6
Zanardelli (entrato in vigore nel 1889) e il Codice Rocco (del
1929), fino all’istituzione dei Tribunali per minorenni del 1934;
cercando anche di capire quale significato avesse la concezione
di “minore” in quegli anni.
Successivamente, nel secondo capitolo, sono elencate e spiegate
le varie istituzioni esistite per il recupero di minori devianti, e
quali figure e regolamenti educativi e quotidiani li
caratterizzassero: è così che si viene a conoscenza delle
differenze tra Casa di correzione, Istituti di rieducazione, Istituti
di osservazione, Focolari di semilibertà, Prigioni-scuola e
Riformatori giudiziari.
In questo capitolo ho cercato anche di analizzare anche quale
fosse la situazione in quegli anni a Bologna, citando così gli
scritti del Dottor Veratti e la “Società per la protezione dei
fanciulli abbandonati e maltrattati”, fondata a Bologna nel 1889°
Bologna di cui egli fece parte.
Nel terzo capitolo ho poi preso in analisi le fonti reperite presso il
carcere minorile, riguardanti le cartelle personali dei minori
“ricoverati” a Bologna dal 1917 al 1941.
Dalla lettura del poco materiale è stato così possibile farsi
un’idea delle motivazioni e dei reati commessi dai minori entrati
in Istituto, in quali condizioni economiche si trovavano e da che
ambiente famigliare provenivano.
Nel capitolo quarto ho ripreso la trattazione sulla legislazione
penale minorile, interrotta al primo capitolo, riportando cioè ei
decreti entrati in vigore da dopo l’istituzione dei tribunali per i
minorenni a quelli vigenti ai giorni nostri: dalla legge n. 888 del
1956 al D.P.R. 448 del 1988; segnalando inoltre, seppur
brevemente, l’affermazione internazionale dei diritti del minore.
Successivamente, nel quinto capitolo, ho riportato la mia
esperienza all’interno del CPA del carcere minorile di Bologna,
descrivendo l’attività svolta, le teorie educative utilizzate e le
notizie riguardanti le statistiche sulla nazionalità, età, ambiente
famigliare e reati commessi dai minori arrestati.
7
Nello stesso capitolo riporto una breve descrizione delle attività e
dell’educazione svolte all’interno dell’IPM(istituto penale
minorile – notizie tratte da conversazioni con gli educatori del
CPA e dell’IPM).
Nel sesto capitolo ho poi considerato il ruolo dell’educatore che
lavora all’interno di ambienti protetti con minori “difficili”,
dell’atteggiamento che dovrebbe tenere nei confronti del minore
al fine di instaurare un rapporto di fiducia e di intraprendere il
percorso educativo con volontà e positività da parte del ragazzo.
8
CAPITOLO I
LEGISLAZIONE PENALE MINORILE IN ITALIA.
Dal XVI secolo all’istituzione del Tribunale per minorenni
del 1934.
La situazione del soggetto in crescita e in formazione ha
storicamente determinato un trattamento particolare e più
favorevole del minorenne che commette reato, questo infatti si è
concretizzato nella esclusione della assoggettabilità a processo e
pena, o nella predisposizione di particolari cautele intorno al
processo e ai suoi esiti, prevedendo misure educative al posto
delle pene.
1
1
Foto tratte dal catalogo della mostra fotografica Monelli e banditi, scenari e presenze
della giustizia minorile in Italia, 2003
9
L’affermazione dei diritti dei minori è il risultato di un percorso
iniziato con la più generale “scoperta dell’infanzia”
2
, che nostra i
suoi primi segni già dal XII secolo, ma che si fa più evidente solo
nei secoli XVI e XVII.
L’immagine del minore non è stata costante nel tempo, ma è
gradualmente mutata oltre che per le elaborazioni socioculturali e
scientifiche, anche grazie al cambiamento dei costumi, ai
mutamenti economici e demografici e al cambiamento delle
condizioni igienico-sanitarie ed alimentari.
3
1.1 EVOLUZIONI CRONOLOGICHE DEL DIRITTO
MINORILE
1.1.1 Dal 1859 al “progetto Ferri” del 1921
Dal codice penale sardo del 1859 fino al Codice Zanardelli del
1889 si assiste ad un continuo tentativo di unificazione e di
sistematizzazione della materia minorile.
Già il codice penale del 1859 conteneva interessanti disposizioni:
la responsabilità penale era prevista solo per i ragazzi maggiori di
ventuno anni; al di sotto di tale età, sia per i minori di età
compresa fra i quattordici e i diciotto anni, sia per quelli fra i
diciotto e i ventuno anni, erano previste solo delle riduzioni di
pena, da scontare nelle carceri comuni; i minori di quattordici
anni, invece, se erano colpevoli di reati comuni commessi «con
discernimento» venivano sistemati in apposite Case di custodia,
se, invece, avevano agito «senza discernimento» o avevano
2
Lombardi, Il bambino nella storia della pedagogia e dell’educazione, La Scuola, Brescia,
1974
3
Ibidem
10
commesso reati di lieve entità «con discernimento» venivano
ricoverati in stabilimenti pubblici di lavoro.
4
A questi stabilimenti venivano destinati anche i minori di sedici
anni dediti all'ozio o al vagabondaggio.
Il quadro era completato dal codice civile del Regno d'Italia del
1865, il quale stabiliva la possibilità di internamento, su richiesta
anche solo verbale del genitore, di giovani discoli in speciali
Case di correzione o di educazione, qualora "il padre [...] non
riesca a frenare i traviamenti del figlio".
5
Nel 1862 e nel 1877 vennero emanati rispettivamente il primo e
il secondo regolamento per le Case di custodia penali per
minorenni, a testimonianza dell'importanza data, a quell'epoca, a
questa istituzione minorile. Il secondo regolamento, oltre a
prevedere le nuove figure degli «istitutori o censori» al posto
delle guardie carcerarie, stabilì «la separazione assoluta tra adulti
e minorenni, non che tra minorenni sottoposti alla custodia per
condanna penale ed i ricoverati per altre cause
6
».
Nel 1889 entrò in vigore il Codice Zanardelli, il primo codice
penale unitario, il quale, come già visto, fissa due criteri
fondamentali per differenziare i minorenni di fronte alla pena:
l'età e l'elemento del «discernimento»
7
per stabilire l'imputabilità.
In particolare, per quanto concerne la minore età agli effetti
penali, distingueva quattro periodi e per ognuno di questi
prevedeva un diverso trattamento:
4
Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971
5
Ibidem
6
M. Beltrani-Scalia, La riforma penitenziaria in Italia, Giunti Martello, Roma, 1879.
7
Ibidem
11
1. fascia d’età inferiore ai 9 anni: il minore veniva
considerato non imputabile per difetto della capacità
d’intendere e di volere;
2. fascia d’età tra i 9 ed i 14 anni: il minore veniva
ritenuto non imputabile per incapacità d’intendere e di
volere, salvo prova contraria;
3. fascia d’età tra i 14 ed i 18 anni: il minore veniva
invece considerato imputabile in quanto capace
d’intendere e di volere, salvo prova contraria (da
acquisire nel corso degli accertamenti sulla
personalità);
4. fascia d’età che comprendeva soggetti di età superiore
ai 18 anni: ritenuti pienamente capaci di intendere e di
volere.
Nel 1889 la Legge di Pubblica Sicurezza dettò disposizioni
relative ai minori orfani e dediti al vagabondaggio o alla
mendicità, completando in tal modo il quadro delle misure di
controllo sociale dei giovani. Questa legge stabilì che "il minore
degli anni diciotto privo di genitori, ascendenti o tutori" fosse
ricoverato presso "qualche famiglia onesta che consenta ad
accettarlo" o "in un istituto di educazione correzionale" finché
non avesse appreso "una professione, un'arte o un mestiere; ma
non oltre il limite della maggiore età" (art. 114).
8
L'art. 116 estendeva questa disciplina nei confronti dei minori
dediti alla mendicità o alla prostituzione. Il ricovero presso
qualche famiglia onesta non ebbe però, nella pratica, attuazione,
8
Ibidem
12
cosicché l'effetto reale di queste norme fu l'aumento delle
possibilità di istituzionalizzazione di nuove categorie di minori,
quali i mendicanti, gli indisciplinati, i senza famiglia, ecc.
9
.
“[…] Ho d’uopo di ripetere quivi che in Italia noi non
abbiamo istituzioni né disposizioni di legge preventive
contro lo sviluppo della rozzezza morale e sentimentale e
così contro la nascente delinquenza. Noi abbiamo una
legislazione punitiva che viene applicata al fanciullo di 9 o
10 anni, quando abbandonato, ramingo e povero per
qualsiasi causa è raccolto sulla via del questurino. Il giudice
è costretto, forse anche suo malgrado, di rilasciare
ordinanza di chiusura (sentite) fino alla maggior età; 10, 12
anni di chiusura, e si chiamano case penali, dove per essere
vagabondi, questuanti, e poi infine, dico per essere
abbandonati, la giustizia punitiva, e non altro, viene per
simil guisa in loro soccorso – la giustizia civile per
correzione, ha solo l’art. 222 del codice civile, quando i
genitori, parenti o tutori, non ponno tener a freno i loro
minori, fanno richiesta al Presidente del Tribunale di una
misura coercitiva, di repressione, o di educazione forzata,
così detta – allora quei genitori, parenti, tutori, ponno fare
istanza per ritirare dal reclusorio il loro minore dopo un
dato tempo di chiusura. […]”
10
Nel 1891 un nuovo regolamento penitenziario stabilì la
specializzazione delle istituzioni minorili secondo l'età e le
categorie giuridiche. Il Codice Zanardelli, la Legge di Pubblica
9
Ibidem
10
Veratti, Educazione e Delinquenza in rapporto colla scuola colla famiglia e la società,
conferenza tenuta nella sala degli insegnanti la sera delli 22 febbraio 1889, Ditta Nicola
Zanichelli, Bologna, 1889, pp. 28-29.
13
Sicurezza e il codice civile avevano, infatti, delineato quattro
categorie di minori corrigendi: quelli che avevano commesso un
reato o, comunque, delinquenti; quelli privi di genitori o tutori;
quelli che abitualmente praticavano la mendicità o il meretricio;
quelli ribelli all'autorità paterna.
Conseguentemente, il regolamento del 1891 distinse fra
11
:
1. le Case di correzione, previste per i minori di ventuno
anni;
2. gli Istituti di educazione e correzione, dove venivano
rinchiusi i bambini con meno di nove anni, che avevano
commesso un delitto punibile con la reclusione superiore
ad un anno, e i minori di età compresa tra i nove e i
quattordici anni, che avevano agito senza discernimento;
3. gli Istituti di educazione correzionale dove venivano
sistemati i minori di diciotto anni dediti all’oziosità, al
vagabondaggio, all’accattonaggio e alla prostituzione;
4. gli Istituti di correzione paterna per giovani ribelli
allontanati dalla casa paterna.
In questo modo si realizzò formalmente la separazione fra
condannati e corrigendi. Mentre i primi venivano rinchiusi in
istituti governativi, i secondi, fin dall'unità d'Italia, venivano
normalmente accolti in istituti privati
12
, con i quali lo Stato
stipulava apposite convenzioni per la parte amministrativa.
11
Salierno, op. cit.
12
Questi istituti privati, che erano soprattutto religiosi, ma ve ne erano anche di laici, si
distinguevano per il fatto di risultare ispirati a principi più umanitari rispetto a quelli
governativi ( V. Nuti, Discoli e derelitti. L'infanzia povera dopo l'Unità, La Nuova Italia,
Firenze 1992, p. 100)
14
A questo regolamento ne seguì un altro nel 1907, denominato
'Regolamento per i riformatori governativi', in base al quale,
appunto, le case di custodia e tutte le altre istituzioni minorili
vennero denominati, ufficialmente, «riformatori governativi» per
distinguersi dalle istituzioni private
13
.
Sia negli anni che precedettero la prima guerra mondiale che
negli anni successivi al conflitto, vi furono numerosi dibattiti e
congressi sui temi dell'infanzia e della delinquenza minorile, e
non solo ad opera di parlamentari e di giuristi, ma anche di
filantropi e volontari, impegnati nell'assistenza e nella difesa
dell'infanzia.
In realtà "la loro opera è stata sicuramente segnata anche da una
concezione adultistica del minore legata all'idea della
moralizzazione e del controllo dell'infanzia"
14
. Ma, nonostante
questa "ambiguità insita nella doppia visione della protezione,
della tutela e dell'educazione, da una parte, e della correzione, del
controllo e della punizione, dall'altra", questi movimenti
filantropici e riformisti non solo alimentarono la diffusione di
nuove idee intorno ai bisogni e alle necessità degli adolescenti,
ma contribuirono anche alla realizzazione di alcune
sperimentazioni nell'ambito degli interventi penali nei confronti
dei minori.
Nel 1919 Enrico Ferri, l'esponente più significativo della Scuola
positiva, presiedette una commissione che aveva l'incarico di
elaborare un progetto di riforma della legislazione penale.
Nel 1921 vide la luce il progetto Ferri, fedele all'interpretazione
plurifattoriale della devianza propria della Scuola positiva: la
spiegazione della devianza giovanile andava rinvenuta non solo
13
Ibidem
14
L. Milani, op. cit., p. 160
15
nelle cause ereditarie, evolutive o biologiche, ma anche in quelle
sociali, familiari e psicologiche.
La spiegazione della criminalità dei minori andava ricercata
soprattutto nelle condizioni di abbandono e di non curanza in cui
era lasciata l'infanzia «moralmente maltrattata o torturata», e «i
rimedi più efficaci» per combattere la delinquenza giovanile
erano di due tipi: quelli sociali e quelli legali.
I rimedi sociali «dovevano agire in termini di prevenzione, di
profilassi, di educazione e di cura, in un'atmosfera economica e
familiare libera dal veleno della miseria materiale e morale»;
quelli legali dovevano essere guidati non «dalle consuete norme
astratte di responsabilità morale aritmeticamente graduata
secondo le diverse età», ma «dovevano ispirarsi sempre al
criterio fondamentale della pericolosità del delinquente
15
».
1.1.2 Dal Codice Rocco al decreto del 1934
Nel 1929 Alfredo Rocco emanò una circolare e delineò una netta
distinzione fra i soggetti che si riteneva fossero in condizioni di
"normalità biologica e psichica", e quindi imputabili, per i quali
la pena aveva una funzione retributiva, e quelli che si trovavano
in condizioni di "non normalità biologica e psichica", per i quali,
se non era provata in concreto la loro imputabilità, la pena, sotto
forma di misura di sicurezza, aveva funzione terapeutica e,
soprattutto, di difesa sociale.
16
Nell'area della non normalità biologica e psichica venivano fatti
rientrare anche i minori.
1. i minori che, a prescindere dall’età, fossero stati
ritenuti non imputabili, qualora fossero stati
considerati socialmente pericolosi, venivano
15
Relazione al progetto Ferri, in Riv. dir. penit., 1934, II.
16
M. Beltrani-Scalia, op. cit.
16
sottoposti alle misure di sicurezza del riformatorio
giudiziario o della libertà vigilata;
2. ai minori autori di reati e prosciolti per infermità
psichica o per sordomutismo, nei confronti dei quali la
pericolosità sociale era presunta, veniva applicata la
misura di sicurezza del manicomio giudiziario;
3. i minori invece ritenuti imputabili e condannati
dovevano scontare la pena, fino al compimento dei
diciotto anni, «in stabilimenti separati da quelli
destinati agli adulti, ovvero in sezioni separate di tali
stabilimenti» e a loro veniva «impartita, durante le ore
non destinate al lavoro, un'istruzione diretta
soprattutto alla rieducazione morale»
17
.
La finalità rieducativa era, però, posta come esigenza primaria
solo in senso ideologico, dato che poi gli strumenti previsti per
raggiungerla ebbero caratteristiche opposte a tale finalità.
Con il Regio Decreto Legge. n. 1404 del 20 luglio 1934 venne
istituito il Tribunale per i Minorenni, sintesi delle diverse
prospettive presentate nei precedenti progetti di riforma sopra
esaminati.
Questo decreto legge rappresentò il primo tentativo di
disciplinare in modo sistematico la materia minorile, ma -
promulgato in piena era fascista, malgrado che prevedesse
un'istituzione di ispirazione eminentemente liberale - in realtà
favorì la nascita di un tribunale minorile "più per ragioni di
prestigio che di reale presa di coscienza della necessità di
promuovere il minore".
18
17
Ibidem
18
Ibidem
17
Il Tribunale per i Minorenni venne istituito quale organo di
decisione autonomo, rispetto agli altri tribunali penali e civili, e
specializzato, in relazione alle peculiarità della condizione
minorile.
Al tribunale vennero attribuite tre competenze (penale, civile e
amministrativa), per cui fin dall'inizio si occupò non solo della
delinquenza minorile ma anche del disadattamento.
Per quanto riguarda la competenza penale, oltre ad aver garantito
ai minori il diritto ad avere un giudice specializzato, furono
previste anche particolari norme del procedimento.
Mentre la competenza civile riguardava l'ambito relativo ai
provvedimenti limitativi della patria potestà, la competenza
amministrativa era rivolta al minore di diciotto anni che «per
abitudini contratte dia prova di traviamento e appaia bisognoso di
correzione morale».
19
L'attività amministrativa era un'attività di controllo sociale che,
sebbene nelle intenzioni volesse essere meno rigida di quella
penalistica, di fatto comportava l'internamento in un riformatorio
per corrigendi, senza per altro stabilirne la durata. Era stabilito,
infatti, che il trattamento del minore finisse quando il ragazzo
fosse risultato «non più bisognevole di correzione» o, comunque,
aveva raggiunto i ventuno anni.
20
Molti ragazzi furono, così, sottoposti a interventi rieducativi
coatti anche molto duri, un trattamento che spesso aveva l'effetto
di trasformarli da disadattati a veri e propri delinquenti da
sottoporre a misure di contenimento più gravi, anche di tipo
penale.
Il Tribunale per minorenni nasce caratterizzato "da un'ideologia
paternalistica non ancora capace di porsi nell'ottica della tutela e
19
Ibidem
20
Ibidem
18
della promozione dei diritti dei minori, primo fra tutti quello
all'educazione"
21
.
L'organo giudicante era visto come strumento necessario di
controllo sociale dell'adolescenza, ormai priva delle consuete
forme di controllo, quale la famiglia patriarcale-rurale messa in
crisi dalla società industriale.
La preoccupazione principale era quella di tutelare la comunità,
mentre l'effettivo recupero sociale del minore deviante veniva in
secondo piano.
Il R.D. del 1934 si preoccupò anche di risistemare l'aspetto
logistico.
Accanto al Tribunale era prevista l'istituzione di un «centro di
rieducazione dei minorenni». Il primo decide e il secondo applica
le misure sul piano istituzionale.
Al centro di rieducazione facevano capo tutta una serie di servizi
e istituzioni, quali case di correzione, focolari di semilibertà e
pensionati giovanili, gabinetti medico-psico-pedagogici, uffici di
servizio sociale per minorenni, istituti di osservazione, scuole
laboratori e ricercatori speciali, riformatori giudiziari e prigioni
scuola.
22
L’ideologia dominante in questo periodo è quella della
prevenzione e della rieducazione che spesso si traduce in una
impostazione paternalistica. In questo periodo negli istituti di
osservazione gli esperti indagano sulla personalità del minore,
orientandosi verso l’approfondimento delle cause ambientali e
famigliari del suo disagio, manifestandosi con la condotta
allarmante e con il reato.
21
L. Milani, op. cit., p. 163-164
22
Ibidem
19
La devianza minorile è stata caratterizzata fino all'entrata in
vigore della legge del 1956 da un'ideologia paternalistica-
previdenziale, nel senso che la risposta alla marginalità degli
adolescenti prevedeva degli interventi segreganti e fortemente
punitivi.
Già un piccolo cambiamento si ebbe con la Circolare del
Ministero di Grazia e Giustizia del 17 febbraio 1938, la quale,
prevedendo soluzioni alternative alla casa di correzione per
minori traviati, favorì la nascita di numerose istituzioni private
per minori disadattati.
23
Ma sono stati soprattutto l'entrata in vigore della Costituzione e il
passaggio da un regime autoritario come quello fascista ad uno
Stato democratico ad aprire una crisi in questa ideologia
repressiva e a favorire l'affermarsi di un'ideologia di tipo
rieducativo: la pena e il controllo sociale dei giovani vennero
posti in secondo piano e al centro dell'attenzione fu messa la
funzione rieducativa e risocializzante del minore deviante.
23
Salerno, op. cit.