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1. Chi era Tito.
Tito, il cui vero nome era Josip Broz, figlio di Franjo e Marija, nacque nel villaggio di Kumrovec,
in Croazia, il 7 maggio 1892; come tutti i suoi parenti venne battezzato ed educato nella fede
cattolica; dopo aver frequentato la scuola elementare del villaggio, la abbandonò all’età di 13 anni
per entrare a lavorare nella fattoria del padre. Passati tre anni nell’azienda agricola, Franjo Broz,
decise di mandare il giovane Josip al di fuori del villaggio perché cercasse un lavoro che gli
permettesse di guadagnare di più e di inviare i soldi alla famiglia. Non potendosi, il padre,
permettere di acquistare il biglietto per mandarlo negli Stati Uniti, fu indirizzato nella città di Sisak
dove trovò lavoro presso un fabbro come apprendista. Nell’autunno 1910, ormai diciottenne, Josip
Broz, concluse il suo apprendistato ottenendo la qualifica di operaio metallurgico specializzato;
giunto a conoscenza che una fabbrica di Zagabria cercava operai metallurgici, decise di recarvisi,
nonostante bramasse dal desiderio di tornare nella natia Kumrovec. Dopo alcune peregrinazioni,
sempre in cerca di lavoro, arriva nel 1912 alla fabbrica di automobili di Stoccarda; da qui comincia
a muovere i suoi primi passi nell’ambito della politica sindacale divenendo rappresentante del
partito socialista presso l’Austro-Daimler; da ricordare comunque che già nella fabbrica di Zagabria
era entrato a far parte del movimento socialista dei lavoratori. Al compimento del ventunesimo
anno d’età, nel 1913, viene chiamato a prestare servizio militare nell’esercito imperiale austriaco,
dove grazie alla sua intelligenza ben presto acquisterà il grado di sottufficiale. Nel 1914, allo
scoppio della prima guerra mondiale, viene inviato con il proprio reggimento dapprima sul fronte sud,
dove le truppe austroungariche combattono contro i serbi, quindi nei Carpazi, dove hanno luogo duri
combattimenti contro i russi ed in quest’occasione viene gravemente ferito ed arrestato dai sovietici;
dopo un periodo di detenzione, nel 1917, allo scoppio della Rivoluzione d'ottobre, Tito si schiera con i
bolscevichi e presta servizio in un'unità della Guardia rossa internazionale; dopo quest’esperienza
compie il suo ingresso nel partito comunista, e nel 1920 ritorna a Zagabria dove continua a lavorare come
operaio metallurgico, ma presta anche la propria attività come funzionario nel neocostituito Partito
Comunista jugoslavo, alla cui fondazione partecipa, lavorando in pari tempo per i sindacati. Quando
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però,nel 1921, il Partito Comunista viene dichiarato illegale, Josip Broz continua ad operare in
clandestinità; egli svolge diverse funzioni sindacali e di partito: segretario del sindacato dei lavoratori
metallurgici della Croazia oltre che dell'associazione dei lavoratori dell'industria del cuoio; diviene
in seguito membro e quindi segretario del Comitato cittadino del Partito Comunista di Zagabria.
Dopo cinque anni in carcere a causa di una presunta combine a suoi danni, Broz, nel 1934, riprende la sua
attività clandestina e giunge ad essere membro del Comitato regionale della Croazia; da qui raggiunge la
Russia, passando per l’Austria, dove diviene nello stesso anno componente del Comitato Centrale del
politburo del P.C.J.. Diventato ormai segretario del Comitato Centrale, nel 1937, riesce a compiere la
definitiva ascesa ai vertici della vita politica divenendo leader del Partito Comunista jugoslavo.
1.1. Lotta per la guida del P.C.J.
La situazione nella quale versava il partito comunista jugoslavo era caratterizzata da una serie di lotte
intestine, tanto che il Komintern, ovvero l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, nel
1936, decise di mettere un freno a questi contrasti convocando i membri del Comitato Centrale a Mosca.
Tutti i membri più influenti, tranne Gorki e Tito, vennero esautorati; il Komintern formò la nuova
direzione comunista jugoslava:
• Gorki fu incaricato di dirigere il segretariato politico del Partito;
• Tito fu insignito della direzione del segretariato organizzativo.
La situazione creata dai vertici di Mosca però, non risultò essere molto stabile, tant’è vero che quasi
da subito cominciarono a verificarsi dei dissensi anche tra i due capi. Il primo era convinto, che a
causa del regime terroristico presente in Jugoslavia, per via delle persecuzioni perpetrate dal re
Alessandro I nei confronti dei reazionari e dei comunisti, fosse necessario che il Comitato Centrale
rimanesse all’estero; per il secondo era fondamentale che i dirigenti del Partito tornassero in patria,
come desiderava la stragrande maggioranza degli iscritti alle organizzazioni clandestine.
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Anche questa divergenza venne risolta dal Komintern; il Comitato Centrale venne scisso in due
parti: da una parte Gorki che rimaneva all’estero e dall’altra Tito al quale fu assegnato il compito
di operare in Jugoslavia.
In patria però, Tito non trovò una situazione semplice. In seguito all’assassinio del re Alessandro I,
da parte di un gruppo di ustascia croati, il suo successore, il principe Paolo, che aveva concesso
alcuni diritti politici al popolo con lo scopo di instaurare un sistema democratico parlamentare da
lui guidato, mantenne comunque viva la persecuzione nei riguardi dei comunisti. L’attività di Tito
era dunque rivolta a modificare questo stato di cose, fra l’altro, per depistare la polizia inventò
nuovi metodi di reclutamento ai fini di evitare la cattura dei vari militanti clandestini.
Nonostante questi sotterfugi, la riorganizzazione del Partito procedeva con grandi difficoltà, non
solo per via delle persecuzioni della polizia, ma anche per via della mancanza di coordinazione fra
Gorki e Tito; questo perché le loro ambizioni erano nettamente diverse: mentre il primo tentava di
ottenere al fiducia dei capi del Komintern e di quelli del Cremlino, il secondo cercava di
conquistarsi quella degli aderenti al Partito. Questa disputa tra i due si inasprì a tal punto da rendere
impossibile ogni tipo di collaborazione; il Komintern decise allora di intervenire convocandoli
entrambi a Mosca. Giunto a Mosca, Tito seppe dell’arresto di Gorki, e ricevette dal presidente del
Komintern, Dimitrov, il compito di essere lui il leader del Partito Comunista jugoslavo. Tale
assegnazione segnò la fine dei vecchi quadri dirigenziali del Partito.
1.2. Segretario del Partito.
Tornato in Jugoslavia, nel 1938, il compito di riorganizzare il nuovo P.C.J. non risultò essere
certamente facile; le organizzazioni di base erano poche e i Comitati provinciali incompleti: Tito
scelse i suoi più stretti collaboratori fra gli ex detenuti, che risultarono essere uomini di grande
fermezza morale e abilità nelle attività sovversive. Fra i suoi collaboratori si distinsero presto
Aleksander Rankovi, Edvard Kardelj, Milovan ilas, e Ivo-Lola Ribar.
Tito impostò gli obbiettivi del suo operato, e gli scopi da raggiungere furono i seguenti:
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• espellere dai quadri gli elementi infidi;
• instaurare una ferrea disciplina in tutti gli organi del partito.
I meriti di Tito non vanno ricercati solo nella capacità di cambiare i metodi della lotta, ma anche
nella capacità di creare nuovi obbiettivi politici. Invece della distruzione della compagine degli slavi
meridionali, a cui miravano i sovietici, egli rivalutò i concetti di Sima Markovi sulla questione
nazionale, difatti sotto la guida di Tito i comunisti jugoslavi divennero paladini della fratellanza fra
serbi, croati, sloveni e macedoni e la Jugoslavia divenne la loro principale patria per la quale
dovevano lottare. Il Komintern non oppose resistenza alle attività di Tito, poiché Stalin, dopo
l’avvento di Hitler in Germania, si rese conto della pericolosità del nazismo, individuandolo come
primo dei problemi al quale rivolgere la propria attenzione e per ostacolare il nazionalsocialismo
tedesco pensò bene di cercare alleati anche nel settore balcanico.
Tito sfrutto abilmente questa situazione e riuscì ad avvicinarsi ad elementi della sinistra
democratica e, manovrando con slogan patriottici, riuscì ad accattivarsi le simpatie dei giovani degli
ambienti universitari. Con l’aumento degli iscritti e dei simpatizzanti, il partito riuscì finalmente a
liberarsi della dipendenza materiale da Mosca, punto al quale Tito teneva molto. Egli difatti aveva
ordinato che ogni membro del partito versasse una regolare somma di denaro in modo tale che esso
potesse disporre di proprie risorse finanziarie.
A Mosca erano soddisfatti dell’operato di Tito, ma ben presto si verificò una situazione inaspettata.
Il 23 agosto 1939 Stalin e Molotov, firmarono, tra la Russia e la Germania, un patto di non –
aggressione, cosa che spiazzò notevolmente il segretario generale del P.C.J.. A questo punto Tito,
trovatosi in una situazione di imbarazzo di fronte ai suoi membri di partito, per via dell’azione di
Stalin, venne convocato a Mosca per discutere con Dimitrov la linea da mantenere per togliersi da
questo grave impaccio. Egli, inizialmente, approvò il trattato del 23 agosto, ma la Jugoslavia
continuò a seguire la vecchia linea di condotta; fu lo stesso Tito ad affermare che gli jugoslavi
approvavano questo patto sovietico–tedesco solo perché ritenevano che tale mossa diplomatica
avrebbe facilitato il mantenimento della pace nei Balcani. Questa però, risultò essere solamente una
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situazione di calma apparente, poiché nel dicembre 1939 il Comitato Centrale del Partito criticò
aspramente il patto di non aggressione ed in occasione dell’anniversario dell’accordo Ribbentrop–
Molotov, i comunisti jugoslavi distribuirono migliaia di volantini per il paese nei quali si accusava
il principe Paolo di voler assoggettare il suo regno alla Germania nazista.
2. La guerra.
Alla fine degli anni ’30, la situazione in Europa cominciò a diventare profondamente instabile.
Con la presa del potere da parte di Hitler in Germania, si cominciò subito a registrare una serie di
situazioni che sarebbero poi state le cause ultime dello scoppio della seconda guerra mondiale. Egli
diede inizio alla sua opera di conquista dell’Europa continentale, distruggendo per prima la
Cecoslovacchia, della quale reclamava il territorio dei Sudeti, vista la numerosa presenza di
popolazione tedesca al suo interno, poi passando all’invasione vera e propria della Polonia, nei
confronti della quale rivendicava il possesso del corridoio di Danzica, zona di terra che separava la
Prussia orientale dal resto della Germania. Quest’ultimo evento può essere indicato come il
principale fattore scatenante del secondo conflitto bellico mondiale. Da qui in poi, gli equilibri
dell’Europa e del resto del mondo sarebbero cambiati in maniera radicale.
Per quanto riguarda la situazione politico–militare della zona balcanica, nei primi anni di guerra la
Jugoslavia riuscì a mantenersi temporaneamente fuori dal conflitto scatenato da Hitler; i dirigenti
jugoslavi erano persuasi che la Germania sarebbe rimasta impegnata in una guerra di logoramento
contro la coalizione anglo-francese, e pertanto, ciò avrebbe facilitato la politica di neutralità dei
paesi balcanici; ma la clamorosa disfatta della Francia, nell’estate 1940, e la difficile situazione
dell’Inghilterra, resero Hitler padrone dell’Europa continentale. A questo punto i Balcani divennero
una zona molto calda, soprattutto quando Mussolini aggredì la Grecia; il principe Paolo, reggente
jugoslavo, giunto ad una tale situazione, si trovò di fronte ad un bivio: entrare nell’orbita della
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Germania e dell’Italia, o subire l’invasione del proprio paese da parte di queste ultime. Dopo molte
valutazioni, il governo jugoslavo, il 25 marzo 1941, decise di aderire al Patto tripartito.
Durante i negoziati tra Belgrado e Berlino concernenti la posizione della Jugoslavia nei confronti
delle Potenze totalitarie, Tito, capo delle forze partigiane, fedele alla lotta antinazista e antifascista,
attizzò lo spirito patriottico del suo popolo contro Hitler e Mussolini e nell’ottobre 1940 convocò a
Zagabria il “plenum” del Comitato Centrale del Partito Comunista per discutere due argomenti di
grande importanza:
• politica estera;
• ulteriore rafforzamento del Partito.
Su proposta di Tito fu votata una risoluzione in cui si definiva la capitolazione del governo
jugoslavo nei confronti delle Potenze totalitarie come un tradimento del paese. Si estese un appello
alla popolazione, specialmente ai lavoratori, esortando tutti ad unirsi contro i nemici
dell’indipendenza nazionale.
In tale occasione si decise di aumentare il numero degli iscritti al Partito, il quale contava allora
diecimila membri, mentre lo S.K.O.J., organizzazione della gioventù, ne vantava tremila; comunque
ciò che dava il vero peso alla forza del Partito Comunista era lo spirito di grande solidarietà che
univa i suoi membri, nonché la rigorosa disciplina imposta da Tito al suo interno; già allora il
Partito assomigliava per compattezza e combattività ad una milizia bene ordinata; e proprio questa
circostanza sarà decisiva per il successo di Tito e dei comunisti jugoslavi durante la guerra
partigiana.
2.1. Caduta del Governo di Pietro II.
Due giorni dopo l’adesione della Jugoslavia al Patto tripartito, il principe Paolo ed il suo governo
furono rovesciati da un gruppo di ufficiali contrari all’intesa con la Germania di Hitler. Il giovane
Pietro II sostituì lo zio Paolo I al comando del paese e venne formato un governo di coalizione,
presidiato dal generale Šimovi. L’intero paese era in festa per l’improvviso avvenimento e a
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Belgrado, capitale della Jugoslavia, scoppiarono violente manifestazioni antitedesche.Tutto ciò,
nonostante la disponibilità anche del nuovo Governo di venire a patti con i tedeschi e l’Italia, rese
Hitler furibondo, tanto da farlo decidere di cancellare la Jugoslavia dalle carte geografiche. Alcune
ore dopo il “Putch” di Belgrado, egli ordinò ai suoi marescialli di preparare i piani per schiacciare il
ribelle balcanico; intanto i comunisti, senza indugiare presero parte attiva alle manifestazioni
nazionalistiche nella capitale jugoslava.
2.2. Tito prepara i suoi compagni alla prima resistenza.
Arrivato a Belgrado il giorno dopo il Putch, Tito, in una riunione tenutasi a casa di uno dei
principali dirigenti del partito, Lazar Kovaevi, invitò i suoi collaboratori a essere molto prudenti.
« Il nuovo governo », egli disse, « è costituito di elementi reazionari e anglofili. Essi non
rappresentano i larghi strati della popolazione, e tantomeno la classe operaia. Non dobbiamo
esagerare la sua importanza. Tuttavia un fatto è certo: la Jugoslavia non farà più parte del Patto
tripartito. Ne seguirà la guerra. Dobbiamo prepararci ad affrontare la minaccia che incombe sul
paese »1
Quando scoppiò la guerra, Tito si trovava a Zagabria nella sua abitazione segreta; non appena venne
informato dell’attacco tedesco lasciò il suo nascondiglio per andare a cercare i membri del
“politburo” che risiedevano a Zagabria. La prima decisione fu quella di distribuire dei volantini che
esortassero i cittadini a difendere la patria. Nonostante l’indescrivibile confusone che regnava nel
paese in seguito all’inatteso attacco di Hitler, Tito riuscì ad inviare istruzioni alle organizzazioni
periferiche:
• sostenere lo sforzo bellico dell’esercito, ma ,nel caso di sconfitta, evitare di essere fatti
prigionieri
• cercare di nascondere armi e munizioni, nonché il materiale sanitario
1
G.Perich; Tito; Longanesi; Milano; 1969; ( pp. 55-56 ).