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argomentazione su giudizi di carattere morale e sull’isolamento di elementi ritenuti
turpi o scandalosi, utili solo in parte al lavoro di ricostruzione.
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La seconda tradizione teatrale è quella dell’Odin Teatret, il teatro laboratorio creato da
Eugenio Barba e da un piccolo gruppo di attori scandinavi rifiutati dalle scuole di
teatro. L’Odin da più di trent’anni ha sede in un piccolo centro danese, Holstebro, e
negli anni settanta ed ottanta è diventato uno dei più importanti punti di riferimento
per la ricerca e l’innovazione del teatro europeo ed asiatico.
Per prima cosa vorrei specificare perché ho utilizzato, ed utilizzerò nel corso della mia
esposizione, i termini “tradizione dell’Odin”, “cultura” e “sapere” teatrale dell’Odin,
termini apparentemente giustificati solo a condizione di una longevità ben maggiore
rispetto ai poco più di quarant’anni della compagnia diretta da Barba.
In realtà uno degli obiettivi e delle ambizioni dell’Odin Teatret fu quello di creare una
tradizione ex novo, creare nuove radici, nuove fondamenta, per sviluppare una cultura
teatrale propria. Il tentativo fu quello di liberarsi dai vincoli formali del teatro di
tradizione occidentale, e nello stesso tempo di non inserirsi nelle correnti
d’avanguardia, vincolate a loro volta dall’opposizione al teatro comunemente definito
“borghese”. La compagnia formatasi per la prima volta in Norvegia intendeva, forse
più semplicemente, cominciare daccapo, rompere clichè, formalismi e concettualismi
e cominciare a produrre teatro nel pieno della propria libertà creativa a partire dalla
figura e dal lavoro dell’attore.
Senza arrogarsi il diritto di dar giudizi in merito all’opera dell’Odin Teatret, e tanto
meno voler trarre conclusioni (peraltro fuori luogo, dato che l’Odin gode attualmente
di ottima salute), tuttavia possiamo dire che il percorso e gli anni di duro lavoro, hanno
portato in effetti alla costruzione di una cultura e di una tradizione, come era negli
obiettivi iniziali. Una tradizione che non cessa di svilupparsi e prendere
coraggiosamente strade nuove, perché il teatro, e questo è una delle poche
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Anche se Taviani stesso in: Ferdinando Taviani, Mirella Schino, Il Segreto della Commedia dell’Arte, La Casa
Usher, Firenze 1982, riconosce in alcuni di questi documenti una maggiore validità rispetto ai primi.
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consapevolezze alla base della cultura di questa compagnia, “non è fatto di pietre e di
mattoni, ma della vita, del corpo e dell’anima della gente che ci lavora”
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.
Cosa può spingere a mettere a confronto Odin Teatret e commedia dell’arte, quale il
fine di tale operazione, e quali gli effetti pratici?
Recenti studi, grazie allo sviluppo dell’antropologia teatrale come nuova chiave di
lettura sul mondo del teatro, hanno permesso di mettere a confronto tradizioni teatrali
remote, ed indagare sulle basi della loro cultura attoriale. In particolare gli studi
condotti nell’ambito dei seminari dell’ISTA, International School of Theatre
Anthropology, fondata da Barba stesso e da lui definita come una “università
itinerante di attori ed allievi nel campo dell’antropologia teatrale”, hanno avuto
l’effetto di indagare sui “principi-che-ritornano”, su problemi e presupposti delle
tecniche di recitazione simili o addirittura identici nelle diverse aree geografiche o
periodi storici.
L’antropologia teatrale, in particolare attraverso gli studi di Taviani
5
e de Marinis
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, si è
occupata fin da principio della commedia dell’arte, individuando in questa tradizione
caratteristiche di codificazione e ricerca a livello pre-espressivo particolarmente
rilevanti, soprattutto perché inserite nella tradizione dell’attore europeo occidentale, in
genere molto attento alla voce, ma nello stesso tempo oscillante tra l’anarchico e
l’analfabeta nella gestione dell’espressività corporea.
Parallelamente è proprio il lavoro sul linguaggio del corpo degli attori dell’Odin
Teatret, e la successiva osservazione di punti di coincidenza con gli attori di tradizioni
asiatiche che spinge Eugenio Barba ad approfondire le tematiche dell’antropologia
teatrale. Concentrandosi sulle singole parti del corpo degli attori asiatici (danzatori
balinesi, attori di teatro No, danzatori Orissi ed altri), notò che “gli attori e danzatori
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Concetto citato da E. Barba in numerosissimi suoi scritti ed interviste
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Farò riferimento in particolare a: Ferdinando Taviani, Mirella Schino, Il Segreto della Commedia dell’Arte, La
Casa Usher, Firenze 1982.
Ferdinando Taviani ha inoltre partecipato alla prima sessione dell’ISTA nel 1980 ed alle successive negli anni
1981, 1985, 1992, 1994, 1998, 2000, 2005, contribuendo inoltre alla stesura del dizionario di antropologia
teatrale Anatomia del Teatro, a cura di Nicola Savarese, La Casa Usher, Firenze 1983. Dal 1975 collabora
stabilmente con l’Odin Teatret in qualità di consulente letterario.
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Farò riferimento in particolare a: Marco De Marinis, Capire il Teatro, Bulzoni, Roma 1999, capitoli IV eV.
Marco De Marinis ha inoltre partecipato alle sessioni dell’ISTA del 1995, 1998, 2004.
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asiatici recitavano e danzavano con le ginocchia piegate esattamente come i miei attori
dell’Odin Teatret”. “Così”, continua Barba, “mi si rivelò il primo principio
dell’antropologia teatrale: l’alterazione dell’equilibrio”
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.
E’ quindi attraverso i principi dell’antropologia teatrale che intendo procedere per
questo breve confronto, cercando di “spingere lo sguardo al di là della superficie
tecnica e dei risultati stilistici”
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propri delle due tradizioni.
Dietro questa breve trattazione sta la curiosità di indagare sotto un unico punto di vista
due realtà che, nell’ambito del teatro europeo, si caratterizzano per una “diversità”
profonda e non solo formale, che in qualche modo ne è il presupposto creativo ed
operativo.
Dal confronto con le radici della diversità spero possano nascere indicazioni utili,
stimoli, spiragli attraverso cui lanciare lo sguardo sulle infinite possibilità del teatro
cercando di individuare quali possano essere le leve da smuovere per deviare la
creatività al di là dai comodi tragitti del già fatto o dell’adeguamento, verso spazi
nuovi, difficili e del tutto sconosciuti.
Infine le cause e le finalità pratiche che mi hanno condotto a questo. Mi sono trovato
nell’esigenza, per l’estate 2005, di creare un laboratorio di teatro per alcuni ragazzi e
bambini di Bucarest conosciuti in una lunga e tuttora viva esperienza di volontariato
sociale. Né io né loro avevamo esperienze organiche di teatro alle spalle. Ho pensato
che potesse essere sensato ed alla nostra portata, dare allo spettacolo che ne sarebbe
scaturito un tema o una traccia narrativa che fosse semplicemente un contenitore per le
loro doti mimiche, di improvvisazione, e per qualunque altra risorsa spettacolare
potessimo mettere sul palco a partire dalla nostra esperienza. La commedia dell’arte
mi sembrava un contenitore ideale per fornire una base comune al lavoro del gruppo,
ed ho deciso di approfondire il discorso. Ben presto mi sono accorto che tutta la
faccenda non era semplice come me l’ero figurata: è caduto quasi immediatamente di
fronte ai miei occhi il mito di una commedia dell’arte viva di uno spontaneismo naif e
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E. Barba, La Canoa di Carta, Il Mulino, Bologna 1993, pag 18.
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E. Barba, La Canoa di Carta, Il Mulino, Bologna 1993, pag 20.
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ridanciano, sul quale contavo tanto, ed è stato sostituito dall’immagine più pertinente
della Commedia dell’arte come genere dalla profonda tradizione, caratterizzato da una
specializzazione dell’attore impossibile da improvvisare per non addetti ai lavori.
Continuando a lavorare per la progettazione di questo laboratorio, e parallelamente per
la tesi universitaria, ho incontrato prima l’antropologia teatrale, e di seguito l’Odin
Teatret. L’operazione di mettere a confronto i due estremi mi ha consentito, come
nella teoria, così anche nella pratica, di “guardare oltre” le specificità stilistiche; il che
è risultato indispensabile per ricuperare, dall’esperienza della commedia dell’arte
come da quella dell’Odin Teatret, principi ed elementi utili anche alla breve esperienza
che mi accingevo a realizzare in Romania.
Abbiamo realizzato il laboratorio nell’estate 2005, in circa venti pomeriggi di lavoro
insieme con un gruppo di giovani e giovanissimi aspiranti attori (dagli otto ai quindici
anni). Abbiamo lavorato secondo le nostre possibilità sugli stessi principi che tratterò a
livello teorico in questa tesi (pre-espressività, alterazione dell’equilibrio, corpo
dilatato, reattività, montaggio), per arrivare alla costruzione di un breve spettacolo che
nella sua imperfezione è riuscito a non cadere nel più grande pericolo che gli si parava
innanzi: quello di degenerare, anche solo per le sensazioni suscitate nello spettatore,
da un fatto di teatro ad una specie di recita scolastica vecchio stile, con i bambini che
ripetono la lezione impagliati in scomodi costumi. Tutto ciò a dimostrare che questo
studio ha avuto un’utilità pratica, e continuerà ad averne nella mia modesta pratica di
teatro; e, forse, potrà essere d’aiuto anche ad altri, specialmente a quanti si accingano a
tentare un palcoscenico a partire dalla mia medesima condizione di ignoranza.
L’intento di questa trattazione è quello di evidenziare elementi comuni alle due culture
teatrali, e per conseguenza rimarranno in secondo piano le profonde differenze. In
particolar modo rimarranno ai margini della trattazione molti elementi della superficie
spettacolare, per privilegiare un’analisi delle fasi di formazione dell’attore, dei codici
recitativi, di costruzione dello spettacolo.
E’ inoltre opportuno, per quanto ovvio, ricordare che il paragone sarà sempre
asimmetrico, avendo da una parte un genere teatrale (la commedia dell’arte) praticato
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da molte compagnie ed in epoche diverse, mentre dall’altra abbiamo una compagnia
(l’Odin Teatret) che ha creato un genere proprio e fortemente personalizzato.