Introduzione
5
parte della sua legittimazione” (v. M. NAPOLI). Nella parte finale del capitolo ho
voluto dedicare una breve riflessione all’intesa Milano lavoro perché, secondo molti,
è proprio da questa prima coraggiosa sperimentazione che si è incominciato a
parlare del progetto di riforma complessiva del nostro mercato del lavoro che
confluisce nel Libro Bianco del Governo.
Provenendo dalla Facoltà di Economia e avendo inserito nel piano di studi
l’esame di Economia del lavoro, mi è sembrato opportuno introdurre nell’elaborato
un capitolo riguardante alcuni studi economici sul mercato del lavoro che aiutano a
delineare il contesto in cui si inserisce il documento governativo. La prima questione
affrontata è quella delle politiche del lavoro che possono svolgere un ruolo
importante all’interno di strategie più generali in materia di promozione
dell’occupazione e di sollecitazione dello sviluppo. Impostata l’analisi delle politiche
passive e attive in Italia, ho presentato i pilastri della Strategia di Lussemburgo di
lotta alla disoccupazione per comprendere la molteplicità delle novità che sono
all’ordine del giorno nel dibattito europeo in tema di politiche sociali e del lavoro.
Più complessa l’analisi dei regimi di protezione dell’impiego che rappresentano
l’insieme eterogeneo delle norme che limitano la possibilità di interruzione
unilaterale del rapporto di lavoro da parte dell’impresa. Mentre non si riesce ancora
ad illustrare chiaramente i motivi per cui i regimi di protezione esistono e variano
tra Paese e Paese, la letteratura è concorde sul fatto che gli RPI, una volta posti in
essere, sono difficili da rimuovere. Ho allora descritto la possibile soluzione delle
“riforme di flessibilità al margine”. Il capitolo si conclude con un argomento che ha
acceso il dibattito fra gli studiosi: le proposte rivolte ad aumentare il grado di
flessibilità del mercato del lavoro italiano. Il dibattito che si è avuto in questi
decenni sul tema è stato acceso e sicuramente di grande utilità, ma non si può
negare che non è arrivato a nessuna conclusione decisiva e definitiva.
Il terzo capitolo è relativo al Libro Bianco sul mercato del lavoro, documento
oggi strettamente collegato, dopo il suo assassinio per terrorismo, al nome di Marco
Biagi e, di conseguenza, ricordato nei commenti, come negli incontri e sulla stampa,
come il “Libro Bianco di Marco Biagi”; alla stesura collaborarono comunque anche
altri esperti. Prima di entrare nel merito dei vari argomenti ho speso qualche parola
sulla natura e sull’utilità di un Libro Bianco, novità in Italia. Ho voluto poi seguire
Introduzione
6
l’impostazione del documento governativo inserendo l’Executive Summary, seguito
dall’analisi del mercato del lavoro in Italia e dalle proposte per promuovere una
società attiva ed un lavoro di qualità. Nella prima parte la situazione del nostro
mercato del lavoro di questi ultimi anni è sintetizzata con due termini: inefficienze ed
iniquità; nella seconda si avanzano invece considerazioni e proposte in tema di
rapporti di lavoro e di politiche del lavoro perché si è consapevoli che lo studio e
l’analisi non bastano. Si individuano regole e strumenti per l’attuazione di obiettivi e
politiche volte a raggiungere l’occupabilità, la qualità, la flessibilità, la sicurezza, le
pari opportunità e l’inclusione sociale. Insomma, una serie di misure difficili da
riassumere, che puntano a promuovere non solo una società attiva, cioè, con più
posti e più occasioni di lavoro, ma anche a favorire un lavoro “di qualità”. Un
incremento occupazionale, in sostanza, non inteso solo in termini quantitativi, ma
anche, e soprattutto, in termini qualitativi.
Nel quarto capitolo ho accennato all’acceso dibattito che si è aperto dopo
l’uscita del Libro Bianco innanzi tutto fra le parti sociali. Le associazioni
imprenditoriali hanno mostrato un certo grado di soddisfazione anche se alcune di
queste pretendevano proposte più incisive e non soltanto in materia di lavoro ma
anche in tema di pensioni (argomento che il Governo stava trattando in altra sede). I
sindacati si sono divisi: da un lato la CGIL accusa il documento di essere espressione
delle tesi confindustriali, dall’altro la CISL lo considera un’utile base di discussione.
L’accoglienza delle proposte del Governo fra i giuristi, colleghi di lavoro di Marco
Biagi, è pessima.
Nel quinto capitolo ho riepilogato i passaggi fondamentali che hanno portato
dal Libro Bianco in questione al D.Lgs. 10 settembre 2003, n.276 e, quindi, alle
nuove regole. In conclusione, il mercato del lavoro cambia. Dal 24 ottobre 2003
sono in vigore nuove regole, nuovi principi e nuove discipline per il sistema di
collocamento dei lavoratori e per i contratti di lavoro. Con l’entrata in vigore del
provvedimento di riforma è cominciata la prima fase di ricezione delle nuove regole,
quella di transizione dal vecchio al nuovo ordinamento. Ora non resta che aspettare
per vedere se il cambiamento garantirà effettivamente nuove opportunità per
imprese e lavoratori. La riforma non rappresenta però il termine del progetto di
modernizzazione del diritto del lavoro italiano, delineato nel Libro Bianco
Introduzione
7
dell’ottobre 2001 e poi confermato nel Patto per l’Italia del luglio 2002. Il
D.Lgs.276/2003 deve essere visto solo come punto di partenza del processo di
ridefinizione e razionalizzazione delle regole che governano il nostro mercato del
lavoro.
CAPITOLO PRIMO
8
CAPITOLO PRIMO
LAVORO, DIRITTO AL LAVORO, DIRITTO DEL LAVORO
SOMMARIO: 1. I confini classici fra lavoro subordinato e lavoro autonomo. – 2. I
fattori di trasformazione del lavoro. – 3. Le caratteristiche del mercato del lavoro
italiano. – 4. Il diritto del lavoro è stato pensato solo a tutela degli occupati? – 5.
Quale futuro per il diritto del lavoro? – 6. Qualcosa si muove: una lezione da
Milano.
1. I confini classici fra lavoro subordinato e lavoro
autonomo.
Il diritto del lavoro italiano, a partire dagli interventi normativi di inizio
secolo, è stato costruito intorno alla figura del contratto di lavoro subordinato a
tempo pieno ed indeterminato. Perché è stato definito proprio quest’ultimo come
modello standard di riferimento per la regolamentazione dei rapporti di lavoro?
Ritroviamo probabilmente le ragioni nella tutela dello statuto giuridico del lavoro
dipendente e nella buona risposta all’organizzazione della produzione in una società
nella quale il lavoro industriale stava al centro ed era ordinatore dei grandi rapporti
sociali. È un modello che permetteva di conciliare il bisogno delle imprese di avere
disponibilità di manodopera con le esigenze di tutela dei lavoratori.
Il fenomeno della subordinazione come modo d’essere di una obbligazione
lavorativa contrattuale, anche se non sconosciuto al diritto romano classico, ha
incominciato ad assumere un ruolo centrale nel sistema produttivo solo con la
rivoluzione industriale.
Può essere interessante, a questo punto, menzionare due possibili funzioni
economiche del rapporto di lavoro subordinato: l’allocazione razionale del rischio ed
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
9
il risparmio dei costi di transazione. La prima teoria
1
sostiene che all’origine del
rapporto di lavoro subordinato sta la differenza di propensione al rischio dei soggetti
del rapporto stesso. Di fronte ad una situazione di incertezza relativa alla produttività
ed alla redditività del lavoro, il soggetto più sicuro dei propri mezzi e con buone
capacità organizzative, con migliore informazione e più propenso al rischio offre al
soggetto più insicuro, la garanzia di un reddito, avendo in cambio la facoltà di
appropriarsi dei risultati dell’attività lavorativa. Un altro aspetto interessante dal
punto di vista economico, alla base del rapporto di subordinazione, è presentato dalla
teoria
2
che considera il rapporto finalizzato a un risparmio dei costi di transazione:
l’imprenditore, da intendersi come colui che combina fra loro i fattori produttivi,
vuole evitare di dover rinegoziare continuamente le modalità di svolgimento delle
prestazioni dei suoi collaboratori e desidera poterle conformare alle esigenze che via
via si presentano con il semplice esercizio unilaterale di un proprio potere direttivo, e
negozia con il lavoratore una volta per tutte un suo obbligo di obbedienza; così “un
solo contratto si sostituisce a un’intera serie di contratti”, che sarebbe molto più
costosa
3
.
Fin dagli inizi del secolo, la dottrina giuslavoristica europea aveva
individuato nell’obbligo di obbedienza del lavoratore l’elemento caratterizzante della
figura del lavoro subordinato
4
. Seguendo questa dottrina il legislatore italiano ha
costruito la definizione del rapporto di lavoro subordinato
5
nel codice civile del 1942,
1
Per la trattazione del tema del contenuto assicurativo del rapporto fra imprenditore e collaboratore si
veda P. ICHINO, Il contratto di lavoro, in CICU-MESSINEO (già diretto da), MENGONI (continuato da),
Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 2000, p.257.
2
In op. ult. cit., p.258, si veda la teoria che considera il rapporto di subordinazione come una forma di
organizzazione del lavoro che ha per fine il risparmio dei costi di transazione.
3
R. COASE, La natura dell’impresa: la natura, il significato, l’influenza, nella raccolta di scritti dello
stesso A., Impresa, mercato e diritto, M. GRILLO (a cura di), Il Mulino, Bologna, 1995 (ma lo scritto
originario è del 1988), pp.145-146.
4
È d’obbligo un riferimento all’opera di L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano, Ristampa anastatica dell’edizione del 1901, M. NAPOLI (a cura di), Vita e Pensiero, Milano,
2003. L’autore afferma che “questo rapporto di subordinazione implica una unilaterale affermazione
della volontà del creditore di lavoro, una affermazione signorile, imperativa (di cui sono
manifestazioni tipiche gli “ordini di servizio”, i divieti, i contrordini, le assegnazioni a lavori diversi,
entro i limiti contrattuali e via dicendo), che non ha bisogno di incontrare sul suo cammino un attuale
consenso del lavoratore, poiché questi già nel contratto si è impegnato a sottostare senz’altro a quei
comandi >… ≅ io credo che questa distinzione tra lavoro autonomo e subordinato sia troppo
profondamente radicata nella natura umana perché abbia a sparire” (pp. 698-700).
5
Art.2094 Cod. Civ. - Prestatore di lavoro subordinato - È prestatore di lavoro subordinato chi si
obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o
manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
CAPITOLO PRIMO
10
in contrapposizione a quella di lavoro autonomo. E così, nell’impianto codicistico, il
diritto del lavoro si caratterizza essenzialmente come diritto del lavoro subordinato.
L’assoggettamento a eterodirezione ha assunto la funzione di individuazione del tipo
legale del lavoro subordinato nell’impresa
6
. Ciò che colpisce è che “mentre per gli
altri contratti la nominatività coincide con la tipicità di disciplina (ogni contratto
tipico ha una sua disciplina tipica), per il lavoro subordinato è ipotizzato che la
disciplina del contratto possa apparire con più facce che non mettono però in
discussione l’unitarietà del tipo: un contratto per più rapporti”
7
.
Quando il legislatore detta la nozione di subordinazione ha in mente il lavoro
subordinato socialmente tipico o prevalente dell’impresa industriale. Ma non c’è
perfetta coincidenza tra i criteri che il codice usa come distintivi della fattispecie
“lavoro subordinato” (c.d. tipo legale) e le caratteristiche che la figura assume nel
fenomeno socio-economico. Inizialmente si tenta l’allargamento dell’area coperta
dalla disciplina tipica (espansione del diritto del lavoro subordinato), in particolare
adottando una lettura estensiva della definizione contenuta nell’art.2094. Si proverà
anche ad applicare frammenti della disciplina tipica a rapporti diversi da quello di
lavoro subordinato.
La dottrina tenta, fino alla metà degli anni sessanta, di modificare e integrare
la nozione legale di subordinazione. Falliscono però i tentativi di fondare la
subordinazione su profili estranei alle modalità della prestazione lavorativa. Si prova
allora a creare una nozione “sintetica” di subordinazione
8
. A questo punto, non
6
Osserva M. NAPOLI, Contratto e rapporti di lavoro, oggi, in Questioni di diritto del lavoro (1992-
1996), Giappichelli, Torino, 1996, p.38, che “L’opinione prevalente in giurisprudenza è che la
subordinazione definita dall’art.2094 c.c. si identifichi con l’eterodirezione, cioè con l’assoggettabilità
del lavoratore al potere direttivo dell’imprenditore. Questa acquisizione è però di fatto smentita dalla
ricerca e dall’impiego di altri indici di subordinazione ritenuti decisivi in assenza di una non chiara
identificazione dell’elemento centrale. Ma la visione del potere direttivo non è specificamente
definita, essendo questo fatto coincidere con il potere di organizzazione dell’impresa, cioè con i vari
poteri gerarchici di cui è dotato l’imprenditore. La dottrina, invece, individua l’eterodirezione nel
potere di conformazione alle mutevoli esigenze dell’impresa”. Si osserva inoltre (p.41) che “come è
scorretto far leva sull’eterodirezione dimenticando la dipendenza, così è altrettanto scorretto far leva
sulla dipendenza mettendo nell’ombra l’eterodirezione”.
7
In op. ult. cit., p.36.
8
In F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro 2. Il rapporto di lavoro
subordinato, Utet, Torino, 1998, p.26, si osserva che “Per questa via è pervenuta a definire
subordinata la prestazione lavorativa destinata ad essere inserita in una organizzazione sulla quale il
lavoratore non ha alcun potere (giuridico) di controllo e ad essere utilizzata secondo le direttive del
datore di lavoro per uno scopo in ordine al cui conseguimento il lavoratore non ha alcun interesse
(giuridicamente) tutelato”. Si faccia inoltre riferimento a L. MENGONI, Lezioni sul contratto di lavoro,
Celuc, Milano, 1971, pp.42 ss.
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
11
soddisfatta, una parte della dottrina abbandona la via tradizionale per abbracciare una
scelta metodologica totalmente diversa. La conclusione è che “l’operazione di
qualificazione può solo consistere in un giudizio di approssimazione della fattispecie
concreta rispetto al tipo normativo sotteso alla fattispecie astratta”
9
.
Come opera la giurisprudenza? Anche se non tralascia di utilizzare una
definizione generale di subordinazione, essa ricava una serie di indici dalla figura
socialmente prevalente di lavoratore subordinato e dalla disciplina del relativo
rapporto (inserzione del lavoratore nell’organizzazione predisposta dal datore di
lavoro; sottoposizione alle direttive tecniche, al controllo e al potere disciplinare
dell’imprenditore; esclusività della dipendenza da un solo datore; modalità della
retribuzione solitamente a tempo ed indipendente dal risultato; vincolo dell’orario di
lavoro…)
10
. La Suprema Corte ha inoltre affermato che “ai fini della qualificazione
non si può prescindere dalla preventiva ricerca della volontà delle parti >… ≅”
11
.
Tramite il giudizio di approssimazione essa procede quindi a verificare se,
nonostante l’assenza di alcuni tratti caratteristici del lavoro subordinato, gli indici
della subordinazione siano comunque prevalenti: in tal caso essa qualifica comunque
il rapporto ex art. 2094 c.c. e applica, in modo tendenzialmente integrale, la
disciplina del lavoro subordinato. Ed infatti ogni rapporto che manifesta le
caratteristiche della subordinazione è ricondotto alla fattispecie tipica del lavoro
subordinato (c.d. tassatività del tipo) e a questo punto si producono tutti gli effetti
legislativamente correlati a tale fattispecie
12
.
Negli anni ottanta la dottrina ha criticato il metodo della giurisprudenza (per
approssimazione) riproponendo di ricondurre alla fattispecie astratta casi concreti
provvisti di tutti i suoi connotati distintivi (sussunzione per identità)
13
.
9
In F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro 2. Il rapporto di lavoro
subordinato, già citata, p.27.
10
In op. ult. cit., p.28.
11
Ci si sta riferendo all’assunzione da parte della giurisprudenza tra gli indici, come criterio
sussidiario, del nomen iuris che le parti hanno attribuito al rapporto stesso.
12
In op. ult. cit., p.33.
13
Per una rivalutazione del metodo c.d. sussuntivo si veda L. MENGONI, La questione della
subordinazione in due trattazioni recenti, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1986, 1, pp.5 ss.; E.
GHERA, La subordinazione tra tradizione e nuove proposte, in Giornale di diritto del lavoro e di
relazioni industriali, 1988, pp.621 ss.; ed il tentativo di R. PESSI, Contributo allo studio della
fattispecie lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1989, di individuare il nucleo essenziale della
subordinazione anche attraverso elementi desunti dalle caratteristiche della controprestazione
retributiva nel contesto di interessi sottostante alla fattispecie tipica. Per i termini generali del dibattito
CAPITOLO PRIMO
12
Negli ultimi anni si è assistito ad una forte innovazione tecnologica ed alla
terziarizzazione del mondo del lavoro che hanno portato ad un aumento dei rapporti
di lavoro che si situano al confine tra l’area della subordinazione e quella
dell’autonomia, con tendenze disgregative interne alla fattispecie tipica.
E per quanto riguarda il lavoro autonomo? Esiste una definizione di
“lavoratore autonomo” nel corpus del codice civile? C’è chi
14
fa notare che nel
codice civile la disciplina del “lavoro autonomo” si esaurisce nel regolamento del
contratto d’opera, mentre manca una definizione di “lavoratore autonomo”. Sembra
che il compito dell’interprete debba essere quello di ricostruire la figura, ricavandola
dalla nozione contenuta nell’art.2222 c.c.
15
. Sotto il titolo “Del lavoro autonomo” il
codice civile presenta il contratto d’opera che ha per oggetto la prestazione di
un’opera o di un servizio, considerati nei loro risultati e resi senza vincolo di
subordinazione. La sua origine è probabilmente nelle nozioni di “arte” e di
“mestiere” che occupavano, con le attività commerciali, un gradino
nell’organizzazione e gerarchia sociale dell’ancien régime.
Il problema attuale più scottante è quello di creare un discrimen chiaro tra
lavoro autonomo e subordinato e, a tal fine, è stato compiuto un interminabile lavoro
dottrinale e giurisprudenziale. Il problema è aggravato dal fatto che, in ipotesi, il
contratto di lavoro subordinato può avere per oggetto ogni prestazione propria di
qualsiasi figura tipica di lavoro autonomo. Inoltre i cambiamenti che si sono avuti
nell’organizzazione del lavoro ed in quella produttiva hanno ridotto i momenti
autoritari e gerarchici tipici del rapporto di lavoro subordinato ed hanno assegnato
valore ad aspetti di autodeterminazione ed autonomia tecnica nell’adempimento,
prerogative in passato del lavoratore autonomo, con perdita di significato per alcuni
indici della subordinazione
16
. Non mancano poi alcune tendenze disomogenee, ma
e le loro valenze, cfr. M. D’ANTONA, I mutamenti del diritto del lavoro ed il problema della
subordinazione, in Rivista critica di diritto privato, 1988, pp.195 ss.; M. GRANDI, La subordinazione
tra esperienza e sistema dei rapporti di lavoro, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato e
dintorni, Il Mulino, Bologna, 1989, p.77 (op. ult. cit. nota 20, p.31).
14
Si veda nota 5 in A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in
CICU-MESSINEO (già diretto da), MENGONI (continuato da), Trattato di diritto civile e commerciale,
Giuffrè, Milano, 1996, p.5.
15
Art.2222 Cod. Civ. - Contratto d’opera - Quando una persona si obbliga a compiere verso un
corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di
subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il
rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV.
16
A. PERULLI, op. cit., p.174.
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
13
ormai consolidate: estensione del fenomeno sindacale, del diritto previdenziale e
della sicurezza anche ai lavoratori autonomi ed ai liberi professionisti… Molti
elementi sembrano insomma favorire una riconsiderazione unitaria delle due
fattispecie.
La funzione discriminante
17
è affidata al vincolo di subordinazione: elemento,
come spiegato nella parte iniziale del paragrafo, dai contorni non ben delineati e
sfuggenti. Il lavoro autonomo appare dove non c’è una precisa situazione di
subordinazione. È affermazione ricorrente della Suprema Corte che “Il fondamentale
criterio di distinzione del rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro
autonomo è costituito dall’elemento della subordinazione”
18
.
Le cose si complicano ulteriormente perché, sul confine che separa il lavoro
autonomo da quello subordinato, la dottrina ha collocato l’area della
parasubordinazione
19
, indefinita per estensione ed indeterminata tipologicamente. È
un’area dai confini controversi, in cui affiorano le teorie socio-economiche della
subordinazione. Non è una nuova categoria di contratto, ma una zona in cui si hanno
rapporti che, pur rimanendo tipologicamente di lavoro autonomo
20
, hanno
caratteristiche che permettono l’estensione di alcune tutele proprie del lavoro
subordinato
21
.
17
Osserva A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in Diritto delle relazioni industriali,
2000, 2, p.218, che “La contrapposizione fra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo rimane una
summa divisio del diritto del lavoro in Europa”.
18
Cass, 14 aprile 1982, n.2249, RFI, 1982, voce Lavoro (rapp.), n.271. Nello stesso senso cfr. Cass., 6
novembre 1992, n.12033, DPL, 1992, N.50, 3399, con nota di E. D’AVOSSA,; Cass., 26 ottobre 1994,
n.8804, RFI, 1994, voce cit., n.419.
19
È in Italia che l’introduzione di un “lavoro di terzo tipo”, né subordinato, né autonomo è stata per
prima oggetto di dibattito dottrinale ricco e sottile. Nel diritto tedesco si parla per esempio di quasi-
subordinato, ma la sua diffusione è molto minore. Nel nostro Paese la discussione si è concentrata sul
fatto di sapere se bisognasse vedere nella parasubordinazione il riconoscimento del criterio della
dipendenza economica, che autorizzerebbe un’applicazione del diritto del lavoro ai “parasubordinati”
oppure al contrario se questi ultimi dovessero rimanere dei lavoratori autonomi, ai quali questo diritto
non è applicabile se non nei casi espressamente previsti dalla legge (principalmente in materia di
processo del lavoro e di salute e sicurezza). È questa seconda tesi che è stata adottata dalla dottrina e
dalla giurisprudenza. Quindi si applica il diritto processuale del lavoro a lavoratori giuridicamente
autonomi, ma economicamente dipendenti (art.409 n.3 c.p.c.); l’applicazione delle norme sostanziali
del diritto del lavoro a questi lavoratori è invece estremamente limitata (l’es. più significativo riguarda
l’art.2113 c.c. in tema di rinunce e transazioni dei lavoratori).
20
Cfr. M. NAPOLI, I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in Autonomia negoziale e
prestazioni di lavoro (Quaderno ALAR), Milano, 1993, p.51 ss., secondo il quale gli elementi
costitutivi della parasubordinazione (continuità ed eterodirezione) ex art.409/3 c.p.c. coinciderebbero
sostanzialmente con quelli ex art.2094 c.c., senza però comportare l’assunzione di un vincolo di
subordinazione.
21
A. PERULLI, op. cit., p.209.
CAPITOLO PRIMO
14
Il diritto del lavoro italiano costruito attorno alla figura del contratto di lavoro
subordinato a tempo pieno ed indeterminato incontra difficoltà crescenti. Il mercato
del lavoro è ormai caratterizzato da una forte offerta di lavoro femminile, sono
cambiati i modi di produzione e l’organizzazione del lavoro, è venuto meno il
modello fordista-tayloristico e osserviamo una diffusione di molte tipologie di lavoro
“flessibile”
22
divergenti dal prototipo normativo del contratto di lavoro subordinato a
tempo pieno ed indeterminato
23
. La vecchia coincidenza tra esigenze di tutela del
lavoratore ed esigenze dei metodi di produzione è venuta meno, sono cambiate le
necessità delle imprese e dei mercati e sembra si stia sfuggendo dal modello
standard.
Oggi è più ampia l’offerta di modelli normativi di regolazione: non c’è
soltanto il rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, ma viene dato forte
peso anche ai rapporti di lavoro a termine e a tempo parziale. Le diverse tipologie
coesistono con l’unicità della figura giuridica del contratto di lavoro subordinato. Ma
non si trascuri il significato sociale del rapporto di lavoro a tempo pieno ed
indeterminato!
Bisogna infine prestare attenzione al diffondersi del lavoro autonomo
24
, come
effetto della terziarizzazione dell’economia e dell’innovazione tecnologica. Il mondo
del lavoro autonomo, non dobbiamo poi dimenticare, è distante da quello del lavoro
subordinato inserito in un sistema legale e contrattuale di garanzia.
22
L. GALLINO, Il costo umano della flessibilità, Laterza, Bari, 2001, p.25, definisce flessibili, ponendo
l’accento sull’aspetto sociologico, i “lavori che richiedono alla persona di adattare ripetutamente
l’organizzazione della propria esistenza – nell’arco della vita, dell’anno, sovente perfino del mese o
della settimana - alle esigenze mutevoli della o delle organizzazioni produttive che la occupano,
private o pubbliche che siano”.
23
Afferma M. BIAGI, La flessibilità ha cambiato cultura, in Il Sole 24 Ore, 20 febbraio 1998, che “La
diffusione di attività lavorative diverse dal tradizionale lavoro subordinato non accenna a diminuire.
Al contrario tutti i dati disponibili convergono nel confermare questa vera e propria fuga dal classico
schema del lavoro dipendente, alla ricerca di soluzioni contrattuali più libere e flessibili >… ≅. Sarebbe
tuttavia ingenuo pensare di essere alla vigilia della scomparsa del lavoro subordinato”.
24
Ancora nell’art. ult. cit.: “Il lavoro autonomo è sinonimo di estrema flessibilità retributiva, garanzia
di risparmio sul piano previdenziale e fiscale. Simbolo insomma del pieno riconoscimento delle
qualità personali e professionali del singolo. Nel ricorso a schemi di lavoro autonomo c’è sicuramente
un desiderio di creatività, di autorealizzazione, anche se non sempre di autentica imprenditorialità.
Non si tratta quindi solo di tecniche imprenditoriali di aggiramento della normativa sul lavoro
dipendente, ma di rispondere alle spinte innovative nell’organizzazione del lavoro ricercando assetti
contrattuali dotati di una certa continuità e coordinazione ma sottratti alle rigidità del lavoro
dipendente”.
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
15
Concludendo, la questione che pone il rapporto fra subordinazione e
autonomia è il fondamento dell’avvenire del diritto del lavoro
25
.
2. I fattori di trasformazione del lavoro.
Da almeno quindici anni il tema del mutamento del lavoro generato dalle
nuove tecnologie e dalla mondializzazione dei mercati forma oggetto di studio, di
osservazioni e di teorizzazioni. Il diritto del lavoro è chiamato a dare la risposta
necessaria alle pressioni esercitate dalle trasformazioni economico-sociali
26
.
Intendiamo riprendere alcuni contenuti di una lezione che Bruno Manghi,
esperto di problemi del lavoro, ha tenuto nell’ambito di un ciclo di incontri
organizzato dal Cedri e dal Dipartimento di Diritto privato e pubblico di Economia
su Le relazioni industriali del 2000 nell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 2
maggio 2000, con la presidenza del prof. Enzo Balboni, Direttore del Dipartimento
27
.
L’autore afferma che ci sono alcuni fattori di trasformazione dei quali
possiamo dirci fondamentalmente sicuri.
Come primo fattore prendiamo in considerazione quello tecnologico. Ci
riferiamo a tecnologie con particolari caratteristiche: portano alla nascita di altre
tecnologie, assottigliano le distanze fino ad annullarle e diffondono la comunicazione
a livelli impensabili fino al decennio scorso. L’ingegno dell’uomo ha
incessantemente affinato numerosi meccanismi (processi, invenzioni e innovazioni)
per ottenere risultati sempre migliori. Nella fase attuale è il rapido sviluppo
tecnologico ed informatico a produrre nuove e sempre più radicali trasformazioni
nella società e nei processi produttivi. L’informatizzazione della società, unitamente
alla terziarizzazione dell’economia, rappresenta uno degli elementi di maggiore
innovazione e la sfida del secolo. Le tecnologie informatiche hanno provocato un
25
A. SUPIOT, art. cit., p.236.
26
Osserva M. NAPOLI, Il lavoro e le regole. C’è un futuro per il diritto del lavoro?, in Lavoro, diritto,
mutamento sociale (1997-2001), Giappichelli, Torino, 2002, p.9, che “Il diritto del lavoro >… ≅ oggi è
sottoposto a una duplice sfida: la necessità di una razionalizzazione per la tenuta del sistema edificato
con una stratificazione accresciutasi senza linee omogenee, da un lato; la risposta alle pressioni
esercitate dalle trasformazioni economico-sociali, dall’altro”.
27
La lezione è stata rielaborata nel volume: B. MANGHI, Le trasformazioni del lavoro, con Prefazione
di M. NAPOLI, Vita e Pensiero, Milano, 2002.
CAPITOLO PRIMO
16
mutamento delle strutture produttive, aprendo la strada all’avvento della società post-
industriale, i cui valori principali sono il sapere tecnico ed il primato della
comunicazione. Cambia il modo di produrre, cambiano i contenuti tecnici e
professionali del lavoro, ma non per questo viene meno la necessità di regolazione
del lavoro: è solo ridimensionato il ruolo dell’industria
28
.
Inoltre sembra normale chiedersi se non sia possibile che la tecnologia arrivi
a sostituire buona parte degli occupati
29
. Ci sono conseguenze che tutti noi possiamo
vedere e molti sperimentano di persona: gli impiegati di banca vengono sostituiti da
sportelli automatici o da transazioni elettroniche via Internet, intere professioni si
estinguono, anche tecnici e dirigenti lasciano il posto alle nuove tecnologie…Che
cosa accadrà allora se si procederà di questo passo
30
?
Il secondo fattore di cambiamento è rappresentato dalla globalizzazione
31
.
Osservando i dati a disposizione si può però notare che, nei primi anni del ‘900, nel
complesso, i livelli di internazionalizzazione dei commerci non erano molto inferiori
a quelli attuali e, se vogliamo essere più precisi, la vera novità rispetto ad allora è
costituita dalla mobilità del capitale. L’internazionalizzazione dei mercati
32
, con le
sue luci e le sue ombre, ha esaltato la competitività delle imprese e la loro esigenza di
28
M. NAPOLI, op. ult. cit., pp.10-11.
29
J. RIFKIN, La fine del lavoro, trad. it. Baldini&Castoldi, Milano, 1995, documenta adeguatamente la
contrazione di occupazione e il mutamento tecnico del lavoro: “L’introduzione di tecnologie sempre
più sofisticate, con i conseguenti guadagni in termini di produttività, comporta che l’economia globale
riesca a produrre sempre di più beni e servizi impiegando una porzione sempre minore della forza
lavoro disponibile” (p.35).
30
Afferma L. GALLINO, Se tre milioni vi sembrano pochi. Sui modi per combattere la
disoccupazione, Einaudi, Torino, 1998, pp.10-22, che “Il problema non sussiste, assicurano esperti,
imprenditori, quotidiani e settimanali specializzati in materie economiche, nonché un fiotto senza fine
di saggi e di libri sui rapporti tra tecnologia e occupazione. È sempre andata così, ribadiscono,
dall’arrivo del motore a vapore nelle fabbriche in poi. È vero che una nuova tecnologia riduce la
quantità di forza lavoro necessaria per produrre una data quantità di beni. Tutto sommato, è proprio
per questo motivo, più che per migliorare l’arredo o il microclima degli stabilimenti, che essa viene
introdotta da un’impresa. In pratica può anche succedere – ammettono gli esperti - che un certo
numero di lavoratori perda il posto a causa dell’arrivo di una tecnologia che sa svolgere le loro stesse
mansioni. Accidente spiacevole, e però locale e temporaneo >… ≅. Così come stanno presentemente le
cose, affermare che la tecnologia crea, nel nostro Paese, tanti posti di lavoro quanti ne distrugge,
significa amare i diagrammi dei manuali più della realtà. E precludersi la via per una politica
industriale e tecnologica capace di ricostruire il circolo virtuoso tecnologia/occupazione”.
31
Da intendersi come creazione di un mercato competitivo su scala planetaria (Cfr. Commissione
delle Comunità Europee, Crescita, competitività, occupazione, Libro Bianco, Lussemburgo, 1993).
32
Interessante il saggio di C. SABEL, D. O’ROURKE, A. FUNG, Quale volano per gli standard
internazionali di protezione sociale? Proposta per un progressivo miglioramento delle condizioni di
lavoro nell’economia globalizzata, in Il diritto del mercato del lavoro, 2001, 1. Inoltre si veda L.
MARIUCCI, Diritto nazionale e globalizzazione, in Dieci tesi sul diritto del lavoro al bivio. Riforma o
restaurazione?, tratto da http://www.unicz.it, consultato il 6 giugno 2003. Infine non si può
dimenticare l’opera di A. PERULLI, Diritto del lavoro e globalizzazione, Cedam, Padova, 1999.
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
17
ridurre i costi di produzione (tra questi anche quelli del lavoro) e ne è conseguita la
necessità di utilizzare forme di occupazione flessibili e temporanee in grado di
soddisfare un’offerta di lavoro sempre più determinata dalle mutevoli esigenze della
produzione. Come già affermato nel paragrafo precedente, il rapporto di lavoro a
tempo pieno ed indeterminato, che dura per tutto l’arco della vita lavorativa, non
costituisce più l’unica forma di lavoro dipendente, ma cede il passo a forme di lavoro
che, anche se subordinate, sono temporanee. Inoltre la globalizzazione sottolinea il
confronto fra sistemi con una forte regolazione del lavoro e sistemi senza regole
capaci di produrre a costi più bassi. Le regole devono forse essere messe in
discussione?
Un terzo elemento determinante è dato dal fatto che oggi il lavoro umano
contribuisce, con il capitale, a stabilire il successo o l’insuccesso di un’impresa. È
possibile stabilire un’equivalenza tra il vantaggio di chi riesce ad organizzare o ad
attrarre capitali ingenti e quello di chi riesce a costituire risorse umane eccellenti. Si
eleva l’eccellenza del fattore umano a punto critico per determinare il successo delle
imprese. Si assiste al mutamento della figura socialmente omogenea del lavoratore
comune dell’industria, affiorano una pluralità di identità sociali dei produttori
derivante da professionalità spesso molto sofisticate. Il lavoro richiede persone
intelligenti, intuitive, adattabili, sempre giovani e scattanti, sempre aggiornate e
vivaci
33
.
Come quarto fattore rileviamo l’importanza del mercato: è cresciuta la
capacità di scelta dei consumatori, nel mercato è cresciuta la competizione e si pone
l’accento sulla qualità del processo che conduce al prodotto e del prodotto stesso
(non assente in passato, ma presente in misura minore). Crollate le posizioni
33
Osserva C. M. MARTINI, Disagi e speranze del mondo del lavoro, in Rivista italiana di diritto del
lavoro, 2002, 3, p.248, che “Appare sempre più evidente che intelligenza e progettualità sono elementi
indispensabili per un lavoro più umano. Di conseguenza si eliminano le catene di montaggio, si
propone il lavoro a squadre, si esige per il mercato il prodotto “qualità”, si chiede la partecipazione
della persona con tutte le sue risorse >… ≅”, ma “Non è sempre possibile reggere alle esigenze
continuamente nuove, mantenersi perennemente giovani e mantenere il passo: non di rado mancano le
forze, il tempo, l’intelligenza e le competenze sufficienti. Vengono così ad essere penalizzate le
esigenze di sicurezza e serenità >… ≅. Nel frattempo si registra la difficoltà a entrare nel mondo del
lavoro per alcune categorie di persone (gli ultraquarantenni, le donne, le persone meno qualificate), e
nello stesso tempo si assiste all’aumento degli straordinari. Sono messi in forse i giorni festivi, e ancor
più i rapporti familiari e la propria autonomia”.
CAPITOLO PRIMO
18
monopolistiche, aumentata la capacità selettiva dei consumatori, la qualità è posta al
centro.
Un quinto fattore alla base della trasformazione del lavoro è sicuramente il
benessere: i consumatori sono al di sopra del livello di sopravvivenza, hanno una
capacità di spesa complessiva superiore rispetto all’epoca precedente e sono selettivi.
Solo così le grandi capacità produttive possono acquistare un senso.
In aggiunta agli altri, come ultimo elemento protagonista della
trasformazione, Manghi pone in evidenza il complessivo complicarsi del mercato del
lavoro: il connettersi tra domanda e offerta di lavoro è diventato estremamente
difficoltoso
34
.
Nel complesso è facile comprendere come il progresso tecnologico e la
competitività imposta alle imprese dal mercato stiano determinando un mutamento
della fisionomia e dell’organizzazione dell’impresa: si riduce lo spazio dell’impresa
fordista (ricordiamo che lì si è sviluppato il lavoro subordinato) e ciò a vantaggio
dell’impresa a rete, caratterizzata da un forte decentramento produttivo. Le imprese
dismettono attività anche importanti e, conservano il core business, le cedono in
appalto a soggetti terzi o si avvalgono di rapporti di subfornitura o altro.
Negli ultimi anni si parla inoltre di “delocalizzazione”del lavoro per indicare
la situazione di quelle aziende che, non trovando più conveniente produrre nel luogo
d’origine, trasferiscono in tutto o in parte le loro attività produttive in altro luogo, di
norma in un altro Paese. Lo stesso lavoro che svolgeva, o avrebbe potuto svolgere,
un lavoratore in Lombardia viene affidato a un lavoratore che sta in un luogo diverso,
in Romania per esempio. In questa maniera aumenterebbe la disoccupazione in
Italia
35
?
Nella Sua lezione, Manghi, spostandosi dalla descrizione dei fenomeni alle
valutazioni, si pone una prima domanda: questa trasformazione produce più lavoro o
meno lavoro? Il quesito è difficile da risolvere, i dati sono pochissimi ed imprecisi, la
discussione in corso è complessa. Ci sono più posizioni nel dibattito. C’è chi, come
34
L’Autore intende che “è finita l’epoca in cui l’impiego era assicurato da poche imprese che
assumevano grandi numeri” (p.13, op. cit.).
35
L. GALLINO, op. cit., p.103: “Secondo stime del CNEL, contenute nel rapporto ’98 su “L’Italia
multinazionale”, sono almeno 10.000 le imprese italiane che negli ultimi anni hanno delocalizzato in
diversa misura le loro attività all’estero. Le imprese straniere che han fatto il percorso inverso sono tra
due e cinque volte meno”.