Gestalt
1.1 Cenni storici sulla psicologia della forma
La psicologia della forma trae le sue origini da uno studio di von Ehrenfels sulle qualità
formali del 1890. Ehrenfels nota che determinati oggetti percettivi, pur potendo essere
vissuti soltanto sulla base di date sensazioni, non sono propriamente costituiti da quelle
sensazioni: tanto è vero che si può mutare l’insieme dei dati sensoriali lasciando
invariato il percetto (principio della trasportabilità delle qualità formali). Negli anni
attorno al 1900 la scuola di Graz costituisce una complessa dottrina per l’interpretazione
della genesi di questi oggetti percettivi particolari. Gli psicologi appartenenti a questa
scuola applicano in ricerche sperimentali i punti di vista teorici di tale dottrina. Tra questi
ricordiamo Benussi, il quale va tuttavia assumendo una posizione indipendente. Benussi
pone alla base dei suoi lavori sperimentali il fenomeno della plurivocità formale (a parità
di condizioni fisiche e fisiologiche, l’aspetto vissuto della forma può variare), di qui deriva
la necessità di attribuire la percezione della forma a fattori centrali agenti fuori dal livello
della sensorialità. Grazie a Benussi, il problema della percezione della forma diviene
l’oggetto principale delle ricerche di molti psicologi. Una posizione particolare assume in
tali ricerche il contributo di Wertheimer, Köhler e Koffka che nel 1911 costituiscono un
nuovo indirizzo denominato Gestaltpsychologie, ovvero psicologia della forma. Nasce
dunque una nuova scuola che fa capo all’istituto di psicologia dell’università di Berlino.
Wertheimer si distingue per gli studi condotti sul movimento apparente (fenomeno ):
egli concentra la sua attenzione su ciò che accade nel sistema nervoso centrale quando
una pluralità di stimolazioni dà origine all’unità di una forma cinetica. Anche la psicologia
della forma subisce, all’avvento del nazismo in Germania, le conseguenze
dell’intolleranza del nuovo regime. La maggior parte degli studiosi appartenenti a questo
indirizzo deve, per motivi razziali o politici, abbandonare il paese e rifugiarsi in altri stati
(per lo più negli Stati Uniti).
1.2 La nascita della Gestalt come opposizione alla psicologia atomistica
(il fenomeno della costanza)
Non si può comprendere lo sviluppo della psicologia della forma che come movimento
opposto alla cosiddetta psicologia atomistica. Il modo di pensare atomistico immagina il
mondo come composto da elementi minutissimi e non divisibili, di conseguenza
l’organismo viene rappresentato come un aggregato di questi elementi, cioè le cellule.
Una volta capita la funzione della singola cellula, la comprensione della funzione
dell’organismo totale risulta automaticamente per addizione. Secondo questa teoria,
l’elemento base dei movimenti dell’organismo è il riflesso. I riflessi posseggono struttura
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costante e presentano reazioni costanti agli stimoli ambientali. La psicologia atomistica
si merita il rimprovero di essere meccanica poiché in un organismo controllato
esclusivamente dai riflessi, tutto ha l’aspetto di una macchina. Le impressioni percettive,
secondo questo modo di pensare, provengono dalla somma delle eccitazioni degli
elementi sensitivi singoli. Per la psicologia della forma invece, il tutto è più della somma
delle singole parti e non nient’altro che la somma di queste parti (come per la psicologia
atomistica). La psicologia della forma nega la validità della teoria dei riflessi poiché non
c’ècorrelazionestabiletraundeterminatostimoloambientaleelapercezionesensoriale
che ne consegue, infatti stimoli diversi possono dare esito allo stesso percetto. Se ad
esempio guardiamo una forma geometrica inclinata nello spazio, questa risulta distorta
(un cerchio appare come un ovale); la percezione che abbiamo di tale forma geometrica
rimane però la stessa (continuiamo a percepire un cerchio e non un ovale). Grazie a tale
caratteristica del nostro sistema percettivo, noi veniamo informati sulle vere proprietà
degli oggetti del nostro ambiente. Se la forma degli oggetti cambiasse continuamente a
seconda della loro inclinazione rispetto all’asse ottico (cosa che succede in realtà con le
immagini retiniche), allora il nostro orientamento nel mondo sarebbe seriamente
compromesso, vivremmo il mondo delle forme non più come ordine, ma come caos. Nel
caso sopra citato, la forma geometrica rimane dunque immutata a prescindere dalla sua
posizione di fronte all’osservatore: ciò viene definito come fenomeno della costanza e
precisamente come costanza di forma. Il processo di percezione degli oggetti nel nostro
ambiente è definito, oltre che dalla costanza di forma, anche dalla costanza di dimensioni
e dalla costanza di colore. Ecco quello che significa costanza di dimensioni: se
avviciniamo e allontaniamo dai nostri occhi una forma geometrica qualsiasi, questa ci
appare sempre delle stesse dimensioni; tuttavia le dimensioni dell’immagine retinica
variano in modo considerevole. Dunque le dimensioni percepite di un oggetto appaiono
ampiamente indipendenti dalle dimensioni dell’immagine retinica. Parliamo adesso della
costanza di colore: portando un oggetto di un dato colore da un punto scarsamente
illuminato del nostro ambiente a un altro punto ben illuminato, la percezione cromatica
che ne ricaviamo rimane immutata; eppure la quantità di luce riflessa dall’oggetto varia
enormemente così come varia la quantità di luce che arriva sulla retina. Pertanto
l’impressione che abbiamo del colore di un oggetto è ampiamente indipendente dalle
condizioni di eccitamento retiniche. Il fenomeno della costanza (di forma, di dimensioni e
dicolore)caratterizzaogninostraesperienzavisivaaprescinderedalfattocheforma,
dimensioniocolorediundatooggettosianostativistiinprecedenza,ilfenomenodella
costanza è quindi indipendente dall’esperienza passata dell’osservatore. Ciò si spiega col
fatto che l’uomo possiede l’impulso innato a costituire gli oggetti in unità ed è quindi
capace di percepire oggetti come unità prima ancora di sapere di che cosa si tratti:
riusciamo a distinguere un oggetto nello spazio quando siamo in presenza di unità
chiuse. Tornando al pensiero sopra menzionato, cioè che la psicologia della forma nega
la correlazione stabile tra un determinato stimolo ambientale e la percezione sensoriale
che ne consegue (teoria dei riflessi), scopriamo dunque che ciò che determina
l’impressione percettiva che proviamo in un punto circoscritto del campo visivo è lo stato
eccitatorio globale del campo visivo (influenza del contesto su un elemento ad esso
appartenente).
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1.3 Leggi dell’organizzazione del campo visivo
Per investigare i fattori che determinano l’organizzazione del campo visivo in unità
separate autonome, la psicologia della forma si serve di figure ottiche semplici, per lo
più costruite con punti e linee. Questa scelta è legata al fatto che in tali circostanze si ha
una comprensione immediata del fenomeno: utilizzando immagini più complesse il
carico informativo aumenta e con esso aumenta anche la probabilità di rendere caotica la
percezione, in tali condizioni l’assimilazione di un concetto diventa infatti più
problematica. Secondo la psicologia della forma si percepisce attraverso schemi innati,
che non derivano cioè dall’esperienza condotta da un individuo nell’arco della sua
esistenza, di cui è possibile studiare le proprietà. Gli psicologi della Gestalt hanno
postulato l’esistenza dei principi di organizzazione percettiva per rendere ragione del
perché certe percezioni sono più probabili di altre. Ecco allora le condizioni più
importanti per la genesi di forme ottiche:
1. Legge della vicinanza – Le parti di un insieme percettivo vengono raccolte in unità
corrispondenti alla minima distanza.
2. Legge della somiglianza – Se lo stimolo è costituito da una moltitudine di elementi
diversi, si manifesta una tendenza a raccogliere in gruppi gli elementi tra loro simili.
3. Legge della chiusura – Le linee delimitanti una superficie si percepiscono come unità
più facilmente di quelle che non si chiudono.
4. Legge della curva buona o del destino comune – Quelle parti di una figura che
formano una curva buona o hanno un destino comune si costituiscono in unità con
facilità maggiore che le altre. Questa legge impedisce frequentemente che parti
appartenenti a oggetti diversi si fondano in unità, o in altre parole, ci aiuta a vedere
separatamente oggetti che si trovano in contatto ottico tra loro. E ciò appunto perché i
contorni di quelle parti dei vari oggetti non si congiungono in una curva buona, ed
hanno cioè destini diversi.
5. Legge del moto comune – Si costituiscono in unità quegli elementi che si muovono
insieme e in modo simile, o generalmente, che si muovono a differenza di altri fermi.
6. Legge dell’esperienza – Qualora gli stimoli siano parti di una configurazione familiare,
e perciò ben conosciuta, tenderanno ad organizzarsi in unità. Questa, tra le leggi, è
l’unica che non si riferisce agli schemi innati sopra menzionati, proprio perché implica
per definizione la riconoscibilità di una forma in base all’esperienza di un individuo
nell’arco della sua esistenza.
7. Legge della pregnanza – Le forme più regolari, più semplici, più simmetriche sono
quelle che andranno a costituirsi in unità nel campo percettivo. Dunque tra le varie
organizzazioni geometricamente possibili, prevale quella percettivamente più stabile,
cioè che ha maggiore probabilità di essere individuata agli occhi di un osservatore. Le
caratteristiche basilari di una forma pregnante sono la semplicità, l’ordine, la
simmetria, la regolarità, ma soprattutto la coerenza strutturale e il carattere unitario:
ciò si verifica quando siamo in presenza di oggetti percettivi costruiti secondo un
medesimo principio in tutte le loro parti.
Vengono proposti adesso degli esempi pratici che mostrano l’applicazione di ognuna di
queste leggi.
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