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dei tumori che, in molti casi, correla con il loro comportamento,
anche se in ogni grado ci possono essere sottotipi che si
comportano diversamente.
Classificazione
Il sistema di grading più largamente utilizzato per classificare i
gliomi è la classificazione WHO (World Health Organization),
che si basa sui seguenti criteri: grandezza delle cellule, grado di
pleomorfismo cellulare (citoplasmatico e nucleare), attività
mitotica, grado di proliferazione e necrosi dei periciti e
dell’endotelio microvascolare (Vandenberg and Lopes, 1999). In
base a questo sistema i tumori gliali possono essere suddivisi in
quattro gradi clinicamente distinti. Il grado quattro corrisponde al
glioblastoma multiforme (GBM), che è il più aggressivo e viene
anche definito glioma di grado elevato, insieme all’astrocitoma
anaplastico (grado III). I gliomi di grado basso sono invece
suddivisi in tre sottogruppi: astrocitoma, oligodendroglioma e
glioma misto (grado II) (Kleihues et al., 1993). I tumori gliali di
grado I includono lo xantoastrocitoma pleomorfico,
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l’ependimoma e il subependimoma, ma sono forme tumorali
adulte piuttosto rare. I gliomi adulti di grado basso hanno
solitamente una localizzazione sopratentoriale e sono tumori
molto ben differenziati, privi dei segni istologici tipici
dell’elevata malignità come mitosi, proliferazione delle cellule
endoteliali e necrosi (McLendon et al., 1998) In accordo con i
criteri istopatologici della classificazione WHO, i gliomi di grado
II presentano soltanto un moderato pleomorfismo nucleare,
mentre gli astrocitomi di grado III sono caratterizzati da un
aumento nelle dimensioni cellulari e da una elevata atipia
cellulare. Infine, i tumori gliali di grado IV, a differenza degli
astrocitomi di grado III, presentano un aumento della grandezza
cellulare e un aumento della proliferazione endoteliale e della
necrosi (Nelson et al., 1983; Burger et al., 1985; Davis, 1989).
I gliomi di grado basso che colpiscono principalmente i bambini e
i giovani, come l’astrocitoma pilocitico e i gliomi del tronco
cerebrale, mostrano di solito comportamenti clinici e biologici
diversi: questi tumori hanno un potenziale invasivo piuttosto
limitato ed una minore capacità di trasformazione maligna.
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Glioblastoma multiforme e astrocitoma anaplastico
Il glioblastoma multiforme (GBM) e l’astrocitoma anaplastico
sono classificati come gliomi di grado elevato e rappresentano un
problema attualmente irrisolto per la neurooncologia: la
sopravvivenza media per questo tipo di tumore è di 9-12 mesi sia
per i pazienti trattati chirurgicamente sia per quelli trattati con
radioterapia o chemioterapia, con un tasso di sopravvivenza a 5
anni che varia dal 10 al 35% per l’astrocitoma anaplastico e che è
prossimo allo 0% per il glioblastoma (Valtonen et al., 1997;
Nelson et al., 1993).
Il GBM è il più aggressivo tra i tumori gliali: esso può nascere
come tumore primario o può evolvere a GBM da uno dei gliomi
di grado basso (secondario). Numerose sono le varianti
istopatologiche del GBM, come il glioblastoma a cellule giganti e
il gliosarcoma delle cellule fusate: in ogni caso, caratteristiche
comuni a tutti i tipi di GBM sono pleomorfismo cellulare e
nucleare, proliferazione microvascolare e necrosi. La maggior
parte dei GBM esprimono markers di differenziazione astrocitica,
come la proteina gliale fibrillare acida (glial fibrillary acid
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protein, GAFP) o la proteina S-100 Ε (Tascos et al.,1982; Kimura
et al.,1986).
Astrocitoma
Il più comune astrocitoma negli adulti è l’astrocitoma diffuso, che
tipicamente colpisce nella terza o quarta decade di vita. Questi
tumori appaiono come lesioni diffuse e possono erroneamente
essere confusi con lesioni ischemiche. A livello microscopico gli
astrocitomi diffusi sono suddivisi in tre diversi tipi, in base al tipo
di astrocita da cui deriva la cellula tumorale: fibrillare,
protoplasmico o gemistocitico. Questa sottoclassificazione è su
base morfologica, ma presenta dei risvolti prognostici in quanto è
generalmente accettato che l’astrocitoma gemistocitico ha una
maggiore tendenza a subire una rapida trasformazione in senso
maligno (Shaw et al.,1997). Nonostante la massa tumorale sia a
volte molto estesa, l’unico sintomo riscontrato in pazienti affetti
da astrocitoma diffuso è la presenza di crisi epilettiche: la massa
tumorale non presenta conseguenze sintomatiche nella fase
iniziale e la sua scoperta è in molti casi accidentale. Tuttavia, la
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maggior parte degli astrocitomi diffusi evolvono a gliomi
altamente maligni e tra tutti i pazienti affetti da gliomi di grado
basso, quelli affetti da astrocitoma di grado II presentano il più
elevato rischio di trasformazione maligna. Il tasso di
sopravvivenza a 5 anni per i pazienti affetti da questo tipo di
tumore viene stimato intorno al 50% (Shaw et al., 1997) e in
alcuni casi la progressione tumorale si manifesta con un aumento
della massa tumorale senza alcun segno della trasformazione
maligna delle cellule.
Oligodendroglioma
Gli oligodendrogliomi colpiscono intorno alla terza o quarta
decade, ma sono una forma tumorale meno comune degli
astrocitomi diffusi. A livello microscopico gli oligodendrociti
neoplastici sono riconoscibili per la presenza di un caratteristico
alone perinucleare e per l’assenza della colorazione
immunoistochimica per la proteina gliale acida (GAFP). Questi
tumori possono presentare capacità di infiltrazione, anche se in
molti casi sono molto ben definiti e circoscritti. I pazienti affetti
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da oligonendroglioma hanno una prognosi piuttosto buona
rispetto ai pazienti con astrocitoma, con una sopravvivenza a 5
anni stimata intorno al 70-80% (Cairncross, 1997). Il tumore può
rimanere indolente per anni e sono stati segnalati casi di
prolungata sopravvivenza (tre o quattro decadi); tuttavia, un
numero elevato di pazienti sviluppa nel corso degli anni una
forma tumorale più aggressiva, con caratteristiche cliniche e
istologiche tipiche dell’oligodendroglioma anaplastico; inoltre è
possibile che si verifichi una trasformazione maligna in glioma
misto o astrocitoma anaplastico, suggerendo che le cellule
tumorali con una più alta potenzialità maligna sono derivate dalla
presenza di una linea neoplastica di astrociti GAFP-positivi o da
cellule staminali con caratteristiche di astrociti.
Glioma misto
La presenza di gliomi misti evidenzia il fatto che cellule
neoplastiche con diversi fenotipi gliali possono esistere
all’interno dello stesso tumore: i tumori misti presentano infatti
sia oligodendrociti che astrociti neoplastici.
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A livello clinico questi tumori si comportano come astrocitomi
diffusi, con un più elevato rischio di trasformazione maligna
rispetto agli oligodendrogliomi (Gutierrez, 1999). La diagnosi di
questi tumori è basata su criteri istopatologici, poiché essi non
sono radiologicamente distinguibili dai gliomi di grado basso. I
gliomi misti possono progredire a gliomi di grado elevato e nella
maggior parte dei casi diventano morfologicamente
indistinguibili dagli astrocitomi anaplastici, il che suggerisce che
la trasformazione maligna sia guidata dalla componente
astrocitica del tumore misto.
Altri tipi di glioma
Gli ependimomi sono gliomi di grado basso piuttosto rari: sono
derivati dalle cellule ependimali e si sviluppano in prossimità del
terzo ventricolo o del canale centrale, con un’incidenza maggiore
nel midollo spinale piuttosto che nel cervello. Nella maggior
parte dei casi sono molto ben definiti e circoscritti.
Lo xantoastrocitoma pleomorfico (PXA) è un altro glioma di
grado basso non molto frequente: è un tumore a prognosi
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piuttosto favorevole, anche se sono stati riscontrati dei casi di
progressione maligna a gliomi di grado elevato (Gutierrez, 1999).
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Alterazioni genetiche nei gliomi
Un aspetto fondamentale per lo sviluppo dei tumori gliali è la
perdita del controllo della proliferazione cellulare. Numerosi
meccanismi regolano il mantenimento dell’equilibrio tra
proliferazione e morte cellulare: le cicline, le chinasi ciclina-
dipendenti (CDK) e gli inibitori delle chinasi (CDKI) svolgono
un ruolo importantissimo nella regolazione del ciclo cellulare
(Dirks and Rutka, 1997), mentre la proliferazione cellulare è
stimolata da molecole quali fattori di crescita e proteine della
matrice extracellulare.
La stimolazione della sopravvivenza cellulare è un fattore chiave
per lo sviluppo del tumore. L’apoptosi è il meccanismo di morte
cellulare che, durante lo sviluppo e nei tessuti adulti normali,
assicura il controllo del numero delle cellule, ed è un processo
strettamente controllato a livello genetico. Numerosi studi hanno
messo in evidenza come la perdita della normale regolazione
apoptotica sia responsabile dello sviluppo e della progressione dei
gliomi (Alderson, 1995; Sano et al., 1999; Rodriguez-Pereira,
2001; Chakravarti, 2002). Pertanto, la maggior parte delle
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alterazioni genetiche ad oggi identificate nei gliomi umani
provocano o una attivazione anomala delle vie di trasduzione del
segnale a valle dei recettori tirosina chinasi che regolano la
proliferazione cellulare, o la distruzione dei meccanismi che
bloccano il ciclo cellulare.
Attivazione delle vie di trasduzione del segnale e
formazione del glioma
Una delle prime alterazioni geniche ad essere associata al GBM è
stata l’amplificazione del gene del recettore per il fattore di
crescita epidermico (epidermal growth factor receptor, EGFR),
che è la più comune tra le aberrazioni cromosomiche riscontrate a
livello di tumori gliali (Libermann et al., 1985). L’amplificazione
del gene EGFR si riscontra nel 40-50% dei glioblastomi e
provoca un aumento nei livelli di espressione del recettore (Hurtt
et al.,1992; J. Schlegel et al., 1994). Dal sequenziamento del gene
EGFR nel glioma è stato evidenziato come esso possieda
mutazioni che risultano nella delezione di porzioni del dominio
extracellulare fondamentali per l’interazione con il ligando
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(Ekstrand et al., 1992; Wong et al.,1992), e che tali recettori
mutati siano dotati di attività tirosin-chinasica costitutiva
(Ekstrand et al., 1994; Hoi Sang et al.,1995). Sono stati
individuati almeno tre diversi tipi di delezione del dominio
extracellulare di EGFR (Voldborg et al., 1997).
Il primo provoca una attivazione costitutiva del recettore
(EGFRvI) (Humphrey et al., 1988); il secondo è dovuto
all’amplificazione del gene (EGFRvII) ma sembra non
influenzare il fenotipo maligno del GBM (Humphrey et al.,
1991); un terzo tipo di delezione porta ad una diminuzione
dell’endocitosi del recettore e ad una sua conseguente
overespressione sulla superficie cellulare (EGFRvIII) (Bigner et
al., 1990; Wikstrand et al., 1995). Di questi, il terzo tipo di
delezione è quello più comunemente riscontrato nei gliomi
umani: EGFRvIII è infatti stato evidenziato in più del 50% dei
gliomi umani sia di basso che di alto grado (Garcia de Palazzo et
al., 1993).
Negli astrocitomi, nei glioblastomi secondari (gliomi che
progrediscono dagli astrocitomi di grado basso) e negli
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oligodendrogliomi il fattore di crescita derivato dalle piastrine
(platelet-derived growth factor, PDGF) e il suo recettore
(PDGFR) sono risultati essere overespressi (Guha et al, 1995; Di
Rocco et al., 1998), e anche la overespressione del gene
codificante per il fattore di crescita dei fibroblasti (fibroblast
growth factor, FGF) e per il suo recettore (FGFR) sembra
implicata nella tumorigenesi del glioma.
A causa dell’amplificazione e delle mutazioni dei recettori per i
fattori di crescita, l’interazione dei fattori di crescita con i propri
recettori può contribuire a stimolare la proliferazione dei gliomi
in maniera sia autocrina che paracrina.
L’attivazione costitutiva dei recettori può infatti attivare
contemporaneamente molteplici vie di trasduzione del segnale
come la via del PI3 chinasi/AKT, la via RAS/MAP chinasi, la via
C-MYC o la via della proteina chinasi C, con l’effetto ultimo di
stimolare la sintesi del DNA e la divisione cellulare. Questa
ipotesi trova riscontro negli elevati valori di attività di RAS e
AKT che sono stati evidenziati nei gliomi umani (Guha et
al.,1997; Haas-Kogan et al.,1998; Holland et al., 2000).
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Un gene la cui perdita è stata spesso riscontrata nei gliomi umani
di grado elevato è il gene PTEN, isolato dal cromosoma 10q23.3,
una delle zone interessate a delezione nei glioblastomi, nei tumori
mammari e nei carcinomi prostatici (Steck et al.,1999). La
proteina PTEN è una fosfatasi lipidica che catalizza la
conversione del fosfatidilinositolo (3,4,5)-trifosfato (PIP3) in
fosfatidilinositolo (4,5)-bifosfato (PIP2) (Maehama and Dixon,
1998; Myers et al., 1998), uno step importantissimo nel processo
che lega il segnale innescato dai fattori di crescita alla
sopravvivenza cellulare (Wechsler-Reya and Scott, 2001). I
fattori di crescita attivano l’enzima fosfatidilinositolo-3’ chinasi
(PI3K), che aumenta i livelli cellulari di PIP3: questi funge da
secondo messaggero e lega, attivandole, altre molecole di natura
proteica come l’enzima Akt.
L’attivazione di quest’ultimo porta alla fosforilazione, e quindi
alla inattivazione, di un elevato numero di proteine implicate
nella regolazione dell’apoptosi, come Bad e Caspasi-9,
promuovendo la sopravvivenza della cellula (Wechsler-Reya and
Scott, 2001).
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L’attività di PTEN riduce i livelli di PIP3, pertanto la sua perdita
promuove in ultima analisi la sopravvivenza cellulare.
Alterazioni del gene PTEN sono state riscontrate nel 41-63%
delle linee cellulari di glioma e nel 17-44% dei glioblastomi
primari, ma sono più rare nei gliomi di grado basso (Liu et al.,
1997; Rasheed et al., 1997; Wang et al., 1997; Duerr et al., 1998).
Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che la proliferazione delle
cellule di glioma potrebbe essere bloccata dal trasferimento del
gene PTEN wild-type sia in vivo che in vitro (Furnari et al., 1997;
Cheney et al., 1998).
In uno studio piuttosto recente l’assenza del gene PTEN è stata
associata con un aumento della malignità del tumore, mentre un
aumento di PTEN è stato visto essere un fattore prognostico
positivo per la sopravvivenza del paziente (James et al., 1991;
Alleyne et al., 1999; Sano et al., 1999). Questi dati indicano che
PTEN svolge indubbiamente un ruolo importante nella
progressione tumorale.