Se ci accostiamo all’argomento partendo da un’ottica multidimensionale
1
che ci
aiuti a comprendere la privacy, non solo nel suo contenuto unitario, ma anche e
soprattutto nel suo aspetto dinamico, allora credo che la risposta alla domanda da
me in precedenza posta debba essere negativa.
La società
2
che attualmente ci fa da sfondo, giustifica la necessità di configurare
la privacy come un “contenitore” nel quale far rientrare, con diverse sfaccettature
ed accezioni, le varie fattispecie sopraindicate.
L’uomo, o meglio, le comunità di uomini sono per loro natura soggetti ad una
continua evoluzione che porta inevitabilmente con se cambiamenti, innovazioni,
nuove regole e nuove mentalità; siamo in un continuo divenire che stravolge
simboli, certezze e paradigmi. Proprio da ciò nasce il bisogno di “configurare la
privacy in un quadro dove esigenza primaria è la centralità della sfera privata, il
diritto di costruirsi un’identità propria e creare il proprio stile di vita al riparo da
imposizioni esterne e stigmatizzazioni comuni”
3
.
Essa diventa elemento fondante e caratterizzante della persona in un’ottica
prevalentemente intima o, per meglio dire, interna.
Ma non è tutto.
La fitta rete di rapporti interpersonali che la quotidianità ci impone, porta a
spostare l’attenzione sull’aspetto relazionale di questa realtà. Quella che
comunemente viene definita “tutela della privacy” si pone, appunto, come
1
In questo senso v. T.M. Ubertazzi, “Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche” Cedam
2004, p. 76.
2
Correttamente definita “ società dell’informazione”, v. T.M. Ubertazzi, op. cit.
3
Discorso di Stefano Rodotà, Roma 30 aprile 1998, rinvenibile sul sito internet
www.garanteprivacy.it.
6
condizione per l’instaurarsi delle più svariate relazioni sociali che, in molti casi, si
tradurranno in “azioni” sociali. L’era telematica che noi viviamo, infatti, ha
prodotto una serie infinita di canali che permettono movimenti altamente
velocizzati, ma al contempo imbrigliano le tracce del nostro passaggio. Usare
carte di credito, navigare in internet, spedire sms sono operazioni apparentemente
innocue, ma nascondono una miriade di pericoli per la nostra riservatezza, primo
fra tutti, la possibile circolazione indiscriminata e incontrollata dei dati personali
4
.
Tali informazioni tendono ad essere successivamente raccolte in banche dati
differenziate a seconda di quelle che sono le esigenze del mercato da soddisfare.
Si assiste ad un frammentazione della persona, uno spezzettamento in “cloni
elettronici”, al punto che si è parlato di individuo “moltiplicato”
5
.
Veniamo dunque a trovarci di fronte quella che si può definire un’emergenza
concreta, soprattutto dando rilievo alla questione in modo più generalizzato.
Infatti, la tutela della privacy che diventa tutela dei dati personali non riguarda
solo e soltanto l’impropria circolazione delle nostre informazioni, ma si pone
come baluardo per la difesa della vita privata e del diritto alla tranquillità.
4
Secondo l’art. 4 c.1 lett c. del d.lgs 196/03 si definisce dato personale “qualunque informazione
relativa a persona fisica, giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche
indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di
identificazione personale”.
5
Discorso di Stefano Rodotà, Roma 30 aprile 1998,cit.,”… Nuovi interrogativi accompagnano il
modo di intendere e di costruire la sfera privata. Come è possibile ritrovare la pienezza
dell’identità di fronte ad un sistema di raccolta delle informazioni che frammenta, scompone,
classifica? Come opporsi alla circolazione di profili automatizzati che amputano l’individuo di
tratti caratteristici della sua personalità?”.
7
Nasce quindi una nuova concezione integrale della persona, alla cui proiezione
nel mondo corrisponde il forte diritto di non perdere mai il potere di mantenere il
pieno controllo sul proprio “corpo elettronico”
6
.
Purtroppo le vere complicazioni di questa costruzione sorgono nel momento in
cui, inevitabilmente, vengono ad essere considerati gli interessi economici e
patrimoniali sottesi.
Basterebbe anche solo prendere atto della prassi, molto diffusa, di
commercializzazione di avvenimenti attinenti alla vita privata delle persone, che,
grazie ad internet e ai media, dimostrano l’incontrovertibile “valenza economica
dei dati della persona”.
Valore che aumenta in misura esponenziale per le imprese, soprattutto in
relazione al grado di accessibilità a tali informazioni.
Come ha evidenziato un’autorevole dottrina
7
, soprattutto i dati personali detenuti
da soggetti pubblici sono oggetto di grande attenzione per le aziende private, in
quanto l’informazione si pone come fattore fondamentale della produzione in
virtù del potere di rendere maggiormente razionali le scelte degli attori del
processo economico.
6
Discorso Stefano Rodotà, Roma, 20 maggio 2003, rinvenibile sul sito internet
www.garanteprivacy.it,”…Un diritto che ormai si caratterizza come componente essenziale della
nuova cittadinanza, da intendere come il fascio di poteri e doveri che appartengono ad ogni
persona, e non più come il segno di un legame territoriale o di sangue.”.
7
Zeno-Zencovich, “Uso ai fini privati dei dati personali in mano pubblica” in Diritto
dell’informazione e informatica, 2003 p. 197.
8
Proprio in virtù di queste implicazioni, alcuni
8
hanno parlato di modello di
circolazione mercantile dei dati personali, che permetterebbe la tutela di tutti gli
interessi in tema di privacy e dove i dati personali diventano oggetto di scambi
negoziati sul mercato tra gli interessati.
Si potrebbero trarre facili allarmismi da quanto finora asserito, in quanto sembra
che si sia sempre pronti a sacrificare sull’altare dell’efficienza tecnologica diritti
fondamentali della persona, restringendo sempre di più gli spazi vitali di ogni
individuo.
Questa continua esposizione a sguardi e messaggi indesiderati, tende a far sì che
la personalità venga modellata proprio su un generico obbligo di vivere
ininterrottamente in pubblico. Forse è una condizione sicuramente dettata dal
progresso, ma bisognerebbe anche chiedersi se sia una situazione socialmente
gradita.
La tutela della privacy, dunque, deve essere lo strumento attraverso cui affermare
la pienezza della libertà nella sfera privata per poi porsi come condizione per la
libertà nella sfera pubblica, stabilire legami senza condizionamenti, rimuovere gli
ostacoli all’eguaglianza dei cittadini
9
.
8
T. M. Ubertazzi, “ Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche” cit. p. 157 .L’autore fa
esplicito riferimento a una tesi sostenuta in dottrina sui diversi modelli di circolazione delle
tecniche brevettate.
9
Discorso Stefano Rodotà, Roma, 8 maggio 2002, rinvenibile sul sito internet
www.garanteprivacy.it.
9
1.2 LA PRIVACY COME “RIGHT TO BE LET ALONE” E LA SUA PRIMA
EVOLUZIONE NELL’ESPERIENZA DI COMMON LAW
Il diritto alla privacy ha conosciuto gli albori della sua, ormai lunga, esistenza
nella seconda metà del XIX secolo, in un contesto socio-culturale che stava
profondamente mutando in virtù della Rivoluzione industriale
10
, fenomeno,
questo, che cambiò inesorabilmente la fisionomia dell’intero pianeta.
Come è noto, uno degli aspetti basilari che caratterizzarono tale periodo fu il
trasferimento delle grandi masse contadine che, lasciati i loro siti rurali, presero a
stanziarsi negli agglomerati urbani.
La società che fino ad allora aveva accompagnato la vita delle diverse comunità
era basata su di un sistema patriarcale, semplice ed austero, che fondava la sua
realtà essenzialmente sul lavoro agricolo.
Erano presenti, dunque, forti elementi di contiguità tra le diverse famiglie, il che
impediva, o meglio, non faceva sorgere, la necessità di creare una propria sfera
privata.
Le cose cambiarono radicalmente con l’avvento del nuovo “modus vivendi”
imposto dai ritmi cittadini.
10
Espressione che designa il passaggio, avvenuto nella gran parte dei paesi occidentali a partire
dalla seconda metà del XVIII secolo, da un’economia tradizionale basata principalmente
sull’agricoltura a un’economia incentrata sulla produzione automatizzata di beni all’interno di
fabbriche di grandi dimensioni.
10
La casa non era più il luogo dove abitualmente si svolgeva il proprio lavoro, ma
rappresentava “un’isola felice” dove il desiderio di un riserbo morale, generato
dall’anonimato urbano, trovava soddisfazione
11
.
Cominciò, dunque, a sentirsi un bisogno di riservatezza dettato dalla necessaria
interazione tra gli operai nelle grandi fabbriche, una voglia di mettersi al riparo
dalle indiscrezioni e curiosità altrui.
A tutto ciò si aggiunga che verso la fine del XIX secolo cominciarono a
diffondersi nuovi mezzi di comunicazione, quindi la genesi di uno dei più grandi
pericoli per il riserbo della persona.
Proprio in questo quadro generale
12
si colloca l’originaria apparizione del primo
pensiero elaborato inerente al diritto alla privacy.
Difatti, nel 1890, su di un giornale distribuito negli Stati Uniti
13
, comparvero dei
pettegolezzi interessanti il modo di vita abbastanza lussuoso di un allora giovane
studioso, venuto alla ribalta in seguito al suo matrimonio con la figlia di un
Senatore del Congresso americano. Accompagnato da un suo amico-collega nella
stesura dell’articolo che fece epoca, volle reagire contro un giornalismo
finalizzato più a scandalizzare che ad informare
14
.
11
T.M. Ubertazzi, “Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche”, cit. , p. 5
12
Si consideri che l’inizio della grande diffusione dei giornali negli Stati Uniti, ad esempio, si
colloca nel 1830, grazie anche al basso costo dei quotidiani ( un penny ) che li rese accessibili a
tutti. Da sottolineare, inoltre, che nel 1884 la Eastman Kodak Company aveva inventato la snap
camera la prima macchina fotografica in grado di scattare fotografie istantanee, di piccole
dimensioni e prezzo modico diventò presto fruibile da molti.
13
Il quotidiano in questione era il Saturday evening Gazzette.
14
Mi riferisco a Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, che posero la “pietra miliare” dello studio
del diritto alla riservatezza con un breve saggio intitolato “The right to privacy”, pubblicato,
appunto nel 1890, nelle pagine dell’Harvard Law Review.
11
I due concepirono il diritto alla privacy come “right to be let alone”, cioè come un
diritto della persona ad escludere ogni ingerenza estranea all’interno delle mura
domestiche, un diritto a contenuto negativo, per consentire a ciascuno un
isolamento morale.
Nel sistema di common law l’interesse al riserbo non veniva espressamente
tutelato, per cui la difficoltà maggiore fu quella di rintracciare discipline ed istituti
che avessero argomentazioni valide da trapiantare alla nuova materia.
Scartarono subito l’ipotesi di ricorrere ai contratti, data l’impossibilità di regolare
le molteplici ipotesi di potenziali intromissioni. Passarono poi in rassegna la
legislazione dello slander e del libel ( ingiuria e diffamazione ) che risultò
ulteriormente inadeguata per via della sua limitata applicazione ai casi di
divulgazione di notizie false.
Finirono poi con operare un aggancio normativo facendo riferimento alla legge
sul copyright, che tutelava gli autori di opere letterarie e artistiche imponendo, in
capo a terzi, un divieto di pubblicazione di opere ancora inedite
15
.
Ma proprio la logica proprietaria che tale regolamentazione imponeva, portò i due
studiosi a teorizzare la loro conclusione per cui la privacy necessitava di una
I due Autori si iscrissero nello stesso anno all’università di Harvard (1870) e, a far data dal 1879,
lavorarono insieme come avvocati in uno studio fondato da Warren. Dal 1910, anno della morte di
Warren, Brandeis ha curato personalmente gli affari della famiglia dell’amico, e, nel 1916, ha
ottenuto la nomina di giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti grazie anche alla spinta
politica della famiglia di Warren.
15
T.M. Ubertazzi, “Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche”, cit. , p. 7, secondo cui
“Warren e Brandeis hanno notato…che la legge sul copyright determinava l’interesse
dell’individuo a determinare la misura in cui estendere la comunicazione di pensieri, sentimenti e
emozioni ad altri”.
12
disciplina autonoma, che tutelasse l’inviolate personality e non la private
property
16
.
Grande riconoscenza va, dunque, a questi elogiabili giuristi che hanno avuto il
merito di iniziare il discorso sulla tutela della riservatezza, permettendone lo
sviluppo in un sistema creativo come può essere quello della common law.
La prosecuzione dell’opera di costruzione del nuovo impianto passava, dunque,
inesorabilmente nelle mani della giurisprudenza che in principio registrò
andamenti altalenanti.
Nel 1902 la Corte d’appello di New York, in un caso divenuto celebre
17
, negò
l’esistenza di un diritto alla vita privata data la mancanza di una definizione di
privacy e la difficoltà di accertare essa stessa questo diritto. Ciò provocò aspre
critiche in dottrina, la quale riteneva ormai maturo il tempo per approntare una
giusta disciplina a questa nuova materia.
Ed è cosi che, nel 1903, nasce la prima legge sulla privacy negli Stati Uniti
d’America promulgata dallo Stato di New York il cui contenuto, emendato nel
1911 e successivamente nel 1921, è tuttora vigente
18
.
16
Nella concezione di Warren e Brandeis, la tutela del diritto alla privacy si può ottenere tramite
un’azione di responsabilità civile, ossia un tort for damages ( illecito civile per danni ), sempre
esercitabile, o in casi limitati, tramite una injuction. Comunque, la responsabilità civile
sussisterebbe in ogni caso di injury to feelings ( danno ai sentimenti ). Sull’argomento v.
G.Fioriglio, “Temi di informatica giuridica”,Aracne Editrice, Roma, 2004.
17
“Roberson vs Rochester Folding Box Co.”, dove l’attore, dopo aver scoperto che una sua
fotografia era stata utilizzata per reclamizzare la vendita di una farina, fece ricorso alla Corte
lamentando che a causa dell’esposizione pubblica della sua immagine aveva provato profonda
umiliazione e una sofferenza tale da dover ricorrere alle cure mediche.
18
In particolare si trattava di due statuti che conferivano una cause of action all’interesse alla
privacy. Da sottolineare che, nel 1905, la Corte Suprema della Georgia qualificò tale diritto come
13
Da allora in poi, gli orientamenti della giurisprudenza furono nel senso di
ampliare l’estensione del campo di azione del diritto alla privacy, tentando di
operare un distacco da una concezione prettamente domestica per metterlo in
relazione con attività compiute dalla persona in pubblico che tuttavia rimanevano
private.
La dottrina, dal canto suo, tentò di delineare maggiormente gli interessi coinvolti,
sfruttando come comun denominatore il principio della dignità umana, al quale da
subito sembrò opportuno rifarsi. Vennero così alla luce classificazioni di attività
potenzialmente lesive della sfera privata. Si va dalla interferenza fisica nella
solitudine o ritiro di un altro, all’ipotesi di divulgazione di notizie personali
altamente offensive e non di interesse pubblico, passando per la diffusione di
informazioni capaci di mettere l’individuo in cattiva luce al pubblico, finendo con
l’utilizzo dell’immagine altrui senza previo consenso e con relativi benefici
19
. Si
provava, insomma, a modellare il contenuto del diritto alla privacy su quelle che
erano le esigenze che stavano emergendo dal progresso in atto che, soprattutto
negli Stati Uniti, muoveva passi da gigante
20
.
Verso la fine degli anni ’60, mutarono in maniera abbastanza considerevole alcuni
orientamenti dottrinali, i quali portarono a focalizzare l’attenzione sul potere
“discendente dal diritto naturale”, e che i primi riconoscimenti giudiziali furono consolidati
dall’American Law Institute nel Restatement of Torts del 1939.
19
T.M. Ubertazzi, “ Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche”, cit. , p. 19 , che fa
espresso riferimento alla quadripartizione operata da Prosser nel 1960.
20
Si pensi che, già nel 1935, negli USA era stato attivato il Social Security System, che consisteva
in un metodo di schedatura per cui veniva assegnato ad ogni cittadino americano un “ numero
unico di nove cifre” ( unique nine-digit number ). Lo scopo iniziale di tale innovazione non era di
identificare le persone, ma di raggiungere obbiettivi sociali e di sicurezza del paese.
14
dell’individuo di vigilare sulla circolazione delle informazioni sul proprio conto.
Dunque il diritto alla riservatezza come diritto di controllo over personal
information, teorizzazione che subiva l’influenza delle innovazioni tecnologiche e
delle valenze commerciali che i dati personali, già da tempo, iniziavano ad
avere
21
.
Ciò non significava vietare diffusione e divulgazione delle informazioni, ma
appunto dare possibilità di controllo alle persone, in modo da avere anche il
potere di rendere eventuali rettifiche in caso di notizie non veritiere.
Ovviamente tale teoria si esponeva, però, a inevitabili critiche di eccessivo
individualismo e quindi colpevole di trascurare interessi pubblici e privati alla
conoscenza dei dati personali.
Sta di fatto che, sia pure in maniera parziale, tali concezioni furono recepite nella
prima regolamentazione federale statunitense del diritto alla riservatezza, cioè il
Privacy Act del 1974
22
.
Articolato su diversi principi, tale importantissima norma è finalizzata a
mantenere confidenziali le informazioni dei cittadini imponendo a determinate
21
T.M. Ubertazzi “ Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche”, cit. , p. 26, secondo cui “
Westin ha definito per primo il diritto alla privacy come la pretesa degli individui, gruppi
istituzioni di determinare loro stessi quando, come ed in che misura le informazioni sul loro conto
sono comunicate ad altri.
22
Da sottolineare che tale atto va ad integrare il precedente Freedom of Information Act del 1966,
il quale era volto a garantire l’accesso del cittadino americano a tutte le informazioni sugli enti
pubblici e detenuti da questi. In particolare pone una barriera alla circolazione delle informazioni e
agevola il diritto di sapere.
15
“agencies”
23
e ad alcune categorie di enti pubblici di lasciar compiere al titolare
delle informazioni una serie di attività per tutelare il suo riserbo.
Dall’analisi del suo contenuto, esso risulta principalmente informato a garantire
un minimo necessario di trasparenza riguardo soprattutto ai dati personali gestiti
in ambito pubblico.
Innanzitutto prevede che vi sia un regime di pubblicità in merito ai sistemi di
archiviazione che contengano informazioni personali, il che porta a un drastico
ridimensionamento, negli anni immediatamente successivi, del numero di archivi
controllati da enti pubblici.
Si preoccupa poi di apprestare protezione ai dati dell’individuo inerenti al modo
in cui egli è inserito nel tessuto sociale (opinioni religiose, adesioni a gruppi,
ecc.), e dispone che gli stessi debbano essere rilevanti per l’uso che ne viene fatto.
Inserisce, per la prima volta, un esplicito divieto di rivelare all’esterno
informazioni riguardanti il soggetto dei cui dati si tratta senza il suo previo
consenso. Quindi, cerca di garantire un livello minimo di sicurezza
prevalentemente sancendo la responsabilità dei gestori degli archivi, approntando
un sistema di tutela volto ad assicurare l’effettività del dettato normativo, che
prevede rimedi penali, ma soprattutto civili.
Infatti, il Privacy Act disciplina quattro diverse civil causes actions, delle quali
due hanno carattere ingiuntivo e due hanno carattere compensativo sottoforma di
23
Nel 1972 vengono arrestati cinque uomini, nel tentativo di inserire alcune cimici nei telefoni
degli uffici del Comitato Nazionale del partito democratico a Washington. In seguito alla scoperta
che alcuni di loro erano ex agenti della CIA molto vicini all’allora presidente Nixon, scoppiò uno
scandalo sulle potenzialità delle intercettazioni telefoniche e degli abusi che con esse potevano
compiersi, e da qui, dunque, un’esigenza di tutela.
16
danni monetari. In particolare, se l’agency non corregge i dati come richiesto
dall’interessato, non garantisce il diritto di accesso, detiene dati inaccurati, il
cittadino può intentare azione davanti alla Corte Federale di primo grado.
Quest’ultima può disporre che il soggetto veda tutelati i suoi diritti di accesso, di
correzione, ecc. ( injunctive relief), oppure, una volta accertata l’intenzionalità del
comportamento, dispone il risarcimento del danno (compensative relief, e
comunque i danni effettivi non possono essere inferiori a 1000$)
24
.
Dunque una regolamentazione sostanzialmente organica, la quale, però, non
risulta estesa al settore privato in virtù del potenziale impatto negativo che
avrebbe potuto avere sull’iniziativa economica privata.
Questa scelta ha segnato marcatamente la successiva evoluzione in materia del
sistema statunitense, dando vita ad una profonda spaccatura con i Paesi europei in
conseguenza delle scelte normative di questi ultimi.
24
Nell’ordinamento italiano questa forma di risarcimento deriverebbe da un danno ingiusto. In
questo senso C.M. Bianca, “Diritto Civile”, vol. V “La responsabilità”,Giuffrè editore,1994, p.
586 e ss. , il quale definisce il danno ingiusto come discendente da un fatto antigiuridico, in quanto
contrario ad una norma e lesivo di un interesse giuridicamente tutelato.
17
1.3 I PRIMI RICONOSCIMENTI DELLA DOTTRINA ITALIANA: LE
DIFFICOLTA’ DI UN ANCORAGGIO NORMATIVO
Nel vasto panorama giuridico-sociale che tale materia ci offre, il trapianto
dell’esperienza d’oltre oceano nel nostro ordinamento non è stato di certo uno dei
più pacifici e incondizionati.
Di privacy, in Italia, si è cominciato a parlare circa mezzo secolo dopo la geniale
intuizione che portò a quel vasto dibattito negli Stati Uniti appena illustrato.
Le motivazioni di questo “gap” temporale sono da ricercare nel ritardato sviluppo
industriale che la nostra penisola conobbe a cavallo tra l’inizio del secolo scorso e
la fine di quello precedente.
Tralasciando questo aspetto cronologico, l’analogia riscontrabile con il sistema
statunitense sta nella mancanza di una disciplina che riconoscesse espressamente
una doverosa tutela all’interesse alla riservatezza. Di conseguenza, il formante
dottrinale giocò anche in Italia un ruolo pressoché fondamentale e fornì gli spunti
iniziali per i successivi progressi normativi e giurisprudenziali.
Le prime teorizzazioni comparvero intorno alla fine degli anni ’30, grazie ad una
elaborazione sistematica che, prendendo atto di una vacatio legis in tema di
riservatezza, volle far leva su alcune norme che ne rappresentavano alcune
manifestazioni
25
. Nello specifico, venivano richiamati gli artt. 96 e 97 della Legge
25
Grande merito va, infatti, ad Adolfo Ravà che per primo usò il termine riservatezza nel suo libro
“Istituzioni di diritto privato” pubblicato a Padova nel 1938. In particolare egli sosteneva che “la
qualità di persona richiede ed esige che alla persona stessa sia riservata una certa sfera relativa
ai dati più gelosi e più intimi di essa e della sua attività. Da ciò… deriva un generale diritto alla
riservatezza che ha molteplici implicazioni.”.
18
633/41 sul diritto d’autore, alcuni articoli del codice civile del 1942 (6,7,9,10
ecc.) e l’art 12 delle preleggi per il ricorso alla analogia iuris. Il ragionamento
logico seguito ipotizzava l’esistenza di un principio generale esistente
nell’ordinamento, il quale riconosceva la necessità di tutela della riservatezza a
prescindere da un’esplicita previsione legislativa, in quanto esplicazione della
persona stessa. Quindi a fronte della vigenza di tale principio, il legislatore,
secondo tale corrente di pensiero, ha voluto prendere in considerazione solo
quegli attributi della personalità ai quali ha ritenuto di dover dare una disciplina
particolare.
Procedendo, dunque, nel cuore della discussione, è consequenziale osservare da
subito che le autorevoli opinioni che si contrapposero videro da una parte i
sostenitori della tesi per cui la legge italiana tutelava il diritto alla riservatezza e
chi, invece, sosteneva il contrario.
Infatti, tra i primi, si distinse una linea interpretativa imperniata sulla struttura
“pluralistica” dei diritti della personalità riscontrando una omogeneità tra il diritto
all’immagine positivizzato dall’art. 10 c.c. e tutta una serie di altri interessi
concernenti la persona
26
.
Il procedimento analogico operato era dei più classici, rinvenendo la eadem ratio
di tutela tra l’indebita esposizione dell’effige, che rivela limitatamente pensieri ed
emozioni, e la divulgazione di sentimenti e passioni capaci di intaccare l’intera
sfera privata, incidendo negativamente sull’interesse al riserbo.
26
Mi riferisco alle teorie di De Cupis in “I diritti della personalità”, in Trattato di diritto civile e
commerciale, vol. IV, Giuffrè editore, p. 283 e ss.
19