VIII
L’impresa sente il bisogno di poter accedere ad una forza lavoro
sempre più qualificata e flessibile, ma soprattutto da poter
adeguare alle proprie necessità produttive. Il miraggio dell’impiego
a tempo indeterminato non può più essere inseguito da nessuno,
lavoratori compresi, tant’è che una delle parti più importanti e
discussa della riforma Biagi è quella relativa alla somministrazione
di lavoro.
Si tratta di un particolare rapporto tripartito in cui un soggetto
(somministratore-Agenzia) assume presso di sé uno o più
lavoratori con l’intento di mettere a disposizione le sue capacità
lavorative ad un terzo soggetto (impresa-utilizzatrice).
Indubbiamente si tratta di una fattispecie che prova molto la
tenuta del diritto del lavoro tradizionalmente inteso, soprattutto
nella parte in cui prevede una “dissociazione” tra datore di lavoro
e utilizzatore delle prestazioni di lavoro del lavoratore,
allontanadosi di gran lunga dalla definizione di lavoratore a tempo
indeterminato di cui all’art. 2094 del c.c..
Tuttavia si tratta, dicevamo, di una riforma necessaria.
Le imprese si sono evolute nel tempo e hanno scelto la strada
dell’outsourcing, scorporando dall’azienda quei settori non più
strategici che si distanziano dal core-businnes aziendale e
assumendo dall’esterno questi stessi servizi (si tratta per lo più di
attività terziarie). Inoltre esse hanno preferito non farsi carico più
di una forza lavoro che nel tempo potrebbe rilevarsi sovra-
dimensionata, ma hanno deciso di adeguare nel breve e medio
termine il proprio organico alle richieste di mercato.
Ed ecco comparire le Agenzie per il Lavoro (in sostituzione delle
precedenti Società di fornitura di manodopera) che potranno
IX
organizzare tali servizi attraverso il contratto di somministrazione
sia a termine che a tempo indeterminato.
Quest’ultimo rappresenta una novità per il nostro ordinamento.
Lo Staff-Leasing, o somministrazione a tempo indeterminato,
rappresenta un istituto di matrice anglosassone, dove per
determinati settori, ad esempio i servizi informatici, le imprese
hanno preferito acquistare tale servizio dall’esterno senza più
doverne sopportare i costi e i gravami.
La somministrazione di lavoro, inoltre, ha comportato una svolta
epocale nel diritto del lavoro: l’abrogazione del divieto di
interposizione sancito dalla l. 23 ottobre 1960, n. 1369, con una
complessiva rivisitazione del sistema sanzionatorio in materia e
della distinzione tra somministrazione e appalto.
L’interposizione di manodopera, dunque, non è più un’eccezione
al divieto di cui alla legge predetta, ma rappresenta un istituto
legittimato e disciplinato dall’ordinamento giuridico.
Con attenzione va trattato lo stesso istituto dell’appalto, ex art.
1655 c.c., dove si fa riferimento all’organizzazione dei mezzi
propri e all’assunzione dei rischi da parte dell’imprenditore. La
riforma Biagi non tocca affatto la nozione di tale istituto, ma
certamente sono rivisti i criteri di distinzione con la fattispecie
della somministrazione.
I due istituti, tuttavia, tendono inevitabilmente ad intrecciarsi: se si
pensa alla distinzione tra appalto di servizi e somministrazione si
può da subito intuire come i due istituti siano molto simili.
La nozione di “azienda” e di “mezzi necessari” è oggi ben diversa
da quella di un tempo; la vera ricchezza delle aziende non sono
più i beni materiali ma il Know-How, le risorse umane, sicché
spesso gli appalti sono a “bassa intensità”, ovvero con scarso
X
apporto di beni materiali e pertanto sempre più simili alla mera
fornitura di manodopera.
La sfida per il futuro è dunque quella di creare un mercato del
lavoro flessibile, adeguato alle esigenze delle imprese, ma che
non abbandoni mai una prerogativa essenziale per un Paese
democratico: la tutela dei diritti del lavoratore.
E’ sul connubio inscindibile tra flessibilità del mercato del lavoro e
garanzia di un’esistenza dignitosa e libera del lavoratore che si
gioca il futuro del nostro Paese e di tanti giovani che si affacciano
per la prima volta nel mondo del lavoro.
Il lavoro che segue si propone di analizzare il fenomeno
dell’interposizione dalle sue origini alla somministrazione di lavoro
a tempo indeterminato introdotta con D.Lgs. 10 dicembre 2003, n.
276, con degli approfondimenti sul ruolo delle Agenzie e il loro
impatto a livello locale e nazionale, sottolineando le differenze e le
analogie con l’appalto e con i modelli di interposizione di
manodopera esistenti nell’ordinamento britannico e francese.
2
Cap. I
Obiettivi di una riforma: il Libro bianco sul lavoro e la
legge delega 14 febbraio 2003, n. 30.
1. La riforma Biagi: osservazioni generali.
La riforma Biagi del mercato del lavoro prende il nome dal suo
principale ideatore: il compianto prof. Marco Biagi. Essa nasce dal
documento del Ministero del Welfare denominato “Il Libro bianco
sul mercato del lavoro”
1
, sviluppato da un gruppo di esperti
coordinati dallo stesso prof. Biagi. Al documento, presentato
nell’ottobre del 2001, seguiranno la legge delega 14 febbraio
2003, n. 30
2
e il conseguente decreto attuativo 10 dicembre 2003,
n. 276
3
.
L’iter della riforma è stato alquanto tortuoso: la presentazione del
documento è stata seguita dal tentativo di raggiungere un accordo
con i sindacati, ai confronti sulla proposta di modifica parziale
dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, alla stipula con le parti
sociali del “Patto per l’Italia” (cui non parteciperà la CGIL), sino
all’entrata in vigore della legge n. 30/2003.
La volontà del Governo di giungere ad una modifica del mercato
del lavoro, com’è chiaramente evidenziato nel Libro bianco, deriva
innanzitutto dalla necessità di dare una risposta alle mutate
condizioni socio-economiche del Paese e, in secondo luogo, dalla
1
M. Biagi, Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia documento contenente politiche attive per il
rilancio dell’occupazione in Italia, Documento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
Roma, ottobre 2001, disponibile su http//:www.welfare.gov.it/.
2
Pubblicata in G.U., S. G. n. 47 del 26 febbraio 2003.
3
Pubblicato in G.U. n. 235 del 9 ottobre 2002, S.O. n. 159/L.
3
volontà di dare completa attuazione alle indicazioni dell’Unione
Europea in materia di occupazione.
Il passaggio da un’organizzazione del lavoro di stampo “Fordista”
ad una rivisitazione di tipo “post-Fordista”, caratterizzata dal
fenomeno delle esternalizzazioni, ha determinato la necessità di
un adeguamento del mercato del lavoro alle mutate esigenze
dell’impresa.
Altro aspetto su cui riflettere sono le politiche comunitarie
sull’occupazione: durante il “Consiglio di Lisbona” del 2000 è stato
fissato un obiettivo occupazionale medio pari al 70 per cento della
popolazione attiva, da raggiungere entro il 2010. Le
raccomandazioni emanate successivamente, soprattutto con il
rapporto congiunto del 2001, hanno evidenziato tutta
l’inadeguatezza del mercato del lavoro del nostro Paese e la
necessità di porre in essere misure appropriate per poter
raggiungere tale obiettivo.
I paragrafi che seguono tenteranno di cogliere gli obiettivi della
riforma Biagi alla luce del nuovo fenomeno dell’interposizione
nelle prestazioni lavorative.
2. Evoluzione storico-economica del mercato del lavoro.
Le relazioni industriali, le regole, le prassi del mercato del lavoro,
sono sottoposte ad un processo di revisione in tutti gli Stati
membri dell’Unione Europea.
4
Com’è stato sostenuto altrove, la
necessità di competere su di un mercato “globale” spinge le
imprese a dover adeguare la propria struttura organizzativa alla
4
Vedi “Il diritto transitorio e i tempi di riforma: L’impatto della Employment European Strategy sul
ruolo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali”, in La riforma Biagi del mercato del lavoro,
Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276”, a cura di M.
Tiraboschi , Giuffrè Editore, Milano, 2004, p. 50.
4
dinamicità dei fenomeni economici e a necessitare di figure
contrattuali “atipiche”
5
o “flessibili”.
Da una società agricola si è passati, a partire dagli anni sessanta,
ad un modello di sviluppo prevalentemente industriale. La
dimensione crescente della produzione di massa, la divisione del
lavoro di tipo tayloristico, la segmentazione delle funzioni di
produzione, la rigidità dei modelli organizzativi propri della prima
rivoluzione industriale costituiscono la base di riferimento per lo
sviluppo di relazioni industriali in cui la tutela fisica ed economica
del lavoratore, quale contraente più debole del rapporto di lavoro,
diventa l’obiettivo primario che sarà conseguito con l’affermazione
della contrattazione collettiva
6
.
Il lavoro diventa, così, un elemento di crescente rigidità al quale si
associano schemi ben definiti di contrattazione e di tutele sia sul
piano dell’individuo che giuslavoristico. In questo ambito il diritto
del lavoro si è sviluppato (in Italia) esclusivamente come
strumento di tutela del rapporto di lavoro a tempo pieno e
indeterminato.
Il risultato è stata la divisione del mercato del lavoro in due parti:
da un lato, chi svolge un’attività stabile (e ipergartantita) nel tempo
e, dall’altro, chi non ha mai lavorato o ha lavorato soltanto in
modo precario presso più datori di lavoro (rispettivamente definiti
"insiders" e "outsiders" dalla riforma Biagi).
Il modello appena illustrato comincia a subire degli scricchiolii già
a partire dagli anni settanta, frutto di due eventi decisivi: la crisi
petrolifera e il maggiore sviluppo raggiunto dalla tecnologia. Si
5
Per lavoro atipico si intendono qui i rapporti di lavoro a tempo parziale e/o determinato, come tali
facilmente identificabili nell’indagine sulle forze di lavoro. Questa classificazione peraltro lascia
indefinite, nel senso che non le caratterizza necessariamente né come tipico né come atipico, le
collaborazioni coordinate e continuative, che non sono identificabili come tali nell’indagine citata.
6
G. P. Sassi, “Riforma Biagi ed evoluzione dell’assetto regolatorio dei mercati del lavoro in Italia”, in
La riforma Biagi del Mercato del Lavoro, Giuffrè editore, 2004, Milano.
5
avvia, così, la destrutturazione delle grandi imprese, la nascita
delle filiere, lo sviluppo delle piccole e piccolissime imprese e la
frammentazione dei punti di servizio. E’ inevitabilmente l’epoca
della crescita degli ammortizzatori sociali, che devono intervenire
per assorbire la forza lavoro espulsa dalle imprese, a causa della
reimpostazione e della robotizzazione dei processi produttivi.
Negli anni ottanta continua l’introduzione di nuove tecnologie e si
assiste ad una diversa organizzazione dell’impresa con fenomeni
di "outsourcing aziendale", avvero esternalizzazioni
7
dal "core
business" di quei settori non ritenuti più strategici per il
funzionamento dell’impresa; si sviluppa anche un diverso
fenomeno di gestione, c.d. “just in time”
8
, che elimina il magazzino
e le scorte, sostituiti dalla produzione appena ordinata.
Gli anni novanta, in ultimo, si caratterizzano per la estrema
segmentazione delle strutture di produzione e per la diffusione
capillare di piccole e piccolissime imprese. Sicché, da un sistema
prevalentemente manifatturiero che vedeva in prima linea gli
aspetti e i problemi della produzione industriale, si è andati
progressivamente verso un’economia post-industriale, fondata
sull’espansione del settore dei servizi. Le imprese oggi devono
produrre più idee che beni e, quindi, lo stesso concetto di impresa
tende ad evolversi secondo processi correlati alla nuova
organizzazione internazionale del lavoro.
9
Tali fattori portano alla necessaria assunzione dall’esterno di
risorse umane, che prima erano impiegate direttamente
nell’impresa, con conseguente e necessaria regolamentazione del
7
R. De Luca Tamajo, “Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione” in Rivista
Italiana del diritto del lavoro, n. 1, 2003, p. 169.
8
Vedi al riguardo E. Chiacchierini, in Tecnologia&Produzione, Edizioni Kappa, Roma, 2003 dove si
afferma che il Just in time (JIT) è una delle tecniche di produzione che consentono alle imprese di
ridurre i tempi di copertura del mercato; tale tecnica è basata su uno snellimento delle scorte di
magazzino ottenuta mediante una riorganizzazione dell’intero processo produttivo.
9
S. Sciarelli, “Economia e gestione delle imprese”, Edizioni CEDAM, Padova, 1997, p. 4.
6
processo per evitare che fenomeni di distacco, esternalizzazione,
trasferimenti di rami di azienda, vadano semplicemente a ridurre i
diritti e le tutele del lavoratore a tutto vantaggio dell’impresa.
3. La nuova struttura occupazionale.
Le ricadute delle attuali metamorfosi del sistema di produzione
sulle discipline normative confermano che l’ordinamento è
continuamente esposto a processi di eterogenesi ed è largamente
tributario di influssi provenienti dalle dinamiche organizzative della
produzione.
10
Sul piano della “struttura occupazionale”, i riflessi di questi
mutamenti sono speculari: la forza lavoro, già transitata
dall’agricoltura all’industria, si sposta ineluttabilmente nel settore
dei servizi (c.d. terziario), quale effetto diretto della nascita di
piccole imprese che assorbono le attività esternalizzate e di entità
organizzative a vita breve che cambiano fisionomia e struttura in
funzione delle mutevoli esigenze di mercato. La flessibilità del
lavoro, l’esigenza di continui cambiamenti organizzativi per
seguire le dinamiche economiche, portano ad una nuova crisi che
miete vittime tra i lavoratori che difficilmente riescono a reinserirsi
nel mondo del lavoro una volta usciti. Di pari passo sono
aumentati sempre più i lavoratori autonomi, in particolare artigiani
e commercianti, i professionisti, i parasubordinati; in ultimo, è
salito costantemente il numero di impiegati in piccole aziende,
mentre si è assistito al declino della grande industria.
10
R. De Luca Tamajo, “Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione”, testo
rielaborato e aggiornato della relazione svolta al Congresso nazionale di Diritto del Lavoro
“D.Napoletano” sul tema “L’impresa tra esternalizzazione e processi di smaterializzazione: le ricadute
sul rapporto di lavoro”, tenutosi in Verona, 31 gennaio 2003, in Rivista Italiana del diritto del lavoro, n.
1, 2003, p. 168.
7
Questa evoluzione ha condotto allo sviluppo di un patrimonio
aziendale sempre più immateriale, all’emersione di nuove figure
professionali, all’incremento della creatività imprenditoriale, che
prima o poi si sarebbe inevitabilmente scontrata con l’assenza di
flessibilità nel mercato del lavoro. Un esempio per tutti è il ritardo
con cui è stata introdotta la normativa sul rapporto di lavoro a
part-time (risalente all’anno 1983), mentre lavoratori e imprese ne
facevano un utilizzo concreto e diffuso già da prima.
Inevitabilmente, quindi, l’instabilità degli anni ottanta e novanta ha
condotto ad una conflittualità nel mercato del lavoro: il modello del
rapporto di lavoro subordinato, proprio di un’economia statica, ha
finito per urtare con la realtà dei fatti, generando tensioni tra gli
operatori economici, il sindacato e i lavoratori. Il risultato è stato la
diffusione del lavoro sommerso, poiché la “temporaneità dei cicli
di vita delle imprese ha favorito la frammentarietà del lavoro e la
difficoltà di controllo, da parte delle istituzioni, del rispetto delle
norme vigenti di un sistema oramai superato”
11
. Neppure i passi
compiuti dal legislatore nel 1995 hanno dato forma normativa alla
serie di situazioni di fatto che difficilmente potevano essere
incanalate nello schema delle sole collaborazioni coordinate e
continuative.
Negli anni più recenti, tuttavia, le battaglie sindacali per la difesa
del modello tradizionale del mercato del lavoro sono andate
sempre più assottigliandosi; l’esperienza pregressa di altri Paesi
occidentali ci ha dimostrato come i mercati del lavoro che sono
riusciti a creare il maggior numero di posti di lavoro, anche in
momenti di crisi o di stallo dell’economia, sono stati quelli basati
su organizzazioni aziendali e sistemi normativi flessibili e
11
G. P. Sassi, “Riforma Biagi ed evoluzione dell’assetto regolatorio dei mercati del lavoro in Italia”,
in La riforma Biagi del Mercato del Lavoro, Giuffrè editore, 2004, Milano, p. 36.
8
caratterizzati da continui processi di mobilità aziendale e
intersettoriale della forza lavoro.
Il mercato del lavoro Italiano, difatti, a cominciare dalla seconda
metà degli anni novanta ha assistito ad un incremento del numero
degli occupati soprattutto nelle forme contrattuali a tempo parziale
o determinato. La spinta verso rapporti di lavoro di questo tipo e,
ancor di più, nuove e diverse forme contrattuali (lavoro interinale,
job sharing, contratti week-end, ecc.) è derivata non soltanto dalla
difficoltà a reperire rapporti di lavoro stabili, ma anche dalla
propensione dei più giovani a poter disporre di un maggior tempo
libero e dal desiderio di poter cambiare nel tempo condizioni e tipo
di lavoro.
4. La sfida dell’Europa per l’occupazione.
Come evidenziato nel primo paragrafo, la riforma Biagi tenta di
dare una risposta ad esigenze di ordine economico-sociale e alle
continue sollecitazioni dell’Unione europea in materia di
occupazione.
Con il Consiglio europeo di Lisbona, tenutosi tra il 23 e il 24 marzo
2000, si è deciso di dare un nuovo impulso alle politiche
comunitarie in materia di lavoro, in modo tale da poter intercettare
la crescita economica dell’area Euro (di quegli anni) e poterla
tradurre in un incremento del livello di occupazione.
Tuttavia, il Consiglio di Lisbona rappresenta lo sbocco naturale di
un processo evolutivo che ha avuto delle tappe fondamentali nei
seguenti avvenimenti:
9
ξ il Libro bianco di Delors sulla crescita, sulla competitività e
sull'occupazione ha fatto sorgere nel 1993 la discussione
sull'occupazione nell'Unione europea;
ξ un anno più tardi, ad Essen, i leaders europei hanno
appoggiato il primo piano d'azione per affrontare la sfida
dell'occupazione identificando cinque settori prioritari per la
politica occupazionale a livello nazionale;
ξ i successivi Consigli europei, da quello svoltosi a Madrid
nel 1995 a quello di Dublino nel 1996, hanno valutato i
progressi raggiunti nella "Strategia di Essen", aggiungendo
ulteriori elementi ai cinque punti di Essen;
ξ il c.d. “Processo di Lussemburgo” e il Trattato di
Amsterdam
12
.
La prima e decisiva tappa di questo processo è stata sicuramente
il Consiglio di Essen, tenutosi il 9 e 10 dicembre 1994, che ha
definito per la prima volta degli indirizzi, a breve e medio termine,
in materia di occupazione.
Il Consiglio europeo delineò cinque aspetti prioritari per le
politiche degli Stati membri in materia di occupazione:
ξ la promozione degli investimenti nella formazione
professionale, affinché i lavoratori possano adattarsi
all'evoluzione della tecnologia in tutto l'arco della loro vita;
ξ l'aumento dell'intensità dell'occupazione nei periodi di
crescita (in particolare attraverso un'organizzazione più
flessibile del lavoro);
12
Consultabili su Europa, http://www.europa.eu.int/.
10
ξ una politica salariale favorevole agli investimenti che
creano posti di lavoro e l'incoraggiamento di iniziative a
livello regionale e locale);
ξ l'abbassamento dei costi salariali indiretti per favorire le
assunzioni, in particolare dei lavoratori meno qualificati;
ξ una politica del mercato del lavoro più efficace, definendo
meglio le misure di integrazione dei redditi e valutando
regolarmente l'efficacia degli strumenti della politica del
mercato del lavoro;
ξ il rafforzamento delle misure a favore dei gruppi
particolarmente colpiti dalla disoccupazione, segnatamente
da quella di lunga durata (i giovani che abbandonano il
sistema educativo senza un diploma, i lavoratori anziani e
le donne).
Le indicazioni appena fornite si sono tradotte in programmi
pluriennali e la Commissione ha redatto periodicamente una
relazione sull’evoluzione dell’occupazione e sulle politiche
adottate dagli Stati membri, valutandole alla luce delle priorità
fissate.
Successivamente, nel 1996, la Commissione europea ha lanciato
una “Azione per l’occupazione in Europa”: un “Patto di fiducia”,
allo scopo di mobilitare tutti gli interlocutori a livello comunitario,
nazionale e locale, di valorizzare l’effetto moltiplicatore che
possono avere le iniziative europee e di inserire la lotta
all’occupazione in una visione sociale a medio e a lungo termine.
Il Consiglio europeo di Dublino, tenutosi il 13 e 14 dicembre 1996,
reagendo positivamente a questa iniziativa, ha chiesto l’attuazione
rapida dei progetti di patti territoriali per l’occupazione. Durante
11
tutto questo periodo, il Fondo Sociale Europeo ha contribuito con
programmi di cofinanziamento destinati a sviluppare le qualifiche
e il potenziale delle persone in materia di lavoro.
In ultimo, l’anno 1997 segna sicuramente la svolta per le politiche
comunitarie sull’occupazione: il c.d. Processo di Lussemburgo
anticipa l’attuazione dei capitoli sull’occupazione elaborati nel
Trattato di Amsterdam che, invece, entrerà in vigore
successivamente (nel 1999).
5. “Strategia europea per l’occupazione”.
Con il Trattato di Amsterdam, quindi, la promozione
dell’occupazione fa il suo ingresso tra gli obiettivi dell’Unione
europea e diventa “una questione di interesse comune” per gli
Stati membri (art. 126). Il nuovo obiettivo è raggiungere “un livello
di occupazione elevato” senza indebolire la competitività
dell’Unione europea (art. 127)
13
.
13
Vedi il Trattato di Amsterdam, disponibile su http://Europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/a13000.htm/.
12
La nuova Strategia per l’occupazione fonda le sue basi su quattro
pilastri fondamentali: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e
pari opportunità
14
.
I punti principali su cui si basa la nuova politica sull’occupazione,
nel modello fornito dal trattato di Amsterdam, sono i seguenti:
ξ una svolta verso la prevenzione e l'attivazione precoce nelle
politiche occupazionali: ciò vuol dire aiutare le persone
prima che siano disoccupate o al momento in cui lo
diventano, piuttosto che occuparsi delle loro esigenze solo
quando sono prive di lavoro per un certo periodo di tempo;
ξ una nuova strategia gestionale per obiettivi: gli Stati membri
fisseranno obiettivi concreti in taluni casi a livello di UE,
quali valori indicativi per la valutazione del successo o per il
fallimento delle loro politiche occupazionali.
ξ meccanismo multilaterale annuo per il controllo e la
valutazione del progresso della strategia: gli Stati membri,
congiuntamente alla Commissione, avvieranno meccanismi
14
L’occupabilità è rivolta ad assicurare ai giovani e ai disoccupati gli strumenti necessari per
fronteggiare le nuove opportunità occupazionali e i cambiamenti repentini del mercato del lavoro. Un
elemento essenziale di questo pilastro è la consapevolezza della necessità di interventi immediati,
prima cioè che gli individui diventino disoccupati di lungo periodo. In questa area si collocano le
misure volte a rendere moderni ed efficienti per l’impiego, nonché le misure volte a innalzare la
qualità del lavoro soprattutto mediante interventi in formazione e istruzione.
L’imprenditorialità si basa sul presupposto che la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro
richiede un clima imprenditoriale dinamico. La flessibilità del lavoro agevolerà la creazione di nuove
imprese, lo sviluppo di quelle già esistenti e la promozione di nuove iniziative all’interno delle
imprese di grandi dimensioni.
L’adattabilità è il pilastro destinato ad incidere maggiormente sugli attuali assetti dell’organizzazione
del lavoro e si propone di agevolare il processo di transizione dalla nostra economia verso la società
della informazione e della conoscenza. I nuovi mercati globali richiedono maggiore flessibilità e un
più ampio ventaglio di schemi contrattuali per coglierne le occasioni di lavoro offerte dalla tecnologie
della informazione e della comunicazione.
Il parametro delle pari opportunità è il più efficace per comprendere la doppia valenza, non solo
economica ma anche sociale dei mercati del lavoro: non solo le donne devono poter lavorare con il
trattamento economico e garantito agli uomini, ma anche con uguali responsabilità e opportunità di
carriera.