2
l’umanità, attraverso il recupero dei simboli può av-
venire il recupero della stessa.
Questo lavoro nasce innanzitutto da un
interesse personale, nato quasi per caso e poi matura-
to con gli studi universitari e con l’osservazione di
quello che accade nel mondo. L’intenzione è quella di
dimostrare che l’archeologia non è poi così estranea a
temi come la guerra e che anzi l’archeologo può esse-
re, con le sue conoscenze, una figura attiva sia duran-
te il conflitto, con la protezione del patrimonio cultu-
rale, sia dopo esso, con la ricostruzione.
La trattazione è suddivisa in due parti: nella prima ho
cercato di inquadrare la storia del bene culturale, o
meglio del concetto che si ha di esso, a partire
dall’epoca di Napoleone e delle sue campagne di guer-
ra. Si tratta infatti di un momento importante
nell’evoluzione del bene culturale: l’Illuminismo aveva
creato la nuova idea di museo, aveva donato al pub-
blico, a tutto il popolo, quello che era solo prerogati-
va di regnanti e collezionisti, ovvero il godimento
dell’opera d’arte; Napoleone, con le sue razzie ben
pianificate e controllate, aveva anche utilizzato i beni
culturali come strumenti: di scambio inserendoli nei
trattati di pace, di ritorsione privando una città dei
suoi simboli, di prestigio arricchendo la capitale fran-
cese di gioielli artistici di inestimabile valore e facen-
do partecipe la popolazione di tutto questo.
Non diversamente da Napoleone si era comportato
Hitler poco più di un secolo dopo: approfittando della
sua posizione aveva ottenuto molte opere sia dalle na-
zioni conquistate sia da quelle alleate (soprattutto
dall’Italia). Allo scoppio del conflitto molto andò per-
3
so del patrimonio culturale dell’Europa: i raid aerei
distruggevano le città incuranti della loro antichità,
tante opere scomparivano nel caos per poi essere ri-
trovate alla fine della guerra o non essere ritrovate af-
fatto.
La parte dedicata alla normativa di tutela
inizia con una importante convenzione che ha la sua
ragion d’essere proprio nella seconda guerra mondia-
le: la Convenzione dell’Aia del 1954 infatti è nata
dall’esigenza di definire leggi per la salvaguardia dei
beni culturali che possano essere valide a livello in-
ternazionale; a partire da questa, sono seguite altre
convenzioni (e protocolli di applicazione) che cercano
di regolamentare le esportazioni clandestine, di creare
liste di siti e beni da proteggere sotto l’egida
dell’UNESCO, ma soprattutto di difendere ogni pa-
trimonio nazionale, definendolo patrimonio
dell’umanità, senza alcuna distinzione tra vincitori e
vinti.
La seconda parte è dedicata all’analisi di
tre conflitti recenti in cui la distruzione di beni cultu-
rali è stata significativa. Per ogni caso è stato dato un
breve quadro storico, necessario per poter meglio
comprendere come e perché sono avvenuti certi scem-
pi.
Il primo conflitto è quello della ex Jugoslavia: negli
anni Novanta del secolo appena trascorso e nell’arco
di soli dieci anni si sono succedute due guerre
all’interno dell’Europa che hanno smembrato la fede-
razione jugoslava e che soprattutto sono state caratte-
rizzate da un odio etnico che ancora oggi stenta a e-
stinguersi. Questo sentimento si è espresso in ucci-
sioni di massa talmente efferate da sfociare nel geno-
4
cidio, al punto che è stato istituito un Tribunale pena-
le internazionale (Tpi) per giudicare gli autori di que-
sti gesti. Un altro genocidio si è affiancato a questo,
quello culturale (rivolto soprattutto contro gli edifici
di culto della fazione avversaria). Non si è trattato di
violenza irrazionale, legata al caos della guerra: in
molti casi è stata dimostrata l’intenzionalità delle a-
zioni, vale a dire la volontà di annullare anche
l’identità culturale del nemico nella maniera più radi-
cale possibile; per questo il Tpi ha compreso tale cri-
mine tra i capi di accusa. La distruzione dei beni cul-
turali in questa regione è stata già affrontata in altre
occasioni in modo approfondito vista la sua rilevanza
sia dal punto di vista storico che legislativo e anche
per il ruolo svolto dall’Italia nei vari momenti del
conflitto e in quelli successivi.
Il secondo esempio è quello dell’Afghanistan, un pae-
se dall’inestimabile ricchezza artistica e archeologica
che però è sempre stata penalizzata da una difficile si-
tuazione politica (negli ultimi anni prima causata dagli
integralisti, poi dalla guerra al terrorismo) e dalla po-
vertà dello Stato stesso: la battaglia iconoclasta degli
integralisti musulmani è degenerata, per di più sotto
gli occhi e anzi a dispetto della comunità internazio-
nale, fino alla distruzione dei colossali Buddha di Ba-
miyan. Quanto i Talebani hanno fatto alle due statue
ha fatto sì che l’attenzione internazionale si rivolges-
se alla situazione del patrimonio culturale afghano.
L’integralismo dei Talebani si era rivolto contro le
raffigurazioni “profane” preislamiche per motivi ideo-
logici ma anche politici: in tal modo intendevano in-
fatti dichiarare la loro sovranità sul territorio, dal
momento che questa era stata dichiarata illegittima
5
dalla comunità internazionale. La vicenda del museo
archeologico di Kabul è stata meno spettacolare ma
non per questo meno drammatica: i reperti conservati
sono stati sottoposti a furti e vandalismo, finendo o
vittime dell’iconoclastia o vendute sul mercato d’arte
illegale.
Infine, l’ultimo caso qui dibattuto è quello dell’Iraq,
mentre la guerra è ancora in corso e fa parte della
quotidiane notizie di cronaca: il saccheggio incontrol-
lato del Museo Nazionale di Baghdad è stato l’apice
degli attacchi ai beni archeologici del paese e
l’episodio ha avuto tale spettacolarità mediatica da
portare così alla luce una situazione già da lungo tem-
po problematica. L’Iraq un tempo era la «culla della
civiltà», quindi terra dalla storia plurimillenaria e im-
portante; la stessa storia della metodologia archeolo-
gica ha compiuto grandi progressi in queste zone. An-
che sotto la dittatura di Saddam Hussein l’archeologia
ha avuto la sua importanza, finendo talvolta manipo-
lata per fini propagandistici, ma in ogni caso venendo
incoraggiata e finanziata. Seri problemi erano già sorti
con l’embargo voluto dall’ONU dopo la prima guerra
del Golfo: in tempi di difficoltà per la popolazione i-
rachena il patrimonio archeologico era diventato un
introito economico sicuro. Lo scoppio dell’attuale
guerra ha assestato un duro colpo alla situazione: a
distanza di tre anni i siti archeologici sono in grave
pericolo, continuamente e sistematicamente depredati
da bande organizzate di saccheggiatori clandestini; il
tutto va ad alimentare il mercato nero dell’arte, che
ha compratori fidati tra i collezionisti occidentali.
In tutti e tre i casi sopra esposti, ho cer-
cato di mettere in evidenza anche il ruolo che ha
6
l’Italia nei vari progetti di ricostruzione: il nostro pa-
ese è infatti presente in molti modi, sia con le istitu-
zioni che con le associazioni non governative.
Negli ultimi anni, visto l’accresciuto inte-
resse per l’argomento, sono apparse molte pubblica-
zioni che ne trattano: per la stesura di questo lavoro è
stato per esempio indispensabile il volume La tutela
del patrimonio culturale in caso di conflitto,
2
che raccoglie
saggi sia sulla normativa sia sui casi più specifici. Es-
sendo stato pubblicato nel 2002, non vi è stata tratta-
ta la seconda guerra del Golfo: questo argomento è
invece al centro di Saccheggio in Mesopotamia,
3
che segue
la storia dell’Iraq fino alla metà del 2004.
Per comprendere il quadro storico e politico che fa da
sfondo alle vicende dei beni culturali è stato indi-
spensabile consultare altre fonti “estranee”
all’archeologia come quotidiani, riviste di attualità, li-
bri sulla situazione politica attuale e sui conflitti in
corso. Internet ha fornito un continuo e necessario
supporto aggiornato alla ricerca: tra l’altro, è interes-
sante notare come siano sorti molti siti che si occu-
pano specificatamente di beni culturali e della loro tu-
tela.
4
2
Fabio Maniscalco (a cura di), La tutela del patrimonio culturale in caso di conflitto, Massa Editore, Napoli, 2002
3
Frederick Mario Fales, Saccheggio in Mesopotamia, Forum Editrice, Udine, 2004
4
Un sito italiano degno di attenzione è <http://www.patrimoniosos.it>
7
I. STORIA E NORMATIVA DEI BENI CULTU-
RALI
Nella lunghissima e interminabile storia
delle guerre, le vicende si sono spesso intrecciate con
la sorte delle opere d’arte, nate con ben altri intenti
ma finite poi in certi casi a rivestire significati discu-
tibili ed estranei alla propria natura. Il saccheggio era
ritenuto un’azione più che legittima da parte del vin-
citore, un suo insindacabile diritto dalle molteplici va-
lenze, addirittura uno strumento strategico nell’offesa
al nemico.
Già in passato i generali conquistatori avevano ben
presente il forte valore simbolico di un’opera d’arte:
impossessarsi per esempio del tesoro di un tempio o
delle immagini di una divinità cittadina significava
impadronirsi della divinità stessa e togliere la sua pro-
tezione alla città.
5
Senza risalire a tempi troppo anti-
chi, si può citare l’esempio dei Romani, per i quali lo
ius praedae era pratica comune,
6
anche se già nell’età
classica il gesto era condannato come un atto di pre-
potenza e di barbarie: si può menzionare il caso della
presa di Siracusa del 212 a.C. a opera di Marco Clau-
dio Marcello che, da vincitore, fece il suo trionfo a
Roma portando con sé un’ingentissima quantità di o-
pere dell’arte greca al punto che la stessa società ro-
mana ne fu influenzata; Polibio riconosceva come le-
gittimo lo ius praedae, tuttavia non si trattenne
dall’esprimere la sua perplessità sostenendo che era
5
M.L. Gualandi, L’antichità classica, Carocci, Roma, 2001, pag. 490
6
ibidem
8
ingiusto pensare che “le sventure altrui possano fare
da ornamento alla propria patria”.
7
Lo stesso episodio fu riportato da Livio,
8
che parlò
de “l’entusiasmo per le opere delle arti greche”, ma in
un altro passo delle Storie
9
paragona il comportamento
di Marcello a quello di un altro vincitore, Quinto Fa-
bio Massimo il Temporeggiatore, il quale durante il
sacco di Taranto (durante la seconda guerra punica,
209 a.C.) preferì non portar via le statue lasciando “ai
Tarantini i loro dei irati”.
10
La storia è ricca di altri esempi, ma portarne
altri non è nell’interesse di questo lavoro. In tempi
più recenti, gli episodi storici che per la loro impor-
tanza hanno avuto un’influenza a lungo termine e in
maniera determinante sui beni culturali in generale
sono essenzialmente due, ovvero le spoliazioni napo-
leoniche e la seconda guerra mondiale: le prime furo-
no un punto di svolta nella storia del museo e del col-
lezionismo d’arte e hanno implicitamente stabilito il
significato moderno di bene culturale, la seconda è
stata estremamente dolorosa e da questa esperienza ha
preso piede l’attuale legislazione che regola i beni cul-
turali, con tutte le conseguenze relative.
7
Polibio, Storie, IX, 10.13
8
Livio, Storie, XXV, 40.1-3
9
ibidem, XXVII, 16.7-8
10
lo stesso paragone è fatto da Plutarco nella Vita di Marcello, 21.1-7
9
I.1 Due momenti storici fondamentali: l’epoca di
Napoleone e la seconda guerra mondiale
I.1.1 Napoleone e la nascita del museo
Nella storia dei beni culturali non si può non
parlare della vicenda napoleonica e dell’influenza che
ebbe per la cultura europea, sia in maniera positiva
che negativa. E’ noto come Napoleone Bonaparte,
prima come comandante delle armate d’Italia per la
Repubblica francese e poi come imperatore dei Fran-
cesi, abbia condotto una sistematica opera di spolia-
zione a danno soprattutto del nostro paese e a benefi-
cio del museo del Louvre. Si trattò di qualcosa che
andava ben oltre il saccheggio, lo ius praedae che spet-
tava di diritto al vincitore: non ci fu razzia superficia-
le o casuale, fu anzi un’operazione condotta con me-
todicità scientifica, programmata in ogni dettaglio an-
cora sul suolo di Francia.
La storia di questo saccheggio si lega in maniera in-
dissolubile alla storia del Louvre: nel 1793 venne a-
perta la Galleria del Louvre (una volta museo reale)
11
e vi furono ospitati i capolavori presenti sul suolo
della neonata Repubblica francese e che erano sfuggiti
alla furia distruttrice e iconoclasta che aveva seguito
la Rivoluzione; è l’epoca in cui inizia a nascere l’idea
illuminista di museo moderno, ovvero di una struttura
aperta a tutti e non più privilegio di classi sociali
chiuse in loro stesse; l’arte è patrimonio comune e
come tale deve essere fruibile da chiunque. È
11
Alessandra Mottola Molfino, Il libro dei musei, Torino, Umberto Allemandi & C., 2003, pag.22
10
un‘esperienza nuova e a senso unico, ovvero dalla
quale nessun governo successivo e che si dichiara mo-
derno potrà tirarsi indietro, come verrà poi avvertito
durante la Restaurazione dai vari governanti europei.
Le prime opere d’arte a venire raccolte furono quelle
provenienti dalle collezioni private nobiliari e dalle
istituzioni religiose ormai secolarizzate: o per meglio
dire, tutto ciò che si era salvato dall’incontrollabile e
incontrollato intento di cancellare radicalmente i sim-
boli dell’Ancient Régime, o quelli che erano ritenuti ta-
li. Le devastazioni erano state condotte con frenesia
scriteriata fino a che non era stato deciso
dall’Assemblea Nazionale, tra il 1793 e 1794, che le
opere d’arte nazionalizzate dovessero divenire bene
della comunità. Nel 1792 era stato già istituito il Mu-
sée des Monuments Français per radunarle in un primo
ricovero, ma solo con il Louvre iniziò a vedersi rea-
lizzata l’idea di un unico, grande museo nazionale.
12
Una dopo l’altra furono istituite commis-
sioni apposite per cercare opere d’arte che arricchis-
sero tale museo: nel 1793, concomitante all’apertura
del museo, si formò la Commission pour les monuments,
nel 1795 la Commission pour la protection des chef-d’ouvres
de l’art, che aveva il compito di cercare le opere in
tutto il territorio francese; in seguito si ampliò il
“raggio d’azione” e iniziarono ad arrivare a Parigi le
prime opere dai paesi “liberati” (come capolavori del-
la pittura fiamminga dai Paesi Bassi dopo la campagna
del 1794-1795), ma con l’avvicinarsi della spedizione
in Italia si procedette a dare una forma più sistemati-
12
Paul Wescher, I furti d’arte: Napoleone e il Louvre, Torino, Einaudi, 1988
11
ca e formale a quella che negli effetti era diventata
una spoliazione. Poco prima della partenza di Napole-
one per l’Italia a capo dell’Armée d’Italie si creò
un’altra commissione, la Commission pour les recherches
des objects des Science et de l’Art,
13
che segue le direttive
della Biblioteque Nationale e del Musée Central. Napole-
one poteva così partire, nel 1796, alla volta delle
“pianure più ricche del mondo” (come disse ai suoi
soldati alla vigilia della spedizione) con in mano det-
tagliati elenchi di quanto avrebbe dovuto riportare in
patria ad onore della stessa. Questi elenchi, per inci-
so, si rifacevano in gran parte ai diari dei Grand Tours
in voga presso i viaggiatori europei. La situazione po-
litica dell’Italia dell’epoca, frammentata e priva di un
unico potere centrale, contribuiva alla dispersione del
patrimonio artistico italiano.
L’acquisizione delle opere avveniva in-
serendole nei trattati di guerra come tributo da paga-
re al vincitore, il che dava così una legittimazione alla
loro requisizione, oppure venivano acquistate dai pri-
vati con normali transazioni commerciali. Il trattato
di Tolentino, stipulato con il pontefice Pio VI il 22
febbraio 1797, imponeva allo Stato Pontificio la con-
segna di molte opere celebri, come le statue colossali
del Nilo e del Tevere, il Laocoonte e l’Apollo del Bel-
vedere, diventando modello per le successive conqui-
ste. L’inserimento nei trattati di pace di queste condi-
zioni faceva delle requisizioni un atto perfettamente
legale, almeno nelle intenzioni. Un nutrito bottino
13
Daniela Camurri, L’arte perduta: la requisizione di opere d’arte a Bologna in età napoleonica (1796-1815), ed. Minerva,
2003
12
venne inoltre dalle collezioni ecclesiastiche dopo la
forzata soppressione degli ordini religiosi.
In questa fase Napoleone agiva per con-
to del Direttorio, non era cioè responsabile personal-
mente delle azioni, e anche successivamente, quando
divenne Imperatore dei Francesi (dopo il colpo di sta-
to del 1799) si occupò più dell’aspetto politico che di
quello propriamente culturale: la sua valutazione era
di convenienza politica (fig.1), sapeva quanto erano
importanti per il prestigio suo e dell’impero opere di
nota fama, e inoltre nei primi anni preferì non ina-
sprire il malcontento delle popolazioni “liberate” con
ulteriori requisizioni; poi fu compito del barone Do-
minique-Vivant Denon, disegnatore durante la Cam-
pagna d’Egitto e dal 1802 direttore del Louvre,
compilare le famigerate liste, i cosiddetti desiderata.
Fig. 1 Benjamin Zix, Matrimonio di Napoleone e Maria Luigia, 2 a-
prile 1810 (da <www.louvre.fr>): Bonaparte utilizzò spesso il Louvre
per le occasioni di rappresentanza che lo riguardavano, come in que-
sto caso, in cui fece sgomberare il Salon Carré dai dipinti per
l’allestimento della cerimonia nuziale