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gli Inibitore della PDE
5
(iPDE
5
) nella quale oggi si annoverano anche il
Tadalafil ed il Vardenafil, che ha rappresentato una pietra miliare nella
terapia di tale patologia.
Fin da subito le percentuali di risposta positiva dopo uso di questi
farmaci, e cioè il restaurarsi di un’erezione sufficiente a portare a
termine un rapporto sessuale soddisfacente, sono state molto alte nei
pazienti con DE psicogena e più basse nei pazienti che invece avevano DE
di tipo organica. Fra questi, sicuramente i pazienti diabetici ed i pazienti
con DE in seguito a prostatectomia
Sono state escogitate perciò tutta una serie di strategie per
recuperare questi pazienti alla risposta alla terapia orale fra cui
l’adeguata istruzione del paziente all’uso del farmaco, l’aumento del
dosaggio e la sua assunzione giornaliera invece che on demand oppure si
sono sperimentati brevi periodi di terapia intracavernosa con
Prostaglandine o un mix di essa con la Fentolamina e Papaverina seguita
dall’assunzione del farmaco oppure contemporanea assunzione di iniezioni
intracavernose ed iPDE
5
oppure ancora uso del vacum device insieme agli
iPDE
5
. Recentemente poi si è visto che brevi cicli di terapia sostitutiva
con Testosterone per via transdermica, nei soggetti con bassi livelli
ematici dell’ormone, recupera questi pazienti alla terapia orale. Tutto ciò
per evitare quella che poi è l’ultima spiaggia e cioè il posizionamento di
protesi peniena.
5
Sulla base perciò di questo background culturale e scientifico è
stato deciso di sottoporre i nostri pazienti diabetici ambulatoriali
risultati non responders alla terapia orale con iPDE
5
(tutti con Sildenafil
100 mg) ad uno un ciclo di 10 iniezioni intracavernose di prostaglandine E
1
(PGE
1
) Alprostadil a dosaggio variabile (minimo 10 Ξg, massimo 20 Ξg). Al
termine del ciclo il paziente veniva invitato nuovamente ad assumere il
Sildenafil 100 mg e veniva quindi indagata la percentuale di pazienti
nuovamente responsivi al farmaco.
30 pazienti diabetici tipo 2 (NIDDM) (età 58,8±8,42 anni) non
responsivi agli iPDE
5
sono stati sottoposti al ciclo suddetto e al termine
22 (73,3%) sono risultati di nuovo responsivi alla terapia orale. Tra i
responsivi ed i non responsivi abbiamo trovato differenze significative
circa l’età, il valore di Pressione Arteriosa, valore di Colesterolo HDL.
Inoltre i non responsivi avevano significativamente valore soglia di
Sensibilità Vibratoria (VPT) misurata al glande ed alla base del pene più
alta (p < 0,0037 e p < 0,0006 rispettivamente) e probabilità più alta di
avere malattia cardiaca (p < 0,015) rispetto ai responsivi. Infine c’era
differenza significativa tra i due gruppi circa il dosaggio di PGE
1
6
utilizzato per avere una risposta adeguata durante il ciclo (p < 0,0007).
Non si è avuto nessun episodio di priapismo mentre 28 pazienti (93,3%)
riportavano di aver sperimentato almeno una volta dolore all’iniezione e/o
formazione di un piccolo ematoma nel sito di iniezione. Nessuno ha
riferito la presenza di ipotensione.
Pur se in un campione limitato di pazienti il nostro studio ha
dimostrato che nei NIDDM non responsivi agli iPDE
5
sottoporli ad un ciclo
di terapia iniettiva intracavernosa con PGE
1
con dosaggio scalare
comporta il recupero di circa il 73% di loro alla terapia orale. I pazienti
nuovamente responsivi alla terapia orale dopo ciclo iniettivo
intracavernoso sono significativamente più giovani, hanno valori pressori
inferiori, elevati livelli di Colesterolo HDL e valori di VPT Peniena
misurata al Glande ed alla Base del Pene minori e minore prevalenza di
malattia cardiaca. Inoltre nella nostra casistica gli effetti collaterali
riferiti dai pazienti sono stati esclusivamente di tipo locale e non abbiamo
osservato episodi di Priapismo.
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INTRODUZIONE
Il Diabete Mellito è una malattia cronica del metabolismo dei glucidi,
dei lipidi e dei protidi. Si esplica attraverso la carenza di insulina, ormone
prodotto dalle cellule Ε delle insule di Langerhans contenute nel pancreas
e che ha lo scopo di permettere l’ingresso del glucosio all’interno delle
cellule epatiche, adipose e muscolari; esistono due tipi di Diabete Mellito.
Il tipo 1 che insorge preferibilmente nelle prime due decadi di vita e che
è dovuto alla completa distruzione e morte delle cellule Ε, a causa
dell’instaurarsi di processi autoimmuni dovuti ad una predisposizione
genetica che si intreccia con fattori ambientali, con conseguente carenza
assoluta di insulina e necessità di fornirla dall’esterno per permettere la
vita. Il tipo 2 che invece insorge di solito in età più avanzata, si ritrova
più facilmente nei soggetti obesi e con altri fattori di rischio
cardiovascolari, nel quale la carenza di insulina è relativa nel senso che
insulina circolante ce ne è abbastanza (almeno nella fase iniziale della
malattia), ma non riesce ad esplicare la sua azione in quanto è presente il
fenomeno dell’insulino-resistenza cioè di una ridotta azione della stessa
dopo legame con il suo recettore cellulare. In questo caso la terapia deve
essere rivolta al miglioramento di tale fenomeno, oppure nell’ aumentare
8
la secrezione del pancreas oppure ancora in casi estremi alla
somministrazione dall’esterno dell’ormone.
Secondo la nuova classificazione esistono poi il Diabete Mellito
secondario a tutta una serie di condizioni e farmaci e il Diabete
Gestazionale, cioè il Diabete Mellito che insorge durante la gravidanza.
Essendo una malattia cronica, che dura tutta la vita, il Diabete Mellito
comporta a lungo andare lo sviluppo di complicanze a livello dell’apparato
cardiovascolare, del sistema nervoso periferico, della retina, del rene, del
piede; queste complicanze comportano un’aumentata mortalità nei
pazienti diabetici, che varia da 1.46 per l'Italia a 2.35 per la Finlandia e
si attesta intorno a 2 per gli Stati Uniti, con una ridotta spettanza di vita
stimabile a 15 anni per il diabete tipo 1 e a 5-10 anni per il tipo 2 in
funzione dell'età di insorgenza. La mortalità cumulativa era circa 2.5
volte più elevata nei maschi diabetici e circa 4 volte nelle donne. Il 50-
75 % dei decessi nel diabete tipo 2 è dovuto ad infarto miocardico ed il
15 % ad ictus. Fra l’altro la prevalenza è in continuo aumento come si vede
da questi dati: nel 1995 l'area geografica con il più alto numero di
diabetici era l'Europa, seguita dalle Americhe e dal Sud Est Asiatico. Nel
2025 però, sarà il Sud-Est Asiatico ad avere il maggior numero di
diabetici, per la maggior parte indiani, con incrementi significativi ma di
minore entità per l'Europa, che diventerà la IV area geografica per
numero di pazienti. A livello mondiale, nel 1995, i diabetici erano 135
9
milioni e si prevede che nel 2025 saliranno a 300 milioni. L'incremento
previsto è globalmente del 120 %, 40 % per le nazioni industrializzate e
170 % in quelle in via di sviluppo. Le cause principali sono l'incremento
dell'urbanizzazione, il cambiamento dello stile di vita e l'invecchiamento
della popolazione. In Italia, i pazienti diabetici noti sono attualmente
circa 1.700.000 e saliranno nei prossimi 30 anni a 2.500.000. Se
utilizziamo i nuovi criteri di classificazione proposti nel 1997 dall'ADA, i
diabetici attuali potrebbero essere circa 2.200.000 che diventerebbero
3.300.000 nel 2025. Come dicevamo prima il Diabete Mellito comporta lo
sviluppo di complicanze; diamo alcuni dati anche per queste: la Retinopatia
Diabetica è la più frequente complicanza cronica del diabete ed il rischio
aumenta in funzione della durata della malattia. Dopo circa 15 anni, la
forma non proliferativa è presente nella totalità del pazienti con diabete
tipo 1 ed in una notevole percentuale (80%) dei soggetti con diabete di
tipo 2
10
. Una volta che i pazienti hanno sviluppato la forma senza
proliferazione vascolare diventano vulnerabili alla forma proliferativa
che, dopo circa 40 anni di malattia, è presente nel 60% dei diabetici di
tipo 1. Nel tipo 2, dopo 15 anni circa di malattia, osserviamo una
incidenza cumulativa di retinopatia proliferante intorno al 10-15%; con
prevalenza analoga possiamo osservare la maculopatia. Entrambe queste
forme di retinopatia sono causa di disabilità visiva che può arrivare alla
cecità. Infine, nel tipo 2, tutte le complicanze sono presenti con
10
prevalenze non trascurabili già al momento della diagnosi del diabete.
L'incidenza cumulativa della Nefropatia Diabetica conclamata, che
raggiunge il suo massimo nel diabete tipo 1 dopo 30 anni di malattia, non
differisce sostanzialmente fra i due tipi di diabete. La microalbuminuria
può precedere di molti anni l'insorgenza della nefropatia conclamata e il
diabete è la più comune causa di insufficienza renale terminale che
rende conto di circa 1/3 dei nuovi casi di dialisi. L'insufficienza renale
terminale è la principale causa di morte prima dei 50 anni nei pazienti
con diabete di tipo 1. In questi pazienti il rischio di ESRD è 23 volte
maggiore rispetto ai non diabetici. Il rischio è anche notevolmente
aumentato, 17 volte, nel diabete tipo 2. L'incidenza di nuovi casi di
insufficienza renale terminale nei diabetici sta crescendo in tutti i paesi
e nonostante l'alto tasso di mortalità dei diabetici in dialisi, il numero
complessivo dei pazienti in trattamento dialitico è salito di circa 12 volte
negli ultimi 20 anni. In Italia i diabetici in trattamento dialitico sono
circa 3.000 (10 % di tutti i pazienti in dialisi). La neuropatia diabetica è
presente dopo 20-30 anni di malattia nel 60-70% dei casi sia nel diabete
tipo 1 che nel tipo 2. La forma più comune di neuropatia, quella periferica,
è la principale causa di ulcere ai piedi e quindi una concausa molto
rilevante per il rischio di amputazioni. La forma autonomica comporta
alterazioni della funzione a livello di molti organi, cuore compreso. E'
causa di Disfunzione Erettiva nel 30% dei pazienti diabetici fra 20-70
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anni ed è, quando presente in modo massivo, un indice prognostico
sfavorevole per la sopravvivenza del malato. La vasculopatia periferica e
la neuropatia, spesso associate, sono le principali cause di amputazione.
Infatti, in tutte le nazioni occidentali, compresa l'Italia, il 50 % di tutte
le amputazioni non traumatiche degli arti inferiori sono eseguite nei
pazienti diabetici. L'incidenza delle ulcere è stimata del 2-3 % e quella
delle amputazioni dello 0.6 % per anno. Questo significa che in Italia
oltre 1.000 amputazioni maggiori sono eseguite ogni anno in pazienti
diabetici. Circa la metà di questi pazienti andrà incontro a successiva
amputazione entro cinque anni, con una mortalità elevata.
Da tutti questi dati si capisce come la Disfunzione Erettile possa
essere così frequente nel paziente diabetico; questa complicanza non è
certamente mortale ma condiziona molto la qualità della vita come avremo
modo di vedere più avanti.
1. ANATOMIA DEL PENE
Il pene è l’organo maschile deputato alla minzione e all’accoppiamento
sessuale. Si compone di tre parti: la base, il corpo e il glande. La base è
attaccata all’osso pelvico e contiene le due crura che diventeranno poi i
Corpi Cavernosi, e il bulbo che contiene l’uretra. Il corpo contiene tre
strutture cilindriche che sono i due Corpi Cavernosi e il corpo spongioso
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che si espanderà a formare il glande all’interno del quale terminano i
Corpi Cavernosi. Sul dorso del pene sono presenti le strutture
neurovascolari.
Da un punto di vista strutturale i Corpi Cavernosi sono rivestiti da una
membrana esterna che si chiama Tonaca Albuginea, che è dura, fibrosa
ed inestensibile; il corpo cavernoso internamente è composto da tessuto
vascolare spongioso in cui spazi sinusoidali interconnessi sono circondati
da trabecole di cellule muscolari lisce che giacciono in uno stroma che
contiene anche i vasi sanguigni e i nervi. Questi spazi trabecolari sono
delimitati da endotelio e sono nutriti dai vasi elicini delle arterie
profonde del pene (figura 1).
Figura 1: Anatomia del pene.
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La vascolarizzazione arteriosa deriva dal sistema iliaco interno con
l’arteria pudenda interna che diventa arteria peniena e che darà luogo,
dopo aver attraversato il diaframma urogenitale all’arteria dorsale del
pene, all’arteria cavernosa e all’arteria bulbare. Quest’ultima, come dice il
nome, irrora il bulbo e il glande, le arterie cavernose irrorano i Corpi
Cavernosi e hanno come rami terminali le arterie elicine (irrorano
direttamente gli spazi trabecolari e sono le responsabili dell’aumento di
flusso che si ha nell’erezione) e le arterie trabecolari (responsabili del
mantenimento del flusso nutritivo in condizioni di riposo). Le arterie
dorsali decorrono fino al glande dove poi si anastomizzano con i rami
terminali delle arterie bulbari (figura 2).
Figura 2: Vascolarizzazione arteriosa del pene.