4
auspicata da Kesserling - del territorio italiano dagli attacchi partigiani e alleati,
definita una difesa “palmo a palmo” (che provò psicologicamente, oltre che
fisicamente, i soldati della Wehrmacht); il metodo di combattimento adottato -
almeno inizialmente - dai partigiani; l’incitamento a compiere massacri venuto
direttamente dai vertici del Reich (e fu uno dei fattori più importanti); il senso di
colpa, dovuto al presunto tradimento, che i neofascisti avevano verso l’alleato
(che portò all’emulazione, e, in alcuni casi, al superamento delle brutalità tedesche
tramite il recupero delle violenze squadriste); la rottura del monopolio statale
della violenza che la guerra, in particolar modo quella (denominata non a caso
“guerra totale”), generalmente determina.
Si procederà poi ad analizzare il conseguente fenomeno delle stragi e delle
rappresaglie, dimostrandone l’assoluta illegittimità giuridica. Sulla base della
storiografia più consolidata verranno inoltre proposte diverse classificazioni del
fenomeno delle stragi sulla base delle otto motivazioni che le determinarono, delle
tre aree geografiche e delle cinque fasi temporali nelle quali si verificarono.
Infine, in base a queste categorizzazioni, si esamineranno concretamente cinque
casi particolari (uno per ogni fase cronologica) - le stragi di Caiazzo, delle Fosse
Ardeatine, di Marzabotto, di Madonna dell’Albero e di Grugliasco - che
metteranno in luce i più significativi caratteri del modus operandi tedesco e le
differenze che segnarono la pratica della violenza nei venti mesi dell'occupazione
e della Resistenza.
5
«Che i pantaloni glieli leviamo noi o glieli
levino gli inglesi è del tutto indifferente.»
1
Adolf Hitler
CAPITOLO 1:
LE MODALITA’ DELL’OCCUPAZIONE
1.1) UN'OCCUPAZIONE PREPARATA
L’8 settembre 1943 è considerato uno dei giorni più significativi della storia
italiana recente. In quella data venne proclamato l’armistizio con gli anglo-
americani, con la conseguente rottura del Patto d’Acciaio, che fino ad allora aveva
legato le sorti dell’Italia fascista a quelle della Germania nazista: lo sbandamento
che ne conseguì - i governanti italiani fuggirono in maniera precipitosa lasciando
il paese e l’esercito al proprio destino - permise ai tedeschi, già presenti nel paese
in gran numero, di procedere alla presa del potere con relativa rapidità.
2
Erano stati numerosi i segnali dell’imminente tracollo: innanzitutto la crisi
militare dell’Italia su tutti i fronti di guerra, che rese necessario l’intervento
tedesco. I primi dubbi sull’affidabilità italiana erano maturati dopo le iniziali
sconfitte dell’esercito italiano e la conseguente fine del tentativo di Mussolini di
condurre una sua “guerra parallela”, nel vano tentativo di riscattare così la
dipendenza dalla Germania. A cavallo tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, di
fronte alle crescenti difficoltà della guerra, la classe dirigente italiana incominciò
1
E. Collotti., L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, Lerici, Milano, 1963, p.
161.
2
L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, p. 413.
6
a considerare l’ipotesi di dissociarsi dai piani tedeschi. Voci di critica venivano
sollevate anche all’interno del Partito Fascista: in tal senso si mosse il ministro
degli Esteri (e genero di Mussolini) Galeazzo Ciano, manifestando l’intenzione di
prendere contatti diretti con gli anglo-americani.
3
Inoltre, gli ambienti conservatori
- monarchia, esercito, alta finanza e grande industria - che avevano inizialmente
sostenuto il fascismo premevano in tal senso: con l’imminente sconfitta militare,
infatti, essi vedevano in pericolo anche la propria posizione di potere.
4
Gli scioperi
del marzo 1943 nelle grandi città industriali del nord Italia - i primi da quando fu
instaurato il regime - furono un segnale molto forte della perdita di consenso nei
confronti del fascismo tra una popolazione ormai stanca della guerra, e soprattutto
dalle difficoltà alimentari derivate da essa.
L’ostacolo principale a un’intesa armistiziale con gli anglo-americani, però,
non era rappresentato dal regime fascista: l’ala moderata del fascismo, infatti,
attendeva solamente l’occasione opportuna per liberarsi di Mussolini, come poi
avvenne il 25 luglio. Il vero ostacolo era rappresentato dalla Germania, che
avrebbe sicuramente preteso il rispetto degli impegni di alleanza e di solidarietà
politica e militare sottoscritti dall’Italia con il Patto d’Acciaio e rafforzati
dall’entrata in guerra. La debolezza dell’alleanza era anche aumentata
dall’evidente sproporzione di mezzi e di forze che condannava in partenza l’Italia
a una posizione di inferiorità nei confronti della Germania. Inoltre, la reciproca
diffidenza contribuì - oltre che ad aggravare ulteriormente la condotta in comune
della guerra - ad aumentare le molteplici contraddizioni della fragile alleanza: gli
italiani nutrivano, infatti, residui sentimenti antitedeschi derivanti ancora dalla
prima guerra mondiale, oltre che rancori accumulati nelle fallimentari campagne
di Grecia, d’Africa, e in particolare di Russia. Queste sconfitte sancirono nella
popolazione la rottura definitiva di ogni sentimento di solidarietà verso un alleato
imposto dal regime. Se le campagne di Grecia e d’Africa erano servite a porre
soldati e ufficiali di fronte all’inadeguatezza militare dell’Italia, la campagna di
Russia diede anche la conferma agli italiani della considerazione che i tedeschi
avevano nei confronti dei loro stessi alleati; va ricordato in particolare lo stato
3
E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, cit., pp. 20-21.
4
L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 412.
7
d’animo di risentimento antitedesco che portò sulle montagne della guerra
partigiana molti dei superstiti dell’Armir (Armata italiana in Russia).
Da parte tedesca era vivo un sentimento di disprezzo per le qualità militari degli
italiani, presente negli ambienti militari già prima dell’entrata in guerra; senza
contare che i comandi tedeschi erano perfettamente a conoscenza della difficile
situazione italiana sin dall’inizio del 1943.
5
I pregiudizi anti-italiani, che ebbero
un lungo periodo d’incubazione, emersero in maniera drammatica dopo l’8
settembre.
Subito vennero a galla i dubbi che avevano sempre accompagnato la
fragile alleanza: gli italiani - in quanto “popolo latino corrotto” e “esseri inferiori
dal punto di vista razziale” - non vennero considerati come un popolo “guerriero”,
“dominatore”, tanto che Hitler attribuì a loro la colpa del negativo andamento
della guerra; oltretutto, la scarsa collaborazione sulla questione ebraica - di
fondamentale importanza per Hitler - aumentò il disappunto dei tedeschi. Questi
pregiudizi contribuirono in parte a far «emergere una mentalità che nel teatro
italiano di guerra rese facile ordinare, eseguire, e tollerare l’assassinio».
6
Dopo le ripetute sconfitte italiane, e in particolar modo dopo lo sfacelo sul
fronte russo, a metà maggio la crisi militare aumentò ulteriormente a causa della
perdita della Tunisia, il cui abbandono segnava la fine dell’ultima testa di ponte
italiana in Africa: ciò determinò un ulteriore spinta dell’opinione pubblica -
attraverso scioperi e manifestazioni - verso la cessazione della guerra.
7
Il 15
maggio il Re, in una lettera a Mussolini, prospettò la possibilità di rompere
l’alleanza con la Germania.
8
Di fronte all’incalzare degli eventi bellici l’alleanza
era divenuta un’inutile ostacolo per i tedeschi. Se da parte italiana prendeva
consistenza l’idea di sbarazzarsi dell’alleanza con la Germania, da parte tedesca si
delineava il progetto di un intervento diretto in Italia. Di fronte alle crescenti
difficoltà dell’Italia, a metà maggio il comando supremo della Wehrmacht
incominciò seriamente a prepararsi all’eventualità di doversi addossare totalmente
l’onere della condotta bellica, escludendo in tal modo l’alleato dalle operazioni
militari. Venne considerata anche l’opportunità di intervenire direttamente in
5
E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, cit., pp. 20-24.
6
G. Schreiber, La vendetta tedesca, Mondadori, Milano, 2000, pp. 11-36.
7
E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, cit., pp. 27-28.
8
Storia d’Italia, De Agostini, Novara, 1991, p. 493.
8
Italia assumendo il controllo del paese destituendo Mussolini. La volontà di Hitler
fu in questo caso più moderata: avrebbe preferito una soluzione meno
unilateralmente militare, in nome della sua ammirazione per Mussolini e per il
fascismo. Tuttavia il Führer accarezzò l’ipotesi di affiancare al duce qualcuno che
potesse riprendere in mano le redini della situazione militare contrastando in
questo modo l’ostruzionismo e il sabotaggio della Corona e delle gerarchie
militari (che secondo i tedeschi rappresentavano un grosso ostacolo). Nonostante
queste premesse non è possibile sostenere con certezza se, qualora non vi fosse
stato il 25 luglio, l’Italia avrebbe vissuto l’esperienza di un capovolgimento
imposto dai tedeschi; c’è più di un elemento che spinge a ipotizzare che i tedeschi
si preparassero a occupare l’Italia a prescindere dalla caduta del regime fascista e
dall’armistizio. Uno di questi elementi è rappresentato dal fatto che il capo
supremo della marina tedesca e ascoltato consigliere militare di Hitler,
ammiraglio Dönitz, fece pressioni in questo senso proponendo di far passare la
Marina italiana sotto il comando tedesco.
9
Con lo sbarco alleato in Sicilia, avvenuto il 9 luglio, e con il bombardamento di
Roma, dieci giorni dopo, venne toccato il culmine della crisi, che sfociò - il 25
luglio - nella destituzione di Mussolini da parte del Gran Consiglio del fascismo.
Per i tedeschi, il 25 luglio - che venne inteso come un vero e proprio atto di
ostilità - rappresentò il primo esplicito campanello d’allarme e la conferma dei
dubbi che già da tempo affioravano sull’inaffidabilità italiana.
10
Già poche ore
dopo la destituzione di Mussolini, Hitler era in condizione di emanare le
disposizioni definitive per la sostituzione della Wehrmacht alle forze italiane nei
Balcani. Queste disposizioni erano contenute nell’istruzione numero 48 (difesa del
settore sud-orientale, ossia dei Balcani): l’obiettivo era imbottigliare gli italiani in
Grecia e in Jugoslavia aggregandovi reparti tedeschi, con il pretesto di rafforzarne
l’efficacia difensiva, ma in realtà con il compito di tenere sotto costante
sorveglianza tutte le posizioni chiave degli alleati. Di fronte a questo vero e
proprio atto di aggressione il governo Badoglio non reagì tempestivamente nel
9
E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, cit., pp. 26-34.
10
E. Collotti, L’occupazione tedesca in Italia, E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (a cura di),
Dizionario della resistenza, vol. 1, Storia e geografia della Liberazione, Einaudi, Torino, 2000,
pp. 43-44.
9
timore di scatenare un’aperta reazione tedesca: la Wehrmacht, infatti, affermava di
calare in Italia per difenderla, e quindi respingere apertamente questo intervento
significava scoprire quelle intenzioni che si volevano tenere nascoste. La
contraddittoria politica intrapresa da Badoglio finì col bloccare ogni iniziativa
concreta, esaurendosi praticamente a livello diplomatico. Data la prevedibile
reazione tedesca, ai protagonisti del 25 luglio si può imputare il fatto di non aver
operato in maniera opportuna per contrastare la minaccia di un intervento tedesco.
Il ritardo con il quale fu proclamato l’armistizio permise ai tedeschi di inviare, nel
giro di pochi giorni, otto divisioni (provenienti dalla Germania e dalla Francia)
che in pratica venivano a raddoppiare gli effettivi della Wehrmacht presenti in
Italia (comprese le quattro divisioni ancora impegnate i Sicilia); in totale le forze
tedesche ammontavano a sedici divisioni sul continente e una in Sardegna, metà
delle quali corazzate. Alla luce di questo già a partire dal 25 luglio sarebbe stato
sicuramente più opportuno una rottura dell’alleanza: in questo modo si sarebbe
potuto così sfruttare un momento in cui i tedeschi erano in una situazione di
inferiorità e non avevano ancora iniziato ad invadere l’Italia. Il governo Badoglio
scartò in partenza l’ipotesi di un immediato rovesciamento optando per una
duplice strategia politica: avviare contatti con gli anglo-americani e nello stesso
tempo rassicurare i tedeschi, cercando di temporeggiare. Le trattative d’armistizio
furono condotte nel più totale riserbo, al punto che la maggior parte dei membri
del governo italiano non ne era a conoscenza: la cosa più grave è che non ne erano
a conoscenza nemmeno alcuni dei più alti capi militari, cioè coloro che avrebbero
dovuto organizzare la difesa contro la prevista aggressione tedesca; inoltre ne
rimasero all’oscuro anche i capi del movimento antifascista, gli unici che
avrebbero potuto garantire l’appoggio popolare alla resistenza. Questa situazione
di incertezza, accompagnata allo sfascio e allo sbando generale dell’apparato
politico-amministrativo-militare dello Stato italiano e alla mancata intesa militare
con gli anglo-americani, fu determinante nel rendere vana ogni possibilità di
ostacolare l’aggressione tedesca.
11
Parallelamente alle trattative con gli anglo-americani, i vertici politici e militari
italiani continuarono a rassicurare i tedeschi con la fatidica affermazione «la
11
E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, 1943-1945, cit., pp. 33-72.