1.1 Definizione delle organizzazioni
Un’organizzazione può essere definita come una forma di azione
collettiva reiterata, basata sui processi di differenziazione e di
integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali [Ferrante,
Zan, 1994]; solo se è possibile rintracciare questi aspetti in un
fenomeno sociale si potrà parlare di organizzazione.
La differenziazione consente di realizzare la divisione del lavoro
ed è il processo attraverso il quale si passa da un insieme
indifferenziato di persone ad un sistema di ruoli
1
; attraverso il
processo di integrazione si riuniscono invece gli sforzi prodotti
dai singoli ruoli. L’integrazione dei ruoli può avvenire attraverso
cinque meccanismi principali, non esclusivi l’uno rispetto all’altro
e spesso combinati tra loro: mediante il sistema gerarchico;
l’utilizzo di norme e procedure; la tecnologia; le strategie
organizzative e il sistema dei valori [Ferrante, Zan, 1994]. Ogni
organizzazione è composta da un aspetto strutturale, che
riguarda una realtà relativamente stabile, ed un aspetto
dinamico, che riguarda i processi mediante i quali
l’organizzazione si modifica nel tempo.
Nella pratica quotidiana, il termine organizzazione sottintende in
realtà una serie di situazioni molto diverse tra loro: esistono
infatti organizzazioni formali ed informali, di grandi o piccole
dimensioni, pubbliche o private, reali o virtuali, a carattere
stabile o temporaneo. A seconda del tipo di organizzazione a cui
si rapporta, ogni individuo può assumere ruoli molto diversi ed
essere quindi un utente, un dipendente o un membro attivo
dell’organizzazione stessa.
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Con il concetto di ruolo si intende l’insieme delle norme e delle aspettative che
convergono su un individuo che occupa una determinata posizione in una più o meno
strutturata rete di relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale [Gallino 1993].
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Generalmente, qualunque sia il tipo di organizzazione oggetto di
studio, essa presenta diversi problemi. Si può quindi studiare
un’organizzazione dal punto di vista del reclutamento dei suoi
membri, dei problemi di socializzazione e di comunicazione, della
distribuzione delle risorse o, ancora, dei processi di
legittimazione.
L’interesse per gli studi organizzativi si sviluppato nell’ambito
della filosofia politica grazie alla nascita dello stato moderno:
esso infatti rappresenta il più alto esempio di organizzazione
complessa in grado di imporsi, attraverso la burocrazia, su
qualsiasi altro tipo di organizzazione. Il secondo grande input agli
studi organizzativi è stato dato in seguito alla rivoluzione
industriale grazie alla nascita ed allo sviluppo di grandi
organizzazioni economiche che richiedevano di essere gestite nel
modo più razionale possibile. Si sviluppa quindi quella che viene
chiamata “teoria classica dell’organizzazione”, vale a dire il filone
degli studi organizzativi avviato da Frederick Winslow Taylor
[1903, trad. it. 1975; 1909, trad. it. 1976; 1911, trad. it 1976,
in Bonazzi, 1987].
1.1.1 L’organizzazione come sistema cooperativo
Poiché esistono molteplici punti di vista e correnti interpretative
per lo studio delle organizzazioni, è opportuno specificare la
prospettiva che si vuole adottare in questa sede e delimitare
almeno in parte la scelta di metodo.
Si è detto in precedenza che un’organizzazione può essere
definita come un’insieme di relazioni tra cose e persone.
L’elemento umano appare quindi decisivo per l’esistenza di
un’organizzazione, indipendentemente dal ruolo che i soggetti
hanno rispetto ad essa.
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Contrariamente alla teoria classica, che vede le organizzazioni
come semplici strumenti per raggiungere uno scopo, la “nuova
teoria organizzativa” [Barnard 1938, trad. it. 1970; Simon 1950,
trad. it. 1958; 1960, trad. it. 1980 e 1965, trad. it. 1968, in
Bonazzi 1987] sposta il focus dell’analisi dall’aspetto rigidamente
burocratico proposto da Taylor al ruolo dei soggetti.
Chester Barnard [1938, trad. it.1970, in Bonazzi 1987], che per
primo ha dato avvio a questo nuovo filone di analisi, sostiene che
per comprendere il funzionamento di una qualsiasi
organizzazione è necessario capire perché le persone vi
aderiscono.
Le premesse teoriche a questo approccio sono legate al
momento storico in cui Barnard ha iniziato la propria attività
intellettuale, vale a dire nei primi decenni del 1900. In questo
periodo si verificano due situazioni molto importanti:
I. nasce la figura del manager, il quale si inserisce nel
tradizionale dualismo che vede, da una parte, il
detentore del capitale e, dall’altra, i dipendenti. Il ruolo,
ma soprattutto le caratteristiche che consentono di
individuare un manager di successo (una forte
personalità), hanno portato Barnard all’intuizione che
non è sufficiente studiare le organizzazioni senza
focalizzare l’attenzione sulle persone che la
compongono;
II. lo sviluppo della scuola delle Relazioni Umane che, in
aperta critica con il taylorismo, sottolinea la maggiore
incisività di fattori psicologici e sociali rispetto a fattori
strettamente materiali per motivare i lavoratori [Mayo
1945, trad. it 1969, in Bonazzi 1987]. Questa scuola di
pensiero analizza le organizzazioni osservando quasi
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esclusivamente i rapporti informali esistenti tra i propri
componenti
Uno dei meriti principali di Barnard è quello di porsi come
elemento di connessione tra i due poli di analisi, il taylorismo e la
scuola delle Relazioni Umane, riuscendo a teorizzare un modello
nel quale convivono aspetti formali ed informali.
Di nazionalità americana, Barnard è come Taylor un dirigente
che sviluppa un ragionamento per migliorare l’efficienza
manageriale ed aumentare il profitto capitalistico. Lo scopo della
sua analisi è capire perché persone con interessi differenti
cooperino tra di loro e in quale modo è possibile per
l’organizzazione, e quindi per il manager, ottenere il loro
impegno.
Per esplicitare il suo impianto teorico, Barnard ricorre alla
celeberrima parabola del masso.
Supponiamo – afferma l’autore – che un uomo che sta
viaggiando da solo si trovi impossibilitato a proseguire il proprio
cammino a causa di un masso. Tenta di spostarlo da solo ma, nel
caso non vi riesca, dovrà attendere l’arrivo di altre persone che
lo aiutino. Se, per ipotesi, il masso in questione è talmente
grande da non poter essere spostato nemmeno da più persone
contemporaneamente, esse dovranno chiedere ad un contadino
di poter utilizzare il suo trattore per spostare il masso in cambio
di una somma di denaro.
In questa semplice storia è possibile rintracciare gran parte degli
assunti teorici di Barnard. Infatti:
a. la cooperazione ha consentito di raggiungere un obiettivo
altrimenti impossibile per il singolo (spostare il masso);
b. le persone comunicano tra loro per determinare se è
possibile agire insieme;
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c. le persone decidono che è possibile giungere ad una forma
di cooperazione;
d. le persone che cooperano si dividono funzionalmente il
lavoro;
e. le persone che cooperano possono essere spinte da
motivazioni differenti (il contadino coopera per il denaro
offertogli, le altre persone per riuscire a continuare il
viaggio; per tutti lo scopo è quello di riuscire a spostare il
masso);
f. l’organizzazione viene creata per raggiungere uno scopo
condiviso
Un’organizzazione, quindi, nasce grazie ad una serie di elementi
combinati tra di loro: la comunicazione tra gli individui, la
decisione di cooperare e la divisione funzionale del lavoro
2
. In
particolare, la cooperazione fa sì che lo sforzo complessivo non
sia la semplice somma dei singoli sforzi, ma determina un quid
che Barnard definisce coefficiente cooperativo ed è l’elemento
che più di tutti caratterizza una qualsiasi organizzazione.
Bisogna poi operare una distinzione tra gli scopi individuali e
quelli dell’organizzazione (punto e): essi possono coincidere ma,
più frequentemente, presentano un grado più o meno ampio di
diversità. Per questa ragione Barnard distingue tra efficacia ed
efficienza: nel primo caso si riferisce alla capacità
dell’organizzazione di soddisfare i propri obiettivi e nel secondo
caso si riferisce alla capacità dell’organizzazione di soddisfare i
moventi personali.
2
Più in generale, le organizzazioni nascono in quattro modi differenti: 1) per iniziativa
spontanea dei singoli individui; 2) per proliferazione da un’organizzazione madre; 3)
per sub-articolazione di branche interne ad un’organizzazione preesistente, 4) per
scissione, violenta e conflittuale, da un’altra organizzazione [Bonazzi 1987].
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In base alla diversa combinazione di questi due elementi, si
originano quattro differenti tipi di organizzazione (vedi tabella 1).
La situazione più comune, e pertanto il problema che dà l’avvio
all’analisi di Barnard, è rappresentato dal caso in cui
l’organizzazione è efficace ma non efficiente.
Tabella 1. Efficacia ed efficienza delle organizzazioni.
Efficiente Non efficiente
Efficace
Situazione ideale
Persegue lo scopo per cui è nata
ma soffre di tensioni interne
perché non riesce a motivare i suoi
membri
Non
efficace
Non persegue lo scopo per cui è
nata, ma i suoi membri sono
soddisfatti. E’ destinata al collasso
o ad una radicale ristrutturazione
Situazione peggiore. E’ destinata
al collasso
Fonte: rielaborazione da Bonazzi [1987]
Poiché è irrealistico pensare che possa esistere la totale
sovrapponibilità degli scopi personali e di quelli organizzativi,
Barnard individua come principale obiettivo del manager quello
di espandere la cosiddetta zona di indifferenza, intesa come
disponibilità degli individui ad eseguire gli ordini impartiti dai
superiori. Allargando l’area di indifferenza, diminuiscono le
probabilità che gli individui siano in contrasto con le disposizioni
impartite dalla gerarchia e aumenta l’efficienza organizzativa.
Per raggiungere tale scopo, l’autore elabora la cosiddetta teoria
degli incentivi e della persuasione, individuando in questi due
elementi gli strumenti che consentono la sopravvivenza
dell’organizzazione. Gli incentivi sono fattori oggettivi che mirano
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a soddisfare le aspettative delle persone [Bonazzi 2002] e
possono essere sia di natura materiale – retribuzione,
prospettive di carriera, condizioni di lavoro – oppure di natura
morale – prestigio dell’organizzazione, riconoscimento sociale.
La persuasione, invece, si pratica allo scopo di modificare le
motivazioni e le aspettative degli individui rispetto
all’organizzazione per far sì che gli incentivi offerti risultino
accettabili ai membri.
Il problema principale dell’utilizzo degli incentivi consiste nel
fatto che nella valutazione del rapporto tra il contributo offerto
all’organizzazione ed il beneficio ricavato intervengono le
cosiddette funzioni di utilità, legate alle preferenze dei singoli
soggetti; di conseguenza, lo stesso incentivo dato a persone
diverse può produrre effetti diversi.
1.1.2 La razionalità limitata e l’importanza delle procedure
Lo sviluppo ed il completamento dell’impianto teorico proposto
da Barnard è stato realizzato da Herbert Simon a partire dagli
anni ’40 [1950, trad. it. 1958; 1960, trad. it. 1980 e 1965, trad.
it. 1968, in Bonazzi, 1987]. Il fulcro dell’analisi simoniana è
posto non tanto sulle motivazioni che spingono i soggetti a
cooperare, quanto piuttosto sui processi decisionali degli
individui in seno ad un qualsiasi tipo di organizzazione. Per
Simon, infatti, è impensabile studiare un’organizzazione
analizzando esclusivamente il suo organigramma, poiché il
concetto di ruolo formale non dice nulla sul comportamento del
soggetto che lo ricopre.
Mediante tale affermazione, viene perciò ulteriormente
enfatizzata l’importanza dei soggetti nel determinare l’esistenza
stessa di un’organizzazione: se Barnard soffermava la sua analisi
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