5
Proprio del rapporto tra queste differenti dimensioni temporali, interne al
racconto cinematografico, si occupa questo lavoro. Esso, in buona sostanza,
prevede una riflessione sul modo di narrare la vicenda in relazione all’ordine
cronologico con cui gli eventi della vicenda stessa si susseguono.
Lo scopo è quello di enucleare ed analizzare dettagliatamente quelle opere
cinematografiche che fanno dell’anacronia strutturale la propria peculiarità
narrativa.
Più che come riflessione teorica generalizzata, dunque, questo lavoro intende
tornare allo studio temporale del racconto cinematografico, ponendosi come
confutazione di un sistema d’analisi che ha liquidato con troppa facilità la
questione del tempo interno al film, ritenendolo sorpassato.
Negli anni ’80, l’operato di Gilles Deleuze creò un primo sconvolgimento
nella considerazione del tempo cinematografico: un primo deragliamento col
quale venne riaperta la questione del tempo interno alla narrazione
cinematografica.
Si cercherà, dunque, di riportare l’attenzione sui meccanismi cronologici
propri del racconto cinematografico; quelli interessati dai concetti di fabula,
intreccio, analessi o prolessi, salti temporali. Una rivisitazione doverosa, anche,
o soprattutto, alla luce dei fondamentali cambiamenti occorsi in seguito
all’introduzione di concetti (spaventosamente) innovativi, connessi ai
fenomeni che orbitano intorno alla multimedialità, i quali hanno reso
d’improvviso negletti, se non addirittura anacronistici, tali studi.
6
Questo sconvolgimento rappresenta un ulteriore deragliamento, il secondo,
rispetto a quello provocato dalle teorie di Deleuze. Un deragliamento forse
sottovalutato, certamente non ancora approfondito con la cura necessaria.
È in questa zona d’analisi lacunosa che intende inserirsi quest’opera. Si
ritiene, infatti, che con il cinema degli anni ‘90 sia ritornata d’attualità e risulti
conseguentemente doverosa una riflessione sulle nuove accezioni legate al
tempo narrativo. Occorre comunque, è inevitabile, cominciare l’analisi
partendo dai grandi autori del passato, ma attualizzando ben presto il
discorso; calarlo, cioè, in una generazione che vive in una dimensione
culturale differente, sconvolta; un tempo in cui è l’ipertesto, definito da Pierre
Levy “come metafora ed epistema contemporanea”
3
, ad essere considerato la
pietra angolare di un’intera epoca.
Lungi dall’essere esaustiva, tale trattazione tenterà dunque di comprendere
qual è il background socio-culturale alla base delle opere cinematografiche
anacronicamente più peculiari che, a partire proprio dagli anni ’90, per
arrivare fino al nuovo millennio, hanno riportato in auge gli studi di cui
sopra, provando, altresì, ad analizzare il modo in cui tali film sono stati
influenzati dall’evolversi delle tecnologie della comunicazione, in particolare
da quelle legate alla multimedialità ed allo sviluppo dell’home video.
Definiti gli intenti, occorre precisare l’oggetto. Sarebbe del tutto semplicistico
liquidare l’intero discorso trattando di film che fanno uso di flashback o flash-
forward. Ed oltre che semplicistico, vista la diffusione nell’uso di tali
procedimenti, il progetto risulterebbe altresì utopistico.
3
PIERRE LEVY, Le tecnologie dell’intelligenza. L’avvenire del pensiero nell’era informatica,
cit. in GIANFRANCO BETTETINI, Dai giornali ai portali, Skyra, 1999, Milano
7
Se è vero, difatti, che tali strumenti decostruiscono il film e rendono altresì
spuria la linearità dell’intreccio, è altrettanto indubbio che la funzionalità della
presente ricerca mira ad analizzare quei film interamente costruiti sulla base
del principio di anacronia, talvolta addirittura sull’a-temporalità
4
narrativa; su
quei lavori, insomma, creati ad hoc per rappresentare un particolare modello
strutturale/concettuale con cui si individua, in maniera caratteristica, un
determinato modo di rappresentare il tempo della storia narrata.
Il discorso, seppur apparentemente banale, non lo è affatto. Esso, infatti, va
affrontato partendo dalla considerazione che un film è frutto di un puro atto
di creazione, e che pertanto necessita della definizione dei meccanismi che
rappresentano i cardini di tale procedimento di genesi.
È evidente, ma non esaustivo, parlare dell’intenzionalità dell’autore come del
plesso demiurgico di un’opera così fortemente caratterizzante sul piano
strutturale. Ma, come si avrà modo di vedere, quella della scelta autoriale
non è assolutamente l’unica componente da considerare nell’atto d’analisi di
un film anacronico.
È visibilmente determinante la scelta autoriale, di colui che materialmente
decide lo stile dell’opera, che concepisce un determinato tipo di prodotto
cinematografico, che ha in mente una soggettività spettatoriale specifica.
Ma è altrettanto evidente, in virtù di queste ultime considerazioni, che il
campo si allarga ad altri elementi.
4
Il termine “a-temporalità” viene semplicemente preso a prestito da SIGMUND FREUD
(“L’interpretazione dei sogni”, 1920) per la particolare pregnanza che esso ha riguardo al tema
della anacronia che si sta affrontando. Lo psichiatra attribuiva questa caratteristica ai processi
mentali inconsci a cui “la rappresentazione del tempo non può essere [...] applicata”. La scelta di
questo termine indica proprio una volontà di conferire al corpus di film a cui ci si riferisce
una dimensione cronologica palesemente non-categorizzabile, a differenza di film che, come
verrà chiarito nei capitoli conclusivi dell’opera, sono accomunabili a determinate
sottocategorie dell’anacronia.
8
Precisamente sono tre le principali dimensioni da considerare all’interno del
processo di creazione: l’autore, il prodotto, lo spettatore, a cui va
necessariamente aggiunta una quarta dimensione: quella, in questa sede,
forse più marginale, del sistema tecnico-produttivo.
Si tratta dei cardini attorno ai quali gravita un film nel suo status di
“prodotto socio-culturale” e in seno ai quali è possibile una potenziale
attribuzione dello status di opera cinematografica anacronica.
È possibile, a questo punto, definire la direttrice d’indagine di cui
s’accennava nell’incipit. Essa mira ad incunearsi in quel territorio ibrido che
concerne la decostruzione temporale (la pratica dello scompaginare la
linearità
5
della narrazione, spezzando in tal modo il parallelismo
convenzionale con la fabula), chiarificando il campo d’azione e calando poi
tali considerazioni nella realtà cinematografica.
La convenzionalità citata è rappresentata dalla comune considerazione
secondo cui le vicende oggetto della sceneggiatura e le scelte di
rappresentazione delle stesse (dunque la crono-sequenza con cui esse
vengono proposte nella pellicola) siano in un rapporto di parallelismo
6
.
I film di cui si è accennato, quelli, per intenderci, oggetto d’analisi
approfondita, rientrano in una ristretta cerchia di opere comprese nel periodo
che va dal 1994 al 2004 e che contengono al proprio interno alcune peculiarità
5
Con questo termine, come si avrà modo di puntualizzare più avanti, si intende far
riferimento alla pedissequità con cui la sceneggiatura mette in atto (sul piano della sequenza
cronologica degli eventi) le vicende riportate nel soggetto.
6
Per un’esemplificazione di questo concetto si richiama a cfr. infra, Cap. 6
9
strutturali che permettono loro di rientrare in una macrocategoria di film
evidentemente influenzati dall’avvento dei new-media ed in particolare
dell’ipertesto. Dunque non tanto, o meglio non solo, film anacronici per scelta
autoriale, quanto film strutturalmente esemplificativi di contaminazioni o
derivazioni da parte di altri processi culturali o di tendenze
tecnologico/informatiche.
Il decennio di riferimento risulta circoscritto tra l’anno delle prime opere
degne di essere considerate, in quest’ottica, come “film-archetipo”, ossia il
1994, anno dell’uscita quasi contemporanea di Pulp fiction (id., Quentin
Tarantino, 1994) e di Prima della pioggia (Before the rain, Milcho Manchevski,
1994) e la necessaria delimitazione rappresentata dai tempi tecnici utili alla
stesura di queste pagine, che hanno reso imprescindibile concludere questa
rassegna con Se mi lasci ti cancello (Eternal sunshine of spotless mind, Michel
Gondry, 2004).
Ovviamente circoscrivere la trattazione esclusivamente a questi film
risulterebbe inadeguato oltre che di difficile praticabilità, vista l’enormità di
riferimenti ad opere, non solo cinematografiche, che hanno contribuito, in
maniera più o meno evidente, alla formazione del background culturale degli
autori. Numerosi quindi sono i richiami al cinema ed in generale ai processi
culturali di un passato, talvolta anche remoto, portatori però di un retaggio
ricchissimo.
Nei primi capitoli, si tenterà di presentare uno studio che possa fare da
sintesi delle influenze interdisciplinari che intervengono in questo tipo di
discorso, come premessa dunque al ragionamento sulla narrazione anacronica
10
cinematografica, partendo da ambiti differenti rispetto a quello prettamente
filmico. Una summa necessariamente approssimativa (per evitare di divagare
verso lidi troppo distanti, ed altrettanto voluminosi, per essere trattati
all’interno di un’opera che si prefigge uno scopo differente) che ha la finalità
di mera introduzione storiografica all’argomento.
Sempre nella prima parte, si cercherà di riassumere le nozioni necessarie ad
affrontare questo lavoro. È da premettere, infatti, che per esaminare il
discorso legato alla non-linearità di un testo, di qualsiasi natura sia
quest’ultimo, è essenziale effettuare una serie di distinzioni aprioristiche che
permettano di sgombrare il campo dalle inevitabili difficoltà che esso
comporta.
Esistono una serie di dicotomie funzionali, che devono essere puntualizzate
per rendere più scorrevole la lettura delle pagine successive. Un chiarimento
necessario che permetterà di districarsi nella nebulosa terminologica che
spesso tende a considerare (e legittimare) come sinonimi, termini che invece
hanno funzionalità dissimili.
Nelle successive sezioni si applicheranno all’ambito cinematografico le
riflessioni discusse a livello generale. Tale operazione prevede l’analisi dei
film considerati all’interno della categoria destrutturativa d’appartenenza.
Per rendere funzionale tale meccanismo, infatti, si è preferito creare
preventivamente una tassonomia, ossia una categorizzazione dei film sulla
base della loro struttura narrativa.
11
Per ogni opera cinematografica si analizzerà la peculiare struttura narrativa,
la modalità di destrutturazione e gli elementi che rappresentano il punto
focale per ottenere un determinato effetto narrativo.
Non si disdegnerà inoltre la scansione delle motivazioni sociologiche atte a
giustificare tale architettura ed, infine, sottolineando, dove particolarmente
evidente, l’influenza che altri media hanno esercitato sul film.
12
Capitolo primo
Tempo d’evoluzione
Cosa s’intende per destrutturazione temporale di un film? Destrutturare,
nell’accezione prevista da questo lavoro, significa sconvolgere la linearità
temporale di una vicenda rappresentante la trama (ossia la fabula),
proponendola, sul piano dell’intreccio, secondo una modalità di
rappresentazione differente rispetto al naturale, cronologico, svolgersi degli
eventi della storia. Significa, in altri termini, deformare la scansione
cronologicamente newtoniana del tempo del racconto, agevolandone una
visione atipica, soggettiva, una visione altra.
Il tipo di destrutturazione che s’intende considerare in questo lavoro è
fondata sulla rappresentazione volontariamente anacronica del racconto
cinematografico. La volontarietà in questione comporta una deflagrazione
forzata, ma cosciente, della “linearità narrativa” intesa come lo sviluppo
continuativo e coerente della vicenda alla base del soggetto del film.
Si è tirato in ballo il concetto di anacronia cinematografica. La locuzione non è
usuale, nel senso che non è mai stata utilizzata per etichettare, come invece
questa trattazione intende concepire a mo’ di ipotesi, quel variegato e
multiforme insieme di film che hanno la comune peculiarità di basare la
propria struttura narrativa su procedimenti tecnici, tecnologici, o legati
meramente alla fase di montaggio, per cui i concetti di inizio e fine (nella
fattispecie di una vicenda), nella maniera in cui li ha teorizzati Aristotele
7
,
perdono il valore con cui sono convenzionalmente intesi.
7
ARISTOTELE, Poetica, Bompiani, 2000
13
La pratica della destrutturazione del tempo del racconto non è certo una
tendenza estemporanea, quanto uno dei più usuali modi di affabulazione
nell’arte di fare cinema. Già nei primi decenni del ‘900, registi come Edwin S.
Porter o Abel Gance, seppur con stile e metodologie differenti, hanno fatto di
una tecnica evidentemente destabilizzante come lo split screen un marchio di
fabbrica. In tempi più recenti, altri come Stanley Kubrick, Quentin Tarantino
o Robert Zemeckis hanno basato la propria fama sul modo di creare
sovrabbondanze visive. Altri ancora, come i capostipiti David W. Griffith o
Sergej M. Ejzenštejn, e successivamente Orson Welles, hanno condizionato
irrimediabilmente il modo di fare cinema attraverso l’attenzione per il
montaggio, inventando, di fatto, il linguaggio del cinema. Ma senza scomodare
i grandi autori (del passato come del presente) che hanno lavorato con
dovizia sul concetto di tempo cinematografico, si può chiaramente affermare
che qualunque autore, chi con minore, chi con maggiore enfasi, prende il
tempo per il bavero e tende a renderlo confacente alla propria poetica. Perché
il tempo è una componente necessaria del fare cinema. Perché è una realtà
con cui il confronto è inevitabile
8
.
La recente discussione sulla natura della “fruizione” di un film e sulle
considerazioni circa la dicotomia visione in sala vs home video proposta da
Valenzi e Di Nunzio, arriva alla conclusione che “il Tempo è il terzo elemento
dell’arte cinematografica dopo l’opera filmica (che è il primo) e la sala (che è il
secondo)”
9
.
8
Si rimanda, per una trattazione più approfondita, all’articolo di Pezzotta, già citato
parzialmente in precedenza, relativo al delicato rapporto intercorrente tra cinema e tempo
9
ANTONIO VALENZI, MASSIMO DI NUNZIO, Transiti di luce, Segnocinema n. 133,
Maggio-Giugno 2005, pag. 7
14
Dunque, sono proprio questi tre elementi a costituire l’essenza del cinema.
Ognuno di essi, evidentemente, si dipana in numerose altre sfaccettature, che
a loro volta comportano ulteriori riflessioni. Ma tendenzialmente una prima,
elementare, ripartizione può essere proprio rappresentata dal trittico film –
sala – tempo.
Il fattore temporale però è onnipervasivo, nel senso che riguarda anche le
prime due componenti citate. Esiste, infatti, un tempo necessario a realizzare
un film, così come a distribuirlo, ed esiste un tempo diegetico, come quello
relativo alla durata del film o quello che scorre in parallelo fuori dalla sala.
Dunque, si tratta di un fattore invasivo ed amorfo, che si plasma in ogni
singola variabile della dimensione cinematografica.
È dunque doveroso che prima ancora che parlare delle opere, degli autori e
delle tecniche cinematografiche, si porti brevemente l’attenzione verso le
influenze, filosofiche e letterarie in primis, che hanno contribuito a plasmare
una concezione cronologica altra. Una considerazione che tagliasse i ponti
con l’idea di un tempo rappresentabile, newtonianamente, come una linea
unidirezionale e non frammentabile e che permettesse di giungere a quella
concezione temporale che è alla base dei processi cinematografici anacronici
che si intende analizzare.
15
La natura del tempo
La messa in discussione di un tempo lineare ha interessato studiosi di tutte le
discipline. Perché il fattore-tempo è vittima e carnefice in tutti gli ambiti dello
scibile umano, in quanto, come si diceva, componente ontologica della natura
delle cose che si costituisce come uno dei nodi fondamentali dell’esistenza
10
.
Dal famoso interrogativo agostiniano (“Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno
mi interroga lo so; se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so”
11
) fino alle
considerazioni contemporanee di Bergson o Benjamin, passando per le teorie
di Deleuze o Ricoeur, il concetto di tempo ha subìto una metamorfosi
continua, scompaginata da paradigmi filosofici, concezioni avanguardistiche,
correnti teoriche e metodologiche di varia natura che hanno sconvolto la
considerazione di un’ontologia cronologica ben radicata, il cui fulcro
risiedeva nelle affermazioni di Isaac Newton che, nel teorizzare un tempo
unico, vero e matematico, affermò che quest’ultimo “per sua propria natura fluisce
in modo eguale, senza relazioni con alcuna cosa esterna”
12
.
Circa un secolo dopo Newton è Immanuel Kant a sconfessare la concezione
del fisico e matematico inglese, opponendogli una visione del tempo
soggettiva, anche se universale
13
.
Kant riteneva che il tempo, come lo spazio d’altronde, non fosse una
rappresentazione oggettiva della realtà cui la nostra mente si adegua, quanto
uno schema mentale che condiziona la singola percezione del mondo esterno:
10
DANIELE DOTTORINI, La resistenza al tempo: gli attori mortali e il tempo sospeso, FilmCritica
n. 490, Dicembre 1998, pag. 524
11
SANT’AGOSTINO, Le confessioni, LIBRO XI, 14, 17, tratto da PAUL RICOEUR, Tempo e
racconto, Vol. I, Jaca Book, Milano, 1986, pag. 23
12
STEPHEN KERN, Il tempo e lo spazio, Il mulino, Bologna, 1997, pag. 17
13
Quella riscontrabile in IMMANUEL KANT, Critica della ragion pura (1781), ed. it. Laterza,
Bari, 2005
16
non è dunque una realtà obiettiva, asettica, bensì uno schema psichico, una
forma “a priori” della mente
14
.
Nonostante il discorso sul tempo affondi le sue radici molto lontano nella
storia, tuttavia è tra questi due poli ideologici (relativamente recenti) che si
dipana il discorso sul tempo che ingloba numerosi contributi
interdisciplinari. E non è una mera questione d’impostazione teorica, non è la
forma mentis del fisico a scontrarsi con quella del filosofo, quanto l’acceso
dibattito tra due scuole di pensiero sul tema della rappresentazione del
tempo.
Il lavoro di Stephen Kern è un sunto particolarmente pertinente in merito a
tali dinamiche evolutive che, proprio da questa dicotomia concettuale,
prende spunto per schematizzare i cambiamenti tecnologici e culturali che
crearono un nuovo modo d’esperire il mondo a cavallo tra ‘800 e ‘900.
La tesi dell’interdisciplinarità nella disputa tra tempo omogeneo e tempo
eterogeneo è supportata dal forte cambiamento che si riscontrò, ad esempio,
nella struttura narrativa di alcune tra le più famose opere letterarie del
periodo: dal Dorian Gray di Wilde (1890) al kafkiano Gregor Samsa de La
metamorfosi (1916), passando per il Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce (1904) e
il Marcel narratore de Alla ricerca del tempo perduto di Proust (1910), l’esperire
del tempo, con gli annessi patologici stati psico-fisici, sottolinea con evidenza
la pregnanza dell’argomento nel sistema culturale europeo.
A testimonianza della pervasività del discorso sul tempo all’interno
dell’ambito culturale tardo-ottocentesco, occorre sottolineare come non
14
Cfr. AA.VV. Antologia di filosofia – Atlante illustrato del pensiero, Demetra, Verona, 2000
17
furono solo la filosofia o in genere le arti “temporali”
15
a cercare di
rappresentare il tempo. Ci hanno provato perfino le arti figurative, seppur
con scarsi risultati: “Le difficoltà che i pittori incontrano nel rendere il movimento
di un oggetto nel tempo è sempre stata una limitazione frustrante del loro genere.
Tale limitazione [...] giunse ad ossessionare i pittori del diciannovesimo secolo”
16
.
Dunque la disputa, fortemente d’attualità all’epoca, tra due modi opposti di
considerare il tempo, nonché le rivoluzioni tecnologiche che ne favorivano la
sperimentazione, furono i due fattori che contribuirono a concentrare queste
rivoluzionarie opere letterarie nel medesimo periodo. Ma il ricorso alla
letteratura ha solamente una valenza esemplificativa. Si potrebbe, infatti, fare
riferimento ad esempio anche a studi filosofici, sociologici o psicologici per
testimoniare come il quarantennio 1880-1918 sia stato, di fatto, l’epoca di
numerose concettualizzazioni che di fatto hanno avviato la cultura moderna.
E non è un caso che si tratti dello stesso periodo in cui, con differenti percorsi,
Muybridge ed Edison trovino l’essenza tecnologico-concettuale alla base
dell’invenzione del cinematografo. In un paio di decenni (1880-1900) il
cinematografo da porta aperta sull’umanità assume lo status di punto di
fusione tra oggettività e soggettività, o per dirla alla Kern
17
, di tempo privato e
tempo pubblico contemporaneamente.
15
Sul concetto di arte temporale, si considerino gli studi affrontati da GOTTHOLD LESSING
che intuì la differenziazione delle arti in genere in due categorie ben distinte, arti temporali
da un lato e arti spaziali da un altro: Laokoon oder über die Grenzen der Malerei und poesie (1776)
16
S. KERN, op. cit., pag.30
17
L’opera di Kern viene ripetutamente citata per l’estrema importanza che la sua riflessione
ha avuto come summa dei modi di concepimento del fattore tempo, per comprendere i
processi di evoluzione dell’idea di tempo, nonché per riassumere il perché il modo con cui il
fattore cronologico sia divenuto una variabile imprescindibile nella trattazione dei più
svariati processi culturali.
18
Considerata la nostra attuale posizione di spettatori cinematografici del terzo
millennio, non è difficile immaginare, vista la grande influenza del discorso
della destrutturazione temporale perfino in ambito letterario, come fosse
scontato che anche il cinema, fedele termometro dell’attualità, non potesse
uscire immune da tali contaminazioni.
La letteratura, le arti temporali, perfino quelle di posa, infine il neonato
cinema: è questo, per sommi capi, il percorso che porta la variante anacronica
del tempo ad una sua progressiva affermazione. L’uscita dalla primordiale
fase d’incubazione e l’approdo ad una sua concreta presa di coscienza si otterrà
soltanto attraverso il ricorso sistematico che se ne farà in ambito
cinematografico sin dai primordi.
Il tempo e il cinema
Il cambiamento funzionale del dispositivo cinematografico, da invenzione
tecnologica a scopo industriale (i Lumiére inventarono il cinematografo per
vendere il dispositivo di cinepresa) a prodotto culturale dalla specifica
funzionalità di proporre storie alla maniera di Georges Méliés (quello che
oggi viene definito comunemente “cinema di fiction”), fu dovuto proprio al
concepimento di un nuovo statuto di cinema: la considerazione del film come
prodotto culturale capace di intrappolare e governare il tempo, fornendo al
cinema stesso lo status di creatore di illusioni e fantasticherie. In tal senso,
Sergio Brancato scrive di questa neo-cognizione del cinema come di
un’avvenuta presa di coscienza di essere di fronte ad “un linguaggio capace di