5
quali abbiamo soffermato la nostra attenzione, sono rispettivamente le
seguenti: 1) l’art. 197 c.p.; 2) l’art. 6 comma 3° l. 689/81; 3) l’ art. 11
d. lgs. n. 472/1997.
Sempre nell’ottica di voler agevolare, il lavoro di ricerca del lettore,
abbiamo passato in rassegna, minuziosamente, la situazione legislativa
comparatistica, effettuando una ricerca sulla disciplina della
responsabilità degli enti collettivi.
Innanzitutto a livello Europeo, abbiamo messo in luce, le divergenze
presenti nell’approccio utilizzato dai sistemi appartenenti al civil law
rispetto a quelli appartenenti al common law. Di tali sistemi, abbiamo
ripreso unicamente quelli più rappresentativi, onde evitare un
pedissequo elenco di ordinamenti e relativa disciplina. Tra i paesi
citati, in ambito europeo, vi sono i seguenti: i paesi anglosassoni, in
primis; successivamente, siamo passati al sistema francese; ed infine,
abbiamo pensato di rivolgere uno sguardo anche al sistema tedesco. A
livello extra europeo invece, abbiamo preso in considerazione, la
situazione legislativa dei paesi appartenenti all’area nord americana, in
particolare: Stati Uniti e Canada. Per dovere di par condicio e
soprattutto di completezza, ci siamo infine soffermati anche sui sistemi
socialisti.
Date queste necessarie premesse, il cuore del presente lavoro, e parte
di maggiore interesse per il lettore, tralasciando per un attimo il
discorso relativo ai gruppi di società, la cui stesura ha richiesto un
approfondito lavoro di ricerca ed analisi, è rappresentato dal terzo
capitolo concernente gli aspetti salienti del decreto legislativo.
Innanzitutto, un lavoro accurato sul decreto legislativo 231 non può
prescindere dalla vivace diatriba esistente in dottrina circa la natura di
una siffatta responsabilità. La vexata quaestio, ampiamente dibattuta,
concerne principalmente la natura della responsabilità in discorso, vale
a dire, se la stessa debba o meno considerarsi, amministrativa, penale
oppure un tertium genus atipico altrimenti non rinvenibile
nell’ordinamento.
6
Successivamente ci siamo occupati dei soggetti destinatari della
disciplina, ovverosia degli enti giuridici ai quali la normativa stessa si
rivolge. Inoltre, non potevamo effettuare un accurata valutazione
dell’impatto del decreto legislativo sulla realtà societaria, tralasciando
l’elenco dei reati presupposto. Per tale motivo, c’è sembrato doveroso
evidenziare, le singole fattispecie penali richiamate dalla disciplina,
riportando così a grandi linee le caratteristiche di ciascuna di esse.
Si è giunti poi, alla trattazione del tema centrale, ovverosia, al fulcro
nodale della disciplina, rappresentato in questo caso dai criteri di
imputazione oggettivi e soggettivi. L’art. 5, 6 e 7 del suddetto decreto
rappresentano infatti la parte che maggiormente ha focalizzato
l’attenzione di dottrina e giurisprudenza. Innanzitutto per l’annosa
questione “ dell’interesse “ e “ del vantaggio “, si discute, se debbano
cioè considerarsi un endiadi che addita ad un criterio unitario oppure
debbano intendersi quali presupposti complementari tra loro disgiunti.
Poi, per la previsione che concerne l’adozione dei modelli di
organizzazione e di gestione, quali codici di autoregolamentazione da
adottare per una maggiore prevenzione dei comportamenti criminosi.
Nel tentativo di voler fornire uno studio completo sul decreto
legislativo c’è sembrato opportuno, inoltre, evidenziare le
caratteristiche e gli aspetti salienti del sistema processuale, prestando
particolare attenzione alle problematiche dovute alla sostanziale
equiparazione tra l’imputato ( persona fisica ) e l’imputato ( persona
giuridica ).
Continuando con l’impronta organico sistematica attribuita alla
suddetta trattazione, in un ottica di completamento, non potevamo non
considerare, se non per ultimo, l’aspetto riguardante il sistema
sanzionatorio. Sul sistema sanzionatorio predisposto dal legislatore, ci
siamo soffermati in particolare, sulla struttura che lo stesso presenta.
Infine, si è giunti, alla trattazione del tema più discusso, almeno allo
stato attuale: ovverosia, alla problematica dei gruppi di società, il cui
costante e crescente interesse, sul fenomeno, catalizza l’attenzione di
dottrina e giurisprudenza.
7
Per agevolare l’attività del lettore, abbiamo fin da subito messo in
evidenza le caratteristiche dei gruppi, concentrandoci sulle diverse
modalità di formazione degli stessi, vale a dire, sui diversi modi
riconosciuti che consentono ad una società di ottenere legittimamente
il controllo su un’altra, permettendole così di esercitare quella che
viene definita “ l’influenza dominante “.
Date queste necessarie premesse, la nostra attenzione è
successivamente ricaduta sulle problematiche connesse in ordine alla
mancanza di un adeguata disciplina concernente i gruppi di società
all’interno del decreto legislativo 231 del 2001.
La tematica, ampiamente disaminata nel presente lavoro, costituisce la
parte fondamentale della trattazione.
Per concludere il discorso relativo ai gruppi, abbiamo inoltre pensato
di rivolgere la nostra attenzione, ad una speciale tipologia di gruppo
operante nel settore terziario, piuttosto frequente nella prassi, che
ultimamente sta assumendo una notevole importanza, ci riferiamo in
particolare al gruppo bancario.
Senza entrare ulteriormente nel merito, possiamo solo aggiungere che
arrivati a questo punto, il lettore, sarà senz’altro in grado di
comprendere con maggiore chiarezza, le difficoltà incontrate dagli
interpreti nel tentativo di ricondurre il fenomeno dei gruppi nell’alveo
della disciplina delineata dal predetto decreto.
In sostanza l’intenzione dell’autore con il presente lavoro è quella di
voler fornire al lettore, un quadro dettagliato del decreto legislativo
231 del 2001, analizzandone gli aspetti e le problematiche principali,
schierandosi in alcuni casi anche apertamente a favore di un
orientamento piuttosto che un altro.
8
CAPITOLO I
RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI PRIMA DELL’ENTRATA
IN VIGORE DEL D. LGS. 231/2001.
I. Societas delinquere non potest.
L’antico brocardo appartenente alla tradizione romanista societas
delinquere non potest sembra destinato lentamente a scomparire. Il
dogma in questione indissolubile per un lungo periodo di tempo, a
fortiori nei paesi dell’area Europeista come l’Italia e la Germania
caratterizzati da una forte tradizione dogmatica, non risulta più essere
adeguato a causa delle forti idiosincrasie esistenti tra la realtà fattuale
della società odierna dove Societas saepe delinquit e la realtà a cui
faceva riferimento quando è sorto
1
.
Il principio in questione, non contenuto in alcuna disposizione
legislativa, sancisce la non responsabilità delle persone giuridiche, in
quanto soggetti diversi dalle persone fisiche a cui viene attribuito il
carattere d’idoneità ad essere soggetti attivi di un illecito penale. La
criminalità d’impresa è per molto tempo rimasta impunita proprio per
l’impossibilità di considerare la persona giuridica come possibile
autrice di quella particolare categoria d’illecito qualificata come reato.
Precedentemente all’entrata in vigore del d. lgs. 231/2001 si è perciò
ampiamente discusso in dottrina riguardo la possibilità di riconoscere
l’ente collettivo come possibile soggetto attivo di reato. In ogni
ordinamento giuridico l’ente collettivo ha ormai assunto la
qualificazione di persona giuridica proprio per sottolineare la necessità
di considerare tali organizzazioni al pari delle persone fisiche, come
soggetti autonomi dotati di personalità che permetta loro di perseguire
1
A. Palmieri,“ Societas delinquere non potest ”: un concetto da superare?, in Diritto e Pratica delle Società, n.
4 del 2001, p. 71.
9
determinati obiettivi, che altrimenti non sarebbero raggiungibili
dall’uomo uti singuli.
Riconoscere l’ente collettivo come possibile autore del reato significa
dover superare lo sbarramento creato dall’art. 27 comma 1° della
Costituzione, secondo il quale la responsabilità penale è personale, per
cui nella sua accezione minima vieta forme di responsabilità per fatto
altrui escludendo di fatto la persona giuridica, in quanto verrebbe a
mancare coincidenza tra l’autore del reato ed il destinatario del
rimprovero penale. L’ente deve perciò necessariamente avvalersi
dell’attività materiale di persone fisiche per creare disvalore sociale
mediante un comportamento illecito. La Corte Costituzionale con
sentenza n. 364/1988 ha ulteriormente ampliato l’originaria previsione
dell’art. 27 comma 1° della Costituzione con un interpretazione
estensiva, tale per cui risulta che il soggetto sia penalmente
responsabile per fatto proprio colpevole. Sulla base di tale
interpretazione, che ha costituzionalizzato il principio nulla poena sine
culpa, perché il soggetto sia penalmente responsabile ed il fatto sia a
lui imputabile occorre la sussistenza dell’elemento soggettivo della
colpa. Tale requisito esclude di fatto la possibilità che l’azione o
l’omissione che genera il reato sia ascrivibile ad un ente collettivo.
La necessità di riconoscere che societas delinquere e puniri potest
2
è
ormai diventata un esigenza imprescindibile. Ricerche empiriche e
rilevazioni dimostrano come nell’ultimo secolo sia notevolmente
aumentata la criminalità economica e con essa la criminalità d’impresa
che ne costituisce la parte più rilevante
3
. Ciò ha indotto la dottrina a
superare lo sbarramento creato in primis dall’articolo 27 comma 1°
della Costituzione, in secondo luogo da leggi ordinarie, quali il codice
penale del 1930, costruito attorno alla persona fisica quale principale
soggetto attivo di reato, e per tale motivo non più adeguato a causa
dell’evoluzione sociale ed economica che ha interessato le moderne
2
C. E. Paliero, Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, da ora in poi, societas delinquere et puniri potest, in Corr. giur.,
2001, p. 845.
3
A. Alessandri, in AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, seconda edizione aggiornata, Monduzzi
Editore, p. 4.
10
società.
L’evoluzione che si è verificata ha permesso innanzitutto l’espansione
dei mercati oltre i confini politico-territoriali
4
, fenomeno prodromico
alla crescita di mercati internazionali favorenti la cosiddetta
globalizzazione. Nell’Unione Europea tale meccanismo è supportato
dalla libera circolazione di beni, merci e servizi nel territorio dei
diversi stati membri che la compongono. Cambiamenti radicali si
registrano anche nei territori nazionali interni, si pensi alla
privatizzazione che riduce notevolmente il ruolo dello stato-
imprenditore, trasformando progressivamente le imprese pubbliche in
private, le quali pur continuando l’erogazione di servizi sociali,
necessari alla collettività, perseguono finalità di lucro massimizzando
il profitto. Altri fenomeni non meno importanti, che ci limiteremo a
citare, sono il costante declino del settore primario e lo sviluppo del
settore terziario
5
.
Tutto ciò necessariamente finisce per influenzare il diritto penale,
emergono nuovi beni giuridici da tutelare rispetto ai tradizionali a cui
fa riferimento il codice penale, strumento che offre un adeguata tutela
del patrimonio individuale ma che non è in grado di proteggere in
maniera efficace il meccanismo d’allocazione delle risorse e di
produzione della ricchezza. Per cui la criminalità d’impresa tende a
diventare parte preponderante della criminalità economica,
manifestandosi attraverso: o imprese che seppur lecite arrecano
pregiudizio a beni giuridicamente tutelati mediante cattiva gestione dei
fattori produttivi utilizzati nel processo produttivo; oppure attraverso
imprese illecite ab origine, fondate su pactum sceleris, per la punibilità
delle quali si ricorre a fattispecie plurisoggettive necessarie di
comprovata efficacia applicativa, quali: l’art. 416 c.p. ( associazione
per delinquere ) e l’art. 416 bis c.p. ( associazione di tipo mafioso ). Il
regime d’impunità vigente per le imprese lecite non impedisce
comunque la criminalizzazione di associazioni fondate su presupposti
4
A. Alessandri, in AA. VV., ult. op. cit., p. 4.
5
A. Alessandri, in AA. VV., ult. op. cit., p. 5, per maggiori approfondimenti sui fenomeni che hanno portato
all’evoluzione della società civile e con essa, alla conseguente modernizzazione del diritto penale.
11
di natura delittuosa che sovente, ma non necessariamente, ricorrono a
società fittizie o di comodo, per riciclare il danaro che costituisce il
profitto d’attività illecite.
Sorge perciò l’esigenza di responsabilizzare l’impresa, in quanto
persona, tenendola distinta dalla responsabilità individuale
dell’imprenditore e dalla responsabilità dei suoi collaboratori o di
coloro che sono preposti all’altrui direzione. Questo fenomeno si
realizza perché l’impresa in qualità di ente collettivo può arrecare
pregiudizio alla collettività mediante la lesione di beni giuridici
superindividuali che rappresentano interessi esterni alla stessa e che
sono, sì limitativi della libertà d’iniziativa economica privata
predisposta dall’articolo 41 comma 1° della Costituzione, ma
comunque da intendersi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico. In ordine temporale e’ stata considerata meritevole di tutela,
in primis la sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro, successivamente
l’intervento legislativo ha attribuito importanza alla salubrità
dell’ambiente ed alla genuinità degli elementi che lo costituiscono
6
.
La necessità di tutelare nuovi beni giuridici induce il legislatore, per
limitare le più gravi forme di criminalità economica, a creare
fattispecie delittuose ad hoc, inserendole in disposizioni speciali extra
codicem: si pensi agli illeciti che producono disvalore ambientale, al
riciclaggio e alle frodi, al mancato rispetto delle regole della
concorrenza per le imprese dotate di ampio potere di mercato operanti
in situazioni di monopolio od oligopolio, alla violazione delle norme
in materia di sicurezza del lavoro.
Prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 231/2001 il diritto penale
dell’impresa subisce quindi profonde modificazioni nella struttura,
ampliandosi rispetto l’originaria configurazione che lo vedeva
costituito prevalentemente da due tipologie di reati: i reati societari ed
i reati fallimentari.
Non solo la struttura ma anche la concezione del diritto penale in
generale, inteso come strumento di tutela di beni giuridici individuali,
6
A. Alessandri, in AA. VV., ult. op. cit., p. 14.
12
sotto diversi aspetti è da ritenersi cambiata. In primo luogo riconoscere
beni giuridici superindividuali, riferibili a soggetti non determinati,
significa ricondurre l’utilizzo del diritto penale a violazioni di semplici
inosservanze, correndo il rischio di svuotare la categoria dei beni
giuridici che racchiudono in sé i valori fondamentali della persona
7
. In
secondo luogo assistiamo alla proliferazione di figure di reato di
pericolo: concreto o astratto
8
. Precipuamente si ricorre
all’anticipazione della soglia di tutela penale perché l’offesa in questo
settore arreca pregiudizio a beni primari rispetto ai quali agire dopo il
fatto significherebbe apprestare una tutela tardiva. Il ricorso a tali
forme di reato e a fortiori a reati di pericolo presunto, in base
all’originaria concezione del precetto penale, dovrebbe essere solo
residuale rispetto ai reati di danno che s’attivano automaticamente
quando l’evento s’è già verificato.
In definitiva, anteriormente al d. lgs. 231/2001 non si può considerare
responsabile l’impresa, perché ciò significherebbe responsabilizzare in
maniera indiscriminata coloro, persone fisiche, che ne fanno parte. La
giurisprudenza del periodo rimane così legata ad una concezione
personale della responsabilità e alla conseguente necessità di ricercare
l’effettivo responsabile, all’interno dell’organizzazione aziendale, che
con il suo comportamento omissivo o commissivo abbia cagionato
l’offesa, con il rischio di lasciare impuniti gli organizzatori e ideatori
del reato.
Nelle moderne economie esistono società di ampie dimensioni
caratterizzate da complessi organigramma che rendono difficoltosa
l’individuazione dell’effettivo responsabile, come se ciò non bastasse
il principio della divisione del lavoro comporta che soggetti con
differenti attribuzioni lavorino a stretto contatto, sostituendosi tra loro
per garantire continuità nell’attività lavorativa.
Dopo aver individuato il colpevole, sorgono ulteriori interrogativi:
quid iuris nel caso in cui la persona o l’individuo considerato non sia
7
A. Alessandri, in AA. VV., ult. op. cit., p. 25.
8
A. Alessandri, in AA. VV., ult. op. cit., p. 42.
13
in effetti l’unico responsabile? Si deve considerare responsabile anche
l’ente nel caso in cui il soggetto abbia agito nell’interesse dello stesso?
Coloro che sono contrari alla configurabilità della responsabilità
penale in capo alle persone giuridiche per reati compiuti da persone
fisiche sostengono che ciò causerebbe una punizione ingiusta ai soci
incolpevoli e conseguente doppia punizione per coloro che hanno
materialmente compiuto l’illecito. Coloro che sono invece favorevoli,
ritengono che sia indispensabile riconoscere responsabilità penale alle
persone giuridiche perché altrimenti si rischia ( come l’esperienza ha
già dimostrato ) d’imputare interamente al soggetto la “ politica
d’impresa “ con aggravamento per lo stesso della risposta
sanzionatoria. E’ indubbio che nella prima ipotesi l’efficacia deterrente
della sanzione venga a mancare, colpendo unicamente la persona fisica
autrice del reato e limitandosi a configurare per l’ente una
responsabilità civile solo eventuale di cui all’art. 197 c.p. per la quale
si rinvia al paragrafo successivo.
Nonostante i fenomeni descritti il legislatore si è solo timidamente
allontanato da una concezione personalistica del diritto penale
rimanendo cauto riguardo la possibilità d’equiparare mediante fictio
iuris la persona giuridica alla persona fisica, per non superare i limiti
derivanti dall’art. 27 comma 1° della Costituzione. Tale atteggiamento
lo si nota particolarmente nella scelta dei modelli sanzionatori
introdotti nell’ordinamento precedentemente al d. lgs. 231/2001, che
corresponsabilizzano ma solo indirettamente la persona giuridica
compromettendo l’efficacia general e special preventiva della
sanzione. La criminalità d’impresa per un lungo periodo di tempo, ha
quindi operato in regime di semi impunità, agevolata anche dal
mancato riconoscimento della cosiddetta criminalità dei colletti
bianchi.
La White Collar Crime costituisce una delle più importanti invenzioni
della Criminologia moderna, da intendersi come quel particolare tipo
di criminalità effettuata da soggetti senza alcun deficit sociale che non
stanno alla base della piramide sociale, ma che risiedono bensì al
14
vertice della stessa, in posizione apicale. La criminalità dei colletti
bianchi, principale motore della criminalità d’impresa rappresenta
quindi la criminalità dei potenti, sulla cui genesi sono state effettuate
differenti teorie
9
. Muovendo dalle teorizzazioni di Sutherland e
spostandoci lungo le ricerche empiriche che sono state effettuate nel
corso degli ultimi anni, in America come in Europa, possiamo notare
come esse abbiano evidenziato fenomeni che denotano una realtà
comune attorno alla White Collar Crime.
Innanzitutto, la criminalità d’impresa, pur essendo caratterizzata da
condotte che ledono molteplici interessi, specialmente di natura
primaria, non viene adeguatamente punita dai sistemi di giustizia
penale che si dimostrano accomunati da una flebile risposta
sanzionatoria. I soggetti responsabili, solitamente persone abbienti di
ceto elevato che ricoprono all’interno dell’ente cariche intermedie in
qualità di managers o dirigenti, finiscono così per eludere la minaccia
del carcere, per loro sostanzialmente inesistente. Il medesimo
trattamento sanzionatorio non viene però utilizzato avverso il
delinquente naturale che per la propria condotta illecita sarà quindi
quasi sempre soggetto alla detenzione. Paradossalmente la risposta
sanzionatoria si rivela così più debole in quei settori della società dove
l’efficacia deterrente della pena detentiva sarebbe maggiore perché
diretta a punire l’immagine pubblica di rispettabilità che i colletti
bianchi hanno e devono mantenere. La causa di tale fenomeno è da
ricercare probabilmente nelle forti pressioni politiche di lobby disposte
a tutelare particolari interessi e nell’atteggiamento d’indifferenza che
l’opinione pubblica ha riguardo tali condotte criminogene, che
sollevano minor allarmismo sociale rispetto ad altri delitti di natura
non prettamente economica.
Sostenitori delle teorie managerialiste
10
, analizzando la struttura
dell’organizzazione aziendale delle moderne società di grandi
9
Per maggiori approfondimenti in merito vedasi l’opera di E. H. Sutherland, Il crimine dei colletti bianchi, 1987,
Milano. L’opera di D. Melossi, Stato, Controllo sociale, Devianza.
10
Maggiori dettagli sulle teorie managerialiste vedasi: AA. VV., Economia Seconda Edizione, Giappichelli
Editore, Torino, p. 159 e ss..
15
dimensioni hanno individuato come sussista una netta separazione tra
proprietà e controllo. La proprietà appartiene ad azionisti, quali
detentori del capitale suddiviso in quote, interessati esclusivamente
all’ottenimento d’un profitto. Il controllo invece appartiene a managers
che, in quanto responsabili dell’attività di gestione dell’impresa, sono
tenuti a garantire il raggiungimento d’un profitto minimo altrimenti
per gli stessi esiste la concreta possibilità di venir destituiti, da
azionisti titolari del potere di nominare o revocare il consiglio
d’amministrazione nonché i dirigenti di grado più elevato.
La scissione tra proprietà e controllo e la dicotomia esistente tra settore
operativo e finanziario creano così all’interno delle società un
ambiente favorevole alla commissione d’illeciti. Interessati
esclusivamente al raggiungimento d’un risultato positivo nel breve
periodo, i managers tendono a delinquere giustificando il loro
comportamento con l’assunto business is business
11
, perché minacciati
dalla possibilità di licenziamento percepita come concreta rispetto al
rischio di una condanna penale che appare loro lontano oppure perché
colpiti da una patologia denominata “ ebbrezza da rischio “ che li
porta a compiere operazioni e scelte produttive rischiose, al limite
della legalità
12
.
L’inadeguatezza del diritto penale tradizionale, costruito attorno alla
considerazione che soggetto attivo di reato sia unicamente la persona
fisica, si mostra così tout court attraverso: una risposta sanzionatoria
totalmente inefficace, a parti lese interessate solamente alle
restituzioni, ad una struttura del reato differente rispetto la sua
concezione originaria tanto che secondo alcuni si può parlare di reati
senza vittima o quantomeno con vittime poco determinabili, ed infine
alla mancanza d’adeguati criteri d’individuazione del colpevole.
In definitiva al giorno d’oggi per i motivi elencati, sostenere l’assunto
11
Per un approfondimento in merito allo sviluppo ed alle teorie esistenti riguardo la criminalità dei colletti
bianchi vedasi: F. Stella, Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, Relazione tenuta al Convegno “
Controllo societario, patti fra i soci, responsabilità di amministratori di società controllanti e controllate “
organizzato dallo Studio Ambrosetti, Villa D’Este di Cernobbio, 3-4 ottobre 1997, p. 460 e ss..
12
F. Stella: ult. op. cit., p. 463.
16
Societas delinquere non potest, più che irreale sembra surreale ( per
utilizzare un espressione di Paliero )
13
.
II. Situazione legislativa a livello nazionale: art. 197 c.p., art. 6 comma
3° l. 689/81, art. 11 d. lgs. n. 472/1997.
Come ho ricordato nel paragrafo precedente, il d. lgs. 231/2001,
sancendo la responsabilità diretta delle persone giuridiche per reati
presupposto compiuti da persone fisiche, finisce per colmare una
lacuna da tempo presente nel nostro ordinamento giuridico. La ratio
del provvedimento è da ricercarsi nella volontà di sanzionare la
persona giuridica per comportamenti che offendono interessi esterni
all’ente. Il sistema legislativo previgente al d. lgs. 231/2001 non
prevede tuttavia un Corpus normativo che disciplina la materia in
questione ma solamente alcune disposizioni frammentarie, prive
d’efficacia deterrente e di rigore sanzionatorio, tra le quali assumono
importanza: l’art. 197 c.p. e l’art. 6 comma 3° L 689/81, nonché l’art.
11 del D. lgs. 18/12/1997 n. 472.
L’art. 197 c.p. dispone che : “ gli enti forniti di personalità giuridica,
qualora sia pronunciata condanna per reato, contro chi ne abbia la
rappresentanza, l’amministrazione o sia con essi in rapporto di
dipendenza e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi
inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso
nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento in
caso, in caso d’insolvibilità del condannato, di una somma pari
all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta “.
Norma sostanzialmente disapplicata nella pratica giurisprudenziale il
13
C. E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in Riv.
trim. dir. pen. econ., 1997, p. 1173. L’autore giunge alla conclusione che l’antico brocardo Societas delinquere
non potest, non ha più ragione d’esistere a causa del fenomeno relativo alla “ modernizzazione del diritto penale
“.
17
cui principale ambito d’intervento rimane quello delle società
14
, l’art.
197 c.p. 1° comma, così come modificato dall’art. 116 della l. 689/81 (
che ne ha ampliato l’originaria previsione estendendone l’applicabilità
ai delitti, attraverso l’aggiunta della multa tra le pene previste per
l’integrazione della fattispecie
15
), è l’unica disposizione del codice
penale riferibile agli enti dotati di personalità giuridica ( eccetto gli
enti territoriali, quali: Stato, Regioni, Comuni e Province ). Essa
prevede un obbligazione civile pecuniaria, in capo a tali enti,
consistente nel pagamento di una somma di danaro pari all’ammontare
della multa e dell’ammenda nell’ipotesi in cui un soggetto, insolvibile,
sia stato condannato con sentenza definitiva passata in giudicato o con
decreto penale, per aver commesso un reato o nell’interesse della
persona giuridica oppure violando gli obblighi inerenti la professione
rivestita.
Per cui quando un soggetto rappresentante di un ente oppure legato
con lo stesso da un rapporto di dipendenza viene condannato al
pagamento di una multa o di un ammenda e sia insolvibile, sussistendo
contemporaneamente i requisiti previsti dall’art. 197 c.p., sorge in
capo alla persona giuridica una responsabilità civile sussidiaria e solo
eventuale
16
.
Sussidiaria perché l’obbligazione civile accessoria de qua sorge
unicamente a seguito dell’accertamento dell’insolvibilità del
condannato. Eventuale perché come requisito è indispensabile la
condanna definitiva di quei soggetti che abbiano commesso l’illecito
indicato dalla norma.
Nella quasi totalità dei casi l’incidenza economica sull’impresa è
irrisoria e l’efficacia deterrente della norma praticamente inesistente
per diversi motivi: innanzitutto la sanzione pecuniaria viene
commisurata tenendo conto “ anche delle condizioni economiche del
14
Per un analisi dettagliata dell’art. 197 c.p. vedasi: M. Romano, in M. Romano, G. Grasso, T. Padovani,
Commentario sistematico del Codice Penale, Milano, 1994, p. 346.
15
Sul punto vedasi: M. Romano, in M. Romano, G. Grasso, T. Padovani, ult. op. cit., p. 339.
16
A. Astrologo, " Interesse " e " Vantaggio " quali criteri di attribuzione della responsabilità dell’ente nel D.
Lgs. 231/2001, in L’Indice penale, n. 2 del 2003, p. 650. L’autrice delinea le principali caratteristiche dell’art.
197 c.p..