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Nella seconda parte si costruisce il modello sulle macerie prodotte
prima. Organizzato uno schema in quattro livelli di indagine –
figurativo, scenico, fisico-meccanico, diegetico -, evidenziate le
figure ricorrenti, riunite poi per comporre le figure del nostro mito,
finalmente si arriva allo scopo: tentare di costituire un modello
strutturale proprio del cinema di fantascienza. Per il momento esso
funziona soltanto per i sei film selezionati. La vera riuscita di questo
lavoro sarà data dalla possibilità di poter applicare questo modello
strutturale, così come è stato ottenuto, su altre pellicole appartenenti
al genere di fantascienza.
Il titolo Non ho mai visto nulla di simile!, da solo concentra due
intenzioni fondamentali del cinema di fantascienza, intenzioni che
poi si rivelano fondamentali anche per tutta quanta la macchina
cinematografica.
Innanzi tutto la fantascienza, prima in letteratura e poi nel
cinema, ha sempre costruito la sua forza sulla composizione di
immagini meravigliose, fantastiche. I vari personaggi sono alla
continua ricerca di immagini inedite, paesaggi in continua
trasformazione. E questo è il desiderio anche del lettore o dello
spettatore di turno. Spente le luci in sala, lo spettatore attende
ingordo il suo pasto di immagini meravigliose. D’altronde la stessa
proiezione cinematografica può considerarsi una magia.
L’esperienza di trovarsi in una sala buia di un cinema sembra
simulare l’attività onirica e la sottile membrana che divide il sogno
dal reale si è dileguata nel nulla. E quale genere cinematografico più
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di quello di fantascienza potrebbe soddisfare al meglio questa
esigenza?
Un’altra intenzione, conseguente alla precedente, riguarda il
semplice piacere di vedere. Un piacere che appare materializzato nei
nostri sei film.
Come dimenticare l’occhio della borghesia di Yoshiwara che
avidamente spoglia la falsa Maria, oppure quello di Hal, attento
indagatore delle mosse dei suoi compagni di viaggio? Si può essere
anche puniti per aver osato di vedere troppo, come la luna di Méliès
colpita in un occhio da un razzo, o il Mostro della laguna nera
contro i cui occhi viene lanciata una lampada a petrolio, soltanto per
aver visto le movenze erotiche di Kay mentre nuota! O Claire e Sam
che rischiano entrambi la cecità per aver registrato troppe immagini.
L’esagerazione viene sempre punita.
Tornando a 2001, lo spettatore ritrova quasi una sicurezza dagli
sguardi delle navicelle, del feto e degli astri. Loro, forse gli
extraterrestri, lo sanno e per far impazzire noi poveri ingenui, non
hanno dotato il monolito di occhi propri. Ma, non per questo,
rinunciano al grande potere ipnotico. Attenti! Le radiazioni
vigileranno sempre su di voi!
E poi c’è il silenzio. La pura visione non ha bisogno di parole. Al
termine del meraviglioso percorso del vedere troviamo quindi sempre il
silenzio, nella sua accezione quasi mistica. Quello del fondale nella
laguna nera, quello sulla Terra nel dopo-Bomba, quello nel pianeta
popolato dalle scimmie, quello nell’immensità del cosmo, quello
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nelle visioni registrate dalla mente umana. Fino a quello totale di
Voyage e Metropolis, entrambi film muti. Il silenzio, in conclusione,
come sintesi tra l’atto onirico (nei sogni, i dialoghi sono relegati ai
margini) e del piacere di vedere.
Parte prima
Il mito nel cinema di fantascienza
“Non che temessi di
vedere qualcosa di
orribile. Ero atterrito
all’idea di non vedere
nulla.”
Edgar Allan Poe,
Racconti del terrore
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I. Presentazione dei film
Al termine di un film di fantascienza, noi spettatori cerchiamo di
provare se quelle strane storie possano sul serio preannunziare il
nostro futuro. Non dimentichiamo la continua influenza tra la
fantascienza, o l’anticipazione scientifica come è stata spesso
definita, e la scienza applicata. Ossia tra l’invenzione filmica e i
progressi tecnici. Soltanto da una relazione così fatta è possibile
ricavare quelle fantastiche illustrazioni di mondi lontani che, se
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indagati più da vicino, rivelano tutte le analogie con il nostro
quotidiano. È sempre questo il risultato ultimo. Si continua a fare un
grande affidamento sulle scoperte scientifiche, ma alla fine tutto
viene semplificato in una “delirante” soluzione filmica.
L’incredibile, l’inaudito, consumano con immensa rapidità tutti gli
spazi a cui possono accedere.
Dalla rivoluzione industriale la scienza è stata elevata a strumento
indispensabile per dischiudere i misteri. A materializzare quei sogni
che fino a quel momento trovavano un sicuro appagamento solo
nelle seducenti pratiche della magia. E l’atteggiamento nei confronti
di essa subisce delle mutazioni con lo scorrere degli anni. Da una
scienza “meravigliosa”, vero oggetto di culto come quella che
ritroviamo nelle narrazioni di Jules Verne, con le sue certezze sui
vantaggi offerte dalle nuove scoperte, si arriva a affidarle il compito
di appianare i conflitti sociali. Al termine di questo viaggio si è
ottenuta una fantascienza dove l’uomo, perso il controllo delle
scoperte scientifiche, vaga nell’universo alla disperata ricerca di
nuovi punti di riferimento.
1. Viaggio sulla luna (Le Voyage dans la lune) France 1902; durata
14’; produzione Georges Méliès per la Star Film; soggetto,
sceneggiatura, fotografia, effetti speciali, scenografia Georges Méliès;
interpreti: Georges Méliès (Barbenfouillis), Victor Andrè, Henri
Delannoy, Farjaux, Kelm, Brunnet (gli astronauti), Bluette Bernon (la
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signora della Luna), danzatori del Théatre Municipal du Châtelet
(stelle e artiglieri); acrobati delle Folies-Bergères (i seleniti)
Poco più che un ragazzo, Méliès si reca a Londra su volere del
padre, un modesto fabbricante di calzature, per far pratica
commerciale presso un amico di famiglia. Durante il soggiorno in
Inghilterra si appassiona di illusionismo dopo aver visto alcuni
spettacoli di Maskelyne e di Cooke, dei maghi in grado di attirare
grandi folle nei teatri in cui si esibiscono. La novità portata dai due
illusionisti inglesi consiste nel disporre le proprie attrazioni
“fantastiche” su di un tessuto narrativo. Una vera rivoluzione in
confronto agli altri spettacoli dello stesso genere allestiti nei vari
teatri della città. Colta la lezione, Méliès dimentica il motivo della
sua visita e nel 1888, appena rientrato a Parigi, rivela il teatro
Robert-Houdin per iniziare la nuova attività.
Qualche anno più tardi un altro evento turba la sua brillante
carriera di illusionista: l’invenzione del “cinématographe” dei
fratelli Lumière. Come folgorato dal nuovo mezzo, Méliès ne
intuisce subito le enormi potenzialità espressive e tenta in tutti i
modi di acquistare l’attrezzatura necessaria. E se i Lumière
custodiscono gelosamente in terra francese il loro brevetto, egli si
rivolge a un inglese, Robert William Paul, che per mille franchi gli
vende un esemplare del suo Animatograph e diversi metri di
pellicola. Una lieve modifica e il tenace Méliès può depositare un
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suo brevetto, il Kinétographe, evitando di pagare i diritti ad altri.
Inizia così la sua avventura nel cinema.
Nel 1986 trasforma il teatro Robert-Houdin in una sala di
proiezione, fonda una società di produzione cinematografica, la Star
Film, e costruisce a Montreuil-sous-Bois il primo teatro di posa,
dove poter realizzare film a trucchi che si dimostreranno la forza
della sua attività. Certo che le sue produzioni non dovevano
richiedere un enorme impiego di mezzi come quelle odierne, ma è
ugualmente ammirevole lo sforzo di un Méliès capace di rivestire
tutte quelle maestranze, come scenografo, trovarobe, attore,
montatore, regista, editore, che diverranno poi delle specifiche
figure del cinema di finzione. Le riprese di Le voyage dans la lune si
concludono nell’agosto del 1902 e nello stesso mese Méliès convoca
alcuni impresari di fiera alla galleria dell’Opèra, sede degli uffici
della Star Film, per poter vendere la pellicola. Ma gli elevati costi
per la produzione del film, diecimila franchi secondo le sue
memorie, fanno lievitare il prezzo e condizionano le decisioni degli
impresari. La somma richiesta di centocinquanta franchi è troppo
esosa per una sola pellicola e Méliès non riesce a venderne neanche
una.
In quel tempo di pionieri i film si vendono, non esiste il noleggio.
Nelle città i luoghi di proiezione sono i music-hall, in cui i film
costituiscono la parte centrale dello spettacolo, oppure le piazzette
adiacenti ad un caffè, all’aperto, con la sola funzione di raccogliere
la pubblicità. In pochi anni l’interesse per il cinema subisce un calo
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tanto brusco che bisogna distribuire biglietti gratuiti e vari premi
per sperare di riempire una sala di proiezione. La borghesia delle
grandi città, dopo una naturale euforia per il cinematografo dei
fratelli Lumière, annoiata dei soliti soggetti filmati e delle numerose
copie dei primi film, si allontana da questo genere di spettacoli.
All’uscita di Le voyage dans la lune, le sole proiezioni che ancora
attirano le persone, sia in Europa come negli Stati Uniti, sono quelle
tenute nei baracconi da fiera. E Méliès, per far vedere il suo ultimo
lavoro, decide di prestarne gratuitamente una copia proprio ad un
baraccone di un luna park di Parigi. L’azzardata decisione ha un
seguito sensazionale. Una folla enorme vede il film e in pochi mesi il
nostro mago riesce a coprire i costi di produzione. Negli Stati Uniti il
successo si ripete – per Le voyage dans la lune si allestisce il primo
cinematografo permanete a Los Angeles, proprio la città che diverrà
quella produttrice di sogni che oggi conosciamo – e data
l’inesistenza di un controllo della proprietà artistica, alcuni
produttori, tra cui Edison e Lubin, stampano dei doppi negativi del
film, a loro costati nulla, vendendone decine di copie. Per difendere
i diritti, Méliès incarica il fratello Gaston di aprire una filiale della
Star Film a New York. Ma tale decisione non basterà ad arginare gli
innumerevoli tentativi di imitazione.
Fabula
Il professor Barbenfouillis, presidente dell’Associazione degli
Astronomi, invita un gruppo di scienziati a valutare un suo
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progetto: organizzare un viaggio sulla luna. L’inconsueta
proposta scatena dei violenti scontri tra i partecipanti, ma alla
fine ci si mette d’accordo e viene presa la decisione di partire.
Barbenfouillis e i suoi assistenti non perdono tempo e vanno a
visitare il cantiere dove già si costruisce il proiettile spaziale. Le
fonderie lavorano a pieno regime per portare a termine la
fusione del gigantesco cannone. Completate le opere, un
gruppo di ragazze in costume da marinaio salutano i sei
valorosi neo-astronauti al loro ingresso nel razzo metallico. Una
nutrita folla non vuole perdersi questo momento solenne e si
dispone attorno all’ufficiale di artiglieria. Fatto omaggio al
tricolore, lo stesso ufficiale ordina di aprire il fuoco.
Il proiettile espulso termina la sua corsa nell’occhio destro
della luna, facendo perdere all’astro quella sua aria tranquilla e
bonaria. Usciti dal razzo, il suolo lunare appare agli intrusi
terrestri come un deserto di crateri e di rocce. Grande
meraviglia alla visione del pianeta Terra che si eclissa
lentamente oltre l’orizzonte lunare. Stanchi del viaggio, i
membri del gruppo decidono di dormire e durante il loro
riposo appaiono in sogno una cometa, l’Orsa maggiore –
rappresentata da sei belle ragazze che reggono ognuna una
stella -, le personificazioni divine dei pianeti e Saturno con una
curiosa finestra dalla quale fa capolino il dio del pianeta che si
burla della presenza degli stranieri. Una tempesta di neve
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costringe gli scienziati ad un forzato risveglio e a cercare riparo
dentro un cratere.
Adesso sono nella grotta dei funghi giganti. Sorpresa nel
vedere trasformare un ombrello piantato nel suolo in un grande
fungo. Poco dopo alcuni seleniti, dei mostruosi esseri simili a
dei crostacei, irrompono nella grotta e Barbenfouillis riesce a far
dileguare due di loro con la sola punta del suo ombrello. Ma
ben presto quell’arma improvvisata si mostra insufficiente e gli
scienziati sono costretti alla resa. Fatti prigionieri, vengono
portati dinanzi al re dei seleniti che ne sentenzia la condanna a
morte. Barbenfouillis non accetta il verdetto, fa esplodere il re
scagliandolo al suolo e fugge con i suoi compagni di viaggio.
Eliminati alcuni mostri, riescono a farsi strada sino al proiettile
spaziale, per poi precipitare nel vuoto verso la Terra con un
selenita aggrappato alla navicella.
Il divertente equipaggio cade in mare aperto, tra i pesci e le
meduse, e trova una nave che li porta in salvo sulla terraferma.
Il film si chiude con la decorazione degli eroici scienziati
all’Ordine della Luna, con il povero selenita legato e costretto a
danzare dinanzi alla folla. Il sindaco della città inaugura una
statua commemorativa e dà inizio ai pubblici festeggiamenti.
L’enorme successo di Voyage impone ovunque la “messa in scena”
a danno della linea finora dominante, documentario-realistica, tipica
dei Lumière. Ed è con questi trucchi realizzati negli spazi chiusi di
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un teatro che Méliès salva il cinema, recuperando quell’entusiasmo
che aveva caratterizzato le prime proiezioni. La borghesia rispolvera
il suo vecchio interesse per lo spettacolo cinematografico e in pochi
mesi le sale iniziano ad affollarsi anche della popolazione più umile.
Paradossalmente il trionfo di questo film finirà per nuocere alla
carriera di Méliès. La concorrenza si attrezza per delle grosse
produzioni, i costi di realizzazione si fanno proibitivi per le piccole
case cinematografiche e lentamente si assiste alla scomparsa di quel
carattere artigianale, tipico del cinema delle origini. Pionieri, figure
come Méliès, in grado di seguire e realizzare una pellicola in ogni
suo stadio non sono più ammissibili. Il bisogno di ammortizzare il
capitale impiegato nelle produzioni di film, che spesso supera le
spese preventivate, rende inevitabile la trasformazione del cinema
da un’avventura quasi casalinga a un commercio in continua
espansione verso l’estero e per questo, rigidamente controllato in
ogni suo passaggio. Nel febbraio del 1909, a Parigi, il Congresso
Internazionale dei produttori cinematografici ufficializza
l’introduzione del noleggio. È la vittoria di due persone soltanto – il
primo vero produttore della storia del cinema, Charles Pathé e
Georges Eastman, il maggior fornitore di pellicola, - e la rovina di
tante altre tra cui gli esercenti dei cinematografi ambulanti, incapaci
di prendere parte alla spietata competizione tra i grossi distributori
delle sale permanenti. Le piccole società cinematografiche
affrontano enormi difficoltà finanziarie con i nuovi contratti di
noleggio e lo stesso Méliès, che da solo non può certo competere con
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la forza di case di produzione organizzate adesso come delle vere
industrie, accetta la distribuzione dei suoi film dalla Gaumont.
Qualche anno più tardi è costretto a cedere anche i diritti sulla
distribuzione del glorioso catalogo Star Film, gli studi di Montreuil,
la scelta dei soggetti dei suoi nuovi film, tutto alla società di Pathé.
Lentamente si spegne la “stella” di Méliès.
2. Metropolis (Metropolis) Germania 1926; durata 120’; produzione
Erich Pommer per UFA; regia Fritz Lang; soggetto dal racconto del
racconto Metropolis di Thea von Harbou; sceneggiatura Fritz Lang,
Thea von Harbou; fotografia Karl Freund, Gunther Rittau; musica
Gottfried Huppertz; effetti speciali fotografici Eugene Schüfftan;
sculture e robot Walter Schultze-Mittendorf; scenografia Otto Hunte,
Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht; costumi Aenne Willkomm; interpreti
Brigitte Helm (Maria e il suo doppio artificiale), Alfred Abel (Joh
Fredersen), Gustav Frölinch (Freder Fredersen), Rudolph Klein-
Rogge (Rotwang), Fritz Rasp (Got, lo smilzo), Theodor Loos
(Josaphat), Heinrich George (Grot, il guardiano della macchina
centrale), Erwin Biswanger (Georgy, l’operaio n. 11811), Olaf Storm
(Jan), Hanns Leo Reich (Marinus), Heinrich Gotho (il maestro di
cerimonie), Margarete Lanner (la donna nell’automobile), Max
Dietze, George John, Walter Kuhle, Erwin Vater, Arthur Reinhard
(operai), Grete Berger, Olly Böheim, Ellen Frey, Lisa Gray, Rose
Lichtenstein, Helene Weigel (operaie), Beatrice Garga, Anny Hintze,
Margarete Lanner, Helen von Münchhoffen, Hilde Woltscheff (le
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donne dei Giardini eterni), Fritz Alberti (l’uomo creatore nella scena
della Torre di Babele)
Esistono varie ipotesi circa la costituzione dell’idea originaria di
questo film, a volte anche contraddittorie tra loro. Una di queste
affida la realizzazione di Metropolis alle impressioni di Lang dopo
un viaggio compiuto via mare sino a New York nell’ottobre del
1924. Il regista tedesco per la prima volta approda nel continente
americano e rimane letteralmente folgorato dal fascino della grande
metropoli vista di notte dalla nave. Lo scintillare di miriadi di luci,
imponenza dei grattacieli, il movimento frenetico nelle strade di
automobili e persone e tutto quanto potesse attrarre la curiosità di
un cittadino europeo alla sua prima visita nella metropoli è
rintracciabile nel film, prima di tutto nelle fastose soluzioni
scenografiche.
Ma si può prestare fede ad un’altra ipotesi. Una rivista
cinematografica degli anni ’20 pubblicata a Berlino, attesta
l’esistenza di una sceneggiatura già indicata come Metropolis, a cui
lavorano lo stesso Lang e la moglie Thea von Harbou – l’autrice del
romanzo omonimo pubblicato nel 1912 -, sua collaboratrice da
tempo e sposata un paio di anni prima. Probabilmente l’esperienza
americana non fa altro che arricchire di nuovi stimoli un progetto
già nei desideri della coppia.
Nel 1925 inizia la lavorazione del film con i finanziamenti dell’Ufa
– Universum Film A. G. -, la casa cinematografica tedesca nata nel
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1917 dalla fusione di alcune società di produzione già presenti nel
mercato e appoggiate da un gruppo bancario. Naturalmente il
compito dell’Ufa è quello di seguire ed amplificare le direttive del
governo realizzando film di propaganda, da affiancare a una
produzione prettamente narrativa, che comunque trattasse temi di
cultura tedesca allo scopo di educare la nazione. Il progetto dei
coniugi Lang ha di sicuro entusiasmato i massimi esponenti della
casa cinematografica, altrimenti non si spiega il budget messo a
disposizione. Le cifre della produzione di Metropolis, diffuse
dall’Ufa stessa, sono impressionanti se rapportate alle realizzazioni
coeve e non soltanto del cinema tedesco. Un costo globale di 7
milioni di marchi, 17 i mesi impiegati per le riprese per 1.300.000
metri di pellicola impressionata, l’impiego di ben otto attori di
primo piano, 36.000 comparse, 50 automobili costruite secondo
progetti originali. Senza tenere conto delle strutture necessarie alla
realizzazione delle maestose scene raffiguranti i grattacieli della
metropoli avvolti in un intreccio di strade sospese. Fino alle non
meno imponenti macchine, case degli operai e catacombe della città
sotterranea.
Fabula
Metropolis è una grande città del 2026. La prima immagine
del film riguarda una bellissima proiezione di luci in
movimento sui grattacieli della città. Stacco su alcuni