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L’imperfezione e la plasticità dei nostri ricordi dettata dalla complessa combinazione tra
conoscenza personale del passato e il loro stretto legame con la costruzione della nostra
soggettività, nonché dalla necessità che si esprime in entrambe queste costruzioni -il Sé e la
memoria- di articolare “storie coerenti” in cui identificarci e definirci, hanno aperto questioni
che danno forma all’idea che tali caratteristiche rendano la memoria umana assolutamente
fallibile ed inaffidabile.
L’acceso dibattito che si dipana sull’asse delle questioni che toccano, direttamente o
indirettamente, la problematica dell’abuso sessuale è ormai da anni, al centro di numerosi
ambiti d’interesse teorici ed applicativi. Il fervore ed il progressivo emergere di attività
scientifiche, giuridiche e cliniche che si sono sviluppati sia in Italia che nei paesi stranieri
testimonia un processo di sensibilizzazione che ormai può dirsi pienamente attivo in tutti gli
strati dei settori coinvolti.
Nel capitolo primo, proprio sulla base degli studi specialistici, viene presentata una
rassegna che, partendo dai lavori storici sulla psicologia della testimonianza (Pezdek, 1977;
Loftus et al., 1978; Zaragoza & Mitchell, 1996), ripercorre le principali tappe della ricerca
sulla suggestionabilità legata alle procedure d’intervista, per arrivare a delineare con maggior
precisione i confini dei più recenti modelli legati alla creazione dei falsi ricordi. Il paradigma
sperimentale del falso ricordo è il focus attenzionale di tutto il presente lavoro, in quanto
oltre a polarizzare i risultati provenienti da studi e ricerche sulla possibilità d’impiantare falsi
ricordi di esperienze infantili nella mente di soggetti adulti, è stato utilizzato anche per
spiegare alcuni dei potenziali effetti suggestivi che possono svilupparsi sia in contesti forensi
che psicoterapici.
Il secondo capitolo verte, più specificatamente, sulla valutazione e sull’approfondimento del
complesso costrutto di suggestionabilità, inteso sia come effetto di pressioni interpersonali
derivanti dall’interazione con altri soggetti, sia come tratto individuale che caratterizza in
maniera idiosincratica ogni singola persona.
Questo costrutto appare concettualmente ed operativamente sostanziale, in quanto stabilisce
una chiara connessione tra l’ambito di ricerca legato alla creazione dei falsi ricordi e il
settore d’indagine rivolto alla valutazione degli effetti suggestivi che possono prodursi anche
in altri contesti, dove obiettivi e metodi spesso si orientano in direzioni estremamente
diversificate.
Se nell'ambito della cura, ad esempio, è possibile optare per la creazione “di un'area di
mediazione” nel tentativo di superare la dicotomia vero/falso che grava pesantemente
all’interno del dibattito, nel settore forense questa operazione sembra meno possibile. Se,
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infatti, nell'indagine peritale il recupero dei ricordi attiene specificatamente alla distinzione
vero/falso, nella psicoterapia questa operazione si orienta verso una ri-significazione del
ricordo all'interno di un contesto relazionale nuovo (Lingiardi & Filippucci, 2002), dove
l'obiettivo principe non è quello di ricostruire la verità storica degli eventi, ma ritessere la
trama della verità soggettiva narrativa. Le vicende che vengono narrate non saranno più
composte su un racconto ordinato con un inizio, uno sviluppo e una conclusione, ma si
succederanno l'una all'altra secondo un ritmo scandito dalle intuizioni, dai ricordi e dalle
emozioni di coloro che le hanno vissute.
A diverse metodologie e procedure di lavoro deve, comunque, essere sempre sottesa una
comune intenzione, volta alla comprensione delle dinamiche che regolano il recupero di
materiale mnestico relativo al passato e dei processi che mediano i rapporti tra memoria e
suggestionabilità. Questo implica un costante lavoro di aggiornamento e ricerca e
un’attenzione multifocalizzata sulle dinamiche che si attivano in ogni diverso contesto
connotato evidentemente da differenti caratteristiche e processualità.
L’improvvisazione o la mancanza di un’adeguata formazione professionale e personale
nell’intervento giuridico, investigativo e ancor più in quello psicologico e psicoterapeutico
restano condizioni di alto rischio che certamente devono essere ridotte ai minimi termini.
Gli articolati e complessi termini attraverso i quali ha preso sostanza la diatriba relativa ai
potenziali danni che derivano dall’inconsapevolezza degli effetti suggestivi che si producono
proprio all’interno della psicoterapia o degli interrogatori in sede legale sono oggetto di
approfondimento del terzo capitolo; oltre alla valutazione delle diverse posizioni assunte da
ricercatori e studiosi di varia estrazione rispetto al problema (da un lato Loftus, 1993a;
1993b; Loftus & Ketcham, 1994; Loftus & Pickrell 1995; Garry et al., 1996; Loftus, 1998a;
Mazzoni, 2000 e dall’altro Pezdek & Roe, 1997; Brown et al, 1998; Pezdek & Hodge, 1999;
Crook & Dean, 1999a; Pezdek, 2001), l’obiettivo del lavoro è anche quello di ripercorrere le
principali evidenze sperimentali che possono contribuire a chiarire almeno alcuni dei
principali temi connessi al dibattito.
Il lavoro di ricerca illustrato nel quarto capitolo rielabora alcuni specifici aspetti connessi al
paradigma del falso ricordo al fine di definirne meglio i confini e di cogliere con maggiore
specificità quali aspetti possono avere una diretta attinenza rispetto ad altri settori di lavoro.
La valutazione della suggestionabilità individuale, la scelta di un contenuto di natura
autobiografica, la connotazione traumatica del materiale-stimolo e il controllo circa la
veridicità/falsità del materiale sottoposto ai soggetti testati, ci permettono infatti di
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restringere i potenziali effetti connessi al paradigma del falso ricordo e di valutarne con più
precisione l’estensibilità a situazioni diverse da quella specificatamente sperimentale.
Questo studio mette, inoltre, in evidenza la sostanziale importanza di creare un ponte tra
conoscenze ottenute in laboratorio ed esperienza diretta sul campo; sarebbe, infatti,
auspicabile nel futuro poter studiare direttamente all’interno dei setting terapeutici e legali
come evolvono i processi comunicativi orientati alla ricostruzione dei ricordi, ma anche
capire, laddove si determinano condizioni di tipo inducente e suggestivo, a quali condizioni
questo avviene e come è possibile monitorarne gli effetti. La partecipazione da parte di
psicoterapeuti ed esperti di psicologia testimoniale a questo settore d’indagine, a nostro
avviso, è imprescindibile, rispetto all’obiettivo di delineare le dinamiche che sottendono
l’emergere di autorivelazioni o la ridefinizione di esperienze dolorose mai dimenticate.
In questo modo ci si potrebbe finalmente avvicinare ad una più esaustiva comprensione del
dispiegarsi della mente di fronte al “trauma”.
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1.1 I FALSI RICORDI: REALTÀ O ILLUSIONE ?
La complessa questione dei falsi ricordi viene chiamata in causa ogniqualvolta viene
alla luce un abuso sessuale non confermato dalle dichiarazioni dell'abusante e ogniqualvolta
un soggetto adulto recupera il ricordo di violenze subite in epoca infantile, condizioni che
pongono all’attenzione di ricercatori, psicologi clinici, esperti di psicologia testimoniale,
nonché alla stessa opinione pubblica, la delicata questione della valutazione della validità e
accuratezza delle dichiarazioni infantili e la comprensione dei meccanismi che regolano il
riemergere di materiale mnestico dimenticato, represso o rimosso.
Sulla base di queste rilevanti problematiche il panorama scientifico ha assistito ad una
decisiva proliferazione delle ricerche mirate ad analizzare il funzionamento della memoria a
lungo termine, con una particolare centratura sulle condizioni di codifica,
immagazzinamento e recupero dei contenuti della memoria autobiografica. Numerosi
interrogativi sono sorti circa i cambiamenti che avvengono nei ricordi personali, le
alterazioni che possono prodursi nel corso del tempo rispetto al modo in cui tali ricordi sono
rievocati, le modalità attraverso le quali essi possono essere ancorati contro la dimenticanza,
il modo di recuperare ricordi apparentemente persi o addirittura la possibilità di impiantare
falsi ricordi ex novo. Quest’ultima area d’indagine nell'ultimo decennio è stata oggetto di
particolari esplorazioni scientifiche, anche alla luce di una consistente serie di
approfondimenti condotti sui potenziali effetti della suggestionabilità.
Il quesito che più spesso viene avanzato ruota attorno alla domanda se la memoria e,
in particolare quella infantile o quella che riguarda esperienze infantili, sia sufficientemente
accurata e precisa, oppure se essa sia vulnerabile alla suggestione e, in quanto tale, imprecisa
o addirittura inesatta fino al punto da generare falsi ricordi. Il movimento che sostiene la
rilevanza dei falsi ricordi di abuso sessuale ha coniato la definizione di false memory
syndrome (FMS) per indicare una condizione psicopatologica di natura iatrogena che si
genera all'interno dei contesti terapeutici, per l’incompetenza, per la credulità, per i
pregiudizi e prevenzione ideologica dei terapeuti stessi e che consiste nel suggerire
ripetutamente e suggestionare il paziente fino al punto da indurlo a credere non solo di aver
subito abusi mai verificatisi, ma anche a sperimentare sintomi e stati di malessere ad essi
connessi (Kihlstron 1996 in Pope & Brown ed it 1999).
E' comunque fuor di dubbio che tale problematica abbia sollecitato interrogativi di enorme
rilevanza negli ambiti della ricerca sperimentale, clinica e di pratica forense in relazione al
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funzionamento della memoria nei contesti caratterizzati da induzione e da suggestione. La
produzione scientifica per ognuno dei temi connessi al falso ricordo, quali ad esempio
domande suggestive, memoria autobiografica, memoria di eventi traumatici e non ecc, è
spesso stata utilizzata in modo intercambiabile e senza le opportune distinzioni. In
particolare i risultati delle ricerche sulla suggestionabilità nei contesti interpersonali, di
interrogatorio o di audizione testimoniale vengono impropriamente generalizzati per
sostenere la possibilità di creare ex novo falsi ricordi attraverso semplici domande
suggestive e, analogamente le spiegazioni sui meccanismi fallaci della memoria di eventi
quotidiani che possono indurre ricordi imprecisi o falsi vengono utilizzate per interpretare il
funzionamento della memoria di eventi traumatici. Il rischio è quello di una sottovalutazione
o sopravvalutazione dei meccanismi della suggestione intesa come una categoria ampia e
indipendente dalle condizioni che possono contribuire a generarla.
Per meglio comprendere gli effetti connessi specificatamente alla creazione dei falsi
ricordi relativi ad esperienze risalenti all’infanzia esamineremo in modo distinto due
principali filoni di ricerca: quello sul rapporto tra domande suggestive e meccanismi della
memoria e quello su memoria, suggestionabilità e impianto di falsi ricordi.
1.1.1 DOMANDE SUGGESTIVE E FALSI RICORDI. IL PARADIGMA DELLA MISINFORMAZIONE
La ricerca sulla suggestionabilità in relazione ai falsi ricordi ha ricevuto un forte
impulso dagli studi condotti da Loftus e collaboratori (Loftus et al., 1978; Schooler &
Loftus, 1986; Wagenar & Boer, 1987) sulla testimonianza oculare. La metodologia adottata
in questi lavori si basa essenzialmente sul paradigma della "misinformazione" e si compone
di tre momenti distinti. In una prima fase -definita di presentazione- viene presentato uno
stimolo ad esempio un filmato, un racconto, una scenetta (un incidente d’auto, un furto, uno
scippo violento, etc.): l’evento-stimolo contiene un numero totale di item (solitamente circa
50), alcuni dei quali sono definiti item bersaglio o critici, in quanto vengono manipolati
sperimentalmente per verificare i possibili effetti di contaminazione suggestiva. Nella
seconda fase -detta di suggestione post-evento o misinformazione- vengono fornite
informazioni fuorvianti sullo stimolo cui il soggetto è stato precedentemente esposto: i
soggetti del gruppo sperimentale vengono esposti a informazioni accurate per la maggior
parte degli item e ricevono informazioni errate o fuorvianti solo relativamente agli item
critici, mentre il gruppo di controllo riceve informazioni corrette per tutti gli item
contemplati nella prova. Nella terza fase -di controllo o re-test- dopo un determinato
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intervallo di ritenzione i soggetti sono sottoposti ad un test di memoria a risposte chiuse:
solitamente per ogni item vengono mostrate due opzioni tra cui scegliere, una corrispondente
all’item originario mentre l’altra no. Ogni volta che il soggetto sceglie l’opzione errata si
registra un effetto di misinformazione.
I risultati e le osservazioni di questi primi studi hanno indotto gli autori a notare
come sia possibile indurre i soggetti, attraverso semplici manipolazioni linguistiche nelle
domande poste, ad incorporare nelle rievocazioni item non esistenti
nell'evento/racconto/scena originario. L’applicazione ripetuta di questa procedura di ricerca,
divenuta ormai classica, ha messo in evidenza che la presentazione di un’informazione
erronea successiva all’esposizione allo stimolo può interferire con i processi di recupero del
materiale mnestico, favorendo l’accettazione dell’elemento fuorviante che è stato suggerito
(Loftus & Palmer, 1974; Loftus, 1975; Pezdek, 1977; Loftus et al., 1978; Garry & Loftus,
1994; Zaragoza & Mitchell, 1996). Quali meccanismi possono spiegare questo fenomeno? E'
stata avanzata l'ipotesi che il mediatore tra la fonte dell'informazione e gli effetti di
suggestionabilità sia individuabile in un processo di tipo cognitivo legato alla
“individuazione della discrepanza” fra fonti informative (Belli et al., 1994; Johnson et al.,
1993; Zaragoza & Lane, 1994). Se il soggetto non è in grado di individuare la discrepanza
tra le fonti da cui provengono le informazioni non riesce neanche a distinguere
cognitivamente tra le informazioni che ha a disposizione e quelle suggerite
dall’intervistatore (fonte estranea) e finisce per confondere la rappresentazione interna
preesistente (il ricordo che possiede) con quelle che gli vengono fornite. La difficoltà a
discriminare correttamente l’origine dell’informazione, indurrebbe così a credere che
l’evento suggerito sia un vero e proprio ricordo. Si tratta in sostanza di un processo di
distorsione dovuto alla contaminazione prodotta da informazioni ricevute successivamente
all'evento-bersaglio. Questo fenomeno ha buone possibilità di verificarsi dato che, come
hanno documentato le ricerche, il ricordo della fonte informativa svanisce più rapidamente
rispetto al ricordo del contenuto specifico degli eventi (Oakes & Hyman, 2000).
Tuttavia va chiarito che non tutti i tipi di false informazioni possono essere facilmente
incorporate nella rievocazione: quando la falsa informazione è palesemente diversa
dall'evento stimolo o non è plausibile e quando il soggetto ha una chiara percezione
dell'evento e lo ha codificato chiaramente, si registrano chiari effetti di resistenza alla
suggestione (Loftus, 1979b).
Si può allora sostenere che le domande suggestive siano sempre e comunque fuorvianti e tali
da generare distorsioni nel ricordo?
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1.1.2 GENERALIZZABILITÀ DEI RISULTATI DEL PARADIGMA DELLA MISINFORMAZIONE E
CRITICHE METODOLOGICHE
La controversia circa la generalizzabilità dei risultati appena descritti si è avviata in
risposta alle osservazioni introdotte da Loftus secondo cui la suggestionabilità
rappresenterebbe un effetto molto facile da realizzare e, proprio per questo, sarebbe un buon
esempio dell'estrema “malleabilità” della memoria umana (Loftus, 1979a). Inoltre, l'effetto
di misinformazione può costituire, secondo questa studiosa, un prototipo di errore di
memoria di natura commissiva, in quanto i soggetti giungerebbero ad includere all'interno
del proprio bagaglio mnestico elementi a cui non hanno mai assistito o eventi che non hanno
vissuto. Loftus puntualizza anche che l'effetto di misinformazione può essere interpretato
come una forma di vera e propria alterazione della memoria, in quanto l'introduzione del
falso elemento interferirebbe con l'originaria traccia mestica, producendone una modifica
permanente. In questo senso Loftus considera l'effetto di misinformazione come un esempio
di “creazione di un falso ricordo” (Loftus 1975; Loftus et al., 1978; Loftus, 1979a; Loftus &
Hoffman, 1989).
La prima osservazione circa la relativa facilità nell'indurre un effetto suggestivo si
scontra con i risultati delle ricerche che non segnalano un numero di soggetti che
recepiscono e incorporano la suggestione in percentuali così elevate da giustificare tale
affermazione. Da diverse ricerche si può osservare che l'entità dell'effetto riguarda una
percentuale di soggetti che varia tra il 4 e il 25 % -quando si usano uno o pochi item per
indurre la suggestione- e si stabilizza su una percentuale del 20 % -quando si ricorre al
paradigma classico- (Loftus et al. 1978; McCloskey & Zaragoza, 1985). Quando, tuttavia,
vengono tenuti sotto controllo anche gli errori di attribuzione rispetto alla fonte informativa
e la presenza di bias di risposta indotti dalla presenza di richieste sociali (ad esempio le
aspettative da parte dell’intervistatore) il tasso cade ad un livello compreso tra lo 0 e il 5 %
(si veda la revisione effettuata da Brown et al., 1998). Considerando infine i dati sulla
distribuzione della suggestione di tipo misinformativo all’interno della popolazione infantile
(dove emerge una percentuale che oscilla tra il 3 e il 5 %), gli autori osservano che è
possibile complessivamente sostenere che l’effetto di misinformazione all’interno della
popolazione totale sia ascrivibile ad una percentuale che non supera il 5 %.
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Rispetto alla seconda affermazione, che riguarda l’inclusione di elementi falsi nella
memoria o l’alterazione dei ricordi, il dibattito è tutt’altro che concluso.
E’ forse ovvio, ma fondamentale tener presente che rievocare erroneamente non equivale a
possedere un falso ricordo. Infatti, è un fenomeno documentato che l'acquisizione di
informazioni errate non necessariamente determina la cancellazione o l'alterazione
permanente delle preesistenti tracce mestiche (McCloskey & Zaragoza, 1985); più
propriamente si possono verificare fenomeni di sovrapposizione o appaiamento delle
informazioni provenienti da diverse fonti rispetto alle quali il soggetto deve operare una
scelta (Bartlett, 1932; Mazzoni, 1995). I ricordi, una volta registrati, restano immagazzinati
in maniera permanente: le tracce mestiche che si sono create restano attive e la
dimenticanza è dovuta all’inefficacia o disfunzionalità del sistema di recupero (Chechile,
1987).
Oltre al dibattito sulla legittimità o meno di ritenere la suggestionabilità un effetto
frequente e sui meccanismi che possano spiegarla, alcune critiche di natura metodologica
mosse ai lavori condotti dal gruppo di Loftus hanno animato la discussione, spostandola sul
piano della validità ecologica dei risultati ottenuti. Una prima obiezione riguarda la natura
del materiale stimolo e il livello di coinvolgimento personale nell’evento stesso. Cutshall &
Yuille (1989) hanno puntualizzato come non sia possibile porre a diretto confronto i risultati
ottenuti dalla rievocazione di un episodio che è stato mimato o proiettato (paradigma della
misinformazione) con quelli derivanti da un interrogatorio formale effettuato su soggetti che
hanno effettivamente assistito ad un atto criminale in un contesto reale. Inoltre gli autori
hanno chiarito che il ricordo prodotto da soggetti normali circa un evento a cui hanno
assistito senza un reale coinvolgimento personale non può equivalere a quello prodotto da
soggetti traumatizzati o con sintomi di tipo post-traumatico, che possono incorrere in
fenomeni di amnesia o di ipermnesia, in conseguenza dell’arousal emotivo che può
incrementare o diminuire l’accuratezza mnestica (Deffenbacher, 1983). Queste osservazioni
sono tra l'altro coerenti con l’ipotesi dell’appartenenza causale di Bower (1992), secondo la
quale i ricordi autobiografici vengono rievocati meglio quando l’emozione associata
all’episodio originario viene rivissuta o riaffermata al momento della rievocazione. Tali
ricordi sono recuperati con più facilità perché l’emozione in questione dipende in maniera
causale dalla codifica dell’evento-stimolo originario, condizione che risveglia in maniera
vivida il ricordo. Ricordiamo che questo effetto sicuramente non è ascrivibile alle condizioni
in cui i soggetti, come avviene negli studi sulla misinformazione di Loftus, sono esposti a
materiale nuovo e privo di connotazioni personali.
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Brown et al. (1998) hanno osservato, inoltre, che l’ipotesi della fallibilità della
memoria che Loftus & Burns hanno sostenuto con particolare forza nel lavoro del 1982
risulta inficiata da un pesante bias confirmatorio determinato dal fatto che nella ricerca gli
autori si sono limitati a registrare la rievocazione corretta o scorretta di alcuni specifici item
da loro selezionati, senza verificare a priori la rilevanza del tipo di informazioni su cui
stavano costruendo le domande suggestive. In altri termini nel lavoro di Loftus & Burns non
si tiene conto della familiarità del materiale mnestico che invece incide notevolmente sul
livello di suggestionabilità, anche in bambini di soli 6 anni (Goodman & Reed, 1986). I
bambini più piccoli poi appaiono addirittura più resistenti agli effetti dell’informazione
errata rispetto agli adulti, in particolare nei casi in cui il racconto riguarda eventi che
richiedono molta attenzione o sono altamente coinvolgenti, aspetti che tra l'altro
caratterizzano proprio le situazioni di abuso. Per di più le informazioni utilizzate da Loftus
& Burns per costruire le domande suggestive non appartenevano al nucleo centrale
dell’episodio, ma erano dettagli di sfondo e periferici e, in quanto tali, già destinati ad una
codifica meno accurata. Infatti è un dato condiviso che nella maggior parte degli studi
l'effetto di misinformazione sia a carico di dettagli periferici e non delle azioni centrali dello
stimolo, né di realtà esperienziali complesse (Olio & Cornell, 1994).
La validità dei risultati circa l'effetto di misinformazione risulta parziale anche per il
fatto che Loftus non ha mai cercato di monitorare "i fallimenti nella codifica”: nei suoi studi
veniva dato per certo che i soggetti codificassero tutto il materiale che avevano visto
brevemente per pochi minuti nella prima fase della ricerca, mentre è evidente come, con un
breve intervallo di ritenzione, molte informazioni possano essere perse e un filtro selettivo
agisca nella codifica di quelle maggiormente rilevanti. Negli studi successivi che hanno
tenuto sotto controllo il fallimento nella codifica del materiale-stimolo, l’entità dell’effetto
di misinformazione è risultata inferiore rispetto alle percentuali riportate da Loftus
(Christiaansen & Ochalek, 1983; Wagenaar & Boer, 1987; Frischholz, 1990). Pertanto,
utilizzare le ricerche condotte sull’effetto della misinformazione per sostenere che la
maggior parte dei testimoni sono suggestionabili, nel senso che il loro ricordo viene
influenzato in un modo o in un altro dalla presenza dell’informazione errata suggerita in un
secondo tempo (Mazzoni, 2000), appare fuori luogo dato che questa affermazione generica
non rispecchia la specificità dei dati ottenuti sul panorama scientifico, né illustra quali sono
i meccanismi che spiegano il fenomeno e le variabili che lo determinano in una ridotta
percentuale di soggetti.
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Possiamo quindi concludere osservando che in determinate condizioni non tutti, ma
una certa percentuale di soggetti distorce le informazioni e può farle proprie incorporandole
nel ricordo dell'evento originario. Non è tuttavia affatto chiaro se questo stesso fenomeno sia
rilevante nel caso di eventi realmente sperimentati o nel caso di esperienze negative o
traumatiche. L'incertezza nei risultati non deve tuttavia esimere da una estrema attenzione
nell’interazione con soggetti che in ambito giuridico, legale e terapeutico riferiscono fatti
che potrebbero risentire dell'effetto distorcente prodotto da chi conduce il colloquio o
l'interrogatorio. Va tuttavia anche chiarito che tale effetto di misinformazione non deve
affatto essere confuso con quello che riguarda la creazione di falsi ricordi, di cui parleremo
più approfonditamente nel paragrafo successivo.
A livello empirico per meglio precisare gli effetti specifici rispetto ai quali si verifica il
fenomeno della misinformazione sono stati indagati il ruolo della forza/resistenza del ricordo
(stato in cui avviene la codifica, intervallo di ritenzione, attribuzione della fonte), la natura
del materiale bersaglio, delle caratteristiche del campione utilizzato, della tipologia delle
informazioni fuorvianti suggerite, delle condizioni in cui avviene il recupero mnestico
(presentazione casuale vs. sequenziale, test di riconoscimento, rievocazione guidata,
rievocazione libera), della fonte della misinformazione (soggetto dotato di autorità vs
soggetto senza autorità), del tipo d’influenza sociale (credibilità della fonte, pressione o
supporto sociale, bias di risposta), del numero di tentativi di rievocazione (una vs ripetute
interviste) dell'età e di alcuni aspetti di personalità dei soggetti coinvolti (Brown et al.,
1998). Non analizzeremo, tuttavia, questi aspetti in questa sede.
1.2 SUGGESTIONABILITÀ E IMPIANTO DI FALSI RICORDI INFANTILI
Gli studi sulla misinformazione, le pesanti affermazioni a più riprese diffuse da
Loftus circa la fallibilità della memoria autobiografica –in particolare in relazione a
contenuti di natura traumatica- e l’accesa diatriba relativa alla possibilità di rievocare ricordi
di esperienze infantili che per un certo periodo di tempo sono stati oggetto di oblio hanno
inevitabilmente orientato la ricerca verso la comprensione del ruolo che la suggestionabilità
e le tecniche suggestive hanno rispetto alla rievocazione compiuta retrospettivamente di tali
esperienze. Se il paradigma della misinformazione era volto, infatti, a dimostrare come
attraverso il ricorso a tecniche d’intervista di tipo inducente o suggestivo fosse possibile
modificare alcuni dettagli relativi ad eventi a cui si è assistito direttamente, gli studi
successivi degli stessi ricercatori hanno cercato di estendere il campo d'indagine per
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verificare se si potessero impiantare ex novo nella mente di soggetti adulti interi falsi ricordi
di eventi autobiografici risalenti all’infanzia.
Vediamo come si sia evoluto questo nuovo paradigma di ricerca e quali risultati siano
derivati dalla sua applicazione.
1.2.1 L’ESORDIO E L’EVOLUZIONE DEL PARADIGMA DEL FALSO RICORDO
Loftus, dopo aver effettuato alcune indagini a carattere esplorativo sulla scia dei suoi
precedenti studi, ha messo a punto l’impianto di ricerca che ha preso il nome di “paradigma
del falso ricordo”. Questi primi approfondimenti condotti dalla studiosa su soggetti singoli
non hanno il carattere di vere e proprie ricerche e possono più propriamente essere
considerate osservazioni sperimentali compiute sulla base di alcune ipotesi-guida. Proprio
la particolare natura di queste indagini e le implicazioni etiche ad esse connesse hanno
aperto un importante dibattito circa la liceità e la correttezza di questo tipo di procedure
sperimentali.
Quello che successivamente è stato definito “lost in a shopping mall study” ha preso le
mosse da 5 studi pilota che sono stati compiuti nel 1991 con la partecipazione di 3 bambini
e 2 adulti, prima che la commissione etica di riferimento avesse dato l’approvazione
formale al protocollo di ricerca ideato da Loftus. I risultati preliminari di questi esperimenti
sono stati resi pubblici, infatti, solamente 4 giorni dopo che la University of Washington
Human Subjects Committee approvò la procedura sperimentale (10 agosto, 1992),
condizione che ha determinato molte polemiche negli ambienti scientifici (Crook & Dean,
1999a).
Il primo passo fu compiuto quando Loftus, nel 1991, durante un viaggio ad Atlanta,
condivise con un collega dell’Università della Georgia la sua ipotesi di ricerca: il primo
studio pilota (anche se ancora oggi non viene considerato un vero studio pilota) fu condotto,
infatti, al rientro da questo viaggio ad una festa, dove Loftus chiese ad un amico se secondo
lui era possibile indurre sua figlia di 8 anni a credere di essersi persa in un grande
magazzino all’età di 5 anni.
Il padre della bambina aderì alla proposta e iniziò a raccontare a sua figlia Jenny diversi
dettagli convincenti di questa presunta esperienza, finché la bambina finì per sostenere che
lei ricordava l’episodio, osservando che “si era guardata intorno perché non riusciva più a
trovarlo”. Loftus, a questo punto, chiese a Jenny se si era spaventata e la bambina fece
cenno di no col capo. Il padre disse allora che lui si era molto spaventato e la bambina
replicò “Mai quanto mi sono spaventata io” (Loftus & Ketcham, 1994, p. 95). Da questa
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prima esperienza Loftus dedusse che in soli 5 minuti e con poche suggestioni indotte dal
racconto paterno, la bambina aveva accettato ed incorporato un falso ricordo, arricchendolo
di dettagli propri. Questi primi risultati furono poi divulgati per iscritto, prima della
pubblicazione ufficiale -avvenuta nel lavoro di Loftus & Ketcham, 1994-, ad opera di un
giornalista non esperto in materia in un ambiente non scientifico dove avrebbero potuto
facilmente essere fraintesi e manipolati (Goleman, 1992). Loftus fu in seguito aspramente
criticata per non aver adeguatamente protetto risultati di una così ampia portata e per averne
permesso una divulgazione non scientificamente fondata soprattutto considerando la loro
natura preliminare (Crook & Dean, 1999a).
Il due successivi soggetti per le indagini-pilota vennero, invece, reclutati verso la fine del
1991 all’interno dell’università stessa, grazie all’aiuto fornito dagli studenti che seguivano
il corso di Psicologia Cognitiva tenuto da Loftus (essi ricevettero per la partecipazione alla
ricerca un credito formativo extra). Due degli studenti che aderirono alla proposta di ricerca
produssero l’evidenza che Loftus cercava: riuscirono a convincere i loro fratelli –
rispettivamente uno di 8 e l’altro di 14 anni– di avere vissuto una falsa esperienza risalente
all’età di 5 anni (sempre relativa all’essersi persi in un grande magazzino).
Successivamente furono reclutati altri due soggetti, in questo caso adulti (quarto e quinto
soggetto pilota), per verificare se potevano essere replicati i risultati ottenuti fino a quel
momento con bambini (Loftus & Ketcham, 1994).
Ottenuta il 10 agosto del 1992 l’approvazione al protocollo sperimentale da parte
della University of Washington Human Subjects Committee, Loftus diffuse gli esiti di tutte
queste indagini preliminari con una comunicazione presentata all’American Psychological
Association (APA) il 14 agosto del 1992, dove sostenne che è possibile instillare nella
mente delle persone interi falsi ricordi di esperienze infantili di natura lievemente
traumatica (Loftus, 1992; pubblicati poi in Loftus, 1993a). In questa comunicazione Loftus
si concentrò sulla descrizione del caso di Chris, il fratello quattordicenne di uno dei suoi
due studenti, a cui il falso ricordo era stato impiantato prima dell’approvazione formale del
protocollo sperimentale. Oltre a questo, Loftus fu criticata per avere omesso di specificare
che questi dati erano stati ricavati nel contesto di un’esercitazione relativa al suo corso
all’università e per averli presentati come se fossero stati sviluppati all’interno di una
ricerca pilota sostenuta da un progetto appositamente predisposto e da adeguati controlli
sperimentali (Crook & Dean, 1999a).
In quella sede Loftus spiegò come, dopo aver ricevuto la suggestione da parte del fratello,
Chris avesse riferito in dettaglio il ricordo di un’esperienza infantile che non aveva in realtà
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mai vissuto. L'effetto della potente suggestione derivava dal fatto che una persona
significativa, in questo caso il fratello, raccontava e sosteneva con forza di ricordare che
Chris a 5 anni si era perso in un grande centro commerciale per un periodo prolungato di
tempo. L’effetto suggestivo fu evidente non solo perché Chris produsse un racconto
dettagliato e ricco della vicenda, in due interviste successive, ma valutò anche la chiarezza
del proprio ricordo come molto elevata, proprio come se ritenesse di averlo realmente
vissuto (8 su una scala da 1 a 11) (Loftus & Ketcham, 1994).
A partire da questo risultato su un singolo soggetto, Loftus e coll. hanno cercato di
perfezionare il paradigma di ricerca facendo leva sul potere persuasivo derivante
dall'affidamento che abitualmente si ripone sul giudizio/ricordo di una persona
affettivamente importante (per questa seconda replica non è stata richiesta l’autorizzazione
alla Commissione Etica per le variazioni apportate al protocollo). Se la conferma di un
evento da parte di un’altra persona costituisce una tecnica per instillare ricordi di esperienze
non vissute, quando la fonte esterna è una persona significativa l’effetto risulta rafforzato
(Loftus, 1997b). Il gruppo di ricerca afferente alla Loftus ha cercato di sistematizzare i
risultati, mostrando come l'esempio di Chris non fosse isolato o determinato da particolari
condizioni psicologiche (quali forme profonde di suggestione o di regressione ipnotica,
come era avvenuto in qualche precedente caso - vedi Erikson & Rossi, 1989 e Spanos et al.,
1991a), ma fosse un effetto non straordinario che poteva essere riscontrato in una
percentuale di soggetti pari a circa il 25 % (Loftus & Pickrell, 1995; Mazzoni et al., 1999).
Lo studente Jim Coan, fratello di Chris, venne in seguito nominato dalla commissione etica
come co-investigatore per lo “shopping mall study” e nella sua tesi (1993) riportò i risultati
ottenuti con 10 dei partecipanti che completarono la prima fase della ricerca (rievocazione
scritta) e 6 che parteciparono anche alla seconda (prima intervista orale). Ma non vi fu mai
una sufficiente chiarezza circa l’uso che Loftus fece in seguito di questi dati e soprattutto
circa il motivo per il quale ad un certo punto essi siano stati ignorati (Crook & Dean,
1999b).
E’ quindi solo nel 1995 che Loftus & Pickrell condussero una replica dello studio
pionieristico di Chris con un campione più esteso composto da 24 soggetti (3 uomini e 21
donne), lavoro che a tutt’oggi viene considerato il primo vero studio strutturato con il
paradigma del falso ricordo. Ai soggetti veniva dato un modulo scritto contenente un breve
racconto di tre episodi reali raccontati dai loro parenti e la descrizione di un falso evento
costruito sulla base di precise informazioni sempre ottenute dalla famiglia dei soggetti.