idea che tale forma potesse essere indirizzata anche verso i più piccoli. Oggi
esistono i cosiddetti Shojo Manga (i manga per ragazze), gli Shonen Manga
(per ragazzi), i Seinen Manga (per adulti sui trent’anni) e i Rediizu Komikku
(per signore).
Uno dei primi autori a trattare il genere per ragazzi fu Shigeo Miyao (1902-
1982), che iniziò a pubblicare le avventure di “Manga Taro” sull’edizione
serale del Maiyu Shinbu. L’evoluzione consisteva nell’aver trasferito su un
quotidiano un racconto per ragazzi, privilegiando l’aspetto grafico rispetto al
testo. Per la prima volta nelle strisce il dialogo è presentato dentro le nuvolette,
anche se alcune didascalie esplicative sono riportate all’esterno del riquadro.
E’ da considerare che nei primi manga traspare un intento dialettico suggerito
dall’impegno morale dei protagonisti e permane il legame con il racconto
illustrato e la fiaba.
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