4
Altri autori evidenziano come dalla combinazione della conoscenza emergano
nuovi prodotti, mercati, materiali, metodi di produzione, e che questa rappresenta
l’elemento chiave di ogni processo produttivo.
La conoscenza sembra, quindi, essere la principale risorsa di cui oggi le imprese
dispongono. Nella letteratura si parla di knowledge based view, sottolineando
questo aspetto, e segnando un passo decisivo dalla precedente resource based
view, che considerava la conoscenza solo come una tra le tante risorse a
disposizione di un’impresa.
La conoscenza quale risorsa strategica assume grande rilevanza all’interno delle
imprese commerciali. Queste vivono una fase di profondi cambiamenti, che le
porta a considerare la conoscenza come strumento chiave della gestione. In
particolare diventa fondamentale gestire al meglio i flussi informativi con fornitori
e clienti. Sempre più si parla di supply chain, rivolta ad una gestione più razionale
dei flussi di fornitura, dove impresa commerciale e fornitore stringono legami in
cui centrali risultano gli scambi informativi e di conoscenza.
La gestione dei flussi informativi e conoscitivi legati ad i clienti è ancora più
centrale. Oggi spesso si parla di customer based view, dove il cliente si pone al
centro dell’universo impresa. Questo è ancor più vero per l’impresa commerciale
che vive a strettissimo contatto con i clienti in un ambito competitivo sempre più
complesso. Trovare soluzioni sempre più aderenti alle esigenze del cliente è una
sfida non facile, e riuscire a gestire i flussi provenienti dalla clientela è un
elemento che racchiude un’importanza strategica non sempre colta da tutte le
imprese che operano nel campo distributivo. Customer relantionship management,
fidelizzazione, sono le parole chiave delle imprese commerciali, e la conoscenza
ne è il contenuto. Per gestire in modo ottimale ed efficiente il rapporto con il
cliente, per creare non solo soddisfazione, ma uno stabile rapporto di fedeltà, e
5
necessario gestire la conoscenza della clientela in modo efficace ed efficiente. Ed
in tal senso, molte imprese commerciali si stanno indirizzando.
La conoscenza è strumento importante per le imprese commerciali, ma in realtà è
una risorsa strategica per tutte le imprese. Il knowledge management offre
vantaggi e benefici alle imprese commerciali e non : la competizione globale, di
cui tanto si dibatte oggi, è stata ed è certamente una forza guida. La pressione
derivante da questa ha portato le imprese a ripensare quelle che possono essere le
risorse chiave su cui concentrarsi per il raggiungimento di un vantaggio
competitivo sostenibile. L’unica certezza di cui oggi si può veramente parlare è la
certezza del cambiamento o, quella che può essere definita, la certezza
dell’incertezza: oggi il cambiamento è più rapido e radicale che in ogni altro
momento della storia, la complessità che le imprese devono fronteggiare non è
paragonabile con quella vissuta durante l’economia industriale, e man mano che ci
sposteremo verso l’economia della conoscenza la complessità nell’assumere
decisioni aumenterà al di là di ogni aspettativa. La conoscenza sarà il supporto
necessario. Tutte le imprese dovrebbero abbracciare, accogliere al loro interno, le
opportunità offerte dal knowledge management, ed è all’interno di questa
prospettiva che si colloca quanto di cui successivamente si parlerà.
Alcuni indicatori evidenziano come l’emergere di una società della conoscenza è
ormai una realtà: la composizione del PIL delle economie più sviluppate si
modifica a favore delle industrie basate sulla conoscenza, contro quelli che si
possono definire i settori più tradizionali: per esempio, il prezzo di prodotti
riguardanti l’istruzione e la salute (“prodotti della conoscenza”) è aumentato circa
tre volte più dell’inflazione, contro la diminuzione di circa il 75% negli ultimi 40
anni dei prodotti del settore manifatturiero.
Il valore delle organizzazioni è sempre più legato a quello del proprio capitale
intangibile o intangible assets (R&S, brevetti, marca, relazioni con clienti e
6
fornitori, processi interni, capitale umano). Il problema rimane la difficoltà nella
misurazione di tali risorse, ancora in parte rudimentale ed aperta al dibattito.
La conoscenza è un elemento chiave dell’innovazione, ed è stato mostrato da
alcuni studi lo stretto legame esistente tra l’innovazione e il raggiungimento di
posizioni di leadership nel mercato.
La protezione della conoscenza è una delle maggiori priorità delle organizzazioni
nelle economia più sviluppate, e questo è reso evidente anche dal fatto che è un
tema al centro di forti dibattiti nel mondo economico.
Nelle economie più sviluppate il lavoro diventa sempre più caratterizzato da una
forte presenza della conoscenza. Questa è una grande e difficile sfida per il
management di tutte le organizzazioni, in quanto queste erano state costruite
secondo un differente paradigma. I knowledge worker hanno diverse esigenze ed
aspirazioni rispetto ad i lavoratori dell’era industriale.
Il lavoro di tesi si struttura in quattro capitoli. Nel corso del primo capitolo si
definisce quello che è l’oggetto della trattazione, cioè la conoscenza, come
elemento fondamentale del capitale intellettuale. Si definisce la conoscenza, le sue
forme e caratteristiche, tracciando una linea di confine rispetto a dati ed
informazioni, elementi dai quali spesso risulta difficile distinguerla. Si conclude
il capitolo, sottolineando l’importanza che ha, non solo la conoscenza tacita, ma
anche quella esplicita, rivalutando il suo ruolo nel raggiungimento del vantaggio
competitivo. Ed infine, si definisce il knowledge management, evidenziando le
ragioni ed i benefici che un’organizzazione può trarre dalla implementazione di
un tale progetto.
Nel secondo capitolo si definisce il contesto all’interno del quale si inserisce il
knowledge management, indicando il tipo di organizzazione in grado di operare
nel nuovo contesto competitivo. Si parla cosi della learning organization, o
organizzazione che apprende, definendo inizialmente il legame esistente tra
7
conoscenza ed apprendimento. Successivamente si analizza il processo di
apprendimento organizzativo all’interno di un’organizzazione che apprende e si
evidenziano le caratteristiche della learning organization, utilizzando come punto
di riferimento il modello presentato da Peter Senge. Il capitolo si chiude con la
descrizione dei principali processi di knowledge management: creazione,
immagazzinamento, distribuzione ed applicazione della conoscenza.
I due capitoli successivi analizzano gli elementi, definiti facilitatori, che
permettono l’implementazione, all’interno di un’organizzazione, di un progetto di
knowledge management. Indicata come facilitatore hard è la tecnologia,
all’interno del terzo capitolo, importante supporto per il knowledge management,
ma non unico elemento caratterizzante. Si definisce, così, il ruolo tra la gestione
della conoscenza e la tecnologia, indicando quale sia il suo impatto all’interno
delle organizzazioni. Infine, si cerca di fornire una panoramica, la più esauriente
possibile, degli strumenti tecnologici che, nel presente e nel futuro, potranno
fornire un valido supporto per tutti i soggetti protagonisti del knowledge
management.
L’ultimo capitolo analizza quelli che sono considerati i facilitatori soft del
knowledge management: la cultura e la leadership. Si fornisce un quadro di
riferimento della cultura, presentando il modello di Edgar Schein. Vengono, poi,
definiti gli elementi che caratterizzano una cultura d’impresa della conoscenza,
indicando quei tratti caratteristici che permettono di definire realmente
un’organizzazione orientata alla conoscenza. Infine, si sottolinea il ruolo che
svolge la leadership all’interno del knowledge management, evidenziando quelli
che sono i cambiamenti rispetto al passato, e quindi ciò che differenzia oggi la
leadership rispetto a prima, ed indicando l’importanza che svolge la leadership
nell’affermazione di una cultura orientata alla conoscenza.
8
CAP. I: L’EVOLUZIONE DEL RUOLO DELLA
CONOSCENZA NELLE IMPRESE
1.1 Il capitale intellettuale
Il capitale intellettuale è l’insieme delle componenti intangibili che contribuiscono
a determinare il valore di mercato di un’impresa
1
. Tale definizione può essere
considerata come un punto di partenza su cui si sono successivamente basati
diversi approcci che, con più o meno successo, hanno cercato di meglio definire
cos’è il capitale intellettuale e quali sono le sue componenti. L’importanza del
capitale intellettuale è evidente se analizziamo quelli che sono i valori di mercato
delle imprese: confrontando, per esempio, General Motors, un vero e proprio
colosso soprattutto nel settore automobilistico, con Microsoft, vediamo come il
primo presenta un valore di mercato che, al Marzo 2002, si attesta intorno a 27.8
miliardi di dollari e il secondo, caratterizzato da poche risorse fisiche se
paragonato al primo, con un valore 373,1 miliardi di dollari.
2
Il capitale intellettuale assume,quindi,un peso fondamentale nel determinare il
valore di un’impresa, e le risorse intangibili prendono il posto detenuto in passato,
in termini di importanza, dalle risorse tangibili. Esiste una crescente disparità tra
capitalizzazione di mercato e patrimonio contabile, e tale differenziale, come
suggerisce George Gilder (1997: 22), è “un indice del potenziale imprenditoriale
di cui la società dispone.”
1
Cfr. Lipparini, A., La Gestione Strategica del Capitale Intellettuale e Sociale (Bologna: Mulino,
2002).
2
Tali dati sono aggiornati al 30 Marzo 2002. Si può affermare che la produzione culturale ha
cominciato adoffuscare la produzione materiale. I vecchi giganti dell’era industriale come General
Motors, Exxon, Sears, cedono il passo ai nuovi colossi del capitalismo culturale, come Time-
Warner, Viacom, Disney, Sony, Microsoft, General Electric. Cfr. Rifkin, J., L’Era dell’Accesso: la
Rivoluzione della New Economy (Milano: Mondatori, 2000).
9
Thomas Stewart (1998: 76) definisce il capitale intellettuale come: “Materiale
intellettuale – conoscenza, proprietà intellettuale, esperienza - che può essere
utilizzato per creare benessere.” Stewart distingue quindi tra materiale intellettuale
e capitale intellettuale, sostenendo che è necessario che venga data al primo una
forma, che sia catturato in modo da poter essere descritto, condiviso, e sfruttato:
solo in quel caso si potrà parlare di capitale intellettuale. Ma dove si trova
all’interno di un’azienda il capitale intellettuale? Dove bisogna cercare?
Nelle definizioni che solitamente vengono fornite da diversi studiosi, il capitale
intellettuale risulta composto da diversi elementi.
L’approccio maggiormente seguito, tende a suddividerlo in tre componenti
principali:
ξ Capitale umano, che comprende le competenze, l’abilità, la conoscenza
tacita ed esplicita, la capacità di innovare, l’esperienza, degli individui che
compongono l’organizzazione.
ξ Capitale strutturale, che comprende hardware, software, sistemi
informativi, procedure e conoscenza incorporati nei processi, struttura
organizzativa, brevetti, cioè tutti quegli elementi che possono essere
posseduti dall’azienda, o, più semplicemente, tutto ciò che rimane in
azienda una volta che i dipendenti sono andati a casa.
ξ Capitale relazionale, che comprende il complesso di relazioni instaurate
dall’azienda, ed in particolar modo quelle con i clienti.
10
Figura 1.1: Il capitale intellettuale e le sue componenti
Tale approccio è stato condiviso da diversi autori, quali Thomas Stewart, Karl
Erik Sveiby, i quali, utilizzando terminologie diverse
3
, hanno fornito definizioni
simili nella sostanza. Leif Edvinsson
4
e Michael Malone in realtà parlano di due
componenti, considerando comunque le relazioni con i clienti ed includendole
all’interno del capitale strutturale
5
; tale approccio non è stato, tuttavia, seguito da
Sveiby e Stewart, a mio parere giustamente, in quanto i clienti e le relazioni con
3
Thomas Stewart parla di customer capital, invece di capitale relazionale, Karl Sveiby utilizza
termini quali, competenza individuale, struttura interna, struttura esterna, ma in ogni caso le
definizioni fornite presentano, più o meno, gli stessi contenuti. Cfr. Stewart, T. A., Intellectual
Capital: The New Wealth of Organizations (New York: Doubleday, 1998) e Sveiby, K. E., The
New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge Based Assets (San Francisco:
Berret Koehler, 1997).
4
Il Gruppo svedese Skandia (http://www.skandia.com), fornitore di servizi finanziari e
assicurativi, è stata la prima impresa ad introdurre formalmente, nel 1991, il ruolo di Intellectual
Capital Director, incaricando Leif Edvinsson. La Skandia è stata una delle prime imprese ad ideare
un sistema di reporting per il capitale intellettuale, lo Skandia Navigator, ed oggi questo
rappresenta ancora uno dei sistemi più utilizzati per un attento monitoraggio e valutazione del
proprio capitale intellettuale. Su tale strumento di misurazione Edvinsson e Malone esprimono
comunque alcune titubanze, in quanto ammettono che non riesce a rilevare molte tra le
caratteristiche che contribuiscono al successo dell’azienda, come il morale dei dipendenti, una
leadership dinamica, il pensiero strategico, un ambiente che favorisce l’innovazione e la creatività.
Cfr. Skandia, Value Creating Processes, (Supplemento al Rapporto Annuale 1995, 1996) e
Edvinsson, L. e Malone, M. S., Intellectual Capital: Realizing your Company’s True Value by
Finding its Hidden Roots (New York: Harper Business, 1997).
5
Cfr. Edvinsson L. e Malone, M. S., Intellectual Capital: Realizing your Company’s True Value
by Finding its Hidden Roots (New York: Harper Business, 1997).
CAPITALE
INTELLETTUALE
CAPITALE
UMANO
CAPITALE
STRUTTURALE
CAPITALE
RELAZIONALE
11
gli interlocutori esterni all’impresa non possono essere considerati di proprietà
dell’azienda.
6
La conoscenza è elemento fondamentale del capitale intellettuale, presente in tutte
e tre le sue componenti: all’interno degli individui si trova quella conoscenza che
successivamente sarà definita tacita, nel capitale strutturale si ritrova la
conoscenza esplicita, nel capitale relazionale si identifica tutta quella conoscenza
che si genera attraverso le continue relazioni con tutti i soggetti esterni
all’azienda. Per tale motivo, si ritiene importante comprendere quali sono gli
aspetti salienti delle componenti del capitale intellettuale, al fine di poter avere un
quadro delle componenti all’interno delle quali si colloca la conoscenza, e che
l’impresa deve correttamente gestire per poter sfruttare al meglio la conoscenza.
Di seguito si tratteranno brevemente i singoli elementi del capitale intellettuale,
facendo riferimento all’approccio che lo distingue in tre componenti.
1.1.1 Il capitale umano
Pensando ad un’impresa come ad un computer, si potrebbe benissimo dire che il
capitale umano ne rappresenta il software. Allo stesso modo potremmo dire del
capitale strutturale, che possiamo immaginarlo come l’hardware, e del capitale
relazionale, la rete di interconnessioni. Tutti gli elementi di un computer sono
importanti, ma possiamo dire che il software ne rappresenta l’anima.
L’importanza del capitale umano è testimoniata da molti esempi, come quello
della Saatchi & Saatchi, famosa società pubblicitaria americana, dove
l’allontanamento di Maurice Saatchi ha portato ad una immediata caduta del
6
Annie Brooking suddivide invece il capitale intellettuale in quattro componenti, in quanto scinde
il capitale strutturale in risorse intellettuali, che comprendono brevetti, licenze, segreti industriali, e
risorse infrastrutturali, che comprendono i sistemi informativi, le politiche i software, le procedure,
la cultura aziendale. Cfr. Brooking, A., Corporate Memory: Strategies for Knowledge
Management (New York: International Thomson Business Press, 1999).
12
valore delle azioni pari al 10%, a testimonianza del fatto che la perdita di una
pedina importante come il co-fondatore della società è stata considerata di grande
importanza
7
.
Molti sono gli studiosi che si sono interessati al capitale umano e che ne hanno
analizzato la sua importanza e criticità all’interno dell’impresa. Gary Becker,
dell’Università di Chicago, ha il merito di aver esteso il dominio dell’analisi
macroeconomia ai comportamenti dell’individuo, formalizzandone i contenuti, e
creando così un collegamento tra le discipline economiche ed altre quali la
sociologia. Becker, inoltre, ha studiato la relazione esistente tra profitti e capitale
umano, creando così una struttura che permette di studiare i ritorni da investimenti
in attività come l’on-job-training e la formazione
8
.
Prima ancora di Becker, è stato Herbert Simon, Premio Nobel per l’economia nel
1978 per le ricerche sui processi decisionali nelle organizzazioni, a mettere in
evidenza il ruolo svolto dall’individuo nel raggiungimento dei risultati aziendali.
Simon nel 1947, all’interno del volume Administrative Behaviour, afferma che
l’impresa non è costituita solamente da elementi fisici ma anche da componenti
personali e sociali. Rigetta l’idea di un’impresa in cui un imprenditore razionale
agisce alla ricerca della massimizzazione del profitto, ma parla invece di
un’organizzazione composta da una serie di decisori tra loro cooperanti, con
razionalità limitata, a causa della mancanza di conoscenza, e influenzati dalle loro
reti sociali e personali
9
. Il capitale umano come risorsa critica ha ulteriormente
accresciuto la sua importanza con l’affermarsi della conoscenza nel nuovo
contesto competitivo, con Grant e Spender che cominciano a parlare di
knowledge-based competition.
7
Cfr. D’Egidio, F., Il Bilancio dell’Intangibile (Milano: Franco Angeli, 2001).
8
Cfr. Becker, G., Human Capital (National Bureau of Economic Research, New York: Columbia
University Press, 1964).
9
Cfr. Simon, H. A., Administrative Behaviour (New York: Macmillan, 1945).
13
Le componenti fondamentali del capitale umano sono sicuramente le competenze,
alle quali diversi studi hanno aggiunto ulteriori categorie
10
. Gli elementi su cui mi
concentrerò brevemente, oltre le competenze, sono l’atteggiamento mentale e la
vivacità intellettuale
11
.
La competenza genera valore attraverso la conoscenza, le abilità, i talenti, ed il
know-how delle risorse umane. Questi sono gli elementi in cui la competenza può
essere ulteriormente suddivisa. La conoscenza attiene più ad una sfera mentale,
diversa da quella che riguarda il know-how, il saper fare, che attiene più ad una
sfera pratica. Posso, per esempio, saper guidare una macchina, ma non
necessariamente avere la conoscenza necessaria per progettarla o capirne il
processo di funzionamento. Il talento, invece, attiene più alla sfera della
personalità del lavoratore, riguarda una serie di abilità accessorie a cavallo tra il
pratico e il mentale.
L’atteggiamento mentale rientra nell’area della motivazione: un lavoratore, pur
avendo tutte le conoscenze e competenze necessarie, può non contribuire a
generare valore per l’impresa in quanto scarsamente motivato. Oggi molte
imprese preferiscono assumere profili di persone altamente motivate anche se con
meno competenze, in quanto tale aspetto viene ritenuto in alcuni casi di maggiore
importanza e più difficile da creare. L’atteggiamento mentale riguarda una sfera
anche più psicologica che fa riferimento alla capacità di automotivarsi ed ai valori
personali.
La vivacità intellettuale possiamo definirla la dimensione dinamica del capitale
intellettuale: questa indica l’abilità di trasferire conoscenza da un contesto ad un
altro, di costruire conoscenza attraverso l’unione di informazioni scomposte, di
10
Alcuni studi hanno aggiunto le relazioni e i valori, altri le attitudini e le motivazioni, altri ancora
i comportamenti e l’agilità intellettuale.
11
Cfr. D’Egidio, F., Il Bilancio dell’Intangibile (Milano: Franco Angeli, 2001) e Lipparini, A., La
Gestione Strategica del Capitale Intellettuale e Sociale (Bologna: Mulino, 2002).
14
sviluppare innovazione o creare adattamento. Se la competenza è il contenuto,
possiamo dire che la vivacità intellettuale è l’abilità ad utilizzare tale contenuto.
1.1.2 Il capitale strutturale
Il capitale strutturale, come detto precedentemente, ricomprende forme codificate
di conoscenza di proprietà dell’impresa, dai brevetti ai database, alle reti intranet,
manuali di processo, best practices. Il capitale strutturale, essendo l’”hardware”
dell’impresa, svolge un ruolo importante, perché permette al capitale umano di
esprimere tutto il suo potenziale e di valorizzarsi. Allo stesso tempo, la relazione
tra capitale strutturale e umano si svolge anche nel senso contrario, in quanto
possiamo dire che il capitale strutturale è una proiezione di quello umano, un suo
prodotto, e la sua crescita è, quindi, il risultato dell’operare di tutte le risorse
umane dell’impresa
12
.
Thomas Stewart (1997: 110) afferma che è necessario formalizzare il capitale
intellettuale affinchè questo produca vera ricchezza: “richiede la strutturazione
delle competenze con l’aiuto della tecnologia, la descrizione dei processi, I ma
nuali, le reti, e cosi via, in modo da assicurare che le competenze rimangano
all’interno dell’organizzazione anche quando i lavoratori vanno a casa. Una volta
impacchettata, quese diventano parte del capitale strutturale
dell’organizzazione.”
13
La creazione di capitale strutturale oggi è ancora più
importante a causa degli alti livelli di turnover che caratterizzano le imprese, che
rischiano di far perdere all’impresa importanti fonti di conoscenza. Per questo
12
Cfr. Lipparini, A., La Gestione Strategica del Capitale Intellettuale e Sociale (Bologna: Mulino,
2002).
13
Thomas Stewart (1997: 110): “Requires the structuring and packaging of competencies with the
help of technology, process description, manuals, networks, and so on, to ensure that the
competencies will remain with the company when the employees go home. Once packaged, these
become part of the company’s structural capital.”
15
diventa essenziale riuscire a creare del capitale che sia di proprietà dell’impresa e
che in questa rimanga indipendentemente dalla presenza o meno dei lavoratori
14
.
In tal modo, inoltre, anche i soggetti nuovi entrati all’interno dell’organizzazione,
potranno condividere un patrimonio conoscitivo altrimenti di difficile accesso,
potendo così capitalizzare sull’esperienza degli altri.
Solitamente vengono individuate tre componenti del capitale strutturale: a livello
di organizzazione, cultura e innovazione
15
.
Il valore organizzativo rappresenta sicuramente la parte più “visibile” e tangibile
del capitale intellettuale. E’ totalmente di proprietà dell’impresa, non ha quasi
completamente capacità di autoalimentarsi ed assume forma pressoché tangibile (i
processi sono per esempio descritti in manuali, l’organizzazione è rappresentata
nell’organigramma, e così via). Essenzialmente sono due le dimensioni che creano
valore per l’organizzazione: l’infrastruttura, che raccoglie il lay-out strutturale
dell’organizzazione, e tutte le proprietà intellettuali dell’azienda (brevetti, marchi,
segni distintivi). Questa possiamo definirla come la struttura portante dell’azienda
, che le permette di operare quotidianamente. La seconda dimensione attiene ad i
processi, che permettono all’azienda di operare e generare profitto. Anche se
esistesse una struttura perfetta, questa sarebbe del tutto inutile senza che nessuno
la metta in moto.
La cultura rappresenta la parte “soft” del capitale strutturale. E’ la risultante di una
serie di riti, simboli, norme, linee guida, credenze, convinzioni ed assunti taciti. E’
il prodotto di una costante interazione tra i membri dell’organizzazione, che
14
Anche se in tal modo l’impresa riuscirà solo a “possedere” la conoscenza, ma sarà difficile che
se ne possa “appropriare”, perché sarà più complesso evitare che si diffonda al di là dei confini
aziendali. Si tratta del paradosso del valore di cui parleremo più avanti. Cfr. Boisot, M. H. e
Griffiths, D., International Journal of Technology Management (1999, vol. 17, No. 6, 662-76).
15
Skandia, nel proprio schema del valore, considera, anziché la cultura, una componente legata al
processo (process capital), che ricomprende le pratiche lavorative, le tecniche ed i programmi che
aumentano l’efficacia del processo di produzione di un bene o della somministrazione di un
servizio. Cfr. Skandia, Value Creating Processes (Supplemento al Rapporto Annuale 1995, 1996).
16
avviene sia a livello verticale, tra subordinati e management, sia a livello
trasversale, ossia tra persone, processi e strutture.
L’innovazione, ultima categoria del capitale strutturale, è la capacità dell’impresa
di proiettarsi verso il futuro, attraverso lo sviluppo ed il rinnovamento continuo
della propria struttura. Soprattutto in un contesto competitivo in cui il
cambiamento rappresenta la parola d’ordine, riuscire ad interpretare ed anticipare
le evoluzioni future, è un elemento chiave per il successo e la sopravvivenza
dell’impresa stessa. Senza innovazione, l’impresa è destinata ad avere vita breve.
1.1.3 Il capitale relazionale
Gli attori esterni all’impresa continuano a crescere e ad avere un ruolo sempre più
importante, e la capacità di riuscire a sfruttare al meglio le relazioni con tali
soggetti è diventata un elemento fondamentale per l’ottenimento di un vantaggio
competitivo sostenibile. Lo sviluppo di competenze richiede tempo e risorse, e in
un contesto come quello attuale spesso sono elementi non disponibili, o comunque
disponibili in modo limitato. Per questo l’impresa deve essere in grado sempre più
di creare competenze sfruttando le relazioni con i soggetti ad essa esterni, in modo
che non si crei tanto un meccanismo temporaneo al fine di coprire mancanze
occasionali, ma un vero e proprio mezzo per sostenere la formazione di
conoscenza collettiva. Solo in questo ultimo caso potremmo parlare di capitale
relazionale in senso proprio, dove i clienti, partner e fornitori assumono un ruolo
strategico per il successo dell’impresa, diventando un occasione importante per
apprendere e per attivare relazioni in grado di generare legami, prodotti e contesti
lavorativi che conducono verso più alti livelli di creatività e soddisfazione.
Il capitale cliente è sempre stato considerato con maggiore attenzione, ed oggi
assume sempre più una posizione centrale. Edvinsson e Malone (1997: 37)
17
sostengono che: ”La relazione con il cliente è dove nasce il flusso di
cassa…Misurare quella forza e fedeltà è la sfida per la categoria del capitale
cliente.”
16
Si è comunque compreso come non si possono tralasciare altre
importanti relazioni come quelle con i fornitori e partner, e le esperienze di molte
imprese lo testimoniano
17
.
Gli elementi che hanno accelerato e diffuso l’enfasi sulle relazioni sono la volontà
delle imprese di condividere rischi e costi della ricerca, accedere a nuovi mercati
od opportunità tecnologiche, combinare competenze complementari. Inoltre,
l’ondata di downsizing, outsourcing, reingegnerizzazione dei processi che ha
caratterizzato gli ultimi anni, la possibilità di interconnessioni ormai senza limiti,
hanno fatto si che l’impresa abbia visto, da un certo punto di vista, sotto una luce
diversa, la possibilità di interagire con soggetti con i quali precedentemente
deteneva relazioni solo di carattere occasionale.
Il capitale relazionale è costituito da una serie di rapporti ben definiti e stabili, che
assumono quasi tutti forma contrattuale. Accanto a questi troviamo le sinergie
18
,
che innestano cicli virtuosi di creazione di valore, anche se non sono presenti
rapporti contrattuali definiti. Infine, grande importanza rivestono i valori
condivisi, dimensione che attiene alle relazioni in particolare con l’opinione
pubblica, base per la costruzione dell’immagine aziendale. Riuscire a condividere
con i soggetti esterni una serie di valori è di grande importanza,
in quanto l’impresa è creatrice di valore in quanto tante persone condividono la
sua reputazione positiva.
16
Edvinsson e Malone (1997: 37): ”The customer relationships is where cash flow
starts…Measuring that strenght and loyalty is the challenge for the customer capital category.”
17
Basti pensare, per esempio, agli studi condotti in campo farmaceutico, automobilistico,
calzaturiero, dei semiconduttori, che hanno portato grandi risultati ed esaltato soprattutto il ruolo
dei fornitori, sempre più coinvolti nei processi delle imprese committenti.
18
Microsoft è un esempio significativo: un gran numero di aziende producono software
compatibili con il sistema Windows e sono legate ai destini di questo prodotto. Microsoft a sua
volta ha potuto regnare incontrastato proprio per l’esistenza di un enorme numero di applicativi
compatibili con il proprio sistema operativo.
18
I tre elementi di capitale intellettuale che ho trattato in questi paragrafi non sono
tra loro isolati e distinti, ma sono invece fortemente interrelati: sono come anelli
tra loro collegati, perché tutto funzioni è necessario che neanche uno di questi sia
debole, non basta che un’impresa sia forte in uno o due dei fattori. Capitale umano
e strutturale co-evolvono sinergicamente quando la conoscenza individuale trova
un adeguato contesto per il suo sviluppo e condivisione. Capitale umano e
relazionale si rafforzano a vicenda quando gli individui, attraverso l’interazione,
comprendono quali conoscenze o capacità si aspettano i clienti o i fornitori.
Capitale strutturale e relazionale co-evolvono quando l’impresa ed i suoi partner
apprendono insieme, condividendo conoscenza ed esperienza
19
.
19
Per un approfondimento delle relazioni esistenti tra i tre elementi di capitale intellettuale,
consultare Lipparini, A., La Gestione Strategica del Capitale Intellettuale e Sociale (Bologna:
Mulino, 2002).