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(individuali, relazionali, sociali), non è possibile gli adolescenti non sempre
si fossilizzano su comportamenti antisociali.
I giovani autori di reato, se adeguatamente supportati su più livelli,
fanno “tesoro” anche della loro esperienza negativa. Ciò li tutela dal
perpetuare in comportamenti trasgressivi.
Ma cosa permette al giovane di reagire di fronte alle situazioni di
sofferenza? Cosa fa si che due ragazzi, nelle stesse condizioni, e con le
stesse opportunità reagiscano in modo differente alle difficoltà della vita?
Cosa permette che uno sia più propositivo e l’altro si chiuda in se stesso
impedendo qualsiasi intervento?
Nei primi capitoli del presente lavoro ho delineato in modo generale
le caratteristiche degli adolescenti, degli adolescenti devianti e degli
adolescenti resilienti. Nel quarto capitolo ampio spazio viene dato alla
ricerca condotta presso alcune comunità.
Per la realizzazione dello studio è stato necessario un periodo di
osservazione sul campo fondamentale per costruire un rapporto di fiducia
con i ragazzi prima della somministrazione degli strumenti utilizzati.
Per quanto riguarda il lavoro svolto con il gruppo di controllo questo
è stato facilitato dalla curiosità e dall’entusiasmo dei ragazzi a partecipare
alla ricerca.
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Tutto questo è stato possibile grazie alla disponibilità e all’attenzione
per gli obiettivi dell’indagine del responsabile e degli operatori della
comunità che mi ha ospitato.
Il lavoro svolto è stato di fondamentale importanza non solo per il
raggiungimento dell’obiettivo laurea ma soprattutto come esperienza
formativa che mi ha arricchito culturalmente ed umanamente.
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CAPITOLO 1
ADOLESCENTI
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1. L’adolescenza: periodo di crisi o opportunità di crescita?
“…era un periodo in cui una cosa succedeva e subito dopo era evaporata; come
se non ci fosse mai stata…quello che mi viene in mente sono stati di sonnolenza, attesa
e mancanza di ritmo, riflessioni circolari, immagini frammentarie,
discorsi imprecisi, sguardi a distanza, incontri rimandati. A volte cercavo di
capire cosa avrei voluto una volta uscito da questo stadio indefinito, ma non arrivavo
mai ad una conclusione attendibile. A volte mi guardavo nello specchio del bagno e
cercavo di intuirlo dall’evoluzione dei miei lineamenti…lasciavo passare il tempo più
che altro e mi sembrava che passasse con una lentezza incredibile…È stato un processo
lento, nella chimica lenta di quel periodo, quando tutto si trasformava in modo difficile
da percepire… (A. De Carlo “Due di Due”).
Repentine trasformazioni, incertezza sul domani, confusione su tutto
ciò che accade: ecco alcune delle sensazioni descritte magistralmente
dall’autore di un romanzo che parla di due amici, che si ritrovano per
affrontare i cambiamenti che caratterizzano gli anni dell’adolescenza.
L’adolescenza inizialmente veniva considerata come una vero e
proprio momento di crisi caratterizzato da turbolenze devastanti.
Hall (1904) fu il primo a studiare il significato del periodo
adolescenziale definendolo “strom and stress”. Questo periodo di
agitazione emotiva era dovuto per lo più ai mutamenti biologici che
riguardano il ragazzo. Egli la considerò come una vera ri-nascita in cui si
sviluppano specifiche facoltà. “Il risultato della plasticità nel periodo
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adolescenziale è la migliore speranza per il progresso evolutivo dell’
uomo” (Hall 1904).
L’idea di adolescenza come periodo caratterizzato da “tempesta e
tensione” viene confermata da A. Freud (1969) che parla di questa fase di
vita come “stato disturbato”, un vero e proprio squilibrio psicologico.
L’Autrice (1958) si discosta dalle teorie psicanalitiche classiche che
consideravano l’adolescenza come un periodo in cui si rivivevano conflitti
infantili. A. Freud, pone l’accento sul funzionamento dell’Io che considera
l’istanza centrale nel processo di adattamento.
Nell’adolescenza molti sono i meccanismi difensivi messi in atto.
Tra queste le difese contro le pulsioni sono le più intense, così può
accadere che l’adolescente metta in atto comportamenti difensivi. A tal
proposito, l’Autrice giudicava normale l’anormalità del ragazzo e anomala
la sua normalità, quasi a voler necessariamente accostare questi anni ad un
periodo negativo.
Erikson (1968), pur considerando l’adolescenza come una “crisi
normativa”, riconosce le potenzialità evolutive di questo momento.
L’adolescente, in cerca di una nuova identità, si trova in un periodo di
svolta che può determinare possibilità di sviluppo e di crescita per la sua
persona.
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Per superare questo momento di crisi è necessario che le esperienze
passate abbiano consolidato la fiducia di base. La conquista della fiducia di
base è uno dei compiti psicosociali,
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descritti da Erikson, che permettono
all’adolescente di cercare un compromesso tra i propri desideri e le
esigenze imposte dalla società.
Lewin (1972) considerava l’adolescenza come una “fase di
ampliamento dello spazio vitale individuale”. Questa sarebbe caratterizzata
dal passaggio da un sistema relazionale “protetto” ad uno più articolato e
complesso in cui aumentano le possibilità di apprendimento di nuovi ruoli
sociali.
Per Winnicott (1965) una crisi è necessaria per lo sviluppo. Il suo
superamento è determinato da un ambiente facilitante che, contenendo la
crescita emozionale del ragazzo, lo aiuti a superare l’impasse depressivo
dovuto alla perdita di legami rassicuranti.
Queste concezioni, e molte altre ancora, evidenziano gli aspetti
problematici di questo periodo, quasi fosse una vera e propria“malattia”
(Masterson 1967).
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I compiti psicosociali sono compiti che vedono il ragazzo impegnato a costruire relazioni all’interno
della società. Tra questi rientrano: la conquista di una fiducia di base, dell’autonomia, dell’iniziativa, di
una disposizione al lavoro e, nell’adolescenza, di una propria identità.
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È importante sottolineare che l’enfasi posta dalla letteratura classica
sugli aspetti problematici è dovuta al fatto che gli adolescenti presi in
considerazione appartenevano a casi studiati in ambito clinico.
Recentemente il concetto di “crisi adolescenziale” è stato rivalutato.
Non si parla più di una fase di vita separata dalla precedente, o di una
ri-nascita, ma si tende a leggerla in termini di continuità.
Non più un’ottica lineare di causa-effetto ma una visione
multifattoriale in cui esiste una continua interazione dinamica tra fattori
individuali e ambientali.
La letteratura più recente ha dimostrato che l’adolescenza non è
necessariamente un periodo negativo ma può essere un’opportunità di
crescita importante, rivalutando così il significato etimologico del termine
che dal latino “adolescere” significa crescere.
L’adolescenza è comunque, per i ragazzi, un momento delicato da
affrontare, essa è sempre caratterizzata da profondi cambiamenti.
Gli studi di Rutter e coll. (1976) hanno evidenziato quanto gli
adolescenti, liberi da turbamenti e stress, siano consapevoli delle difficoltà
che dovranno affrontare, alle quali si accostano con fiducia.
L’idea secondo la quale gli adolescenti sperimenterebbero situazioni
di alienazione familiare viene smentita dagli studi condotti da Coleman e
Hendry.
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Gli Autori (1990), dimostrano che i giovani in questa fase di vita
hanno generalmente atteggiamenti positivi nei confronti delle loro famiglie.
La novità dei loro studi sta nel fatto che le difficoltà, tipiche di questa fase,
non devono essere affrontate dal ragazzo tutte contemporaneamente ma nel
corso degli anni dell’adolescenza (modello focale). Secondo questa teoria,
il ragazzo, ha la possibilità di maturare gradualmente affrontando uno alla
volta i compiti evolutivi che gli si presentano senza drammi e in modo
efficace.
Quando i compiti vengono affrontati tutti nello stesso momento si
può incorrere invece in sintomi trasgressivi o patologici (Coleman 1990).
In un primo momento i compiti di sviluppo furono ordinati secondo
le diverse fasi della vita.
Havighurst (1952-53) descrisse i compiti
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tipici dei vari momenti
dello sviluppo umano specificando in modo più dettagliato gli obiettivi
tipici di ogni età.
La ricerca dell’indipendenza è da considerarsi come elemento
costante di questi compiti di sviluppo. Essi non hanno un carattere
immutabile e universale ma si definiscono per ogni ragazzo in funzione dei
propri rapporti familiari, sociali, e contestuali (Palmonari 1997).
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I compiti di sviluppo proposti da Havighurst (1952-53) sono: sapersi adattare ai cambiamenti somatici
e saper ricostruire una identità somato-psichica; accettare le proprie pulsioni e padroneggiarle; conseguire
una certa indipendenza dalle figure genitoriali; sapere instaurare rapporti con i coetanei dello stesso sesso
e di sesso opposto; partecipare a gruppi; stabilire una interazione adeguata con le istituzioni sociali.
Palmonari (1979) aggiunge a questi compiti di sviluppo anche la capacità di progettare il proprio futuro.
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Esistono, comunque, dei compiti di sviluppo che risultano universali:
• compiti legati ai cambiamenti fisici (risveglio delle pulsioni);
• ai nuovi interessi personali (nuove amicizie, nuove modalità di
pensiero);
• ricerca di una nuova identità (ri-organizzazione del concetto di
sé).
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2. Trasformazioni puberali
I compiti legati ai cambiamenti fisici sono quelli che il ragazzo si
trova ad affrontare immediatamente.
Il giovane, infatti, si ritrova con un corpo in continua trasformazione
che non sempre riesce ad accettare come proprio. Il senso di estraneità che
da ciò deriva porta il ragazzo a trattarlo come un “oggetto” esterno,
depositario di odio e aggressività.
Il corpo è, per l’adolescente, il luogo del conflitto interno, il
rappresentante di un cambiamento improvviso che egli tenta di controllare.
Gli attacchi rivolti ad esso non sono altro che l’espressione della paura di
crescere, di perdere un fisico familiare, onnipotente e asessuato
dell’infanzia e ritrovarsi con uno nuovo, sessuale, non più familiare. Il
compito del ragazzo è dunque quello di unificare queste due immagini di sé
e riconoscersi nella nuova immagine corporea.
Il corpo viene scoperto anche come strumento relazionale.
L’eccessiva e minuziosa attenzione dedicata ad esso diventa elemento
caratteristico di giovani che sentono di essere apprezzati e ammirati, dai
propri coetanei, per il modo in cui appaiono. Ma ciò di cui si prendono così
tanta cura in realtà non è che un oggetto riconosciuto solo per il valore
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funzionale. Le mode seguite, i distintivi altro non sono che la
testimonianza di un’identità di cui si è alla ricerca. Venuto meno tutto
questo, il vuoto interiore riemerge (Lo Baido 2001).
“…ho cominciato a vestirmi anche in modo diverso … Sono andato
a comprarmi un paio di jeans di velluto e due camicie americane, un
giaccone di lana a scacchi. Quando sono uscito dal negozio mi sentivo un
altro tipo di persona: con altre possibilità fisiche e mentali”(A. De Carlo
pag. 26).
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3. Il Gruppo
Altro compito di sviluppo, tipico di questa età, è la costruzione di
nuove relazioni.
L’adolescenza, infatti, non è solo tempo di trasformazioni reali e
simboliche ma anche momento di separazioni e individuazioni (Berti
1997).
Separazione come differenziazione dal “gruppo-famiglia” che non è
più avvertito come luogo in cui si è del tutto compresi (Scabini 1995).
Individuazione come emancipazione dalla famiglia e dai modelli
genitoriali che non vengono più accettati ma sono messi in discussione.
Molte sono le esigenze che l’adolescente sente in questo periodo in
cui tutto sembra venire meno, ed in cui a lui è richiesta la capacità di
gestire, nel miglior modo possibile, tutto ciò che di nuovo lo riguarda.
Nasce in lui il forte bisogno di appartenere ad un gruppo di coetanei
con cui potersi identificare e da cui potersi differenziare.
Il gruppo rappresenta un valido aiuto per il ragazzo in quanto è
“luogo-altro” all’interno del quale egli ha la possibilità di esprimersi in
modo autonomo dalla famiglia. Luogo in cui è possibile condividere gli
stessi problemi cercando soluzioni adeguate. Lo stare semplicemente
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insieme con la possibilità di confrontarsi con i propri coetanei risulta
l’attività fondamentale.
Coleman (1980) sostiene che una delle funzioni più importanti del
gruppo è quella di rappresentare per il ragazzo una “base sicura”. Un
punto di riferimento stabile in un momento in cui niente sembra certo
“…era un periodo in cui una cosa succedeva e subito dopo era evaporata;
come se non ci fosse mai stata…”( A. De Carlo pag. 12).
Lewin (1972) considera il gruppo come occasione in cui
l’adolescente ha la possibilità di sperimentare praticamente nuovi ruoli
sociali.
Winnicott (1965) sostiene che “gli adolescenti sono un insieme di
isolati che in vari modi si sforzano di formare un aggregato, adottando
un’identità di giusti”.
La ricerca di se stesso è uno dei compiti che il ragazzo può scegliere
di affrontare da solo, “…quando si è soli si è soli in tutto anche nelle cose
più stupide…” (dal diario di un adolescente).
È augurabile, tuttavia, che questi momenti di intensa solitudine non
siano i più importanti di un percorso che, se pur complesso, è estremamente
avvincente.
Il vuoto, come mancanza di qualcosa che normalmente riteniamo
essere nostro, determina la necessità per l’adolescente di elaborare tale
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perdita (A. Freud, 1979). Pertanto anche questa esperienza funge da
stimolo per il ragazzo che tende a “riempire il vuoto” investendo le proprie
energie in attività ricreative, in nuove relazioni, in nuovi interessi.
In realtà egli non è mai solo fisicamente; si ritrova sempre in
compagnia di altri che, nel bene e nel male, indirizzano i suoi
comportamenti verso una direzione.
È nel gruppo che l’adolescente fa esperienza del vivere sociale, dei
ruoli e delle relazioni. Nel gruppo si mette in gioco e sperimenta come è
visto dagli altri e cosa essi si aspettino da lui (Serra 2000).
Il gruppo è un’ importante strumento di crescita per l’adolescente in
quanto permette di sperimentare il proprio senso di autoefficacia.
“Il livello di motivazione, gli stati affettivi e i comportamenti delle
persone, sono basati più sulle proprie convinzioni che sulla realtà
oggettiva delle cose”. (Bandura 1996 pag.14-15).
I ragazzi che hanno sviluppato un forte senso di autoefficacia
affronteranno i compiti più complessi come delle sfide, momenti in cui
poter sperimentare quanto valgono. I ragazzi che, invece, sviluppano un
senso di autoefficacia debole eviteranno i compiti più difficili. In questo
senso il gruppo diventa non solo facilitatore ma anche inibitore della
percezione di sé.