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La bontà delle attività è dipendente dall'educazione dei singoli, nel rispetto spontaneo dei luoghi e
delle regole. Ma ciò di cui hanno bisogno le nostre città ed i nostri parchi è altra cosa. Quindi per
chi e per quali funzioni ed attività realizziamo il parco?
Pur salvaguardando i diritti e le domande dei singoli cittadini di un ordinario uso dei parchi per
relax, gioco, attività sportiva, i parchi possono favorire un ben più elevato livello di partecipazione e
convivenza sociale. Soprattutto per gli utilizzatori più frequenti, quelli più prossimi e quelli che ne
vedono un elemento indifferenziato, di massa e che rientra nel concetto di bene pubblico, cioè bene
pubblico in cui lasciare un segno di sè e del proprio connotato d'identità. Magari con azioni di sfida
e di riappropriazione come terra di conquista.
Le aggregazioni marginalizzate e non riconosciute socialmente, trovano nei parchi e nei beni
pubblici, in genere, lo spazio per mostrare la propria identità o per darne una ad uno spazio generico
e non in sintonia con la propria cultura. Il metodo progettuale che sta offrendo ottimi risultati in
termini di miglioramento della convivenza e della socialità s'ispira al principio della progettazione
partecipata. E' proprio questo il metodo secondo il quale il coinvolgimento dei fruitori, dei cittadini
di tutte le età, dei bambini, degli adolescenti, dei giovani e degli adulti, consente di far esprimere la
cultura e l’identità della popolazione attraverso la manifestazione dei propri bisogni, dei propri
micro progetti. Il percorso della progettazione, della trasformazione o della gestione dei parchi
urbani diviene un laboratorio di partecipazione alla continua riprogettazione degli spazi pubblici che
vede coinvolti quindi specialisti, tecnici, cittadini ed amministrazione. Un parco socialmente attivo,
dopo essere stato ben inquadrato sotto il profilo ecologico e paesaggistico e di eventuali grandi
strutture di viabilità interna e di servizio, deve trovare al suo interno spazi e luoghi soggetti alla
possibilità di una moderata trasformazione generazionale. La condizione di successo di tale metodo
è che sia applicata una vera e non una fittizia partecipazione al processo decisionale. Non è una
semplice partecipazione consultiva e nemmeno una di programmazione. È una partecipazione
decisionale, che prevede apporti di conoscenza della popolazione, dei bisogni e delle azioni
caratteristiche della popolazione e si conclude con l’accettazione di decisioni operative riscontrabili
nel progetto e nella gestione dei parchi. Pertanto, il parco, compresa la sua progettazione è un
elemento di educazione e formazione alla cultura o alla storia locale e educazione ambientale.
Progettare un parco o una parte di esso è educare al “fare”, educare a conoscere e costruire il
proprio territorio. Un esempio, è la progettazione del parco di Sceaux, realizzato con il contributo
dell’Atelier di Launay che è consistito, nell’incarico per circa un anno, di studiare con i cittadini e
poi realizzare con loro il parco stesso. Un parco con spazi gioco, all’interno di un parco storico in
stile; non è facile far coesistere verde storico e parchi moderni per bambini ed adulti. Una proposta
progettuale che diventa un'esperienza educativa che consente una maggiore identificazione dei
fruitori con il parco stesso e dalla quale ci si attende un incremento di senso d'appartenenza, di
rispetto e difesa, di un luogo che è proprio. Diversi studi sono stati fatti sulla funzione delle aree
verdi come luogo di aggregazione e di riduzione della conflittualità tra gruppi giovanili e riduzione
della violenza sulla proprietà pubblica. Come pure si va diffondendo la “terapia del verde” in
attività paramediche per la cura ed il miglioramento di alcune patologie e situazioni cliniche e lo
stimolo allo sviluppo psicofisico di malattie genetiche. Condizioni psicologiche e sociali favorevoli
create dalla presenza delle aree verdi, non vanno disconosciute o minimizzate. In questo processo di
valorizzazione della funzione sociale e educativa della progettazione delle aree verdi il progettista
non sminuisce le sue qualità tecniche e creative, ma incrementa il suo ruolo di formatore di cultura
locale e del paesaggio, diviene un coordinatore delle domande sociali e le sintetizza in un quadro
d’insieme che sarà poi scelto in via definitiva sempre da un consenso collettivo. Il professionista è
chiamato a superare il suo ruolo tecnico di specialista per essere un formatore; attento alla massima
comprensione della sua opera egli è chiamato ad educare, a formare alla padronanza del progetto e
delle sue funzioni. (A. Vavassori, 2004)
Compresa l'importanza di conoscere le radici storiche e sociali della città in cui si avvia una
progettazione partecipata di un'area verde e il ruolo fondamentale di formatore e coordinatore del
tecnico professionista, facciamo un breve cenno alla storia di Afragola, città scelta per questo lavoro
di tesi.
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1. STORIA DI AFRAGOLA
Afragola, tra storia e leggenda
La narrazione delle vicende storiche afragolesi rappresenta un affascinante intreccio tra leggenda e
certezze storiche. Quella che segue è una narrazione degli eventi che cerca di essere il più possibile
fedele a quanto comprovato da documenti storici, senza tuttavia perdere di vista i colorati elementi
di leggenda che ancora oggi godono di tanto credito.
1.1 LA LEGGENDA
E' comune credenza popolare che Afragola abbia tratto origine dall'antico popolo dei Normanni.
Quasi sicuramente si tratta, però, di una leggenda fiorita dalla fantasia popolare; tuttavia essa fu
consolidata da un pittore, il Moriani, che nel 1886 affrescò il salone comunale di Afragola,
raffigurandovi la venuta di re Ruggero il Normanno, avvenuta presumibilmente nel 1140. Il quadro
ad affresco, tutt'oggi visibile nel salone delle adunanze del Municipio di Afragola, presenta, sullo
sfondo di una selva, l'imponente figura del re che si accinge a dare ad un gruppo di soldati il
possesso di terre incolte; ad accogliere il re accorrono contadini, fanciulli e ragazze che raccolgono
fragole da dare in dono al sovrano. Però alcuni studiosi, in base a validi documenti storici,
smentiscono questa leggenda dicendo non solo che la cittadina già esisteva precedentemente, ma
che Ruggero I morì nel 1101. Quindi, se ad Afragola vi è stato un sovrano, si tratta di Ruggero II
venuto solamente per distribuire ai suoi veterani alcune moggia di terreno da dissodare e coltivare.
(G. Capasso, 1980)
1.2 LE ORIGINI
Studi e scavi condotti sul nostro territorio hanno ulteriormente smentito l'ipotesi della fondazione di
Afragola per opera dei Normanni dimostrando origini più antiche. Infatti, nell'ultimo ventennio,
nella nostra campagna, sono state ritrovate tombe appartenenti a necropoli sannitiche che gli
studiosi hanno potuto datare intorno al III-IV secolo a.C. Tra queste, va sicuramente menzionata
una tomba in particolare, per il suo gran valore scientifico. Su questa sono raffigurate due donne
l'una di fronte all'altra. Una di queste tiene stretta al petto una pagnotta e porge all'altra una tazza;
quest'ultima attingendo da un secchio versa da bere alla prima donna. E' proprio la presenza di
questo secchio che costituisce un'assoluta rarità nella pittura funeraria campana. Questi ritrovamenti
sono segno evidente che in età sannitica erano sparsi nell'agro afragolese una serie di villaggi,
piccoli nuclei rustici in cui si svolgeva un'umile e semplice vita. Altro importante ritrovamento fu di
un'ara augustea risalente al I d.C. sulla quale era incisa la scritta AUG. SACR.
Ciò sta a testimoniare che anche Afragola, come Napoli, fu devota e fedele ai romani e dovette, con
molta probabilità, esprimere riconoscenza ad Augusto con quell'ara per qualche beneficio ricevuto.
Purtroppo di questo prezioso ritrovamento non è rimasto nulla poiché fu frantumato e utilizzato
come brecciame nel secondo dopoguerra. In base a tali testimonianze possiamo quindi ritenere, che
la nostra città abbia avuto origine da più antichi agglomerati di case rustiche, abitate da contadini
dediti alla coltura dei campi. In seguito vennero ad aggiungersi anche i profughi delle città di Atella
ed Acerra che, a varie riprese, contribuirono ad incrementare questi piccoli villaggi situati nel
territorio afragolese. Man mano tali insediamenti ebbero anche un nome, tra i più importanti
ricordiamo: ARCOPINTO e CANTARELLO.
Ad Afragola cinque erano i luoghi che prendevano nome da un arco quindi Arcopinto è variamente
indicato nei documenti; il nome sembra comunque derivare da un antico arco, avanzo di un
acquedotto che passava di lì. Cantarello era invece un villaggio sito nella campagna afragolese; esso
ha una storia antichissima, documentata dalle numerose tombe ritrovate. Si ha memoria di questo
paese sino a Carlo II e re Roberto; venne in seguito distrutto e finì per incrementare Afragola come
già aveva fatto Arcopinto. Altri villaggi sorti nella campagna afragolese furono: San Salvatore delle
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monache, Archora e Salice. E' proprio da questi piccoli villaggi che ha tratto origine il nostro paese
ed è nel 1131 che esso è menzionato, per la prima volta in un documento, con il nome di
AFRAORE.
1.3 PERIODO DELLE DOMINAZIONI
In epoca ducale, cioè prima della conquista normanna, ben poco si conosce dell'organizzazione
amministrativa di tali villaggi. Molto probabilmente alcuni fecero capo ad organismi centrali del
ducato, mentre altri furono retti da un magister militum che soprintendeva un territorio abbastanza
ampio. In seguito, con la venuta dei Normanni e l'unificazione del regno, la pianura napoletana
raggiunse una condizione di prosperità e tranquillità. Questa condizione favorì lo sviluppo di vari
casali che furono considerati, parte integrante della capitale ed allo stesso modo i loro abitanti erano
considerati a tutti gli effetti cittadini di Napoli.
Fin dal 1278, ai tempi di re Carlo I, ad Afragola possiamo trovare vestigia di feudalità. Alcuni
documenti fanno infatti riferimento ad un certo Paolo Scotto che possedeva un feudo nel casale di
Afragola, nel luogo detto "a la fracta". Si parla anche di altra terra feudale situata nella palude di
Afragola e di un tale Pandolfo Gennaro che possedeva beni feudali nella zona dell'Arco Pinto.
Inoltre Carlo II aveva concesso in feudo al suo medico le cesine di Afragola (terreni una volta
boscosi e poi resi alla coltura col taglio degli alberi). Ma non tutta Afragola fu feudale, infatti
durante il periodo angioino gli abitanti dei casali si erano organizzati in UNIVERSITAS.
L'Universitas nel significato medievale indicava un insieme di persone di condizione sociale simile;
essa fu di fatto l'unione dei piccoli proprietari terrieri e dei contadini del casale che, per tutelare i
propri interessi, organizzarono una specie di amministrazione locale per risolvere giuridicamente le
controversie con il potere feudale e per raccogliere fondi da utilizzare in opere di utilità collettiva. A
capo dell'Universitas vi era il Syndicus che era il rappresentante della comunità. Con il passare del
tempo le dispute fra feudatari ed Universitas si fecero sempre più aspre, al punto che l'imperatore
Carlo V, nel 1536, accordò a quest'ultima lo Jus Praelationis, ovvero la possibilità di riscattarsi dal
potere feudale versando la somma corrispondente al valore del feudo. Afragola approfittò di questa
possibilità circa quarant'anni dopo. A quei tempi la parte feudale del nostro paese era posseduta dal
barone Paolo Capece Bozzuto.
Questi avanzò all'autorità vicereale del tempo una domanda, in cui si dichiarava disposto a
comprare anche la parte demaniale di Afragola offrendo 7.000 ducati al regio fisco. A questo punto
anche l'Universitas, per sottrarsi ad ogni eventuale sopruso futuro, presentò la sua offerta per
comprare sia la parte demaniale che la parte feudale. Fu così che il 12 Gennaio 1576 il Regio
Collaterale Consiglio, con apposito decreto, stabilì che Paolo Capece Bozzuto vendesse
all'Universitas la parte di sua proprietà con tutti i diritti connessi, il castello ed altri beni posseduti
nella cittadina, per la somma di 20.000 ducati. Lo stesso decreto stabilì che la Regia Corte di Napoli
cedesse, per 7.000 ducati, anche la parte demaniale del comune. La fine del potere feudale, però,
non si tradusse in piena autonomia amministrativa; infatti, la corona napoletana si riservò la
prerogativa di nominare un regio governatore per l'amministrazione generale del casale che, quindi,
dovette subire i soprusi dei vari tirannelli di turno.
Si riporta qui di seguito uno schema sintetico delle dominazioni subite dalla città di Afragola.
ξ LONGOBARDA E BIZANTINA SEC. LX . Nulla di storicamente certo
ξ NORMANNA 1059. Con l'accordo di Melfi si suggella la conquista normanna
ξ SVEVA 1184. Con il matrimonio tra Enrico di Svevia e Costanza d'Altavilla l'Italia
meridionale è sveva.
ξ ANGIOINA 1266. Carlo d'Angiò signore di Provenza riesce ad impossessarsi del regno di
Napoli
ξ ARAGONESE 1442. Già padroni della Sicilia gli aragonesi conquistano Napoli con
Alfonso
ξ VICEREGNO SPAGNOLO 1516. Con la pace di Noon la Spagna ha la meglio sui francesi
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ξ BORBONICA 1748. Con la pace di Aquisgrana Napoli passa ai Borboni
ξ L'UNITA' D'ITALIA
Nel 1639 il Viceré di Napoli, duca di Medina, per incrementare le entrate necessarie a finanziare la
Guerra dei Trent'anni, dispose che i casali di Napoli, quelli di Nola e molte altre proprietà del Regio
Demanio fossero vendute. Molte furono le opposizioni legali dei vari casali, ma queste furono
ignorate. Alla fine gli Afragolesi furono costretti a venire ad un compromesso, pagare 30.000 ducati
per potersi mantenere nel Regio Demanio. Il pagamento del secondo riscatto ebbe un effetto
disastroso per le finanze e la ricchezza locale; l'insoddisfazione generale esplose pochi anni dopo
nel 1647, in modo violento, con la rivolta di Masaniello che prese rapidamente piede anche da noi e
nei paesi limitrofi. Nonostante ciò il viceregno spagnolo continuò sino all'anno 1748. A tale anno
risale la pace di Aquisgrana con cui Napoli passa nelle mani dei Borboni. Nonostante i nuovi
padroni tentassero di modernizzare il regno tramite il catasto e la stipula dei trattati commerciali, a
Napoli si continuava a respirare un clima di oppressione. Un altro vigoroso grido di rivolta fu
rappresentato dall'eroica esperienza della REPUBBLICA PARTENOPEA, sorta nel gennaio 1799,
dopo la fuga di Ferdinando IV di Borbone rifugiatosi in Sicilia. Essa fu sostenuta dai più grandi
nomi dell'intellettualità napoletana a cui gli afragolesi diedero il loro pieno appoggio. Fu infatti
issato al centro di Afragola (miezz' all'arc' ovvero piazza Municipio) l'albero della libertà, simbolo
di rivolta e ribellione. A base dell'albero fu adattato un basolo bianco, conservato intatto fino ai
nostri giorni, attorno al quale sono fiorite leggende e tradizioni. L'animatore del movimento
insurrezionale fu, con molta probabilità, il medico Domenico Firelli che, in seguito, divenne
sindaco di Afragola (dal 1833 al 1838).
Purtroppo la Repubblica, abbandonata dai francesi, tentò invano di resistere con le sole sue forze
all'offensiva della Seconda coalizione e l'isolamento in cui si ritrovarono i nostri patrioti li costrinse
alla resa nel giugno dello stesso anno; quindi il "mezzogiorno" fu nuovamente dei Borboni. In
seguito la storia di Afragola segue parallelamente le sorti del Regno di Napoli. Dopo i moti
carbonari e le guerre d'indipendenza, il colpo definitivo ai Borboni fu inferto dalla famosa
spedizione dei Mille. Questa si concluse con l'incontro a Teano (26 ottobre 1860), tra re Vittorio
Emanuele II e Giuseppe Garibaldi che consegnò nelle mani del re il Mezzogiorno d'Italia da lui
liberato. Così il 17 marzo 1861, il Parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II "re d'Italia
per grazia di Dio e volontà della nazione" suggellando così l'Unità d'Italia. Afragola durante questo
periodo cercò di raggiungere un equilibrio urbano e territoriale. Le prime amministrazioni
succedutesi dopo l'Unità dovettero infatti dare un assetto complessivo alla viabilità urbana e creare
un centro civico adatto ad assolvere i compiti amministrativi. L'equilibrio che si raggiunse fu però
perso a causa dello sviluppo edilizio degli anni '20 del nostro secolo.
1.4 IL VENTENNIO FASCISTA
Durante il fascismo ogni cittadina era governata da un podestà che era politicamente imposto, questi
era aiutato nel suo compito da un segretario politico e da una Consulta. Afragola ebbe, dal 1927 al
1943, sempre lo stesso podestà, che per i suoi meriti non fu mai sostituito. Colui che governò la
nostra cittadina per così lungo tempo era un locale professionista, il dottor Luigi Ciaramella. Non
sarebbe stato facile trovare una persona più leale e comprensiva e, nonostante fosse stato lasciato
indisturbato alla guida dell'amministrazione afragolese, mai abusò della sua alta carica, anzi seppe
sempre venire incontro ai problemi ed alle esigenze del popolo. Quindi, fortunatamente, il periodo
fascista in Afragola fu caratterizzato dal governo, non oppressivo, del nostro potestà che promosse
anche numerose opere di ristrutturazione pubblica. In quel periodo, infatti, sorse il dispensario
antitubercolare e fu affrontato radicalmente il problema delle fognature. Fu inoltre completato e
prolungato il tratto di strada don Minzoni (già via Avignone), fu sistemato il Rettifilo (ora corso
Garibaldi) che congiunge Afragola con la vicina Casoria ed inoltre veniva curata anche la
pavimentazione di altre strade comunali da via Oberdan a via Arturo De Rosa, a via Sanfelice, al
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corso De Nicola. Addirittura, in pieno clima fascista, il Ciaramella fu in grado di ottenere, dall'alto
commissario della provincia di Napoli, che il corso si intitolasse al nome del De Nicola ancora
vivente. Intorno al 1938 fu risolto il problema dell'edilizia scolastica, quando fu costruito l'edificio
scolastico dedicato a Guglielmo Marconi che sorge alle spalle del Santuario di Sant'Antonio. Il
Ciaramella conservò sempre una posizione privilegiata nei confronti dei fascisti napoletani e la usò
per fornire il paese di quanto avesse avuto bisogno. Il suo principale obiettivo fu quello di gettare le
basi per riuscire a trasformare, una volta per sempre, Afragola in una grande città. Un passo in
quella direzione fu fatto quando la nostra cittadina fu elevata da comune a città; fu così realizzato
un sogno di molti afragolesi. Ancora oggi, affisso nell'atrio del palazzo di città, vi è un marmo che
sta a ricordare il felice evento.
Su esso è inciso: "Sua Maestà - Vittorio Emanuele III - Re d'Italia ed Imperatore d'Etiopia - con
decreto 5 settembre 1935, XIII - si degnò conferire a questo Comune - il titolo di - Città - 28 ottobre
A. XIV. E. F. In quel periodo anche l'agricoltura ebbe una svolta, adottando sistemi moderni ed
intensivi, allo stesso tempo andava sviluppandosi il commercio e l'industria.
(G. Capasso, 1974)
1.5 LO STEMMA DELLA CITTA'
D'oro alla mano di carnagione impugnante 4 fragole fruttate di rosso fogliate di verde.
1.6 IL GONFALONE
Drappo partito di giallo e di rosso, riccamente ornato di ricami d'oro e caricato dallo stemma civico
con l'iscrizione centrata d'oro, recante la denominazione della Città. Le parti di metallo ed i cordoni
saranno dorati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette
dorate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma della Città e sul gambo inciso il
nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'oro.
2. LA CHIESA DI S. MARIA DELLA SCAFATELLA (C. Pasinetti, 2003)
Posta nei campi ad est del territorio comunale, la chiesa di S. Maria di Costantinopoli, indicata
anche come S. Maria la Nova ma più comunemente conosciuta come " Scafatella ", è l'unica rimasta
delle molte cappelle rurali che un tempo sorgevano nel territorio agricolo di Afragola. Posta su
un'antica strada di collegamento extraurbano con la vicina Acerra, la chiesa, partendo da S. Maria
d'Aiello, è raggiungibile percorrendo l'odierna via Alighieri, via Arena, un tratto della via vecchia
Cimitero, per inoltrarsi da lì nel pieno della campagna del territorio afragolese. Essendo situata in
prossimità della discarica da risanare, c'è sembrato opportuno farla rientrare nel progetto di
riqualificazione.
2.1 ETIMOLOGIA
L'origine della denominazione "Scafatella" potrebbe essere rintracciata nella deformazione
dialettale del vocabolo latino scapha, derivato a sua volta dal greco skafh, che indica due oggetti
completamente differenti: un vaso di terraglia o tinozza oppure una piccola barca priva di vela.
L'area agricola circostante l'edificio è di rilevante interesse archeologico, come stanno a
testimoniare i recenti ritrovamenti di necropoli e strutture antiche fatti nel corso dei saggi
preliminari del cantiere della ferrovia ad alta velocità. La seconda ipotesi, è quella che accosterebbe
l'appellativo ad una piccola barca.
Oggi l'unico corso d'acqua presente nell'area è il Clanio che è però posto ad una certa distanza dalla
chiesa in questione. E' noto che l'odierno assetto del nostro territorio è il risultato di secolari,
continue e radicali trasformazioni idrauliche, per la bonifica dei suoli da destinare all'agricoltura.
Tali opere hanno comportato la profonda modifica della conformazione della nostra pianura; una
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buona parte dei rami morti e dei rigagnoli del Clanio sono stati irreggimentati già a partire
dall'epoca classica e l'opera di bonifica è stata ripresa al termine del XVI secolo e continuata fino
alla prima metà dell'Ottocento, quando è stata definitivamente completata.
Un'idea di come dovesse presentarsi la campagna afragolese qualche secolo addietro la può fornire
la prima carta del territorio provinciale di scientifica attendibilità: la Topografia dell'Agro
napoletano con le sue adiacenze, edita da G.A. Rizzi Zannoni nel 1793. Questa carta individua e
localizza con precisione la nostra chiesa e la colloca in prossimità di un fosso d'acqua.
Maggiormente dettagliata e precisa, appare la più recente Carta Topografica ed idrografica dei
contorni di Napoli, realizzata tra il 1817 e 1819 ma incisa successivamente, che localizza la
Scafatella a ridosso di uno scomparso ramo meridionale del Clanio. Questo canale, detto
"Acquafracida", presentava un'ansa a gomito in prossimità della chiesa e si spingeva ad est fino alla
masseria Barone e da lì, attraversando la località Palude, sfociava nel Clanio.
2.2 CRONOLOGIA
Scarsissime sono le notizie relative alla genesi dell'edificio e assente risulta a tutt'oggi ogni
documentazione archivistica, a meno delle citate carte topografiche. La "Scafatella" può
annoverarsi tra le più antiche costruzioni di Afragola e va collocata come realizzazione tra la
seconda metà del XII sec. e la prima metà di quello successivo.
2.3 DESCRIZIONE
Oggi la "Scafatella" si presenta al visitatore ancora come una chiesa rurale isolata nei campi ad
oriente dell'abitato. La località in cui sorge la chiesa è attualmente oggetto di profonde
trasformazioni che ne stanno completamente e definitivamente modificando l'assetto e la
fisionomia. La vicinanza del tracciato dell'asse mediano, ha comportato una riduzione delle visuali
verso Acerra che precedentemente era possibile vedere dalla chiesa; l'insediamento del grande
complesso commerciale dell'Ipercoop e delle strutture limitrofe ha portato, come effetto, alla perdita
di una vasta area agricola e alla cancellazione degli antichi tracciati stradali. La realizzazione della
linea ferroviaria ad alta velocità e della nuova stazione di Napoli-Porta porteranno, inevitabilmente,
altre sostanziali trasformazioni del sito dove, purtroppo, si vedrà sparire completamente il carattere
rurale.
3. TIPOLOGIE DI SPAZI VERDI (N.Pilone, 2003)
3.1 INTRODUZIONE
Descritto brevemente il territorio su cui progetteremo il Parco, vediamo quali e quante sono le
tipologie di un'area verde per poter poi scegliere quella più adeguata al nostro caso.
Le opere di verde si ispirano a un certo numero di modelli di sistemazione, che vanno dal tipo
estensivo (estremamente semplice, nel quale gli elementi di introduzione antropica sono assenti o
molto diluiti nello spazio) al tipo intensivo (nel quale, viceversa, prevalgono le “forzature” della
natura) attraverso una gradazione di modelli intermedi.
Il modello più semplice corrisponde alla sistemazione a verde più elementare, di carattere più
largamente estensivo: la forestazione, oppure (ipotesi che in pratica non ricorre) la prateria. I
parametri fondamentali di questo modello sono gli stessi forestali: funzioni del bosco (protezione,
produzione, ricreazione, igiene, cultura); governo e trattamento del bosco (bosco coetaneo,
disetaneo, irregolare etc.; densità; fertilità attuale e potenziale; stato normale, etc.). Il
parametro"ricreazione" non prevede attrezzature o strutture specifiche; è il bosco stesso a fungere
da attrezzatura. Questo modello di sistemazione a verde presuppone una gestione mediante “azienda
forestale”, e ciò indipendentemente dal fatto che vi sia produzione legnosa o meno.
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Il secondo modello è ancora a carattere nettamente estensivo. I parametri sono gli stessi del
precedente, ma del parametro “ricreazione” si cominciano ad intravedere le prime gradazioni,
ciascuna con una propria tolleranza verso gli elementi antropici introdotti, si comincia a valutare la
votazione naturalistica e ricreativa delle diverse porzioni di foreste e di praterie che compongono lo
spazio verde.
Un terzo modello, è analogo al precedente ma con l’inserimento di attrezzature atte alla ricreazione
(panchine, fontanelle d’acqua, viabilità di servizio e pedonale, servizi elementari etc.), sempre
molto semplice e funzionale, in armonia con l’essenzialità della sistemazione a verde.
Alla realizzazione delle sistemazioni a verde si giunge pertanto mediante una scelta progettuale
sulla base dei modelli, che si attuano attraverso i moduli, in funzione dei diversi parametri. Un
modello semplice è pertanto costituito da pochi moduli. Il grado di attrezzatura delle sistemazioni a
verde si eleva con il numero degli elementi costituenti il modello. Per superfici poco estese e per
quelle di particolare destinazione, si formulano modelli vicini alla tipologia della sistemazione a
verde di carattere tradizionale (arte del giardino). Si deve quindi rinunciare ai principi
dell’estensività e alle relative tecnologie di sistemazione a verde, che consentano semplificate
operazioni di manutenzione con contenimento dei costi. (Tab. 24)
3.2 I PICCOLI SPAZI VERDI: GIARDINETTI E GIARDINI
Gli spazi verdi accessibili e frequentabili dal pubblico quale luogo di sosta, di svago, di ricreazione,
e dove si trova almeno una minima parte di attrezzature in funzione all’età dei frequentatori.
Data la superficie, implicano la realizzazione di una sistemazione a verde a carattere intensivo, con
tappeto erboso, vialetti e spiazzi alberati di destinazione ricreativa come campi da gioco e, separati,
angoli di sosta e posteggio.
3.3 I PARCHI URBANI
Sono la sistemazione a verde dove sussistono i termini di passaggio dal tipo intensivo a quello
estensivo più o meno largamente attrezzato, e dove, a volte, sono ancora rilevanti le opere e gli
elementi artificiali e artificiosi: dai rinterri per la correzione e la formazione dell'andamento del
terreno alla copertura con terra di coltivo, le pavimentazioni, le recinzioni. Tutto ciò comporta un
largo impiego di lavoro e di opere dell'uomo, derivanti da una progettazione volta a creare
particolari ambientazioni. Congrue tecnologie sulla base dei modelli di sistemazione a verde
elementari (caratterizzati estensivamente sui moduli prato-foresta o popolamento arboreo)
consentono per questi parchi di rimandare a tempi di maggiore disponibilità di finanziamenti la
realizzazione delle attrezzature meno elementari, o non indispensabili. Infatti già la sola
realizzazione del prato e dell'alberatura e di poche attrezzature formano il parco e
contemporaneamente consentono, per i bassi costi comportati dai modelli estensivi, d'investire
maggiori superfici a fronte degli elevati costi dei tradizionali giardini.
3.4 SPAZI VERDI ESTENSIVI, RIFORESTAZIONE
Sono i grandi spazi verdi intesi nel senso più ampio e comprendono le seguenti tipologie.
Riserva integrale. Nella quale l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità; non è ammessa
alcuna utilizzazione del territorio non specificatamente rivolta al conseguimento delle finalità
conservazionistiche. Il pubblico è ammesso lungo i sentieri appositamente indicati e sistemati.
All'interno della riserva integrale possono esservi aree destinate esclusivamente allo studio e alla
ricerca scientifica.
Riserva orientata. Qui sono consentiti l'utilizzo del terreno per coltivazioni agricole e silvo-
pastorali, le opere di conservazione del suolo, di ricostruzione dei pascoli, le vie d'accesso e i
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fabbricati d'alpeggio. Salvo quanto necessario per l'esercizio delle attività consentite e per il
conseguimento dei fini istituzionali, si applicano alle riserve orientate gli stessi divieti stabiliti per le
riserve integrali.
Riserve parziali. Per una finalità specifica (floristica, faunistica, archeologica, monumentale,
geologica, idrogeologica, paesaggistica).
Parco naturale. Questo tipo di spazio verde ha preminenti finalità di salvaguardia delle attività
agricolo-forestali. Le leggi d'istituzione e i piani territoriali di coordinamento dei parchi naturali
pongono vincoli all'esercizio di attività con forte impatto sull'ambiente. Un parco naturale è quindi
una porzione di territorio nella quale vengono messe in particolare risalto le aree verdi, senza che
per questo debbano risentirne le attività del settore primario e la popolazione che da esse trae
sostentamento. L'utenza dei parchi naturali si valuta non solo in benefici ricreativi, ma anche nella
tutela dell'ambiente e del paesaggio.
3.5 PARCO RICREATIVO
Il parco potrebbe essere definito come: ”Uno spazio verde, delimitato territorialmente e
topograficamente sulla base dell’analisi e sintesi ecologica, la cui estensione spaziale prevale
nettamente su quella dei singoli elementi naturali e architettonici che lo compongono”.
Etimologicamente il termine “parco” deriva dal persiano paradeisos, che significa giardino
intercluso. La radice comune con il termine “paradiso” è evidente, e il parco ricreativo è forse la
tipologia di spazio verde che più si avvicina al concetto di “luogo di delizie”, rispondendo alla
fruizione più tradizionale del verde: la ricreazione, il godimento del proprio tempo libero in un
ambiente popolato da piante, il sempre più avvertito revival della vita all’aria aperta. La
progettazione mira a costruire ex novo una vera e propria "macchina ricreativa", una struttura
ispirata alla natura ma finalizzata principalmente all’utilizzo da parte dell’uomo. In questo tipo di
parco hanno un posto di preminenza le attrezzature del verde: i manufatti per la sosta e il ristoro
(panchine e altri sedili, tavoli da picnic, fontanelle), per il gioco e le attività sportive (piste per le
varie discipline, campi giochi, arenili), l’informazione naturalistica (pannelli esplicativi, cartellini
con la nomenclatura botanica), i servizi (contenitori di rifiuti, impianti di illuminazione, servizi
igienici, etc.).
Il parco ricreativo deve supplire, per quanto possibile, alle funzioni della natura stessa, ora che per
motivi di tempo, distanza e ritmo di vita, il contatto tra uomo e ambiente è alquanto sporadico.
Un fondamentale criterio di progettazione consiste nel prevedere un'armonica distribuzione di
elementi naturali ed artificiali, senza che il parco diventi a tratti una palestra o una platea. D'altro
canto, si deve rendere lo spazio verde il meno prevedibile possibile: un'accorta alternanza di
macchie di vegetazione e di radure prative, di superficie piane e di leggeri rilievi, di tratti rettilinei e
curvi, rende il paesaggio del parco vario e anche visivamente ricreativo. La composizione vegetale
di un parco ricreativo deve essere innanzitutto semplice. A seconda dell’estensione, si inseriscono
più o meno soggetti di specie di prima grandezza, sempre indispensabile per la edificazione
paesistica, l’ombreggiamento, l’attrazione culturale, la durata del tempo.
Ogni zona climatica e vegetazionale della penisola italiana annovera tra la sua flora spontanea o
spontaneizzata qualche specie arborea di prima grandezza:
Quercus robur, Tilia vulgaris, Celtis australis, Acer spp., Quercus cerris, Fraxinus excelsior, Fagus
sylvatica nelle zone temperato-fredde.
Quercus ilex, Quercus suber, Celtis australis, Pinus spp.,Cupressus sempervirens, Populus alba,
varie specie di palme nei climi più miti.
Al punto giusto, e in misura contenuta, il progettista può inserire grandi alberi “solitari” di altri
climi, per creare punti di particolare attrazione: Magnolia grandiflora, Liliodrendron tulipifera,
Eucalyptus spp.,Cedrus spp., Sequoia sempervirens.
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Sotto il piano dominante, costituito dagli alberi di prima grandezza, si trova il piano dominato, con
alberi di seconda e terza grandezza, scelti sempre secondo i criteri di compatibilità ecologica,
morfologica e vegetazionale sia con la stazione fitoclimatica sia con le specie dominanti. Ad
esempio, sottochioma a un grande esemplare di Quercus robur può dare un ottimo effetto Carpinus
betulus, che con essa e altre specie edifica i boschi nella zona del Castanetum basso e medio;
oppure Acer campestre, Prunus padus, o anche Taxus baccata, se si vuole dare un tocco
sempreverde. Assolutamente fuori luogo sarebbero, ad esempio, Pinus nigra o Acer saccharinum.
Al di sotto del piano dominato una distribuzione di piante arbustive "chiude" irregolarmente la
macchia, e al tempo stesso schiude visuali sulle altre parti del parco.
Accanto alla dominanza in altezza, ciascun gruppo di alberature deve avere una specie dominante
numericamente, che costituisca una percentuale variabile tra almeno il 45-50% e il 60-65% del
totale. Ciò serve ad evitare che il popolamento arboreo si trasformi in un accostamento caotico di
specie e varietà vegetali. Al tempo stesso, con un buon numero di piante di una stessa specie si ha la
garanzia di una certa compatibilità morfo-fisiologica tra gli individui, e si innesca quel meccanismo
di prevalenza di una specie che si verifica in natura.
Per rendere la disposizione della vegetazione meno artificiale, i piccoli e medi gruppi di alberi
devono essere composti sempre da un numero dispari di individui.
Un gruppetto di tre alberi sortisce un effetto estetico migliore di una coppia di esemplari che,
comunque vengano disposti, danno sempre un’idea di artificiosità.
3.6 PARCO AGRICOLO
Il parco agricolo è la realizzazione di un connubio tra salvaguardia ambientale, fruizione ricreativa e
attività economico-produttiva dell’azienda agraria. Da un lato, ponendo sotto tutela determinate
aree a destinazione agricola, ne garantisce la sopravvivenza anche, e soprattutto, quando queste
sono di piccole dimensioni e frazionate. Dall’altro lato, il parco agricolo pone le basi per la
diffusione dell’agriturismo (fruizione ricreativa dell’ambiente agrario).
Il principale problema nel parco agricolo è conciliare l’aspetto ecologico ambientale e l’aspetto
economico produttivo. Vanno quindi attentamente individuate quelle aree agricole che possono
essere aperte al pubblico senza che se ne abbia un danno sensibile alla produzione. Possono essere
le aree di dimensione più piccole, frazionate, o che per motivi di obsolescenza o di distanza dai
mercati e dalle vie di comunicazione non riescono a reinserirsi nel tessuto economico produttivo del
mondo agricolo e industriale.
D’altra parte, il cittadino gode di un effettivo beneficio paesistico e ambientale per la presenza degli
spazi agricoli nel territorio. Questa utenza, reale e occulta, va ripagata al settore primario in termini
di salvaguardia e di concreti vantaggi economici.
La progettazione di un parco agricolo è diversa: vi è già la sistemazione al verde; bisogna al
massimo disporre una limitata quantità di attrezzature per la sosta, la viabilità e l’informazione. Lo
studio fondamentale è invece di tipo urbanistico ed economico, per inserire la zona a parco nella
rete produttiva e di comunicazione.
È evidente l’analogia tra parco agricolo e naturale (dove e più rilevante la componente forestale).
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4. LE ATTREZZATURE DEL VERDE (N.Pilone, 2004)
4.1 GENERALITÀ
Il verde “attrezzato” non è un’entità assolutamente precisa. Generalmente lo si identifica con quegli
spazi verdi con alta frequenza di strutture per la sosta (panchine, tavoli), campi gioco, impianti
sportivi, strutture didattiche, etc.; tuttavia l’attrezzatura di uno spazio verde è una variabile che
ammette un’ampia gradazione in fase progettuale, e che può essere più o meno accentuata a seconda
della natura della sistemazione. Ogni spazio verde, in altre parole, può essere attrezzato,
indipendentemente dal numero e dalla frequenza degli elementi: vi sono sistemazioni che
ammettono una limitata quantità di attrezzature, e che tuttavia in quelle poche attrezzature
comprendono quanto basta per guidare l’utente nella sua fruizione del verde.
L’utente si accosta al verde con due intenti diversi, a volte coesistenti. Da un lato cerca un luogo
che lo ricrei senza costringerlo a compiere grandi spostamenti, offrendogli in uno spazio circoscritto
la possibilità di godere di svaghi e comodità (panchine numerose e ben dislocate, opportunità di
stare in contatto delle altre persone, di tenere d’occhio i bambini che giocano, di godere di visuali,
etc.); dall’altro lato l’utente cerca l’occasione di estraniarsi per qualche tempo dall’ambiente che lo
circonda, in angoli privi di strutture artificiali nei quali trovarsi a contatto solo di elementi naturali.
Accostando opportunamente le tipologie di verde è possibile mettere a disposizione del pubblico,
spazi più intensamente attrezzati e spazi "naturali formi" a non grandi distanze gli uni dagli altri. In
alcuni casi, invece, le tipologie di verde ammettono soltanto uno o pochi gradi di attrezzature.
4.2 IL MODELLO FORESTALE
Il bosco è il modello della semplicità di attrezzatura. Percorrendo un sentiero che si snoda
attraverso il bosco s'incontrano pochi segni di modifiche apportate all’ambiente naturale: qualche
segnale colorato con la numerazione e la destinazione del sentiero, sparse segnalazioni
panoramiche, alcuni sedili. Attrezzare popolamenti arborei di uno spazio verde significa basarsi su
questo modello, aggiungendo qualche elemento per l’informazione naturalistica dell’utente
(cartellini e pannelli con l’indicazione delle specie e delle associazioni vegetali). Uno dei punti più
delicati è la dislocazione delle aree per la sosta e il picnic.
Queste aree sono soggette a fenomeni d'intensa antropizzazione, quindi devono essere attrezzate in
modo quali-quantitativamente idoneo per reggere l’urto. Oltre ad un congruo numero di panchine,
sedili e tavoli, le aree devono essere dotate di capaci contenitori di rifiuti, dislocati in maniera tale
da invogliare l’utente a servirsene. I contenitori devono quindi avere un'imboccatura ampia, in
modo che non ci sia possibilità “di sbagliare mira”, devono essere di agevole svuotamento, tenendo
conto che nelle zone boscate non è sempre possibile far giungere i mezzi meccanici; inoltre devono
inserirsi nel paesaggio circostante, rimanendo però ben visibile (scegliere attentamente il materiale
e il colore della verniciatura).
I posti per i picnic più attrezzati offrono anche strutture per l’accensione di fuochi e la cottura di
vivande. In assenza di tali strutture alcuni utenti potrebbero essere indotti ad approvvigionarsi di
legna a spese delle piante, o a creare un focolare con rischio per l’intero popolamento vegetale e
ovviamente anche per se stessi.
Il modello forestale è quindi quello in cui le attrezzature sono maggiormente diluite, fino a
“scomparire” o a fondersi con l’ambiente. Più la sistemazione a verde da spazio al paesaggio e alla
vegetazione “naturali formi”, tanto meno le attrezzature devono intaccare la sensazione di
coinvolgimento con l’ambiente. Anche in un grande parco estensivo (con ampie zone alberate,
gruppi di cespugli, zone umide) una concentrazione troppo elevata di attrezzature può frenare la
curiosità e l’istinto itinerante del visitatore. Le attrezzature vanno quindi diluite su estese superfici,
oppure, per quelle che devono necessariamente essere concentrate (come i campi gioco), essere
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dislocate in punti di facile accesso. La dislocazione è importante perché determina la distribuzione
dell'insediamento degli utenti.
4.3 LE PRINCIPALI ATTREZZATURE
Le attività ricreative possono essere classificate in base a diversi criteri; il più semplice è quello
relativo alle motivazioni che spingono l’utente. Si hanno così:
Attività escursionistiche: la motivazione principale è il desiderio di stare in contatto con la natura,
estraniandosi dalle attività quotidiane ed anche dalle forme organizzate di ricreazione. Fanno parte
di questa tipologia non soltanto le escursioni propriamente dette, ma anche e soprattutto le
passeggiate verso i punti più tranquilli degli spazi verdi, il semplice addentrarsi nella natura anche
per brevi tratti. Queste attività che sono le più legate al modello forestale in precedenza descritto,
sono anche le più semplici da attrezzare (panchine, tavoli, contenitori di rifiuti, segnaletica) sia dal
punto di vista quantitativo che qualitativo.
Attività di riposo e distensione: in questo caso la motivazione prevalente è il relax, l’assenza di
rumori molesti o in ogni modo abituali, il comportamento spontaneo. L’esercizio fisico è escluso. In
questa tipologia aumenta l’incidenza quantitativa delle attrezzature per la sosta, ed anche la loro
relativa complessità costruttiva. Infatti, se per le attività escursionistiche anche un semplice masso
può fungere da sedile, per le attività di riposo e distensione si devono prevedere anche attrezzature
più ricercate, innanzitutto comode.
Attività di gioco e sport: le motivazioni sono il divertimento, lo sfogo dell’esuberanza giovanile, il
mantenimento o il riacquisto delle forme fisiche. Benché nello svolgimento di queste attività abbia
un ruolo importante la creatività individuale, che può prescindere dalle attrezzature, devono essere
messe a disposizione degli utenti adeguate strutture per la razionalizzazione e il controllo
dell’esercizio fisico. Nel caso dei più piccoli la presenza di attrezzature concentrate e razionali
consente loro divertimento e sicurezza. Ad età maggiori sorge il desiderio di praticare sport
secondo le loro regole, ad imitazione dei campioni. Nel complesso, quindi, è questa terza tipologia a
richiedere la maggiore concentrazione di attrezzature: campi gioco (con una gamma pressoché
infinta di attrezzi), impianti sportivi più o meno regolamentari, piste ciclabili, etc. la sistemazione a
verde assume la configurazione di “macchina ricreativa”.
4.4 TAVOLI
Per i tavoli rimangono valide gran parte delle osservazioni che si faranno a proposito delle
panchine. Si tratta comunque di un’attrezzatura d'uso meno generalizzato, riservata ai punti dove è
prevista la ristorazione o il gioco. Va però notato che a volte è la presenza del tavolo a stimolarne
l’uso da parte del pubblico, e che quindi il dotare una sistemazione a verde di piani anche molto
semplici, disposti tra due sedili, può incoraggiare giochi, lettere, studio.
Molto interessante è la soluzione in cui tavolo e sedili costituiscono un corpo unico, evitando cosi
indebiti spostamenti degli elementi e fornendo un effetto estetico più convincente.
4.5 CONTENITORI DI RIFIUTI
I contenitori per l’immondizia sono probabilmente la più oscura e al tempo stesso la più
determinante componente di una sistemazione a verde. La loro carenza (come numero o come
funzionalità) è il primo passo verso il degrado di un parco, poiché ben difficilmente la
manutenzione riesce a smaltire i rifiuti con la stessa velocità con cui si accumulano. Le prerogative
essenziali dei contenitori di rifiuti sono quindi due:
ξ frequenza e dislocazione opportune,
ξ capacità.
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La frequenza è determinante, inquanto l’utente medio non è disposto a compiere grandi spostamenti
per liberarsi dell’immondizia. Circa la dislocazione, i contenitori dovrebbero essere situati a breve
distanza dalle panchine ma non strettamente a ridosso; il vantaggio di potersi liberare
dall’immondizia senza alzarsi è nettamente controbilanciato dalla sgradevolezza della vicinanza dei
rifiuti, che diventa intollerabile quando questi tracimano per insufficiente capacità dei contenitori.
La capacità è l’altro fattore importante. Il contenitore di rifiuti non può materialmente essere
illimitato; ciò che conta è che abbia dimensioni sufficienti per trattenere i rifiuti tra due successivi
passaggi della manutenzione. Un valore soddisfacente di capacità potrebbe aggirarsi sui 300-500
litri per contenitore; questa misura potrebbe corrispondere alla quantità di rifiuti scaricati
mediamente ogni giorno da un centinaio di utenti di un parco ricreativo. In base quindi all’affluenza
media giornaliera di pubblico è possibile dimensionare e dislocare i contenitori.
I contenitori di rifiuti devono poi possedere un requisito essenziale al fine dello snellimento delle
operazioni di manutenzione: la predisposizione alla meccanizzazione. Lo svuotamento manuale,
con distacco dei contenitori dai loro supporti, comporta un elevato impegno di manodopera;
viceversa, lo svuotamento diviene rapidissimo quando il contenitore è sollevato da un braccio
meccanico e il suo contenuto scaricato nel cassone dell’automezzo di raccolta e trasporto alla
discarica.
Circa le tipologie costruttive, è importante che i contenitori di rifiuti si notino con facilità, ma che al
tempo stesso non imbruttiscano l’ambiente.
Esistono ormai svariati modelli di aspetto anche gradevole, come quelli di forma prismatica o
cilindrica, svasati verso l’alto per offrire la maggior apertura possibile, costituiti da un recipiente
interno di metallo rivestito da listelli di legno impregnato a pressione e quindi durevole.
4.6 CARTELLINATURA
La cartellinatura delle specie botaniche può essere apposta al tronco delle piante (con una
colorazione che non stacchi nettamente dalla tinta della corteccia) oppure al piede delle stesse, ad
una certa distanza dal colletto. La seconda soluzione è più indicata per le specie con ramificazione
decombente (che copre il tronco) e per i soggetti di particolare pregio botanico che il pubblico non
accetterebbe di vedere “sfregiati” dall’apposizione di elementi estranei. I cartellini posti a una certa
distanza dal tronco sono inseriti su supporti montati su plinti interrati, in modo da prevedere
danneggiamenti.
Anche in questo caso, dove la morfologia dell’ambiente lo permette, la soluzione ottimale è
sfruttare elementi già presenti in loco. Ad esempio, nel giardino botanico “La Carsiana”, presso
Trieste, la nomenclatura delle specie vegetali è stata realizzata con iscrizione sulle rocce locali.
La cartellinatura può essere utilizzata per diversi scopi:
ξ cartellinatura delle specie botaniche più significative;
ξ pannelli esplicativi di esemplari o associazioni vegetali di particolare interesse;
ξ pannelli esplicativi di specie animali che si possono osservare in quel luogo, possibilmente
con relazioni al tipo di flora;
ξ descrizione di ambienti particolari (giardino alpino, cinese, giapponese, etc.).
4.7 CAMPI GIOCO
Il bambino è al tempo stesso l’utente del verde più facile e più difficile. Se da un lato non ha
bisogno di ricercate attrezzature per dare libero sfogo alla sua fantasia, dall’altro non esita a rifiutare
decisamente ciò che non lo soddisfa pienamente. Di conseguenza un campo giochi è preso d’assalto
o è disertato.
Le esigenze del bambino sono semplici primordiali nella loro essenzialità (correre, saltare,
arrampicarsi, strisciare, sguazzare), e semplici devono essere le attrezzature di cui si serve.
L’elemento fondamentale è invece la sicurezza. La naturale tendenza del bambino ad avventurarsi,
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sperimentare, rischiare, deve essere nei limiti del possibile, controbilanciata da strutture cuscinetto
che fungano da ammortizzatori. Le attrezzature devono quindi essere in modo da prevenire, o
comunque attutire, cadute e traumi; i materiali devono essere innocui.
I principali criteri per la progettazione e la scelta delle attrezzature per i campi gioco sono:
ξ Originalità e potere di stimolo della fantasia. Le attrezzature veramente originali sono
quelle che variano su un tema semplice, attingendo al mondo della fantasia e dell’avventura
senza perdere di vista il principio di una ricreazione istintiva, immediata. L’importante è che
il bambino possa scatenarsi nel fantasticare, nel reinventare situazioni. L’attrezzatura deve
quindi limitarsi a fornire un pretesto per l’immaginazione, evitando di porle limiti logici o di
esaurirla dandole già la “soluzione”, che non coincide mai con quella scelta dal bambino.
Un esempio di come un'attrezzatura semplice ma ben studiata possa stimolare la fantasia del
bambino è dato dalla simulazione di situazioni avventurose, come la caccia o l’esplorazione.
Un arenile con al centro un animale di legno o di cemento (orso, leone, tigre, etc.) e
un’apertura nella roccia (anche se chiusa da una grata) dà subito l’impressione che
all’interno della tana si nasconde l’animale raffigurato. Il bambino si sbizzarrisce cosi in
appostamenti, adescamenti, trucchi, anche ingenui richiami, per invitarlo ad uscire allo
scoperto.
ξ Materiale di costruzione dell’attrezzatura. I materiali più consolidati dall’uso sono metallo,
cemento, plastica e legno. Le attrezzature di metallo presentano innanzitutto un
inconveniente di natura termica: tendono ad essere gelide in inverno e roventi in estate.
Inoltre il metallo è un materiale poco adatto al contatto con la persona. Vi sono ulteriori
inconvenienti: un’elevata deteriorabilità e la difficoltà di sopprimere od occultare viti,
giunti, spigoli vivi, strettoie di scorrimento, etc. Le attrezzature di cemento non sono
eccessivamente sgradevoli alla vista. Per contro in taluni casi possono tornare utili per la
loro solidità, resistenza e agevole lavabilità.
Per alcuni tipi di attrezzature (ad esempio gli scivoli, o le vasche) sono ottime le materie
plastiche (polietilene, PVC, vetroresina, etc.).
Il materiale da costruzione che però presenta maggiore interesse è il legno. L’introduzione
dei trattamenti anti-marcescenza a pressione ha permesso un determinante passo in avanti
nell’utilizzo delle attrezzature di legno per gli spazi verdi all’area aperta. Il sale di
impregnazione, che grazie alla pressione penetra sino al midollo, permette infatti di ovviare
al principale inconveniente del legno, e d’altra parte non è nocivo, non richiede
manutenzione, non modifica sostanzialmente la tinta del materiale e consente l’eventuale
ricopertura con altri colori. Tra i principali pregi del legno vi sono:
ξ armonia con il paesaggio, in quanto è il materiale da costruzione che meglio riproduce le
componenti paesistiche, spontanee e rustiche (case, ponti, stalle, fontanelle di sorgente,
abbeveratoi, carri, etc.),
ξ sensazioni di comfort,
ξ gradevole contatto termico e tattile per la persona.
Un ruolo non trascurabile spetta ai materiali complementari, che si inseriscono sul materiale
principale: corde, copertoni d’auto, catenelle, etc. anche in questo caso le soluzioni più gradevoli
sono quelle che fanno ricorso ad elementi “di recupero”, come appunti gli pneumatici.
L’altra grande categoria di materiali comprende gli elementi per i fondi e le pavimentazioni. Esiste
una stretta correlazione tra tipologie di giochi e fondi; ma nei limiti posti dalla scelta, si devono
ricercare soprattutto la sicurezza e la razionale manutenzione del materiale. In diversi casi questi
due aspetti sono in antitesi: il fondo in asfalto consente una rapida pulizia ma può essere causa di
infortuni; il fondo in sabbia è soffice ma richiede la periodica sostituzione del materiale, e diviene
inadatta quando manca la regolamentazione dell’afflusso, per la presenza di cani e altri animali.
Nel complesso, due sono i fondi che non dovrebbero mancare in un campo gioco: la sabbia o il
truciolato di legno (per la sofficità) e l’acqua, elemento ricreativo per eccellenza. La maggior parte
degli infortuni e anche dei danni alle attrezzature provengono da un’installazione su terreni troppo
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compatti, come è spesso il terreno naturale e come sono sempre i fondi pavimentati. Sabbia e acqua,
inoltre, sono complementari per i giochi di costruzione. Il truciolato di legno può rappresentare una
valida alternativa alla sabbia quale pavimentazione, dove le attrezzature offrano già ampie
possibilità di ricreazione; infatti al truciolato manca il pregio di essere un elemento ricreativo esso
stesso.
4.8 IMPIANTI SPORTIVI
La presenza di impianti sportivi ha comunque sensibili conseguenze sugli altri elementi della
sistemazione a verde, nel senso di una maggiore attrezzatura e di una maggiore ricettività verso il
numero di utenti che accorre a praticare o seguire uno sport. Aumenta quindi la necessità di disporre
aree a parcheggio, servizi (soprattutto ristorazione e sorveglianza estese anche ad orari serali,
potenziamento dell’illuminazione) e infrastrutture.
4.9 SOSTA: PANCHE E PANCHINE
Nella fruizione del parco urbano assumono ruolo di fondamentale importanza i cosiddetti punti di
sosta che possono essere sia luoghi d'incontro e socialità, che per la riflessione individuale.
Elemento fondamentale di questi punti di sosta è la seduta, che è rappresentata generalmente dalla
panchina anche se il bordo di una vasca o di un marciapiedi, i gradini di un sagrato, il parapetto di
un palazzo, possono fornire quel dislivello necessario a realizzarla.
L'elemento panchina è stato oggetto di studio, infatti la produzione attuale presenta su scala
industriale una vasta gamma di articoli che si differenziano tra loro per forma, materiali e funzione.
Per quanto riguarda quest'ultima possiamo distinguere le panchine in:
ξ panchine per soste di lunga durata;
ξ panchine per soste di breve durata.
Le prime sono tipiche dei parchi pubblici, non rappresentano solo un luogo di sosta, ma un luogo
dove si passa un determinato tempo, riposando, leggendo un libro o parlando con qualcuno. Le
seconde collocate in zone pedonali o nelle piazze hanno tutt'altro carattere; sono utilizzate per brevi
soste in prossimità, per esempio, delle fermate d'autobus. Le panchine per la sosta di lunga durata
sono caratterizzate dalla presenza della spalliera, mentre quelle per soste brevi non sono più
elaborate di una semplice panca.
Per quanto riguarda i materiali si possono individuare nell'ambito della produzione di panchine sei
tipi: in legno, in metallo, in plastica, in muratura, in pietra, in materiali misti.
1. Panchine in legno: il design delle panchine in legno, tipiche dei parchi inglesi, dipende
molto dalle proprietà del materiale usato. Il teak, il pino nordico, il larice, il roco o altri legni
a struttura compatta forniscono un prodotto resistente sia agli agenti atmosferici sia all'usura.
Questa resistenza può essere aumentata trattando il legno con resine o sali di rame e cromo.
Avendo il sole la tendenza a schiarire il colore del legno, è necessario un periodico
trattamento con olio di lino.
2. Panchine in metallo: le tipiche panchine, in ferro fuso (ghisa) riccamente decorate, sono
state ampiamente sorpassate da panchine in lega di alluminio o tubolari di acciaio.
3. Panchine di plastica: l'avvento di vari tipi di plastica ha aperto nuovi orizzonti in molti
campi del design. L'alto costo dello stampo però, scoraggia l'uso di panchine di plastica,
laddove ne necessitano piccole quantità.
4. Panchine in muratura: hanno la capacità di risolvere problemi progettuali specifici legati a
spazi fortemente connotati o che necessitano di una forte connotazione.
5. Panchine in pietra: in passato erano ricavate dalla pietra, ma a causa degli alti costi di
lavorazione e del materiale, è stata sostituita dal calcestruzzo.