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georgiano, e la liberazione dell’Adjara dalle dipendenze del dittatore Aslan
Abashidze; d’altronde il Presidente, durante il suo giuramento sulla tomba di di Re
David IV, conosciuto come Aghmashenebeli o il “costruttore” grazie
all’unificazione dei principati georgiani, aveva promesso di mantenere l’integrità
territoriale gravemente minacciata. Forte dell’appoggio di Washington che oltre al
programma Train and Equip, destinato all’ammodernamento dell’esercito, stanzia
milioni di dollari per lo sviluppo economico del Paese, Saakashvili riesce nei primi
mesi a dare una scossa alla vita economica della Georgia, profondamente segnata
dall’ empasse dell’era Shevarnadze, lanciando una sferrata lotta alla corruzione,
favorendo l’afflusso di crediti da parte del FMI e della World Bank, nonostante un
debito estero di 1.8 miliardi di dollari, accelerando le trattative per l’ingresso del
Paese sia nella NATO che nella UE, inaugurando l’oleodotto più lungo del mondo,
ossia il Baku-Tbilisi-Cheyan (BTC) che trasporta petrolio dal Mar Caspio fino alle
coste della Turchia, un incentivo importante, unito ad una nuova politica energetica,
nel tentativo di ridurre le dipendenze da Mosca. Ma con i mesi Saakashvili sembra
perdere consensi: accusato di forte accentramento di poteri, di criminalizzare
l’opposizione, piuttosto esigua visto la soglia di sbarramento in Parlamento del 7%,
di non aver apportato le riforme necessarie e previste nella Costituzione e
nell’apparato produttivo, di mascherare dietro un forte nazionalismo, che a volte
ricorda quello tragico di Gamsakhurdia e che ha portato al riesplodere dei conflitti in
Abchazia ed Ossezia del Sud, la sua politica fallimentare. Colui che si era ripromesso
di portare entro 75 anni la Georgia agli standard di vita occidentali adesso viene
definito “democrate senza democrazia”: ai nuovi problemi sorti nella giovane
democrazia s’intrecciano gli interessi delle grandi Potenze, Russia e Usa su tutte, che
si contendono il controllo della regione caucasica. Brzezinski definì la Georgia
chiave del Sud Caucaso, e gli interessi degli Usa, mascherati non troppo dietro le
sovvenzioni per lo sviluppo economico e sociale di Tbilisi, sembrano avvalorarne la
tesi, nonostante la Russia lo neghi, contraddetta però dal tentativo di non perdere altro
terreno in quello che in molti hanno già definito il “grande gioco”: la partita, per il
5
momento, sembra essere pilotata verso un pareggio, un equilibrio di interessi
certamente favorito anche dalla lotta al terrorismo che vede coinvolte sia Usa che
Russia; ma lo scenario dove si sta giocando questa gara resta comunque fragile,
un’instabilità che ha radici storiche e che non sembra assolutamente sopita. La
sensazione che oggi aleggia sulla Georgia, e sul Caucaso in generale, è che non solo
la rivoluzione delle rose sia stata una rivoluzione mancata, ma che altre rivoluzioni
floreali o colorate possano verificarsi per semplici cambiamenti di Governo o per
variazioni di interessi che poggiano sul fragile filo degli equilibri tra le grandi
Potenze.
6
CAPITOLO 1
LA GEORGIA E LA STORIA
1.1 PIAZZA DELLA LIBERTA’
1.2 DALLA RICERCA DEL VELLO D’ORO A QUELLA DELLA DEMOCRAZIA
1.3 IL RITORNO DI SHEVARNADZE
1.1 PIAZZA DELLA LIBERTA’
“Prima che ci fosse la rivoluzione arancione in Ucraina e dei cedri in Libano c’è
stata la rivoluzione delle rose in Georgia: vi siete radunati in questa piazza armati
solo di rose e delle forza delle vostre certezze ed avete reclamato la libertà. Le vostre
azioni hanno fatto sì che oggi la Georgia sia un Paese libero e sovrano ed un faro di
libertà per questa regione e per il mondo”
1
. Era il 10 maggio 2005 quando George
W. Bush, primo presidente statunitense a visitare il paese, pronunciava queste parole
dinanzi a 150 mila persone assiepate in Piazza della Libertà, la stessa piazza che nel
novembre 2003 fu teatro di ciò che alla storia è passata come la rivoluzione delle
rose: migliaia di persone scesero in piazza per contestare la validità delle ultime
elezioni politiche, vinte per l’ennesima volta dall’ultrasettantenne Eduard
Shevarnadze, che dopo quasi un mese di contestazioni, di trattative, di denunce di
massicci brogli elettorali, culminate con l’occupazione del Parlamento da parte dei
manifestanti, dovette dimettersi lasciando così la guida del paese al Presidente
uscente del Parlamento, Nino Burdzhanazde, detta la “signora di ferro” con il
compito di traghettare la Georgia alle nuove elezioni indette per gennaio 2004.
Decisiva fu la mediazione dell’ex ministro degli esteri russo Igor Ivanov, così come
la capacità dei leader della protesta, Mikhail Saakashvili e Zurab Jvania, di guidare la
contestazione senza che raggiungesse derive violente ed infatti Shevarnadze lascerà il
paese incolume. Con il 97,5% delle preferenze sarà proprio il suo delfino, l’ex
1
Bush elogia la Georgia: ‘faro di libertà’, agi/reuters, www.agi.it
7
ministro della giustizia, dimissionario per protesta “contro la corruzione dilagante e
l’incapacità del presidente a combatterla”
2
, e leader della protesta di novembre,
Mikhail Saakashvili, a trionfare divenendo così Presidente della Repubblica della
Georgia.
Ciò che ha reso la rivoluzione delle rose un evento storico per il paese caucasico non
rientra semplicemente nel fatto di aver ispirato poi le altre rivoluzioni colorate
(compresa quella dei tulipani in Kirghigistan), ne tanto meno l’aver manifestato in
modo chiaro la forte volontà di sottrarsi all’influenza della Russia, da sempre
interessata al territorio georgiano proprio per la sua collocazione geografica che ne fa
una chiave geo-strategica importante, posta come ponte tra occidente ed oriente,
meridione e settentrione, porzione importante di quella che fu la via della seta: ciò
che ha rivestito i giorni di novembre 2003 con la livrea della Storia è stato proprio il
passaggio da un sistema di governo ad un altro, con uomini, idee e componenti
diverse che è giunto senza spargimenti di sangue; le uniche armi delle migliaia di
georgiani scesi i piazza erano le rose, in una piazza, quella della Libertà, spesso
teatro di violenza e proteste brutalmente represse, in un paese, quello della Georgia,
dove l’ascendente dei movimenti rivoluzionari è sempre stato forte, qualsiasi fosse la
sua matrice: nazionalista, populista, marxista o socialdemocratica. Inoltre la sua storia
dalle radici antichissime, una cristianizzazione iniziata fin dal 4° secolo ed
un’indipendenza costantemente minacciata hanno forgiato una nazione molto
compatta e legata alle proprie tradizioni e alla propria cultura.
2
Georgia, Saakashvili eletto Presidente: ‘E’ una vittoria del mio popolo’, www.repubblica.it
8
1.2 DALLA RICERCA DEL VELLO D’ORO A QUELLA DELLA
DEMOCRAZIA
I greci conobbero la Georgia con il nome di Kolchide e la leggenda vuole che essi si
spinsero in quel luogo nella ricerca del vello d’oro, donato da Frisso al re Eete come
ringraziamento dell’ospitalità concessagli, il quale lo nascose nel bosco ponendovi a
guardia un drago: il vello venne però rubato da Giasone e dai suoi argonauti che non
riuscirono comunque a sottrarlo a quelle terre nelle quali i greci si spinsero proprio
alla ricerca dell’oro, un minerale di cui la penisola greca è assai scarsa; dopo le
campagna di Pompeo Magno nel 66 D.C. divenne un vassallo dell’impero romano,
convertendosi al cristianesimo nel 317 D.C., subendo poi nel corso dei secoli le
invasioni di arabi, mongoli, persiani e turchi. Poi dalla seconda metà del 18° secolo
cominciò la lunga esperienza dell’influenza russa: il trattato di Georgievsk del 1783
sanciva il protettorato sulla Georgia orientale, poi annessa nel 1801, mentre le regioni
occidentali, inclusa la regione di Tiblisi, subiranno la stessa sorte nella seconda metà
del 19° secolo quando verranno incorporate insieme a quelle orientali nella
Transcaucasia, sotto il governo di un vicerè designato dallo zar.
Durante la prima guerra mondiale il Caucaso fu teatro dello scontro tra Impero
Ottomano e Russia ed i georgiani si schierarono con una legione armata a sostegno
dei primi, e mentre i bolscevichi erano sicuri del potere a Pietrogrado la
Transcaucasia era nelle mani dei menscevichi con la Georgia che il 26 maggio 1918
si proclamava indipendente: durò solo tre anni, poiché nel febbraio del 1921 l’Armata
Russa occupò definitivamente il territorio georgiano. Il 25 febbraio 1921 era dunque
proclamata la Repubblica Socialista Sovietica di Georgia che includeva nella propria
sovranità anche le Repubbliche Autonome di Abchazia e di Adjara, quest’ultima
appena ceduta dalla Turchia, mentre nell’aprile 1922 gli venne assegnata anche
l’Ossezia del Sud.
9
Il già citato attaccamento alle proprie tradizioni ed alla loro cultura, che fa si che il
Kartuli, ossia la lingua georgiana, di oggi sia “uguale a quello di tremila anni fa”
3
,
hanno svolto un ruolo predominante non solo nella resistenza ad ampi e vasti tentativi
di russificazione, come nel 1978 quando grazie anche all’allora primo segretario del
partito comunista georgiano, Eduard Shevarnadze, si riuscì ad impedire che fosse
soppressa la clausola della precedente Costituzione che affermava il georgiano come
lingua ufficiale della Repubblica per imporre il russo come lingua ufficiale a tutte le
Repubbliche, ma hanno svolto anche un peso specifico nella costruzione di una
reputazione che ha visto la Georgia essere una delle Repubbliche socialiste più
accesamente nazionaliste:“…georgian nationalism was the most violent among all
other violent forces that were tearing the U.S.S.R.”
4
; nel 1956 a Tbilisi una
significativa dimostrazione di protesta contro la destalinizzazione sfociò
improvvisamente in una richiesta di indipendenza e costrinse Nikita Khrushov ad
intervenire brutalmente disperdendo i manifestanti con l’ausilio dei carri armati. La
mobilitazione nazionalista però non si attenuava e ne tanto meno includeva la sola
questione dell’indipendenza da Mosca, ma bensì anche l’obbiettivo della
georgianizzazione delle strutture amministrative e culturali della repubblica, nonché
la preoccupazione di neutralizzare preventivamente il pericolo che la presenza di
nazioni autonome (abchazi e ossetini) e di minoranze territorializzate (azeri e armeni)
costituivano per l’integrità territoriale della Georgia, fattori che costringeranno tra il
1988 ed il 1990 il Partito comunista georgiano (Pcg) ed il Soviet Supremo ha far
propria la piattaforma nazionalista, onde scongiurare il pericolo di essere
marginalizzati
5
: nel dicembre 1988 il Pcg presentava il Programma Statale per la
Lingua Georgiana che imponeva un esame di georgiano per l’ammissione alla scuola
superiore, mentre nel 1989 una legge elettorale impediva ai partiti di base regionale
di partecipare alle elezioni politiche nazionali. Il filone nazionalista sorresse
naturalmente anche i tragici eventi di aprile 1989, quando a Tbilisi i manifestanti
3
La Nuova Georgia spera, ma sta ancora al buio, 17 novembre 2004, www.ilmanifesto.it
4
F. Stanevskiy, Georgia: a failed State?, International Affairs, n° 2/2004, p. 48
5
C. Cadagnone, Questione nazionale e migrazioni etniche: la Russia e lo spazio post-sovietico, edit. Franco Angeli,
1997, p. 271