Le difficoltà che il processo di integrazione europea sta attualmente
attraversando impongono una preventiva discussione del paradigma teorico che
ha guidato le scelte d’integrazione condotte finora e che sono in gran parte
contenute nell’accordo di Maastricht. Sottostante agli accordi di Maastricht può
essere identificato un approccio alla unificazione economica europea
caratterizzato dalla fiducia nella capacità di autoregolamentazione dei mercati.
Tale approccio è affetto da alcune contraddizioni :
- a) in linea di principio, se i mercati fossero perfetti (con agenti uguali e
razionali, imprese atomistiche, ecc.) non sarebbe possibile trarre alcun vantaggio,
in termini di benessere sociale e individuale, dalla loro unificazione, una volta
eliminate le residue barriere che limitano la libera circolazione di beni, servizi e
fattori produttivi.
- b) il modello sottostante a tale approccio indicherebbe che, essendo i mercati
perfetti, i benefici dell’integrazione sono costituiti da costi minori, da prezzi più
bassi e da maggiore occupazione. D’altra parte, gli squilibri reali e monetari che
si osservano di fatto sarebbero riconducibili unicamente ad una cattiva
conduzione nelle politiche economiche.
In secondo luogo, è un assunto di questo modello teorico di riferimento il
principio secondo cui il cammino verso una “sana” finanza debba essere
compiuto attraverso l’irrigidimento dello SME fino alla Unione Monetaria
Europea (UME). I paesi europei non presentano divergenze e squilibri reali
profondi e l’unico elemento creatore di disturbi e di instabilità è l’operare dei
Governi nazionali. La miglior politica, in questo caso, consiste nel limitare al
massimo la discrezionalità di azione delle autorità di politica economica
vincolando la loro azione a quella di una istituzione esterna che goda della piena
autonomia: mentre l’accordo di cambio vincola le autorità monetarie, le clausole
di non-entrata
1
presenti nel Trattato vincolano le autorità di politica fiscale. Solo
all’interno di una logica di questo tipo è possibile il rovesciamento del nesso
strumento-fine che sta alla base del Trattato di Maastricht: non è l’unione
monetaria che permetterà il superamento degli squilibri e delle diversità reali fra
i Paesi europei e la convergenza degli indicatori macroeconomici, bensì è la
convergenza di questi indicatori che renderà possibile l’unione monetaria.
A meno di un anno dall’avvio previsto dell’Euro, la realtà della unificazione
monetaria dell’Europa rimane del tutto incerta. Ciò che appare poco
comprensibile è come si possa arrivare a varare all’inizio del 1999 la moneta
unica europea e la Banca Centrale Europea (BCE), quando non si è ancora
stabilito quali paesi ne faranno parte e quali no. Se la data di avvio è il 1999, la
scadenza reale è costituita dalla primavera del 1998, quando verrà effettuato
l’esame di ammissione
2
. Questo lascia quindi un margine ristrettissimo di pochi
mesi per compiere le verifiche opportune ed avviare le prove tecniche
dell’unificazione monetaria.
1
Il Trattato prevede che il passaggio all’unione non sia automatico, ma sia reso condizionale alla soddisfazione di alcuni criteri di
convergenza, fra cui quelli basati sugli indicatori di politica fiscale.
2
All’Unione Europea si argomenta che il Trattato di Maastricht non prevede un esame puramente amministrativo-contabile del
rispetto dei parametri nel 1998. Una lettura corretta chiarisce che l’adesione all’UEM e alla moneta unica verranno decise in base ad
un esame “dinamico”, osservando cioè più la direzione di marcia che l’osservanza analitica di ogni singolo criterio. L’esame di
ammissione consisterà, quindi, in una procedura più “politica” che strettamente economica.
Si è sostenuto che il rinvio dell’Unione Monetaria Europea al 1999 non
dipende tanto dalla mancata convergenza, quanto dal ritardo nel preparare, da un
punto di vista tecnico, il cambio della moneta affinché possa essere gestito con
opportuna gradualità. Ma questo contraddice un aspetto, assunto come certo e
immodificabile nel dibattito sulla unificazione monetaria, e cioè l’impossibilità
del gradualismo, dovuta alla indivisibilità della politica monetaria. Politica
monetaria indivisibile significa che non può essere condivisa da diversi livelli di
governo (uno nazionale ed uno europeo) e quindi non può gradualmente passare
da un livello all’altro. Ma allora è il big bang che serve (come avvenuto tra le due
Germanie) e non quel processo graduale al quale ora si sta pensando
3
. Il rinvio al
1999 è probabilmente realistico ed è anche il “tempo politico” entro cui o
l’unione monetaria inizia, o si abbandona.
Le gravi turbative del meccanismo di cambio dello SME, dell’estate 1993,
hanno posto in evidenza le debolezze di fondo dei presupposti tecnico-economici
di un sistema di parità semi-rigide. Nel caso dell’unione europea queste
debolezze sono state determinate dalla insufficienza di quei presupposti
strutturali che costituiscono il concetto di “area monetaria ottimale” elaborato
dalla dottrina. Tali presupposti, in sintesi, sono di tre ordini :
- sostanziale omogeneità delle politiche economiche e monetarie dei Paesi
membri, nonché della struttura e del funzionamento dei mercati dei capitali;
3
Carlo Santini (direttore dell’area ricerca economica della Banca d’Italia) esclude l’opzione del big bang per il passaggio alla
moneta unica. “Probabilmente - ha spiegato - la nuova divisa europea non entrerà immediatamente a regime. Si affiancherà nelle
transazioni a quelle nazionali per un certo periodo di tempo, ma con una massa critica iniziale tale da rendere credibile per i mercati
la decisione politica del passaggio alla moneta unica “.
- ripercussioni di valenza analoga, nei singoli sistemi economico-finanziari, degli
shock economici e monetari esterni;
- elevato grado di mobilità della forza lavoro all’interno dell’area monetaria
integrata.
Ciò implica che, durante la fase 2 di Maastricht, vengano poste le premesse
per rendere sufficientemente omogeneo il contesto regolamentare e funzionale
dei mercati finanziari dei Paesi membri, senza di che risulta difficile immaginare
il passaggio rapido alla moneta comune.
Parte prima
LE CARATTERISTICHE DI UNA GNP RULE
4
Premessa : discrezionalità verso regole
Il dibattito discrezionalità verso regole ha interessato a lungo sia la teoria
che la pratica della politica economica e monetaria in particolare.
Esistono regole attive - dipendenti dalla dinamica del sistema economico nei
periodi precedenti - e regole passive - indipendenti da tale evoluzione. Le regole
possono inoltre riferirsi agli obiettivi finali, o agli obiettivi intermedi (come più
spesso accade) o agli strumenti della politica economica e monetaria. Una regola
riferita ad un obiettivo intermedio (un aggregato monetario, ad esempio) può
implicare un notevole attivismo negli strumenti; viceversa, da una regola sugli
strumenti (fissare il tasso di crescita della base monetaria) può derivare una certa
instabilità negli obiettivi intermedi e/o finali. Le regole sono viste come impegni
(commitments). Esse sono una forma di contratto tra policy-makers ed operatori
che, stabilizzando le aspettative, facilitano il funzionamento del mercato.
L’impegno delle autorità può essere sancito dalla legge o sostenuto dalla forza
della reputazione. In questo modo che si introduce il problema della credibilità
delle strategie di politica economica, in un contesto di aspettative razionali degli
operatori. La discrezionalità implica invece un attivismo non vincolato da regole.
4
GNP : Gross National Product.
GNP rule: regola di politica economica in termini del PIL (Prodotto Interno Lordo) nominale.
Sottostante l’analisi del binomio regole-discrezionalità è la discussione:
a) sulla conoscenza del funzionamento e sulla stabilità dei sistemi economici; b)
sulla possibilità di compiere accurate previsioni macroeconomiche sulle base
delle informazioni disponibili; c) sul comportamento delle autorità governative in
relazione al tipo di funzione obiettivo da esse perseguito.
Se il sistema economico è stabile - vale a dire, se esistono delle forze
naturali di mercato in grado di guidarlo su un sentiero di piena occupazione,
esistono delle motivazioni per respingere la discrezionalità. Se tale meccanismo
funziona male, ed il governo è in grado di migliorare la situazione, riconducendo
l’economia in equilibrio, la funzione stabilizzatrice della politica economica
recupera la sua validità.
Una politica discrezionale permette alle autorità di fronteggiare eventi
contingenti imprevisti o non considerati da una regola fissa. Tuttavia, anche in
questo caso, carenze nel livello di informazione o nei dati disponibili per
formulare previsioni a breve termine, pongono limiti alla discrezionalità e
all’attivismo in politica economica.
In ogni caso, la politica economica e quella monetaria possono essere
configurate come un gioco strategico tra il policy-maker e gli operatori, dove
risultano rilevanti il contesto istituzionale, la struttura informativa e le funzioni
obiettivo del policy-maker e del pubblico.
1. “Targetizzare” il PIL nominale
Una politica di target di reddito nominale è stata invocata da molti
economisti
2
. Nel contesto di un particolare modello di offerta si può dimostrare
come tale regola fornisca una risposta ottima agli shocks di domanda e/o di
offerta, se l’offerta di lavoro è inelastica. Si è dimostrato come, anche se
quest’ultima risultasse elastica, ci sia ancora spazio per un target di PIL
nominale, a patto che l’elasticità della domanda aggregata rispetto al livello dei
prezzi risulti minore dell’unità.
Bean (1983)
3
considera un modello macroeconomico, con aspettative
razionali dove la perfomance viene valutata in termini delle deviazioni dal livello
di pieno impiego dell’output. I salari vengono contrattati in anticipo, in modo da
raggiungere l’equilibrio nel mercato del lavoro, vale a dire quando le aspettative
si sono formate o gli eventi sono stati perfettamente previsti e i salari sono
flessibili, l’economia si muove verso un livello di output che corrisponde al pieno
impiego.
La funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas è la seguente:
(1)
()
YLe a
tt
au
t
=<
−1
01
2
vedi Bean C. (1983), West K. (1986), Argy V. (1991), Frankel J. e Chinn M. (1995).
3
Bean, C. (1983) Economic Journal 93.
dove Y
t
è il livello di output al tempo t , L
t
il livello di occupazione e u
t
lo
shock di produttività (shock dal lato dell’offerta). Lo stock di capitale è stato
normalizzato all’unità. Le equazioni della domanda di lavoro, L
t
d
, e della offerta
di lavoro, L
t
s
, sono rispettivamente:
(2) wpbal u
tt t
d
t
−=− +
(3)
()
wpcdl d
tt t
s
−=+ ≥0
dove wp
tt
, rappresentano il livello del salario e dei prezzi al tempo t
4
.
Il livello di occupazione viene determinato in modo che LL
tt
d
≡ . Per
derivare il livello di produzione di pieno impiego, corrispondente alla piena
occupazione, y
∗
, e il corrispondente salario di piena occupazione, w
∗
, basta
porre LL
ds
= . Quest’ultimo si ottiene minimizzando la divergenza dal livello di
piena occupazione, vale a dire minimizzare la varianza di ( ww
tt
−
∗
) :
(4)
()
[]
Min E w w
ttt−
−
1
2
*
dove :
()()
()
wp u
ac bd a d
da d
tt t
*
,
/,
/.
=+ +
=+ +
=+≤
φφ
φ
φ
0
0
1
Il livello atteso di mercato sarà pari a:
(5) wp u
tt t tt
=++
−−101
φ φ
data l’ipotesi di aspettative razionali,
tt tt
pE p
−−
=
11
.
Sostituendo nella equazione (2) ed utilizzando la (1), si ottiene la funzione
di produzione di breve periodo:
(6)
()
[]
()
yppb u u
tttt tt t
=−+−− ++
−
βφβ
101
1
dove β =−()/.1 aa
Dal punto di vista macroeconomico, obiettivo delle autorità è minimizzare il
gap di PIL dal livello di equilibrio di pieno impiego, y
t
∗
- vale a dire minimizzare
var ()yy
tt
−
∗
- ottenuto ponendo ww
tt
=
∗
nella equazione (2) e sostituendo nella
(1); il risultato è la funzione di produzione di lungo periodo:
(7)
()
()
[]
yb u
tt
*
,=−++−βφ βφ
0
11
Quindi il gap di produzione è dato da:
(8)
()()
[]
yy p p u u
tt ttt ttt
−= − + −
*
βφ
11
4
b=ln(1-a) e le lettere minuscole indicano i logaritmi.
Dalla funzione di produzione di breve periodo - equazione (6) - segue che:
(9)
()
()
()
yy p p uu
ttt tt t ttt
−= − ++ −
−11 1
1ββ
Se il reddito nominale è xyp
ttt
≡+(), sostituendo nella equazione (8) :
(10)
()
()
()
[]
yy ax x p p
tt ttt ttt
−= − +− −
*
βφ φ
11
1
Questo significa che mantenere il livello di reddito nominale atteso nel periodo
( t − 1), può eliminare il gap di produzione solo se φ = 1. In caso contrario, la
politica ottima comporta una media ponderata tra reddito nominale e livello dei
prezzi.
Targetizzare il livello di reddito nominale risulta essere una politica
strategica ottimale se d =∞ , il che equivale ad avere una curva di offerta di
lavoro inelastica.
Le autorità monetarie devono manipolare la domanda in modo da
determinare una variazione di prezzi in grado di controbilanciare uno shock di
produttività. Se l’offerta di lavoro è inelastica, ipotizzando uno shock inatteso
dal lato dell’offerta, livello di output (di pieno impiego) e di salario reale
aumentano in eguale proporzione a tale shock. Se il salario nominale è fisso,
l’aumento del salario reale può essere ottenuto solo con una pari diminuzione nel
livello dei prezzi, ma in questo caso l’aumento nel livello dell’output e la
riduzione del livello dei prezzi della stessa grandezza implica che il reddito
nominale rimanga invariato.
1.1 Reddito nominale e target monetari
L’offerta di moneta è lo strumento utilizzato per raggiungere il target di
reddito nominale ma, a causa dei ritardi nella disponibilità delle informazioni e
negli aggiustamenti della politica, viene stabilita in modo da raggiungere tale
target solo nel periodo successivo. Le autorità monetarie dovranno scegliere m
t
prima del verificarsi degli shock dal lato della domanda e della offerta aggregata.
La domanda aggregata è data da:
(11) ympv
tttt
=−+γ ()
in cui m
t
è il logaritmo della offerta di moneta e l’ultimo termine rappresenta il
disturbo della domanda (shock stocastico)
5
.
Il modello considera contratti di lavoro non sincronizzati, in cui cioè la
proporzione (1 - λ ) viene fissata al tempo (t - 1) e la porzione λ in (t - 2)
6
. Dalla
equazione (6):
5
L’offerta di moneta è il solo strumento a disposizione delle autorità. Se quest’ultime possiedono lo stesso livello di informazione
del pubblico, e fissano l’offerta di moneta contemporaneamente al livello dei salari, non c’è differenza tra un target monetario o un
target di reddito nominale. Potrebbe essercene se le autorità fossero poi in grado di fronteggiare gli effetti successivi ad una
contrattazione salariale, nel qual caso ci sarebbe spazio per una politica monetaria contingente ed un target di reddito nominale
rappresenterebbe solo una particolare - e forse sub-ottimale - regola di feedback.
(12)
()
()
()
()
()
yb ppu
pp u u
ttt
ttt t t t
=−+− −− +
+−−++
−
−−
βφβλ φ
βλ φ β
011
22
1
1
Ricordando la funzione di produzione di lungo periodo, il livello di output di
pieno impiego è dato dalla equazione (7), e l’equazione (12) dell’offerta
aggregata implica che il gap di PIL risulti pari a:
•
()( )
()
yy p p p p
tt ttt tttt t
P
t
T
t
P
−= − + − + + +
− −
*
ββλ βφεβλφε
112 1
L’economia è esposta a due tipi di shocks, sia dal lato della domanda che da
quello dell’offerta, uno temporaneo ed uno permanente:
(13) uu uconu u u
tt
P
t
T
t
P
t
P
t
P
t
T
t
T
=+ = + =
− 1
εε;
vv vconv v v
tt
P
t
T
t
P
t
P
t
P
t
T
t
T
=+ = + =
− 1
ηη;
doveεεηη
t
P
t
T
t
P
t
T
,,, sono periodicamente e mutuamente non correlati,
rispettivamente con varianza σσσσ
εεηη
PT PT
,,,.
Sotto l’ipotesi di aspettative razionali ed assumendo che sia le autorità
monetarie che il pubblico siano in grado di riconoscere di che “tipo” sia lo shock
una volta verificatosi, si possono confrontare una strategia di politica di reddito
nominale con una monetaria, determinando la regola di feed-back ottima in
6
Il grado di rigidità salariale aumenta al variare del parametro λ da zero ad uno. Sebbene la durata dei contratti e il grado di
entrambi i casi. Prendendo le aspettative al tempo (t - 1) e (t - 2) dalla equazione
di offerta aggregata (12) e sottraendo:
(14a)
()
()
()
yy p p
ttt tt t t
P
t
T
−= − ++ +
11
1ββε
(14b)
()
()
[]{}
ttt t ttt t t
P
yy p p
−− −− −
−= − ++−−
12 1 2 1
111βλ β λ φ ε
Analogamente dal lato della domanda aggregata, equazione (11):
(15a)
()()
yy mmp p
ttt tt t tt t t
P
t
T
−= − −− ++
111
γη
(15b)
()()
ttt t t tt t ttt tt
P
yy mm p p
−− − − −− −
−= − − −
12 1 2 1 2 1
γγη
Risolvendo le equazioni (14a) - (15b) per (p
t
-
t-1
p
t
) e per (
t-1
p
t
-
t-2
p
t
) in
termini della offerta di moneta e degli shock di domanda e di offerta:
(17)
()( )
()
()
yy m m m m
tt ttt tttt t
P
t
T
t
P
t
T
t
P
t
P
−= − + − + + +
+++ +
−−
*
ψγ ψ γ ψψ ε ε
ψη η ψψε ψη
1121213
123121
dove
() ( ) ()()
[]
ψββγψβλβλγψ βγφ β
12 3
1=+ = + =+−+/, / , .
sincronizzazione-asincronizzazione possono attendersi funzione della variabilità dei prezzi, tale effetti vengono considerati di
secondaria importanza.
Al tempo (t - 1), εη
t
P
t
P
−−11
, sono noti, ma nonεεηη
t
P
t
T
t
P
t
T
,,, ; la regola di
feed-back ottima si ottiene perciò nel fissare:
(18)
()
mm
tt t t
P
t
P
=− +
−−−2311
ψε η γ/
Sotto tale vincolo, la varianza dell’ouput intorno al suo livello di pieno impiego,
condizionata alla informazione disponibile in (t - 1), è data dalla:
(19)
()
[]
()
()
Eyy
ttt
PT PT
−
− = ++ +=
1
2
1
2
3
2
1
2* *
ψψ σ σ ψ σ σ σ
εε ηη
Mentre con una regola costante di offerta di moneta si ha:
(20)
()
[]
Eyy
ttt
PP
−
−=+ +
1
2
2
2
3
2
2
2**
σψψσ ψσ
εη
Con un target di reddito nominale, le autorità fissano m
t
in modo che
ttt
xx
−
∗
=
1
dove x
t
∗
è il livello (arbitrario) di target del reddito nominale. Questo
significa, quindi, che lo stock di moneta viene fissato in modo da raggiungere
perfettamente il target prestabilito nel periodo successivo. Per ottenere la regola
di feed-back ottima corrispondente a tale strategia, basta aggiungere (
t-1
p
t
-
t-2
p
t
)
ad ogni membro delle equazioni (14b) e (15b). Il lato sinistro di ciascuna
equazione è dato, adesso, da (
t-1
x
t
-
t-2
x
t
) che risulta nullo, dal momento che il
target x
t
∗
viene fissato anticipatamente.