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nuova disciplina nei programmi scolastici, ma di orientare i curricula all’educazione
ambientale come fattore trasversale, teso ad integrare e caratterizzare l’approccio
culturale ed educativo.
La via alle chiavi di accesso per un futuro sostenibile delle nuove generazioni
va ricercato nelle pratiche quotidiane e negli stili di vita “locali”.
Lo sforzo allo sviluppo di comportamenti coerenti con gli obiettivi non può che
ricadere nella pratica delle scuole, delle classi, dell’ alunno ed è perciò vitale iniziare
proprio dal singolo il percorso di “costruzione” della società sostenibile.
Questo lavoro intende analizzare alcuni documenti internazionali riguardanti
l’educazione ambientale pubblicati nel corso degli ultimi anni, in particolare alcune
indicazioni dell’ONU e le direttive dell’UNESCO relative al “Decennio
dell’educazione allo sviluppo sostenibile”, inoltre riporterà la posizione in proposito
di alcuni studiosi sull’argomento, per giungere, infine, all’analisi critica del progetto
“Eco-school”, che ho coordinato nella mia scuola lo scorso anno, alla luce dei criteri
di qualità presentati dall’Invalsi per le ecoscuole.
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CAPITOLO 1
ORME SULLA SABBIA
Breve storia del pensiero ecologico
Vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra 〔…〕
Un sacrilegio contro la terra è ora la cosa più terribile.
F.NIETSZCHE
La creatura che la spunta contro il suo ambiente
distrugge se stessa.
G.BATESON
Il problema della relazione con la Natura, oggi più attuale che mai, ha
caratterizzato l’evoluzione dell’umanità sin dalla costituzione delle prime comunità
sociali.
Le popolazioni nomadi, di cacciatori e raccoglitori, si muovevano all’interno di
un habitat funzionale alle proprie esigenze di sopravvivenza, come avviene per ogni
altra specie onnivora, ed interagivano con l’ambiente; i gruppi umani, variamente
dispersi e mobili, non si distinguevano, di conseguenza, dagli ecosistemi di
riferimento, ponendosi come loro parte integrante.
Il passaggio dal nomadismo all’agricoltura e alla pastorizia, la necessità di
dover adattare l’ambiente fisico alle esigenze della coltivazione e dell’allevamento, la
sedentarizzazione, la stabilità di comunità via via più allargate, hanno determinato la
spinta alla modificazione dell’ambiente abitativo in termini più efficaci ai fini
dell’organizzazione sociale.
Tuttavia i primi interventi trasformatori dell’habitat non determinavano rotture
e alterazioni, rischiose o definitive, per l’ecosistema all’interno del quale si
realizzavano. In termini ecologici ciò sta a significare che tali azioni modificatrici
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non avevano carattere antagonistico con l’ecosistema in quanto questo continuava a
funzionare armoniosamente, senza veder alterati i cicli vitali indispensabili alla vita e
con essi la catena trofica che la alimenta e la organizza.
Man mano che i gruppi umani si son dati organizzazioni sociali più stabili e
definite si è andato sviluppando un progressivo processo di asservimento reciproco
fra uomo e Natura; si è quindi determinata, fra i due, una relazione simbiotica, per cui
le specie vegetali ed animali selezionate, necessarie all’accrescimento e alla
sopravvivenza dell’uomo, hanno ricevuto da questi protezione e cura .
Tuttavia fino alla rivoluzione industriale gli interventi dell’uomo non hanno
compromesso le funzioni organizzative e rigenerative dell’ecosistema.
Nelle società arcaiche, nelle culture orali tradizionali, le attività sociali erano
determinate ed attuate nell’ambito di un rapporto partecipativo con la natura e
l’individuo viveva un’unione emotiva con essa. Katina Genero Madrigal, nel suo
percorso fra le tribù dell’Africa Occidentale, sottolinea come “ la Natura, qui, è così
presente che non si può definirla; lei stessa si autodefinisce nel suo prorompente
esistere.”
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L’uomo ne usava la forza, ma temendola, dialogava con la sua potenza,
rispettandola e propiziandosene la benevolenza. Le attività sociali ed individuali
erano garantite da una immersione mistico-partecipativa con l’ambiente in cui si
realizzavano e che le circondava in quanto l’uomo stesso ne era, e si percepiva,
parte di esso. Infatti noi facciamo parte della natura, del mondo vivente, eppure la
maggior parte di noi ha perso, come rileva Gregory Bateson, “quel senso di unità di
biosfera e umanità … abbiamo perduto – egli afferma – il totemismo, il senso del
parallelismo tra l’organizzazione dell’uomo e quella degli animali e delle piante.”
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La pericolosa scissione uomo-mondo e la conseguente oggettivazione di
quest’ultimo attraverso l’affermarsi del pensiero antropocentrico, così come il
definitivo passaggio dall’immersione partecipativa all’idea di ‘dominio sulla natura’,
prende le mosse dall’Illuminismo e si realizza concretamente con l’avvento della
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KATINA GENERO MADRIGAL “Tubab. Una danzatrice sulla via dei tamburi” Ananke – Torino 1999
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G. BATESON “Mente e Natura” Adelphi – Milano 1984 – XII Edizione 2004
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Rivoluzione Industriale che lega indissolubilmente la scienza e lo sviluppo
tecnologico all’economia e alla politica.
L’ambiente naturale non è più, irrimediabilmente, un sistema all’interno del
quale ritagliare possibilità di sviluppo e di crescita in termini di circolarità,
retroazione e scambio, ma energia e materia da cui attingere per soddisfare esigenze
di ordine economico e produttivo. Man mano che la soluzione tecnologica si sviluppa
ed accresce il suo legame con le istanze politiche ed economiche aumenta la sua
capacità, non solo di orientare ed influenzare il futuro delle società umane, ma anche
di incidere, a volte in maniera irreversibile, sulla struttura del mondo delineando
impatti genetici ed ambientali talvolta incontrollabili.
L’innovazione scientifico-tecnologica radicale è stata in grado di modificare
profondamente gli stili di vita di aree di popolazione sempre più vaste, ma non
sempre è riuscita a prefigurarne gli effetti futuri su un sistema complesso. I
comportamenti che offrivano vantaggi a breve scadenza sono stati prima adottati e
poi programmati su larga scala, tuttavia sui periodi più lunghi, si sono spesso
dimostrati disastrosi
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. E’ quindi legittimo chiedersi, come fa Leonardo Cannavò,
come possa una scienza, che non è in grado di prevedere i rischi che essa stessa
produce, contribuire ad affrontarli.
I massicci interventi antropici sull’ambiente che si sono andati affermando
dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, sono stati considerati di volta in volta
isolatamente e solo sotto l’aspetto della convenienza economica, senza alcuna
consapevolezza ecologica delle conseguenze dell’azione sull’equilibrio
dell’ecosistema. L’intensificazione e l’estensione dell’agricoltura come
dell’allevamento, l’affermazione delle monocolture, i massicci disboscamenti, non
sono stati giudicati per le possibili perturbazioni, a breve o a lungo termine, che
avrebbero potuto scatenare sull’ambiente, ma esclusivamente riferiti al
conseguimento del benessere umano e del progresso economico che ne poteva
derivare. D’altra parte è facilmente obiettabile che l’aver provocato la
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G. BATESON “Verso un’ecologia della mente” – Adelphi – Milano 1977 – XIX Edizione 2002
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compromissione dei cicli rigenerativi della biosfera, che hanno provocato, ha
prodotto, al contempo, un grave pregiudizio sulle stesse prospettive di vita dell’uomo.
La bomba di Hiroshima ha definitivamente archiviato, in maniera drammatica,
la fiducia positivista in una scienza neutrale, portatrice di rinnovamento, che
affermava l’equivalenza ‘felicità/progresso’. D’altra parte la necessità della
ricostruzione del periodo postbellico e lo sviluppo delle attività produttive si
ponevano come necessità irrinunciabili e le conseguenze sull’ambiente, seppur
inevitabili e riconosciute, vennero considerate trascurabili quando raffrontate ai
benefici dello sviluppo economico.
I ritmi sempre più accelerati della manipolazione ambientale hanno assunto,
nel periodo successivo, dimensioni crescenti e più generalizzate. L’impatto
dell’attività dell’uomo sulla biosfera ha avuto ripercussioni irreparabili sul clima,
sull’atmosfera, sul ciclo dell’acqua e sull’equilibrio originario dell’ecosistema ed ha
determinato un degrado ambientale “che è l’unica dimensione davvero ‘globale’ che
sia dato riconoscere sul pianeta” 〔M.GENNARI 2003〕. La distruzione ambientale può
essere considerata come la fase finale del cammino intrapreso dal pensiero
meccanicistico ed antropocentrico iniziato nel XVIII secolo, a partire dalla
separazione e contrapposizione tra uomo e natura, tra soggetto e mondo.
Dagli anni ’60 del Novecento e ancora di più intorno al decennio successivo,
conseguentemente alle gravi crisi ambientali, l’opinione pubblica ha cominciato a
prendere consapevolezza che gli eccessi tecnologici avevano avuto evidenti riflessi
sulla società e sul benessere della biosfera tali da destare serie preoccupazioni. L’idea
che fosse necessario mettere in atto azioni di protezione dell’ambiente ha cominciato
così a prendere piede, sfociando nelle attività degli ambientalisti, intese a
sensibilizzare l’attenzione della società civile e dei politici sulla gravità del degrado
ambientale.