4
1. INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dalla convinzione che un concetto multimensionale e
multisettoriale come il capitale sociale, così in auge nell’ultimo ventennio,
potesse anche essere analizzato nell’ambito di un settore tenuto in considerazione
per lo più nei programmi di aiuto ai paesi in via di sviluppo, e cioè il settore
agricolo-zootecnico.
L’osservazione della vita e del lavoro delle persone coinvolte in attività
agricole nella provincia di Enna, invece, fa pensare ad alcuni meccanismi che
richiamano il capitale sociale, come le reti di collaborazione tra vicini in
campagna, il sostegno reciproco, certe azioni che possono intuitivamente essere
ricondotte alla presenza di reti fiduciarie tra le persone.
Tuttavia la realtà percepita ha trovato solamente un debole riscontro nella
realtà rilevata, e questo risultato ha implicato una riconsiderazione di quanto era
stato immaginato in fase di disegno della ricerca.
Partendo da una approfondita ricognizione bibliografica atta ad esplorare
gli innumerevoli studi teorici ed empirici che in questi anni hanno messo in rilevo
la fungibilità del capitale sociale, è stato progettato un disegno della ricerca che
misurasse quattro delle sei dimensioni latenti utilizzate per la rilevazione del
capitale sociale negli studi dell’OECD, ai quali si stanno uniformando anche gli
istituti nazionali di statistica europei.
Con questo scopo si è costruito un questionario standardizzato sulla base di
quelli utilizzati nelle indagini della Banca Mondiale, dell’OECD e del National
Statistics Office della Gran Bretagna, cercando di adattarlo alle particolari
esigenze dettate dal contesto in cui esso sarebbe stato somministrato, e cioè il
settore agricolo-zootecnico della provincia di Enna.
Il questionario è stato poi sottoposto ad un campione rappresentativo di
imprenditori agricolo-zootecnici in tutti i comuni della provincia: questa fase del
lavoro è stata caratterizzata dalle particolari difficoltà riscontrate nel raggiungere
gli intervistati, e dai problemi di comunicazione legati alla loro diffidenza e paura
5
nei confronti di una persona estranea che, sebbene referenziata dall’intervento di
un intermediario, costituiva nell’immaginario della maggior parte delle persone
una forma di controllo sulla loro attività.
Costruito il database, si è proceduto ad una prima analisi descrittiva dei
dati, al fine di individuare le tendenze corrispondenti ad alcuni particolari
elementi relativi alle quattro dimensioni d’indagine e alle caratteristiche degli
imprenditori e delle aziende-famiglie, ottenute attraverso la rilevazione anagrafica
in fase di intervista.
In un secondo tempo, le risposte contenute nel database sono state
ricodificate con lo scopo di poter applicare l’item analysis, ovvero per verificare
l’affidabilità dello strumento da noi utilizzato per la raccolta delle informazioni.
Da quanto è emerso, siamo in grado di affermare che il questionario utilizzato
può considerarsi uno strumento di rilevazione adeguato per una ricerca
esplorativa, sebbene consapevoli della necessità di ulteriori aggiustamenti.
Infine, i dati raccolti sono stati sottoposti ad una analisi multivariata
attraverso la tecnica dell’estrazione delle componenti principali, con lo scopo di
individuare le dimensioni sottese al fenomeno del capitale sociale.
In appendice è possibile trovare il modello di questionario utilizzato, la
legenda delle variabili utilizzate in fase di analisi descrittiva, di item analysis e
analisi delle componenti principali, nonché il dettaglio degli output delle analisi
stesse.
6
2. LE TEORIE DEL CAPITALE SOCIALE
Quello di capitale sociale è un concetto rischioso: non esiste una
definizione condivisa in letteratura, la sua rilevazione è problematica, dal
momento che non esiste accordo neanche sugli strumenti di misurazione, che
variano a seconda della disciplina, e l’accertamento della sua presenza dipende
molto dal contesto (micro, meso, macro) che viene investigato. Non solo: dati
questi presupposti, una volta verificata la sua presenza, diventa problematico
affermare se sia proprio il capitale sociale, e non qualche altra variabile, che
determina effetti positivi (o negativi) su un gruppo o una comunità.
Per questo motivo, è opportuno presentare brevemente gli orientamenti che
contraddistinguono le principali “scuole di pensiero” senza, con ciò, pretendere di
esaurire la letteratura sulla teoria del capitale sociale.
2.1 La ‘scuola’ sociologica
Nel 1916 Lydia Hanifan fu la prima a parlare di capitale sociale
nell’accezione contemporanea:
“Nell'uso dell’espressione ‘capitale sociale’ non mi riferisco all'accezione
comune del termine capitale, se non in senso figurato. Non mi riferisco ai
beni immobili, o alla proprietà privata o al mero denaro, ma piuttosto a ciò
che fa si che queste entità tangibili contino nelle vita quotidiana per la
maggior parte delle persone, cioè la buona volontà, l’amicizia, la
comprensione reciproca e i rapporti sociali fra un gruppo di individui e le
famiglie che costituiscono un unità sociale, la comunità rurale, il cui centro
logico è la scuola. Nella progettazione comunitaria come nelle
organizzazioni e nello sviluppo economico deve esistere un'accumulazione
di capitale prima che un lavoro costruttivo possa essere fatto”
1
.
Secondo l’autrice, che usava il concetto in relazione al ruolo della
partecipazione comunitaria a beneficio delle performance scolastiche dei giovani,
è possibile produrre capitale sociale attraverso lo scambio tra vicini, accumulando
un potenziale sociale che avvantaggia le condizioni di vita di tutti i membri di una
comunità (Woolcock e Narayan, 2000: 228-29).
1
Traduzione nostra da J. Farr (2004: 11). Cfr. L. J. Hanifan, (1916), The rural school community
center, in Annals of the American Academy of Political and Social Sciences, 67, 130-138
7
Quarantacinque anni dopo, Jane Jacobs
2
riprende il concetto attribuendogli
un valore nelle relazioni di vicinato che si instaurano nelle grandi città americane:
il capitale sociale si riferisce alle reti di relazione sociale trasversali che si basano
sulla fiducia, la cooperazione e il senso di sicurezza, e che nascono dagli incontri
casuali che persone di estrazione eterogenea fanno nelle strade del loro quartiere
(Cattel, 2004: 955).
Per Pierre Bourdieu, il capitale sociale costituisce una risorsa sociale
individuale tanto quanto il capitale economico e il capitale culturale, e tutte e tre
le dimensioni del capitale sono relazionate al concetto di classe: il capitale sociale
è una risorsa, in termini di relazioni sociali, che l’individuo sfrutta nella sua lotta
per conquistare una posizione nella società. Il volume di capitale sociale di cui
ogni attore dispone è rapportato all’appartenenza a un gruppo e alla dimensione
della rete (o delle reti) di relazione che egli può mobilitare per mezzo
dell’appartenenza:
"[le capital social est] l'ensemble des ressources actuelles ou potentielles qui
sont liées à la possession d'un réseau durable de relations plus ou moins
institutionnalisées d'interconnaissance et d'interreconnaissance; ou, en
d'autres termes, à l'appartenance à un groupe, comme ensemble d'agents qui
ne sont pas seulement dotés de propriétés communes ... mais sont aussi unis
par des liaisons permanentes et utiles» (Bourdieu, 1980: 2).
Per Bourdieu il capitale sociale non è altro che uno strumento della classe
dominante per replicare la solidarietà di gruppo e mantenere una posizione
predominante (Lin, 1999: 34).
Per James Coleman
3
il capitale sociale è un sottoprodotto della struttura
della relazione che sussiste tra (almeno) due persone, e facilita le azioni degli
attori che si muovono al suo interno. Le norme che regolano la struttura sono
tanto più valevoli quanto più essa è chiusa, perché la chiusura permette un
maggiore controllo sociale attraverso norme condivise e l’applicazione di
2
“Networks are a city's irreplaceable social capital. Whenever the capital is lost, from whatever
cause, the income from it disappears, never to return until and unless new capital is slowly and
chancily accumulated”. Cfr. J. Jacobs (1961), The life and death of great American cities,
Random House, New York, 138.
3
“The value of the concept of social capital lies first in the fact that it identifies certain aspects of
social structure by their functions, just as the concept "chair" identifies certain physical objects by
their function, despite differences in form, appearance, and construction. The function identified
by the concept of "social capital" is the value of these aspects of social structure to actors as
resources that they can use to achieve their interests” (Coleman, 1999 [1988]: 19).
8
sanzioni forti che favoriscono la reciproca obbligazione dei membri. Inoltre, la
chiusura permette che le informazioni veicolate all’interno della struttura
raggiungano ogni suo componente, mentre il controllo esercitato attraverso la
certezza della sanzione consente la nascita di aspettative basate sulla fiducia
reciproca, perché diventa meno costoso investire nella fiducia interpersonale.
Alejandro Portes distingue il capitale sociale in base alle sue fonti, alle
risorse che mette a disposizione e a chi lo possiede: il possessore di capitale
sociale è riconoscibile per la sua appartenenza alla struttura di una relazione, che
lo colloca in una posizione più vantaggiosa rispetto a chi vive all’esterno di essa
(Portes, 1998: 7). Le fonti da cui genera il capitale sociale esistono all’interno
della struttura, e sono attivate dai valori e dalle norme interiorizzate dai membri
del gruppo, dalla solidarietà organica limitata al gruppo, dagli scambi di
reciprocità tra i membri e dalla fiducia indotta proprio dalla forma della struttura.
La chiusura del gruppo facilita il consumo di determinate risorse da parte di tutti i
suoi membri (ad esempio, un maggiore controllo sociale, il sostegno familiare,
l’accesso a benefici extra familiari apportati dai legami forti
4
che si creano
all’interno del gruppo), ma produce anche degli svantaggi in termini di esclusione
degli outsider e eccessive pretese del gruppo nei confronti dei suoi membri.
2.2 La scuola ‘economica’
La letteratura economica si è spesso concentrata su alcuni aspetti legati al
capitale sociale (il capitale umano, il ruolo delle istituzioni, gli effetti sullo
sviluppo economico) e alla sua misurazione, piuttosto che sulle determinanti del
fenomeno.
Nel 1977 Glenn Loury
5
utilizza il concetto di capitale sociale per criticare la
spiegazione che del capitale umano dà la teoria economica neoclassica, e per
motivare la mancanza di opportunità occupazionale dei giovani neri americani in
termini di scarsità di collegamenti della famiglia di origine con il mercato del
4
In contrapposizione alla forza dei legami deboli di Granovetter. Cfr. Portes (1998: 13).
5
Cfr. G:Loury (1977), A Dynamic Theory of Racial Income Differences, in P.A. Wallace and A.
LeMund (eds.) Women, Minorities, and Employment Discrimination, Lexington, MA: Lexington
Books.
9
lavoro, piuttosto che per la discriminazione razziale attuata dai datori di lavoro. Il
capitale sociale esiste in relazione all’appartenenza ad una determinata classe di
origine che, a seconda della posizione nella società, può costituire un vantaggio o
uno svantaggio nello sviluppo del capitale umano di un giovane (DeFilippis,
2001: 783). Quindi, per Loury, pur essendo la famiglia il primo produttore di
capitale sociale, questo costituisce una risorsa cui l’individuo può decidere di
accedere in funzione dell’accumulazione di capitale umano.
Ancora negli anni Settanta, Gary Becker
6
apporta alcune considerazioni
innovative nell’ambito dell’economia neoclassica: mentre tradizionalmente
l’ambiente sociale è stato considerato immutabile, Becker mostra come la
razionalità individuale degli attori sia in grado di influenzare l’ambiente e le
relazioni sociali in cui essi sono radicati per ottimizzare le proprie scelte
(Sabatini, 2004; 2005). Per Becker il capitale sociale è il capitale umano acquisito
attraverso le interazioni sociali: le dotazioni e le capabilities individuali valgono
poco se non possono essere condivise e avvalorate nell’interazioni con gli altri
agenti (Woolcock, 2001: 12).
Negli ultimi decenni l’approccio istituzionalista ha affermato che la
capacità dei gruppi di agire nell’interesse collettivo dipende dalla qualità delle
istituzioni formali. Secondo questo approccio, la società civile e le reti che si
creano al suo interno sono un prodotto del quadro politico-istituzionale che li
circonda (Woolcock e Narayan, 2000: 234). Douglass North
7
integra nella teoria
neoclassica il ruolo delle istituzioni come vincolo all’azione individuale: egli
distingue tra le istituzioni informali, retaggio della cultura di una collettività, dalle
istituzioni formali, che costituiscono le regole del gioco che delimitano lo spazio
di manovra degli individui (Sabatini, 2004: 51). Le istituzioni formali influiscono
sulle organizzazioni (politiche, economiche, sociali, educative), che, a loro volta,
partecipano attivamente nel cambiamento istituzionale. L’assetto organizzativo-
istituzionale identifica, per North, la dimensione collettiva del capitale sociale.
6
Cfr. G. S. Becker (1964), Human Capital, Chicago: University of Chicago Press.
7
D. North (1990), Institutions, Institutional Change And Economic Performance, Cambridge,
Cambridge University Press (trad. it. Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione
dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1994).
10
Per Ronald Burt (2000) il capitale sociale non è altro che la struttura
reticolare in cui sono coinvolti gli individui:
“social capital is the contextual complement to human capital. The social
capital metaphor is that the people who do better are somehow better
connected. Certain people or certain group are connected to certain others,
trusting certain others, obligated to support certain others, dependent on
exchange to certain others. Holding a certain position in the structure of
these exchanges can be an asset in its own right. That asset is social capital,
in essence, a concept of location effects in differentiated markets”.
Dunque, il capitale sociale consiste nell’appartenenza ad una determinate
struttura che crea un vantaggio competitivo per un individuo o un gruppo, in cui
gli attori che sono meglio posizionati, ovvero che mostrano un elevato numero di
connessioni, godono di ritorni maggiori.
Più recentemente Glaeser, Laibson e Sacerdote (2002) hanno tentato di
spostare il focus dagli effetti del capitale sociale ai meccanismi che lo creano. Il
loro modello si basa sulla distinzione tra capitale sociale individuale e capitale
sociale aggregato, affrontando l’analisi delle decisioni che spingono il singolo ad
investire in capitale sociale. Dal loro punto di vista, il capitale sociale individuale
è una componente del capitale umano che viene azionata allo scopo di ottenere un
ritorno dall’interazione con gli altri: in sostanza l’accumulazione di capitale
sociale individuale è possibile quando le esternalità positive sono tali da
giustificare un investimento da parte dell’attore.
2.3 La scuola ‘politologica’
Sono due gli esponenti, in un certo modo contrapposti, delle teorie del
capitale sociale derivanti dalle scienze della politica.
La definizione di capitale sociale che Robert Putnam fornisce in La
tradizione civica nelle regioni italiane è:
“la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo
civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale
promuovendo iniziative prese di comune accordo” (1993: 196).
Putnam attribuisce alla path dependency (Trigilia, 2001: 434) il
consolidamento della tradizione civica nelle regioni italiane del nord:
sostanzialmente, attraverso la civicness, che per lui è sinonimo di capitale sociale,
11
il politologo americano riesce a spiegare la maggiore partecipazione sociale e
politica dei settentrionali e il miglior rendimento economico e istituzionale di
quelle regioni. Il ruolo che la fiducia occupa in questo modello assolve il compito
di facilitare la cooperazione tra i membri di una stessa comunità in direzione del
perseguimento di obiettivi che costituiscano un beneficio per tutti.
Se il merito di Putnam è stato dare rilievo internazionale al concetto del
capitale sociale in relazione allo sviluppo economico e sociale di una determinata
collettività, due sono le critiche che gli si possono sollevare: la prima riguarda
una sorta di deriva storico-culturalista, che a Putnam serve per spiegare, dati alla
mano, le differenze territoriali che caratterizzano l’Italia, e che egli motiva con il
successo, nel nord, di determinati fattori culturali consolidatisi nel corso dei
secoli. Questo atteggiamento si affianca plausibilmente con le accuse di
familismo amorale che Banfield avanzò a suo tempo per giustificare l’arretratezza
del sud, il che determina il quadro di un paese spaccato in due e contraddistinto
per un lato dalla civicness e per l’altro dall’interesse particulare delle famiglie
nucleari
8
. La seconda critica riguarda la miopia putnamiana nell’identificare la
fiducia, assieme alla civicness, con il capitale sociale: se così fosse, non
esisterebbe una spiegazione causale del capitale sociale. Dal nostro punto di vista,
invece, è della fiducia generata dall’interazione tra gli individui che si alimentano
le reti di relazione sociale che permettono ad una società di accumulare capitale
sociale.
Al contrario, il merito di Francis Fukuyama si rileva proprio in quest’ultimo
aspetto, cioè nel tentativo di distinguere la definizione del capitale sociale dagli
effetti che produce. In una prima formulazione, il capitale sociale viene
identificato in
“una risorsa che nasce dal prevalere della fiducia nella società o in una parte
di essa…Il capitale sociale differisce dalle altre forme di capitale umano in
quanto di solito si forma e viene tramandato attraverso meccanismi culturali,
come la religione, la tradizione o le abitudini inveterate” (Fukuyama, 1996:
40).
8
Questo quadro è ampiamente smentito e criticato dalla storia. Si veda, in particolare la critica di
Fortunata Piselli a Putnam in Capitale sociale: un concetto situazionale e dinamico (67-72), in
Bagnasco, Piselli, Pizzorno e Trigilia (2001).
12
Più recentemente, invece, l’autore si è soffermato sull’assimilazione del
capitale sociale ad una norma informale certa (instantiated informal norm
9
) che
promuove la cooperazione tra gli individui. Ma la norma, non basta da sola per
dare forma ai comportamenti umani: è necessario che, al fianco della prescrizione
normativa, agiscano ‘virtù tradizionali’ come l’onestà, il mantenimento degli
impegni, il senso del dovere e gli scambi di reciprocità. È la presenza di questi
elementi che alimenta lo stock di capitale sociale e che favorisce il radicamento
delle democrazie liberali: dunque, non è la società civile che produce il capitale
sociale, ma è il capitale sociale che produce la società civile.
2.4 Alcune considerazioni
Le brevi definizioni esposte fin’ora costituiscono semplicemente il quadro
teorico generale in cui si muovono i numerosissimi contributi sul capitale sociale.
Sono stati presentati nel tentativo di fissare dei ‘paletti’ nell’ambito dell’indagine
che è stata condotta nel settore agricolo-zootecnico della provincia di Enna.
Volutamente, quindi, sono stati tralasciati i dibattiti relativi al capitale
sociale come bene pubblico o come bene privato, alla sua natura di capitale, alla
sua fungibilità negli studi sullo sviluppo sostenibile, alla sua validità come
concetto euristico, dando per assodato che il fenomeno fosse definibile e
rilevabile per mezzo dei metodi e delle tecniche proposti in letteratura.
9
Si veda Fukuyama, (2000), 3.
13
3. PER UNA DEFINIZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
In questo lavoro si è deciso di adottare la definizione di capitale sociale che
viene fornita dall’OECD, che lo definisce come “reti che insieme a norme
condivise, valori e intese facilitano la cooperazione all’interno dei gruppi e tra i
gruppi” (Healy e Côté, 2001: 41). È stata assunta questa accezione in quanto essa,
più delle altre, sembra sottolineare la natura sociale del concetto, e più di molte
altre si allontana dal rischio di produrre inutili tautologie e fraintendimenti che
non distinguono gli elementi costitutivi del capitale sociale dagli outcomes che
produce.
Tuttavia pochi concetti sono inflazionati come il capitale sociale, che trova
collocazione in tutte le discipline delle scienze sociali e in tutte le loro branche: il
solo uso di termini come fiducia, reciprocità, cooperazione, reti di relazioni,
associazionismo, senso civico rendono il capitale sociale talmente flessibile da
farne un “capo per tutte le stagioni”.
Le definizioni di capitale sociale, come abbiamo visto, variano a seconda
del tipo di approccio: può essere considerato da un punto di vista economico,
sociologico, politologico, culturalista, oppure da una prospettiva individuale,
relazionale o comunitarista, o, infine, può essere collocato nella sfera dei beni
pubblici o dei beni privati.
Il capitale sociale può essere utile in tutti questi contesti, ma cos’è che lo
rende fungibile rispetto a certe azioni (Coleman, 1999 [1988]: 16) e rende
possibile il suo consumo facilitando determinate interazioni e producendo risultati
utili alla collettività? Il capitale sociale non è una qualità intrinseca nelle relazioni
che intercorrono tra le persone, ma è una risorsa che l’individuo acquisisce in
determinati contesti in cui si trova immerso e che restituisce alla collettività negli
scambi che attua con i suoi simili.
Adottando una prospettiva di tipo individualista, e seguendo la definizione
di Loury (1977, supra), si può considerare il capitale sociale come una risorsa che
14
nasce dalle relazioni
10
che le persone instaurano sin dall’infanzia nella loro
famiglia e nella loro comunità, che permettono l’attuazione di comportamenti
utili allo sviluppo dell’individuo e che egli replicherà nei contesti in cui si troverà
immerso nelle fasi della sua evoluzione, salvo cambiamenti di prospettiva dettati
dall’adeguamento alle circostanze che dovrà fronteggiare nel suo percorso di vita.
Da un punto di vista individuale, dunque, il capitale sociale non sarebbe
altro che una componente del capitale umano che i singoli sviluppano e utilizzano
nel corso della loro esistenza per raggiungere gli obiettivi che di volta in volta si
prefiggono. In questo senso esso identifica una prospettiva economicista, che lo
considera come risorsa strumentale all’azione razionale delle persone (Donati,
2003: 44).
Ma come può il perseguimento di un interesse personale ripercuotersi
positivamente sulle comunità in cui vivono e sono radicati gli individui? Il
comportamento guidato più o meno consapevolmente da valori pro-sociali, pur
nella ricerca di un interesse personale, mette in connessione queste persone con i
membri della propria comunità (bonding social capital) o con comunità di livello
secondario (bridging social capital) con cui l’individuo interagisce per lo
svolgimento delle sue azioni quotidiane.
Nell’interazione con i membri delle comunità cui appartiene, l’individuo
restituisce alla società quei valori acquisiti nella sua formazione sotto forma di
cultura civica, scambi di reciprocità, comportamento cooperativo, fiducia, che
attraverso l’instaurazione di comportamenti reiterati nel tempo e la costruzione di
reti di relazioni generano, appunto, capitale sociale. La disseminazione del
capitale sociale per contagio in una comunità contribuisce alla produzione di
output positivi che influenzano gli outcomes economici e sociali di una
collettività.
10
Come direbbe Coleman (1999 [1988]: 16) esso sta nella relazione ma non costituisce la
relazione in se e per sé.